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Corona Virus

Covid: oltre 4 milioni di casi, situazione delicata

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Hanno superato 4 milioni i casi positivi al virus SarsCoV2 individuati in Italia: un numero decisamente importante, come lo sono purtroppo ancora tutti gli altri numeri dell’epidemia di Covid-19 nel nostro Paese, in una situazione molto delicata nella quale tutti i valori stanno scendendo lentamente. E’ ancora presto per vedere gli effetti delle riaperture e soprattutto per capire se il ritmo al quale procede la campagna di vaccinazione riesce a far sentire i suoi effetti, tenendo la situazione sotto controllo. Nel frattempo pero’ uno studio britannico fornisce, percentuali alla mano, la misura di quanto siano efficaci le restrizioni nel ridurre l’indice di contagio Rt. L’aggiornamento quotidiano del ministero della Salute indica che i nuovi casi positivi sono stati 14.320 in 24 ore, contro i 13.385 del giorno precedente, individuati grazie a 330.075 tamponi (336.336 il giorno precedente), fra molecolari e antigenici rapidi. Un dato che ha fatto risalire il tasso di positivita’ al 4,3%, ossia dello 0,3% rispetto al 4% di 24 ore prima. Complessivamente i casi attualmente positivi salgono cosi’ a 4.009.208. Scendono invece, ma sempre lentamente, i dati dei ricoveri. I nuovi ingressi nelle unita’ di terapia intensiva sono passati in un giorno da 168 a 129, mentre i ricoverati sono scesi in 24 ore di 71 unita’ nel saldo quotidiano tra entrate e uscite, per un totale di 2.640. Nei reparti Covid i ricoverati sono diminuiti di 509 unita’, per un totale di 19.351. In flessione, ma sempre elevato anche il numero dei decessi, che in un giorno si sono ridotti da 344 a 288. Tra le regioni, a registrare l’incremento maggiore in 24 ore e’ stata la Lombardia, con 2.306 nuovi casi, seguita da Campania (1.986), Puglia (1.501), Lazio (1.124), Piemonte (1.084), Sicilia (1.061) e Toscana (1.052). I calcoli dell’indice di contagio Rt che seguono procedure differenti rispetto a quelle di Istituto Superiore di Sanita’ (Iss) e Fondazione Bruno Kessler, ma che riescono a dare valori piu’ aggiornati, indicano per Rt un valore inferiore a 1: un segnale positivo in quanto indica che una persona contagiata non e’ in grado di trasmettere il virus a un’altra; tuttavia i valori riportati sono superiori allo 0,81 riportato nel monitoraggio di ministero della Salute e Iss relativo alla settimana fra il 12 e il 18 aprile. Il Covindex, per esempio, e’ 0,94, il Covidstat e’ 0,93. Anche la fondazione Gimbe, nel monitoraggio della settimana dal 21 al 27 aprile rileva che i 448.000 attualmente positivi sono ancora molti e che il dato conferma come “la circolazione del Sars-Cov-2 nel nostro Paese sia ancora molto elevata”. Per il presidente Nino Cartabellotta “come atteso continua la lenta e progressiva discesa dei nuovi casi settimanali, frutto delle restrizioni di un’Italia tutta rosso-arancione delle scorse settimane, che proseguira’ verosimilmente ancora fino a meta’ maggio”. Come sempre, aggiunge, “il dato nazionale risente di situazioni regionali piuttosto eterogenee: la variazione percentuale dei nuovi casi aumenta in 3 Regioni e crescono i casi attualmente positivi in 5 Regioni”. Che le misure di contenimento funzionino lo indica la ricerca britannica condotta da Universita’ di Oxford, Imperial College di Londra e Medical Research Council e basata sui dati raccolti in 114 aree di sette Paesi compresa l’Italia: emerge che nella prima ondata hanno permesso di ridurre l’indice di contagio Rt dal 18% al 23% e di circa il 35% nella seconda ondata. Fra le misure, la piu’ efficace e’ stata la chiusura dei negozi e delle attivita’ produttive, che da sola ha ridotto l’indice Rt del 35%. All’effetto positivo delle misure si e’ sommato quello dei comportamenti individuali, che nella seconda ondata ha permesso di ottenere una riduzione complessiva dell’indice Rt compresa fra il 34% e il 39%.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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