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Trump pronto al ritorno, Biden: la democrazia è fragile

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“Il nostro meraviglioso movimento storico e patriottico per fare l’America di nuovo grande e’ solo all’inizio, nei prossimi mesi avro’ molto da condividere con voi e non vedo l’ora di continuare il nostro incredibile viaggio insieme”: Donald Trump ha annunciato il suo ritorno in pista poco dopo l’assoluzione anche nel secondo processo d’impeachment, liquidato come “la piu’ grande caccia alle streghe del nostro Paese”. Una sentenza che lascia aperte le ferite inferte dall’assalto al Congresso, gli interrogativi sul futuro dell’ex presidente e del suo partito ma pure sui limiti di uno strumento politico come l’impeachment in un Congresso e in un Paese ancora fortemente polarizzati. “Questo triste capitolo della nostra storia ci ha ricordato che la democrazia e’ fragile. Che deve essere sempre difesa. Che dobbiamo essere sempre vigili”, ha ammonito Joe Biden, sottolineando che “anche se il voto finale non ha portato a una condanna, la sostanza dell’accusa non e’ in discussione”. All’indomani dell’assoluzione, i media americani si chiedono “what’s next”, cosa accadra’, e si dividono su analisi e previsioni. Non c’e’ dubbio che l’assoluzione confermi il ruolo dominante di Trump nel partito ma molti notano che e’ stato l’impeachment piu’ bipartisan della storia, con sette senatori repubblicani che hanno votato per la condanna, dopo che dieci deputati del Grand Old Party avevano dato disco verde al procedimento. Nel primo, solo Mitt Romney ruppe le righe. Nella maggioranza dei repubblicani che hanno votato per l’assoluzione, pochi lo hanno difeso, quasi tutti si sono rifugiati nell’incostituzionalita’ del processo. Come il leader Mitch McConnell, che pero’ lo ha condannato come “responsabile pratico e morale dell’attacco”, suggerendo che puo’ essere perseguito dalla magistratura ordinaria. Anche il leader repubblicano alla Camera Kevin McCarthy lo aveva accusato di avere delle responsabilita’. Nonostante cio’, i repubblicani non hanno colto l’occasione per sbarazzarsi di lui perche’ non vogliono alienarsi i suoi 75 milioni di voti e sperano di usare la sua base per riconquistare il Congresso gia’ nelle prossime elezioni di Midterm del 2022. La leadership non crede tuttavia che lui possa essere ancora il leader, con un’immagine macchiata per sempre dalle immagini dell’assalto al Capitol, che allontanera’ indipendenti e moderati. Ma la sirena di Trump trascina ancora il partito, dove sono cominciate le prime purghe contro i dissidenti che hanno votato per la sua condanna: tra le prime vittime il senatore Bill Cassidy, censurato dal partito in Louisiana. Lo stesso ex presidente ha giurato vendetta ai ‘traditori’, promettendo di ostacolarli nelle elezioni del prossimo anno. E i suoi piu’ fedeli alleati scommettono ancora su di lui: “Trump e’ il membro piu’ energico del partito, la forza piu’ potente, e’ pronto a entrare in campagna, a ricostruire il partito repubblicano e io sono pronto a lavorare con lui”, ha dichiarato il senatore Lindsey Graham, che lo ha sentito sabato e lo incontrera’ la prossima settimana in Florida. Ma molti, anche tra i Gop, pensano che l’effetto Trump si dissolvera’, anche perche’ non ha alcuna carica e alcuna piattaforma dopo essere stato bandito da tutti i social. Resta a rischio anche il suo futuro legale, con varie inchieste pendenti, comprese quella della capitale sull’assalto al Congresso e quella in Georgia sulle sue pressioni per ribaltare il voto. Intanto si e’ allargata l’indagine della procura di New York sulle sue finanze: l’attorney district Cyrus Vance sta indagando anche sui prestiti ottenuti dall’ex presidente per quattro delle sue proprieta’ piu’ iconiche a Manhattan, tra cui la Trump Tower sulla quinta Avenue. Intanto i dem respingono le critiche di non aver insistito sui testimoni al processo per non ostacolare l’agenda di Biden e attaccano i rivali. L’affondo piu’ duro e’ quello di Nancy Pelosi: la speaker della Camera ha definito “codardi” i repubblicani che hanno salvato Trump e “ipocrita” il loro leader McConnell, suggerendo che la sua condanna solo verbale sia un tentativo di non inimicarsi i donatori.

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Venezuela, liberato l’italiano Oreste Alfredo Schiavo: era detenuto da quattro anni per presunto golpe

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È tornato finalmente libero Oreste Alfredo Schiavo, imprenditore italo-venezuelano di 67 anni, condannato in Venezuela a 30 anni di carcere con l’accusa di tradimento, finanziamento del terrorismo e associazione a delinquere. Una vicenda che si trascinava dal giugno 2020 e che ha trovato un esito positivo nelle scorse ore, grazie alla mediazione riservata della Comunità di Sant’Egidio, con il supporto della Farnesina e dei rappresentanti diplomatici italiani in loco.

Arrestato per l’operazione “Gedeone”

Schiavo era stato arrestato dagli agenti del Sebin, il servizio di intelligence venezuelano, l’8 giugno 2020. Il suo nome era stato collegato all’operazione “Gedeone”, un presunto tentativo di colpo di Stato ai danni del presidente Nicolás Maduro, che avrebbe previsto lo sbarco di mercenari sulle coste del Paese per prendere in ostaggio funzionari del governo. Insieme a Schiavo furono fermate circa 90 persone. In primo grado, nel maggio 2024, Schiavo era stato condannato a 30 anni di carcere, nonostante le sue gravi condizioni di salute.

L’intervento di Sant’Egidio e il viaggio verso Roma

La svolta è arrivata nella giornata di ieri, grazie a un’operazione diplomatica silenziosa, portata avanti dal docente e dirigente di Sant’Egidio Gianni La Bella, dai funzionari dell’ambasciata e del consolato d’Italia, e con il determinante contributo di Rafael La Cava, ex ambasciatore venezuelano a Roma e attuale governatore dello Stato di Carabobo.
Schiavo è stato scarcerato dal penitenziario di El Helicoide, noto per la presenza di prigionieri politici e denunciato da organizzazioni per i diritti umani per le sue condizioni carcerarie, e successivamente condotto in una clinica per accertamenti sanitari.

“Liberato per motivi umanitari”

In serata, il rilascio si è trasformato in un rimpatrio in Italia, con un volo di linea diretto a Fiumicino partito alle 17 (ora locale). Sant’Egidio ha voluto ringraziare pubblicamente il presidente Maduro, specificando che il rilascio è stato concesso “per ragioni umanitarie, con un atto di liberalità personale”.

Un gesto che apre nuove possibilità

La liberazione di Schiavo potrebbe rappresentare il primo spiraglio per sbloccare anche altre detenzioni italiane in Venezuela, come quella del cooperante Alberto Trentini, arrestato nel 2024, e di due italo-venezuelani: Juan Carlos Marrufo Capozzi, ex militare arrestato nel 2019, e Hugo Marino, investigatore aeronautico che aveva indagato su due misteriosi incidenti aerei accaduti attorno all’arcipelago di Los Roques, nei quali morirono, tra gli altri, Vittorio Missonie sua moglie.

Il carcere e le denunce di tortura

Nel carcere di El Helicoide, dove era rinchiuso Schiavo, numerosi attivisti per i diritti umani hanno documentato casi di maltrattamenti e detenzioni arbitrarie. Anche l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani si era occupato del suo caso, definito emblematico per le gravi violazioni del diritto alla difesa e per l’assenza di prove concrete nel processo.

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Media Houthi, 2 morti e 42 feriti nell’attacco israeliano

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E’ di almeno due morti e 42 feriti l’ultimo bilancio dell’attacco israeliano lanciato oggi alla fabbrica Ajal nella provincia di Hodeida, nello Yemen. Lo riporta il canale al Masirah, affiliato agli Houthi, citato da Ynet e dall’agenzia russa Tass. E’ la prima reazione di ISraele all’attacco degli Houthi all’aeroporto Ben Gurion dei giorni scorsi.

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Perù, coprifuoco a Pataz dopo la strage dei 13 minatori rapiti

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La presidente del Perù, Dina Boluarte, ha dichiarato il coprifuoco nella distretto di Pataz, nella regione settentrionale di La Libertad dopo che ieri la polizia ha ritrovato in un tunnel i corpi dei 13 lavoratori rapiti il 26 aprile scorso da minatori di oro illegali. Lo rendono noto i principali media peruviani.

Oltre al coprifuoco a Pataz, dalle 18 di sera alle 6 del mattino, Boluarte ha annunciato anche la sospensione dell’attività mineraria per 30 giorni in tutta la provincia oltre ad accogliere la richiesta delle autorità locali di aprire una base militare a Pataz, vista l’assenza della Polizia peruviana nella regione. La decisione segue di poche ore la diffusione di un video sui social media, registrato dai sequestratori, in cui si mostra come ciascuno dei minatori sia stato giustiziato a bruciapelo. Le 13 vittime erano lavoratori assunti dall’azienda R&R, di proprietà di un minatore artigianale che svolge attività di sicurezza per la miniera Poderosa, una delle principali compagnie aurifere della provincia, sempre più sovente bersaglio di attacchi da parte di minatori illegali e gruppi criminali. (

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