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Ministri, magistrati e politici: la rete di Paradiso

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Un uomo “molto potente”. Un poliziotto di casa nei ministeri e con “molte relazioni di livello”: quando, nel 2013, esce il suo libro su concussione e corruzione, con la prefazione dell’ex procuratore generale di Roma Luigi Ciampoli, alla presentazione assistono “alti ufficiali, magistrati, alti prelati, gente importante”. Sono in tanti, nelle carte dell’inchiesta di Potenza, a ricostruire la rete di relazioni di Filippo Paradiso, l’uomo che l’avvocato Piero Amara utilizzava per agganciare magistrati e politici che potevano essere utili per i suoi affari. Laureato in scienze industriali, 55 anni una moglie e due figli, nato a Matera e residente a Modugno, in provincia di Bari, Paradiso non e’ solo il “relation man” dell’avvocato: nei verbali chi lo ha conosciuto lo definisce l’ “alter ego”, la “longa manus” di Amara. Per i suoi servizi veniva pagato regolarmente: la Guardia di Finanza, spulciando gli estratti conto delle carte di credito dell’avvocato arrestato ieri e dei suoi familiari, ha trovato diversi biglietti aerei comprati a nome di Paradiso. L’avvocato Giuseppe Calafiore, arrestato con Amara per le vicende del ‘Sistema Siracusa’, lo dice chiaramente ai magistrati: “si immagini uno che guadagna forse 1.500-2.000 euro al mese, che vive a Roma, tutte le sere a cena con chiunque, cioe’ come fa, quindi e’ tecnicamente impossibile, quindi piu’ di una volta ho visto che l’Amara diciamo lo sovvenzionava, l’ha foraggiato anche davanti a me”. Lo stesso Paradiso, sentito dai magistrati milanesi il 22 febbraio dell’anno scorso, la vicinanza con Amara non l’ha mai negata: “e’ nato un rapporto di buona amicizia e di frequentazione privata, anche con le famiglie”. Come abbia fatto il poliziotto a tessere la sua rete di relazioni, sara’ lui stesso a spiegarlo agli inquirenti. Ma qualcosa l’aveva gia’ detto proprio nelle dichiarazioni ai magistrati milanesi. Entrato in polizia nel 1895, viene sospeso nel 1993 in seguito a quella che lui definisce una “terribile esperienza giudiziaria” per la quale ha avuto un risarcimento per ingiusta detenzione di 270mila euro. Rientra in Polizia nel 2004, ma nei dieci anni in cui e’ fuori se la passa decisamente meglio che con lo stipendio da poliziotto: “ho avuto incarichi come collaboratore con Sorgenia, Confcommercio, Agicontrol, Inps. Con stipendi da 70-80mila euro lordi all’anno”. Quando torna nell’amministrazione decide pero’ di non riprendere il servizio attivo e per questo viene comandato presso varie segreterie particolari di alcuni ministeri nei governi di destra e sinistra: prima con Berlusconi poi con Prodi fino a Monti e D’Alema. E’ con con Rocco Buttiglione alle Politiche Comunitarie, con i sottosegretari Gianfranco Conte e Giampaolo D’Andrea ai Rapporti con il Parlamento, con i ministri che si susseguono all’Agricoltura: Saverio Romano – che gli presenta Amara – Mario Catania, Nunzia de Girolamo, Maurizio Martina. Dal 2008 al 2011 e’ con Paolo Bonaiuti a Palazzo Chigi. Torna al Viminale, ad occuparsi del Pon sicurezza, nel 2015, l’anno in cui conosce la presidente del Senato Elisabetta Casellati. E’ lei stessa a raccontarlo come testimone ai pm: l’incontro avviene durante una cena dell’Associazione Giovanni XXIII e a parlarle “assai bene” del poliziotto fu Gianni Letta. Paradiso, dice la Casellati, “si manifesta come uomo di idee riferibili al centro destra” tanto che proprio Letta “propose la sua candidatura per il partito, chiedendomi di caldeggiarla in quanto esponente della prima ora del partito, candidatura che poi non venne accettata”. E fu sempre Letta a chiederle di prenderlo nel suo staff, cosa che avvenne ad ottobre 2018, quando era gia’ presidente del Senato: “a titolo gratuito, nella qualita’ di consigliere per l’organizzazione dei convegni”. Dopo l’esperienza al senato torna al Viminale: nel Conte uno e’ nella segreteria dell’allora ministro Matteo Salvini, nel Conte 2 in quella del sottosegretario Carlo Sibilia. Un “applicato politico” al ministero degli interni, lo definiscono le carte. Dice di lui l’ex manager di Eni Vincenzo Armanna, imputato nei processi milanesi: “e’ diventato molto potente sotto Salvini ed e’ persona molto legata a Piantedosi” (allora capo di gabinetto del leader leghista, ora prefetto di Roma, ndr). Le sue conoscenze si estendono al Consiglio di Stato, alla Corte dei Conti, al Csm. E fruttano, stando a quello che mette a verbale il magistrato Francesco Giannella, vice di Capristo a Trani ora coordinatore della Dda di Bari: “si mostrava sempre a conoscenza di possibili future nomine relative ad incarichi direttivi in magistratura”.

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Last Banner, aumentano le condanne per gli ultrà della Juventus

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Sugli ultrà della Juventus la giustizia mette il carico da undici. Resta confermata l’ipotesi di associazione per delinquere, l’estorsione diventa ‘consumata’ e non solo più ‘tentata’, le condanne aumentano. Il processo d’appello per il caso Last Banner si chiude, a Torino, con una sentenza che vede Dino Mocciola, leader storico dei Drughi, passare da 4 anni e 10 mesi a 8 anni di carcere; per Salvatore Ceva, Sergio Genre, Umberto Toia e Giuseppe Franzo la pena raggiunge i 4 anni e 7 mesi, 4 anni e 6 mesi, 4 anni e 3 mesi, 3 anni e 11 mesi. A Franzo viene anche revocata la condizionale.

La Corte subalpina, secondo quanto si ricava dal dispositivo, ha accettato l’impostazione del pg Chiara Maina, che aveva chiesto più severità rispetto al giudizio di primo grado. Secondo le accuse, le intemperanze da stadio e gli scioperi del tifo furono, nel corso della stagione 2018-19, gli strumenti con cui le frange più estreme della curva fecero pressione sulla Juventusper non perdere agevolazioni e privilegi in materia di biglietti. Fino a quando la società non presentò la denuncia che innescò una lunga e articolata indagine della Digos. Già la sentenza del tribunale, pronunciata nell’ottobre del 2021, era stata definita di portata storica perché non era mai successo che a un gruppo ultras venisse incollata l’etichetta di associazione per delinquere. Quella di appello si è spinta anche oltre.

Alcune settimane fa le tesi degli inquirenti avevano superato un primo vaglio della Cassazione: i supremi giudici, al termine di uno dei filoni secondari di Last Banner, avevano confermato la condanna (due mesi e 20 giorni poi ridotti in appello) inflitta a 57enne militante dei Drughi chiamato a rispondere di violenza privata: in occasione di un paio di partite casalinghe della Juve, il tifoso delimitò con il nastro adesivo le zone degli spalti che gli ultrà volevano per loro e allontanò in malo modo gli spettatori ‘ordinari’ che cercavano un posto. Oggi il commento a caldo di Luigi Chiappero, l’avvocato che insieme alla collega Maria Turco ha patrocinato la Juventus come legale di parte civile, è che “il risultato, cui si è giunti con una azione congiunta della questura e della società, è anche il frutto dell’impegno profuso per aumentare la funzionalità degli stadi”. “Senza la complessa macchina organizzativa allestita in materia di sicurezza – spiega il penalista – non si sarebbe mai potuto conoscere nei dettagli ciò che accadeva nella curva”. Fra le parti civili c’era anche Alberto Pairetto, l’uomo della Juventus incaricato di tenere i rapporti con gli ultrà.

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Malore in caserma, muore vigile del fuoco

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Ha accusato un malore nella notte tra domenica e lunedì nella caserma dei vigili del fuoco del Lingotto a Torino ed è morto dopo circa un’ora all’ospedale delle Molinette, dove era stato ricoverato. L’uomo, Samuele Del Ministro, aveva 50 anni ed era originario di Pescia (Pistoia). In una nota i colleghi del comando vigili del fuoco di Pistoia ricordano come Del Ministro avesse iniziato il suo percorso nel corpo nazionale dei vigili del fuoco con il servizio di leva, per poi entrare in servizio permanente nel 2001, proprio al comando provinciale di Torino, da cui fu poi trasferito al comando di Pistoia.

Per circa vent’anni ha prestato servizio nella sede distaccata di Montecatini Terme (Pistoia), specializzandosi in tecniche speleo alpino fluviali e tecniche di primo soccorso sanitario. Ha partecipato a tante fasi emergenziali sul territorio nazionale: dal terremoto a L’Aquila, all’incidente della Costa Concordia all’Isola del Giglio, fino al terremoto nel centro Italia. “Un vigile sempre in prima linea – si legge ancora -, poi il passaggio di qualifica al ruolo di capo squadra con assegnazione al comando vigilfuoco di Torino e a breve sarebbe rientrato al comando provinciale di Pistoia. Del Ministro lascia la moglie e due figli”.

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Nei campi 200 milioni di danni, razzia cinghiali

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Vigneti e uliveti, ma anche pascoli e prati, campi di mais e cereali, coltivazioni di girasole, ortaggi: è lunga la lista della razzia compiuta dalla fauna selvatica “incontrollata” dove i cinghiali, con una popolazione che ha raggiunto i 2,3 milioni di esemplari sul territorio nazionale, costituiscono il pericolo maggiore. La conseguenza sono 200 milioni di euro di danni solo nell’ultimo anno all’agricoltura italiana. La Puglia, con oltre 30 milioni di euro e 250mila cinghiali, e la Toscana con oltre 20 milioni di cui l’80% a causa dei 200mila cinghiali, sono le regioni che hanno pagato di più. Questa la fotografia scattata dalla Coldiretti in occasione delle 96 Assemblee organizzate in contemporanea su tutto il territorio nazionale, con la partecipazione di oltre 50mila agricoltori, per celebrare dai territori gli 80 anni dell’associazione agricola.

In particolare, secondo la mappa realizzata da Coldiretti, nel Lazio i danni stimati dai soli cinghiali (100mila esemplari) superano i 10 milioni di euro e in alcuni casi riguardano anche l’80% del raccolto. Oltre 10 milioni di euro i danni stimati in Calabria. Un fenomeno che si sta espandendo anche ad aree prima meno frequentate come quelle del Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia (20mila esemplari) e in Valle d’Aosta dove i cinghiali si sono spinti fino a quote che superano i 2mila metri. Pesante la situazione in Emilia Romagna dove solo nel Reggiano si stimano almeno 50mila esemplari; “dramma” sul fronte seminativi (specie per mais e girasole) in Umbria con una popolazione stimata di circa 150mila cinghiali. Sei milioni di euro i danni in Basilicata e 5 in Piemonte.

Qui la superficie danneggiata nel 2023 è stata di 34.432 ettari. Colpiti anche l’Abruzzo (i capi superano ampiamente le 100mila unità) con 4,5 milioni di euro di risarcimenti richiesti nel 2022, il Molise (40mila cinghiali) e la Campania (stimati danni per circa oltre 4 milioni di euro). Critica la situazione in Sardegna soprattutto a ridosso delle aree protette mentre in Sicilia non ci sono territori immuni e salgono i costi per la difesa, come i recinti elettrici. In Liguria da tempo i cinghiali si sono spinti fino alla costa e tanti i danni non solo alle colture ma anche ai tipici muretti a secco. Nelle Marche il 75% dei danni in agricoltura da fauna selvatica è causato dai cinghiali. Tra risarcimenti alle aziende agricole e da incidenti stradali la Regione spende circa 2 milioni di euro all’anno.

Risarcimenti, lamentano gli agricoltori, che arrivano spesso dopo molti anni e solo in minima parte. “Non coprono mai il valore reale del prodotto distrutto, con la conseguenza – rileva Coldiretti – che molti rinunciano a denunciare”. Cinghiali e fauna selvativa anche causa di incidenti, 170 nel 2023, ricorda l’associazione agricola, secondo l’analisi su dati Asaps, in aumento dell’8% rispetto all’anno precedente. A questo si aggiunge l’allarme della peste suina africana, non trasmissibile all’uomo, che i cinghiali, ricorda Coldiretti, rischiano di diffondere nelle campagne mettendo in pericolo gli allevamenti suinicoli e con essi un settore che, tra produzione e indotto, vale circa 20 miliardi di euro e dà lavoro a centomila persone. Da qui la richiesta dalle Assemblee Coldiretti “di mettere un freno immediato alla proliferazione dei selvatici, dando la possibilità agli agricoltori di difendere le proprie terre. Mancano, infatti, i piani regionali straordinari di contenimento”.

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