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Corona Virus

Covid, in Campania parte il centro vaccinale nella Mostra d’Oltremare

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La prima settimana, di rodaggio, ha incassato buoni risultati con 33mila dosi di vaccino somministrate. Ma il presidente della Campania, Vincenzo De Luca, chiede di accelerare. E l’ulteriore passo in avanti potrebbe essere fatto anche grazie al Centro Vaccinale della Asl Napoli 1 che, nei padiglioni 1 e 2 della Mostra, inizia da domani il lavoro per la vaccinazione della citta’ di Napoli contro il Covid19. Nelle ultime 24 ore la curva dei contagi e’ risultata in leggero aumento. Secondo quanto reso noto dall’Unita’ di crisi della Regione Campania, sono 1.052 i casi positivi al COVID – 115 sintomatici – su 11.930 tamponi esaminati.

La percentuale e’ dunque pari al 8,81%, ieri era 7.93%. 39 le persone decedute – 8 nelle ultime 48 ore e 31 deceduti in precedenza ma registrati ieri – 997 le persone guarite. Intanto c’e’ attesa per il via, domani, del centro vaccinale dell’Asl Napoli 1: cinquemila metri quadrati in Mostra d’Oltremare, 15 box per le vaccinazioni con percorsi ben definiti, dalla siringa alla sala di osservazione e attesa. Da domani mattina stop quindi ai vaccini all’Ospedale del Mare, i sanitari che restano da sottoporre verranno convocati nel polo fieristico di Fuorigrotta dove architetto dell’Asl Antonio Bruno sta curando gli ultimi dettagli. La fase dei sanitari, detta “T1” sara’ un primo stress test per il centro vaccinale che retera’ aperto per almeno sei mesi, ma la possibilita’ che venga prolungato e’ concreta, per affrontare il grosso delle vaccinazioni che partiranno con la fase “T2” che prevede la vaccinazione di persone oltre i 60 anni, persone con comorbilita’, immunodeficienza e fragilita’ di ogni eta’, personale scolastico, e gruppi sociali a rischio di malattia grave o morte. Il via avviene con i 15 box che vedranno impegnati da domani 60-70 persone dell’Asl, con 15 infermieri e 15 operatori sociosanitari impegnati nelle vaccinazioni, 5 farmacisti che estrarranno le sei dosi da ogni flacone per preparare le siringhe.

I vaccinandi entrano da Piazzale Tecchio, si registrano ai 10 desk all’ingresso e poi scendono verso i box vaccini, alle spalle dei quali c’e’ l’ufficio con il frigorifero per le dosi. All’uscita i vaccinati troveranno un percorso con una mostra “Con cura, con amore, con rigore. Viaggio nella storia dei vaccini”, curata da Gennaro Rispoli, direttore del Museo delle Arti Sanitarie di Napoli che illustra la storia delle vaccinazioni. Poi c’e’ l’ampia area di attesa, in cui bisogna sedersi per 15′ dopo la vaccinazione per precauzione. Un po’ piu’ avanti c’e’ anche l’area primo soccorso dove un medico visitera’ chi eventualmente dovesse avere delle reazioni al vaccino, un’area che da’ sulla porta dove e’ parcheggiata l’ambulanza per eventuali trasporti al vicino ospedale San Paolo. Si parte con 1500 vaccinazioni al giorno, ma l’obiettivo e’ 5.000.

Per la vaccinazione di massa della popolazione e’ gia’ previsto il raddoppio dei box, con la possibilita’ di ampliare l’area enormemente vista l’estensione della Mostra d’Oltremare. Attenzione anche al mondo della scuola. In relazione al programmato ritorno in presenza nelle scuole, “compatibilmente con la situazione epidemiologica”, la Regione Campania ha chiesto e ottenuto l’invio di 350.000 test antigenici, che arriveranno alla fine di questa settimana. In tempi brevi sara’ definito un programma di screening a tappeto per il personale scolastico, e anche per i lavoratori del trasporto pubblico, secondo quanto reso noto.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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