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Esteri

Marek Halter aggredito in casa, ‘volevano farmi paura’

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“Non cercavano soldi, la mia carta di credito era sul tavolo e l’hanno lasciata li’ come per far capire che non era quella che li interessava. Volevano mettermi paura, avvertirmi”. A 85 anni, dopo mille battaglie ed essere sfuggito all’Olocausto, Marek Halter e’ stato aggredito e picchiato in casa a Parigi a pochi giorni dall’uscita del suo ultimo libro. Da oggi e’ sotto stretta protezione della polizia, il presidente Emmanuel Macron gli ha espresso la sua solidarieta’. Sembra piu’ stupito che spaventato lo scrittore di origine polacca, nato a Varsavia e naturalizzato francese nel 1980. Il giorno dopo l’aggressione in casa – abita nel cuore del Marais, il quartiere parigino in passato duramente colpito da attentati antisemiti – Halter minimizza le conseguenze: “Sto bene – ha detto dopo la brutta avventura di due notti fa – ho qualche livido che se ne andra’ presto. L’unica cosa e’ che la mia protesi alla spalla si e’ leggermente spostata nel parapiglia”. Se Macron gli ha fatto esprimere tutta la sua solidarieta’ dal suo capo di gabinetto Patrick Strzoda, il ministro dell’Interno Ge’rald Darmanin lo ha chiamato di persona, annunciandogli che una scorta della polizia lo terra’ d’occhio giorno e notte fino a nuovo ordine. Gli hanno telefonato in tanti, a cominciare dalla sindaca Anne Hidalgo e dall’imam di Drancy – nella banlieue di Parigi – Hassen Chalghoumi. “Siamo in un paese meraviglioso – ha commentato oggi Halter – in cui uno scrittore aggredito riceve tantissimi messaggi di solidarieta’, da ogni parte”. Ma quanto a quello che e’ successo la notte fra venerdi’ e sabato, ammette di “non capire”: “Stavo correggendo le bozze del mio nuovo libro e mi sono addormentato in poltrona – racconta -. Quando ho aperto gli occhi erano le 2.30 del mattino e ho visto un uomo accanto a me, mi guardava. Era vestito tutto di nero, con il passamontagna, come Arsenio Lupin – scherza -, era quasi una caricatura”. “Poi – continua – ho visto un altro uomo sulla soglia della stanza, vestito nello stesso modo”. Lo scrittore si dice certo che si siano introdotti da una finestra del suo appartamento, che si trova al primo piano. Ha provato ad alzarsi, lo hanno fermato e lui ha tentato di divincolarsi prima di cadere a terra e rimediare qualche colpo. Una vita avventurosa la sua, la fuga dal Ghetto di Varsavia, le persecuzioni, il passaggio in Unione Sovietica. Eppure, due sere fa, solo in casa, “per la prima volta – ammette – ho gridato chiedendo aiuto”. I due misteriosi individui non hanno mai parlato, tranne alla fine dell’intrusione, prima di sparire nel nulla: “Se continui a gridare sei morto”, ha minacciato uno di loro. Sono andati via senza portare con loro nulla di quanto era in casa, neppure le chiavi dell’appartamento che erano sulla porta. “Sono abituato ad aggressioni provocate dalle cause che difendo – spiega – gli ebrei, i musulmani, l’antirazzismo, la pace. Fosse stata un’aggressione antisemita o islamista, avrei saputo come reagire. Ma non mi hanno neppure insultato”. Neppure il suo ultimo libro – gia’ controverso prima dell’uscita prevista ad inizio marzo, ‘Un mondo senza profeti’, un attacco senza mezze misure contro i personaggi dell’intellighenzia politico-religiosa che spopolano tra studi televisivi e redazioni di giornali e sulla mancanza di veri contropoteri nella societa’ attuale – e’ stato citato dagli aggressori. “Ci possono essere mille motivi per un’azione del genere – continua – conduco talmente tante battaglie che non tutti condividono…”. In passato Marek Halter e’ stato protagonista di durissime controversie per il suo impegno contro l’antisemitismo e il razzismo, le sue battaglie al fianco degli intellettuali islamici moderati. Spesso e’ stato accusato da storici e critici di aver inventato situazioni che ha raccontato come vissute e di aver diffuso dei falsi. Nel 2017 e’ stato uno degli organizzatori della marcia degli imam musulmani contro il terrorismo.

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San Suu Kyi lascia il carcere, trasferita ai domiciliari

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L’ex leader birmana Aung San Suu Kyi ha lasciato il carcere ed è stata trasferita agli arresti domiciliari. Lo ha reso noto una fonte ufficiale all’Afp. Contemporaneamente un portavoce delle autorità militari del Paese ha affermato che ai prigionieri più anziani vengono fornite “le cure necessarie” durante i periodi di caldo e non è quindi chiaro se si tratta di una misura temporanea o di una vera riduzione della pena che sta scontando la 78enne premio Nobel.

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Un noto giornalista investigativo freddato in Colombia

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Vari colpi sparati a bruciapelo, mentre la vittima era a terra, da un sicario vestito di nero e con il volto nascosto da un casco integrale. Così è stato ucciso nella città colombiana di Cúcuta, al confine con il Venezuela, il comunicatore sociale, avvocato e giornalista Jaime Vásquez a cui, per le sue ripetute denunce di corruzione, era stata assegnata nel 2022 anche la scorta della polizia. Domenica Vásquez, 54 anni, ha offerto agli agenti qualche ora di riposo, assicurandogli che sarebbe rimasto in casa. Ma poi ha deciso di uscire per fare acquisti nel centro del quartiere La Riviera, una scelta che gli è stata fatale. Una moto, guidata da una donna, lo ha intercettato sbarrandogli la strada.

E a nulla è valso il tentativo di rifugiarsi in un negozio: il sicario, che era sul sedile posteriore, è sceso, lo ha inseguito nel locale e lo ha freddato sparando tre volte, sotto l’occhio di una telecamera fissa che ha ripreso la scena, tra il panico dei presenti. Per primo il presidente Gustavo Petro, attraverso il suo account X, ha reso noto che “il giornalista Jaime Vásquez è stato assassinato nel dipartimento del Norte de Santander. Il suo lavoro era denunciare la corruzione”. Mi aspetto dalla Procura, ha intimato, “l’indagine più approfondita possibile che dovrebbe includere l’esame forense delle informazioni sul suo cellulare, che, apparentemente, è stato manipolato dalle autorità dopo la sua morte”.

Da anni l’attività di Vásquez di inchieste su casi di corruzione a Cúcuta e in tutto il dipartimento era nota e questo gli aveva prodotto numerosi nemici. Le dirette che realizzava attraverso la sua pagina Facebook, erano meticolose ed accurate e prendevano di mira amministratori pubblici e imprese private.

Il quotidiano La Opinión di Cúcuta, pubblicando foto delle testimonianze di affetto della popolazione che ha acceso candele e depositato fiori, ha rivelato che uno dei casi più clamorosi denunciati ha riguardato la società Aguas Kpital Cúcuta, che aumentò senza motivo le tariffe dell’acqua potabile, cambiando i contatori. Di recente erano state in primo piano sui media locali le accuse di irregolarità nella gestione del settore sanitario e nell’assunzione di dipendenti pubblici. Dopo la diffusione attraverso le reti sociali del video dell’omicidio, tutte le autorità nazionali e locali si sono mobilitate, con l’apertura di una inchiesta per risalire ai possibili mandanti dell’operazione e con l’offerta di una taglia di 70 milioni di pesos (17.000 euro) per informazioni utili all’arresto dei killer del giornalista.

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Hezbollah lanciano missili e droni su Israele ma dicono “non vogliamo la guerra ma ci difenderemo”

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Mentre si addensano fosche le nubi all’orizzonte del sud del Libano minacciato dalla risposta israeliana all’attacco missilistico iraniano, il potente movimento armato libanese Hezbollah, alleato della Repubblica islamica e di Hamas, ribadisce di non volere una guerra aperta con lo Stato ebraico, ma assicura di avere “tutti i mezzi necessari” per difendersi e difendere il Paese mediterraneo.

Da più di sei mesi si verificano giornalieri scambi di fuoco tra Hezbollah e Israele. Finora il gruppo armato libanese ha puntato razzi e droni contro obiettivi militari per lo più a ridosso della linea di demarcazione con l’Alta Galilea. Nelle ultime ore il Partito di Dio ha rivendicato un’azione difensiva contro militari israeliani che si erano infiltrati in territorio libanese. Dal canto suo, l’aviazione israeliana ha da più di un mese cominciato a bombardare con regolarità anche la profondità territoriale libanese, in particolare nella valle della Bekaa al confine con la Siria, considerata la retrovia logistica del Partito di Dio. E nelle ultime ore ha condotto almeno due raid mirati contro dirigenti militari di Hezbollah nella regione di Tiro. Da ottobre a oggi sono stati uccisi più di 60 civili libanesi e 8 civili israeliani.

Sul lato israeliano della linea di demarcazione circa 80mila persone sono state sfollate, un dato senza precedenti. Mentre il sud del Libano, periodicamente segnato da invasioni e operazioni militari israeliane, ha finora visto lo sfollamento di 100mila civili. In questo contesto di crescente tensione, fonti interne a Hezbollah che preferiscono rimanere anonime perché non autorizzate a parlare con i media affermano che il partito “è pronto a difendersi con tutti i mezzi necessari” in caso Israele decidesse di aprire un secondo fronte di guerra aperta col Libano.

Le fonti di Hezbollah sostengono che finora i suoi combattenti hanno “usato solo una minima parte dell’arsenale” a disposizione e che i missili a media e lunga gittata, stoccati da anni in località segrete tra Siria e Libano, possono colpire tutte le città israeliane, incluse Ashkelon nel sud e il porto di Eilat sul Mar Rosso. “Possiamo eludere l’Iron Dome” israeliana, affermano le fonti, sottolineando come l’attacco iraniano del 13 aprile scorso sia servito, tra l’altro, a studiare la “capacità di reazione del nemico”.

“Il nostro arsenale serve come deterrente”, affermano le fonti di Hezbollah, confermando quanto ripetuto più volte dal leader del movimento, Hasan Nasrallah: l’azione militare dal sud del Libano – ha detto anche di recente il sayyid – serve in sostegno alla resistenza dei fratelli palestinesi e come elemento di dissuasione nei confronti di Israele. Per questo motivo, assicurano le fonti libanesi vicine a Teheran, “non vogliamo esporre il Libano a una guerra aperta con il nemico sionista. E, come già detto, siamo pronti a cessare ogni ostilità non appena Israele mette fine all’offensiva militare sulla Striscia di Gaza, decretando la vittoria della resistenza”. In questo senso, in caso di raggiungimento di un accordo quadro tra Hamas e Israele, le fonti di Hezbollah affermano di esser pronte a “tornare alla situazione precedente all’8 ottobre scorso”, data di inizio dei botta e risposta tra il Partito di Dio e lo Stato ebraico.

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