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Letta corteggia Conte su alleanze ma pesa stallo M5s

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Il Pd e il suo segretario Enrico Letta, mettono in cassa un importante risultato politico: i gazebo per le primarie hanno regalato un centrosinistra unito, diverso dal 2016 quando le divisioni con Si fecero perdere Torino e Roma e aprirono politicamente la strada alla successiva scissione dei bersaniani. Ora la dinamica e’ opposta rispetto all’autosufficienza di marca renziana di cinque anni fa, ed anzi inizia ora il corteggiamento a M5s per una intesa almeno al secondo turno, che tuttavia proprio a Roma e Torino risulta difficile da raggiungere. Anche perche’ in casa 5 Stelle, il progetto di rilancio di Giuseppe Conte ha subito una nuova battuta d’arresto. I numeri delle primarie nella Capitale e sotto le Due Torri sono considerati incoraggianti sia dal Pd locale che nella sede nazionale. A Roma si sono recati ai gazebo 48mila cittadini, e a Bologna ben 24 mila. Qui c’era una vera competizione tra Matteo Lepore, favorevole all’accordo con M5s, e Isabella Conti di Iv, che lo escludeva. In tal senso il successo del primo con il 59,6%, ha osservato Andrea De Maria, parlamentare bolognese del Pd, e’ un risultato che “ha un significato nazionale”. Ma l’aspetto importante e’ aver tenuto dentro il perimetro del centrosinistra anche Iv con Conti che si e’ impegnata nelle primarie e subito dopo l’esito del voto ha garantito l’appoggio a Lepore e alla nascente coalizione. In tal senso Letta ha potuto affermare soddisfatto: “abbiamo avuto ragione a farle. La strada della partecipazione e’ quella giusta. Il popolo del centrosinistra e’ forte ed e’ in grado di battere le destre”. Il Pd inoltre, fa osservare Francesco Boccia, ha ricostituito la coalizione anche alla sua sinistra, con Stefano Fassina che ha partecipato alle primarie romane mentre nel 2016 corse contro il candidato Dem Giachetti; ed anche a Torino due settimane fa, Tresso era tra i concorrenti ai gazebo della coalizione, mentre cinque anni fa Airaudo corse contro Fassino facendolo perdere. Certamente Torino e Roma rimangono le note dolenti per gli accordi tra Pd e M5s, ricercati anche in una prospettiva politica piu’ ampia. Il giudizio negativo sulle amministrazioni Appendino e Raggi rende difficile un accordo formale anche al secondo turno, e probabilmente questo e’ stato l’oggetto del colloqui tra Letta e Stefano Lo Russo, candidato Dem sotto La Mole. Un incontro che arriva dopo i “segnali” lanciati da Chiara Appendino, e dallo stato maggiore 5 Stelle, che aveva aperto all’ipotesi di una sua possibile ricandidatura nel segno della “continuita’” con il lavoro gia’ svolto. Messaggi che tuttavia non sono stati “intercettati” dal Pd. La richiesta del Pd nazionale ai candidati locali, laddove non e’ possibile l’intesa, e’ tuttavia quella di evitare l’attacco forte a M5s, in modo da non irritarne gli elettori in vista del ballottaggio. Una pazienza che la segreteria Dem deve esercitare anche a livello nazionale vista la stasi del processo di cambiamento di M5s, che ha nuovamente rinviato la presentazione del nuovo Statuto a cui Conte sta lavorando. Le indiscrezioni raccontano delle tensioni irrisolte tra il futuro leader e il garante, Beppe Grillo. Le difficolta’, secondo i rumors, dipenderebbero dal ruolo previsto per il fondatore del Movimento ma, soprattutto, dall’eliminazione o meno del limite dei due mandati. Ma c’e’ anche chi sospetta di uno scontro sul rapporto piu’ o meno accondiscendente da avere col governo Draghi: Conte, tendendo la mano ai fuoriusciti come Di Battista, inizia a prospettare una via d’uscita una volta messo in sicurezza il Paese. Ma un eventuale rapporto piu’ dialettico con il governo, metterebbe in imbarazzo il Pd e Letta che attendono con ansia l’evolversi della situazione nel Movimento.

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L’Italia a giudizio alla Cedu per la legge elettorale

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L’Italia dovrà spiegare all’Europa se le diverse modifiche apportate negli ultimi anni alla legge elettorale hanno violato la libertà di voto dei cittadini: la Corte europea dei diritti umani (Cedu) ha ammesso il ricorso avanzato dall’ex segretario dei Radicali italiani Mario Staderini e da alcuni cittadini secondo i quali proprio quei cambiamenti hanno comportato la violazione dei diritti nelle elezioni politiche del settembre 2022, quelle vinte da Giorgia Meloni. L’accoglimento del ricorso risale a febbraio ma la notizia si è diffusa oggi e ora il governo ha tempo fino al 29 luglio per replicare. Palazzo Chigi sta preparando la memoria difensiva: “la Cedu ha posto delle questioni – dice il sottosegretario Alfredo Mantovano – e si sta lavorando. Ovviamente riteniamo il ricorso non fondato”.

Il ricorso è stato depositato alla fine di gennaio del 2023 da Staderini – segretario dei Radicali Italiani dal 2009 al 2013 – e da diversi cittadini: alle elezioni del 2022 in circa 500 sono andati ai seggi verbalizzando il loro dissenso e spiegando le ragioni dell’astensione. E quella documentazione è alla base della richiesta alla Cedu, che riguarda “l’instabilità della legge elettorale e la compatibilità” del Rosatellum “con il diritto a libere elezioni, garantito dall’articolo 3 del protocollo 1 della Convenzione europea dei diritti umani”. “Negli ultimi 20 anni – sottolinea Staderini – ci hanno costretto ad eleggere parlamenti con leggi incostituzionali o introdotte e modificate a ridosso del voto, ingenerando l’idea che i sistemi elettorali siano uno strumento che chi esercita il potere manovra a proprio favore e che il voto dell’elettore serva a poco. Prima il Porcellum, poi il Rosatellum, domani chissà cosa”.

Lo individua il deputato di Alleanza Verdi e sinistra Angelo Bonelli, il ‘cosa’: la decisione della Cedu “mette in seria discussione il premierato voluto da Meloni”. Nel ricorso si afferma che prima delle elezioni del 2022 il sistema elettorale è stato modificato tre volte: con la legge costituzionale numero del 2019 che ha ridotto il numero dei parlamentari, con la legge 177 del dicembre 2020 sulla redistribuzione elettorale e con la legge del giugno 2022 che ha esentato alcuni partiti all’obbligo di raccolta delle firme per la presentazione delle liste a livello nazionale. Quanto alle modalità di voto, dicono ancora i ricorrenti, un articolo del Rosatellum contrasta con il principio della libertà di voto: in sostanza non consente di esprimere il voto separato, vale a dire dare al proporzionale una preferenza per una lista o coalizione diversa da quella indicata nel maggioritario. Ed inoltre, nel caso in cui il cittadino voti solo per il candidato nel maggioritario, il suo voto viene assegnato automaticamente alla lista o alla coalizione nel sistema proporzionale. Alla luce di ciò, la Cedu ha formulato tre domande al governo. La prima si concentra sulle modifiche apportate nel 2019, 2020 e 2022, “queste ultime introdotte solo 3 mesi prima delle legislative” osserva la Cedu, che vuole sapere se “i cambiamenti al sistema elettorale hanno minato il rispetto e la fiducia dei ricorrenti nell’esistenza di garanzie di libere elezioni”.

In seconda battuta la Corte chiede se il Rosatellum, “impedendo agli elettori di votare nel sistema proporzionale per una lista o coalizione diversa da quella scelta nel sistema maggioritario e attribuendo automaticamente il voto espresso nel sistema maggioritario alla lista o coalizione corrispondente nel sistema proporzionale, ha violato il diritto dei ricorrenti di esprimersi liberamente sulla scelta del corpo legislativo in libere elezioni”. Ed infine, i giudici vogliono sapere se i cittadini hanno la possibilità di introdurre un ricorso “effettivo” davanti alle istanze nazionali, come prevede l’articolo 13 della convenzione europea dei diritti umani, se ritengono violati il loro diritto a libere elezioni.

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Giorgetti: ripresi 15 miliardi di truffe su 215 di Superbonus

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“Con le indagini fatte dalla Guardia di Finanza abbiamo già recuperato più di 15 miliardi richiesti indebitamente allo stato come crediti fiscali” nell’ambito del Superbonus. Lo afferma il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sottolineando che “di quei 215 miliardi 15 in qualche modo ne usciranno, ma al netto delle truffe dobbiamo tornare alla normalità, dobbiamo tornare sulla terra”. “Io – prosegue – ricordo che oggi in Italia è ancora previsto un beneficio del 70% per chi ristruttura la propria abitazione. Qual è quella nazione in Europa o al mondo che offre lo stesso beneficio?”. “A tutti quelli che si lamentano e contestano – aggiunge – inviterei a fare questa valutazione”.

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Scontro sul tax credit, il cinema ostaggio dei partiti

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A Cannes, assicura l’opposizione, non si parlerebbe d’altro: il contenuto del decreto di riparto del fondo cinema che starebbe “avendo effetti devastanti sulla promozione del cinema italiano” al festival del cinema. Dove, si sostiene, monta la preoccupazione per il taglio di circa 130 milioni di euro al tax credit così come il raddoppio dei contributi selettivi che “riportano il sistema di finanziamento della produzione audiovisiva indietro nel tempo con lungaggini, burocrazia e il rischio di politicizzazione delle scelte da parte di commissioni nominate dalla politica senza ancora nessuna indicazione sulle modalità di scelta dei commissari”.

Una politica che “non sta passando inosservata agli operatori internazionali” sostiene il Pd che punta l’indice contro “l’occupazione degli istituti culturali che sta portando avanti il ministro Sangiuliano” e che gli fa temere che “che anche nel cinema vengano nominati gli amici degli amici e i compagni di partito”. Un’accusa che il partito della premier e del ministro della Cultura rimanda dritto contro l’opposizione.

La Riforma Sangiuliano è “una cesura con l’amichettismo e l’autoreferenzialità, che fanno il paio con sale vuote e tasche piene, ma solo di qualche organico al conformismo rosso. Comprendiamo le critiche della sinistra, che nel solco di un ‘taxi’ credit per i propri amici difende schemi e retaggi di potere che però non hanno fatto il bene del settore” ribatte Alessandro Amorese, capogruppo di FdI in commissione Cultura della Camera che palude a “questa ulteriore svolta, in linea con un’epoca nuova” inaugurata dal ministro.

Di certo la Riforma Sangiuliano preoccupa gli operatori. In un appello congiunto, 10 associazioni di rappresentanza degli autori, registi, produttori chiedono al ministro di garantire la “massima competenza e professionalità nelle commissioni” che selezioneranno le opere ammesse agli investimenti dopo il “sensibile aumento dei fondi selettivi a discapito di quelli automatici e del tax credit”.

Agici, Air 3, Anac, Unione produttori Anica, Asifa, Cartoon Italia, DocIt, Unita e Wgi- temono la discrezionalità delle scelte delle Commissioni che si troveranno “a decidere di una cifra quasi doppia rispetto agli anni precedenti, cifra nella quale rientra anche una voce inedita che monopolizza circa il 60% del totale delle risorse, voce relativa a Opere su personaggi e avvenimenti dell’identità” culturale italiana.

Prova a correre ai ripari il Pd presentando in Commissione una risoluzione per potenziare i finanziamenti all’industria audiovisiva ed arginare gli effetti del decreto “sulla capacità del nostro sistema di attrarre i grandi investimenti internazionali”. Tra le misure proposte, il potenziamento dei finanziamenti e il tax credit per l’industria del cinema, la promozione di iniziative a sostegno del comparto da rilanciare, tra l’altro, con la riduzione del biglietto di accesso in sala ai giovani tra i 14 e i 18 anni.

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