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Napoli, una campagna elettorale sprecata a colpi di slogan

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Alzi la mano chi ha compreso quali sono gli impegni solenni assunti dai candidati sindaco di Napoli in questa tornata elettorale. Qualcuno sa dove poter leggere i programmi dei singoli candidati sindaco di Napoli? A parte, ovviamente, qualche slogan e qualche altra frase di senso compiuto che si può trovare sui social network o su qualche blog nato per l’occorrenza? Qualcuno è in grado di spiegare se e come si uscirà dall’impasse trentennale in cui si dibatte uno dei quartieri più belli di Napoli, Bagnoli? Un quartiere sospeso tra deindustrializzazione e abbandono, sogni e bisogni elementari come lo sbocco al mare negato da oramai quasi un secolo, rilancio di città della scienza, completamento del parco e delle aree sportive attrezzate, dell’acquario, degli studios cinematografici, del centro benessere più grande e più bello d’Italia realizzato e abbandonato da 10 anni. Potremmo andare avanti con Napoli est considerata a chiacchiere una delle principali direttrici di sviluppo della città. Dovremmo parlare della risorsa Porto, la più importante azienda pubblica della città. Dovremmo discutere di elettrificazione del Porto, di dragaggio delle aree di attracco delle grandi navi portacontaniners, del porto commerciale, dell’area turistica. Il grande tema delle periferie è stata affrontato in termini di sicurezza/insicurezza, pulizia o sporcizia, non con piani concreti per ammagliare le periferie al centro della città in termini di occupazione e servizi pubblici. Il tema della sicurezza urbana non è un tema delle periferie, non è la causa del degrado delle periferie ma l’effetto di un abbandono che da anni vivono le periferie. Napoli è una delle poche città occidentali che ha le periferie al centro, nel cuore del centro antico, oltre che fuori le mura del più grande centro storico d’Europa per intero patrimonio Unesco benché abbandonato. Quando andremo a votare per questo o quel candidato sindaco, in base a quali considerazioni ne sceglieremo uno e ne scarteremo gli altri? Continueremo a scegliere il candidato di sinistra o quello di destra, ci fideremo delle persone o ci interessano i programmi che però non abbiamo letto? Nello scegliere o nello scartare un candidato penseremo alle cose che Napoli merita siano fatte o ci fideremo delle promesse, talune anche roboanti, che a spizzichi e a bocconi abbiamo letto distrattamente sui social network dei candidati? Ora, premesso che non è facile essere candidato sindaco e che è impresa improba fare poi il sindaco di Napoli, una volta tanto mettiamoci nei panni degli elettori napoletani, quelli che dovrebbero andare a votare e a decidere a chi affidare la scranno di primo cittadino. Se un elettore, se gli elettori, avessero avuto il tempo di leggere e digerire i programmi dei candidati sindaco di Napoli, saremmo tutti felici del fatto che chiunque sarà eletto, avrebbe un consenso nè fideistico nè ideologico nè sociologico. Il sindaco di Napoli sarebbe quello che avrebbe convinto di più sulla base delle cose che ha promesso solennemente di fare. Eppure, i napoletani da questo punto di vista, piaccia o no, non sono stati mai tanto fortunati. Dieci anni di Luigi de Magistris ci hanno consegnato una pubblica amministrazione civica pulita, dalle mani immacolate, zero camorra a Palazzo San Giacomo, ma anche una miriade di promesse clamorosamente mai mantenute. Se de Magistris avesse attuato il suo programma oggi Napoli sarebbe una città pulita, Bagnoli sarebbe il fiore all’occhiello di una città turistica, un centro storico moltiplicatore di ricchezza non solo culturale ma anche del terziario e del terziario avanzato. Oggi Napoli est sarebbe un incubatore di imprese capace di offrire posti di lavoro nei più disparati settori e non una enorme cattedrale nel deserto urbanisticamente abbandonata e sventrata in più punti con i suoi capannoni diroccati, le aree industriali dismesse e abbondonate e le strade gruviera di notte trasformate in un gigantesco puttanaio. Non avremmo la raccolta rifiuti al palo, Napoli sarebbe una città linda, igienicamente all’avanguardia e la monnezza differenziata al 70 per cento (erano le premesse e le promesse dei dieci anni di sindacatura arancione) sarebbe ricchezza. E allora i candidati sindaco in campo, diciamolo, ce l’hanno messa tutta per convincere i napoletani  a votarli. Tutta colpa di de Magistris. Se fossimo ipocriti diremmo che de Magistris non è stato capace. E invece, forse anche per colpe sue, con de Magistris, Napoli è stata isolata e ridotta alla fame dello Stato centrale. Bagnoli è stata commissariata. Napoli est è stata svuotata. Il personale del comune è sceso da 10 mila unità a 4mila circa. I trasferimenti statali sono stati ridotti al lumicino. Perché? Perché gli “arancioni” napoletani andavano fiaccati.  Il livello del dibattito tra i contenenti forse non è stato all’altezza delle aspettative della vigilia. Sarebbe stato anche lecito attendersi dai candidati sindaco di conoscere eventualmente in anticipo la squadra di governo sulle cui gambe poi dovrà camminare la futura Napoli. E invece oltre ai nomi dei candidati nulla sappiamo sulle possibili squadre di Governo.  Ora con ogni rispetto che si deve a tutti i candidati in campo, che volenti o nolenti ci hanno messo la faccia, sarebbe stato bello sapere chi potrebbe occuparsi dei conti disastrati di Napoli, chi potrebbe sistemare il settore dei rifiuti che langue, chi dovrebbe avere cura del verde pubblico, dei trasporti, del patrimonio, del personale, del centro storico e così via dicendo. Non c’è un nome, anzi, ce n’è uno solo. E l’ha fatto il presidente della Regione Vincenzo De Luca, che ha indicato il prefetto Antonio De Iesu, come futuro assessore alla sicurezza urbana di Napoli che collaborerà con Gaetano Manfredi qualora dovesse diventare sindaco di Napoli. Per il resto silenzio assoluto. Nessun nome. Si è sentito e si è letto di “squadre di governo”, di squadre di professionisti che “hanno progettato il futuro di Napoli”. Insomma parole, concetti, a voler essere cattivi chiacchiere. Ma non basta. Come non  basta, anzi è offensivo dover scaligere un candidato sindaco in  base alla sua data di nascita (se è giovane o meno giovane), al luogo di nascita (se è napoletano doc o se è ‘cafone’ nato nella provincia di Napoli) o al tifo per questa o quella squadra di calcio. E allora che cosa dire? I napoletani ancora una volta saranno chiamati a votare per il meno peggio. Dunque turarsi il naso, chiudere un occhio (e mezzo) e sperare che chi andrà a Palazzo San Giacomo possa continuare nel solco dell’esecutivo de Magistris quanto a tenere lontane le facce fameliche di camorristi e/o prestanomi e a realizzare qualcosa per Napoli. Che cosa? Boh, faccia il prossimo sindaco. Decida che cosa deve diventare Bagnoli e realizzi i sogni dei bagnolesi. Si occupi di Napoli est. Faccia del centro storico un unicum europeo quanto a luogo di cultura e turismo capace di produrre ricchezza e lavoro. Valorizzi le eccellenze. Usi la leva della bellezza per attrarre investimenti. Smetta di dire che Napoli può vivere di solo turismo e favorisca le condizioni per una re-industrializzazione. Si ricordi della risorsa mare. Ricordi al demanio che Napoli è anche il Porto, l’area portuale e le zone pertinenziali. Chieda aiuto, pretenda aiuto dal Governo per riavviare la macchina comunale. Vada d’accordo con il presidente della Regione per favorire investimenti condivisi su Napoli. Ecco, per non tirarla lunga: si occupi di far tornare Napoli una città normale. È questa la prima rivoluzione da realizzare.

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Luciano Spalletti: «Con De Laurentiis troppe battaglie. Se ci fosse stato più rispetto, sarei rimasto a Napoli»

Nel libro “Il Paradiso esiste… ma quanta fatica”, Spalletti racconta il rapporto con De Laurentiis: «Troppe frizioni, ma lo ringrazierò sempre». Anticipazione esclusiva al Corriere della Sera.

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Nel giorno dell’uscita del suo libro autobiografico Il Paradiso esiste… ma quanta fatica (Rizzoli), Luciano Spalletti regala al Corriere della Sera un’anticipazione destinata a far discutere. Al centro, uno dei passaggi più delicati e appassionati della sua carriera: il rapporto con Aurelio De Laurentiis e l’anno dello scudetto vinto con il Napoli.

«Due partite: una in campo, una con il presidente»

Spalletti racconta senza filtri i continui attriti avuti con De Laurentiis: «Sono andato via perché non avevo più voglia di sostenere questo continuo conflitto caratteriale con un imprenditore capace, ma con un ego molto, forse troppo grande». Il tecnico toscano descrive una convivenza fatta di battaglie quotidiane, «dare una maglia a un figlio, cambiare albergo senza un motivo chiaro», che lo hanno logorato.

Il “Sultano” e il silenzio dello scudetto

L’autore definisce De Laurentiis «estroso» e «imprevedibile», ma riconosce anche un momento di grande intelligenza da parte del presidente: «Quando ha smesso di parlare pubblicamente durante la stagione dello scudetto ha dato un segnale importante». Un sacrificio notevole per «un uomo di spettacolo che ama la scena».

Ma al momento della vittoria, il gelo. Spalletti svela: «Non telefonò a nessuno, né a me, né ai calciatori, né al team manager. Arrivò una telefonata solo il giorno dopo, per organizzare l’atterraggio a Grazzanise».

Una lettera e l’addio

La rottura definitiva avvenne con una lettera scritta a mano da De Laurentiis che, pur ringraziandolo per il trionfo, imponeva il prolungamento automatico del contratto. Spalletti rispose con un’altra lettera, altrettanto formale: «Sarebbe stato utile parlarsi, per il bene del Napoli. Farlo, forse, avrebbe cambiato il corso delle cose».

«Se ci fosse stato più rispetto, sarei rimasto»

Alla domanda che in tanti gli pongono — se sarebbe rimasto a Napoli con un altro tipo di rapporto — Spalletti oggi risponde: «Sì. Se ci fosse stato più rispetto umano, più dialogo e più apertura su cosa servisse per rivincere, alla fine sarei rimasto».

Eppure, chiude con una nota di gratitudine: «Lo ringrazierò sempre per avermi permesso di allenare il Napoli».


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L’ex ministro Bondi si racconta: «Ho scelto di farmi dimenticare, ma la politica non mi appartiene più»

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A distanza di anni dal suo addio alla scena pubblica, Sandro Bondi (foto Imagoeconomica in evidenza) torna a parlare. Lo fa con tono sommesso, riflessivo, in un’intervista al Corriere della Sera in cui ripercorre alcuni snodi della sua carriera politica, il rapporto con Silvio Berlusconi, l’attuale scenario politico e il senso della sua nuova vita a Novi Ligure, dove oggi ricopre — gratuitamente — il ruolo di direttore artistico del teatro Marenco.

«A Novi Ligure per amore e per restituire qualcosa»

«Ho accettato questo incarico per dare un contributo alla comunità in cui vivo. È un teatro bellissimo, restaurato anche grazie al Ministero dei Beni culturali», dice Bondi, senza mai ricordare che proprio lui fu, in passato, ministro della Cultura. Vive da quindici anni con Manuela Repetti, ex parlamentare come lui: «Ci siamo reinventati la vita. Di lei amo la sensibilità e la compassione per ogni essere vivente».

Lontano dalla politica, ma con uno sguardo vigile

«La politica non mi appartiene più», afferma con decisione. Nel 2018 si è ritirato a vita privata, convinto di aver partecipato a un progetto politico — Forza Italia — «di cui non è rimasto quasi nulla». Il giudizio su Matteo Renzi, con cui simpatizzò dopo l’addio al partito azzurro, è netto: «Una delusione politica e umana». E se di Elly Schlein apprezza l’onestà, ne critica l’indeterminatezza politica.

Il ricordo di Berlusconi e l’ammirazione per Meloni

Del suo lungo sodalizio con Silvio Berlusconi — iniziato grazie allo scultore Pietro Cascella — conserva «ricordi belli e meno belli». «Era un uomo complesso, indecifrabile. Avevamo un rapporto profondo». Lo affiancava ogni giorno ad Arcore, ma senza mai viaggiare con lui: «Avevo il terrore dell’aereo». Poi, con l’aiuto di Manuela, ha superato anche quella paura.

Di Giorgia Meloni dice: «Sta lavorando molto bene. L’Italia con lei è in buone mani». Apprezza anche Antonio Tajani e Raffaele Fitto: «Entrambi portano con sé un bagaglio europeo che li rende credibili. E Gianni Letta è una figura che continuo ad ammirare».

Il disincanto per il ministero e l’arte della rinascita

Della sua esperienza ministeriale non conserva nostalgia: «Non è un ricordo piacevole. Ogni cosa veniva strumentalizzata. Come il linciaggio per il crollo di un piccolo muro a Pompei». A Sgarbi, con cui condivise l’ambiente culturale, ha inviato un messaggio attraverso la sorella: «Spero possa rinascere».

«La mia fede è fragile. Come la memoria della Chiesa»

Bondi si descrive come un uomo semplice, tormentato dal pensiero della morte e dalla paura di non rivedere più chi ama. «La mia fede non è profonda. Anzi, ogni giorno che passa è sempre più fragile», confessa. E sul suo futuro dice con umiltà: «Mi piacerebbe essere ricordato come un uomo normale, con le sue paure, bisognoso di dare e ricevere amore».

 

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Esteri

Venezuela, liberato l’italiano Oreste Alfredo Schiavo: era detenuto da quattro anni per presunto golpe

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È tornato finalmente libero Oreste Alfredo Schiavo, imprenditore italo-venezuelano di 67 anni, condannato in Venezuela a 30 anni di carcere con l’accusa di tradimento, finanziamento del terrorismo e associazione a delinquere. Una vicenda che si trascinava dal giugno 2020 e che ha trovato un esito positivo nelle scorse ore, grazie alla mediazione riservata della Comunità di Sant’Egidio, con il supporto della Farnesina e dei rappresentanti diplomatici italiani in loco.

Arrestato per l’operazione “Gedeone”

Schiavo era stato arrestato dagli agenti del Sebin, il servizio di intelligence venezuelano, l’8 giugno 2020. Il suo nome era stato collegato all’operazione “Gedeone”, un presunto tentativo di colpo di Stato ai danni del presidente Nicolás Maduro, che avrebbe previsto lo sbarco di mercenari sulle coste del Paese per prendere in ostaggio funzionari del governo. Insieme a Schiavo furono fermate circa 90 persone. In primo grado, nel maggio 2024, Schiavo era stato condannato a 30 anni di carcere, nonostante le sue gravi condizioni di salute.

L’intervento di Sant’Egidio e il viaggio verso Roma

La svolta è arrivata nella giornata di ieri, grazie a un’operazione diplomatica silenziosa, portata avanti dal docente e dirigente di Sant’Egidio Gianni La Bella, dai funzionari dell’ambasciata e del consolato d’Italia, e con il determinante contributo di Rafael La Cava, ex ambasciatore venezuelano a Roma e attuale governatore dello Stato di Carabobo.
Schiavo è stato scarcerato dal penitenziario di El Helicoide, noto per la presenza di prigionieri politici e denunciato da organizzazioni per i diritti umani per le sue condizioni carcerarie, e successivamente condotto in una clinica per accertamenti sanitari.

“Liberato per motivi umanitari”

In serata, il rilascio si è trasformato in un rimpatrio in Italia, con un volo di linea diretto a Fiumicino partito alle 17 (ora locale). Sant’Egidio ha voluto ringraziare pubblicamente il presidente Maduro, specificando che il rilascio è stato concesso “per ragioni umanitarie, con un atto di liberalità personale”.

Un gesto che apre nuove possibilità

La liberazione di Schiavo potrebbe rappresentare il primo spiraglio per sbloccare anche altre detenzioni italiane in Venezuela, come quella del cooperante Alberto Trentini, arrestato nel 2024, e di due italo-venezuelani: Juan Carlos Marrufo Capozzi, ex militare arrestato nel 2019, e Hugo Marino, investigatore aeronautico che aveva indagato su due misteriosi incidenti aerei accaduti attorno all’arcipelago di Los Roques, nei quali morirono, tra gli altri, Vittorio Missonie sua moglie.

Il carcere e le denunce di tortura

Nel carcere di El Helicoide, dove era rinchiuso Schiavo, numerosi attivisti per i diritti umani hanno documentato casi di maltrattamenti e detenzioni arbitrarie. Anche l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani si era occupato del suo caso, definito emblematico per le gravi violazioni del diritto alla difesa e per l’assenza di prove concrete nel processo.

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