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Inchiesta sulla morte di Paciolla, la fidanzata: aveva paura, era ossessionato dall’idea di essere spiato

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La preoccupazione di Mario Paciolla, il cooperante italiano morto in Colombia, era quella che qualcuno lo spiasse, lo pedinasse. Temeva di essere sotto inchiesta. Forse era questo il motivo per cui aveva preparato tutto per tornasene a Napoli. Questa preoccupazione di Mario Paciolla è stata espressa sia dai suoi amici e familiari a Napoli  e poi da una cooperante italiana che  lavorava per le Nazione Unite assieme a lui. È una testimone importante per gli inquirenti italiani che indagano sulla morte di Paciolla. Si chiama Ilaria Izzo, ha 31 anni, è stata la sua fidanzata per nove anni. Ilaria ha parlato con Mario Paciolla poche ore prima che fosse trovato impiccato e con i polsi tagliati. La Izzo era in Colombia per l’ Onu. Ha reso un interrogatorio il 1 agosto scorso al magistrato della Fiscalia in videoconferenza con gli avvocati e con l’ambasciatore a Bogotà Gherardo Amaduzzi. Il dossier sulla morte di Paciolla è stato inviato per rogatoria internazionale e per via diplomatica agli inquirenti italiani. Le autorità colombiane fanno il loro lavoro, gli inquirenti italiani ricostruiranno parallelamente quanto accaduto nelle utlime settimane di vita a Mario Paciolla, parlando con chi ci ha vissuto gomito a gomito ed ha condiviso anche le paure del cooperante italiano. Ilaria Izzo – secondo quanto ricostruito dal Corriere della Sera nella edizione di oggi – una volta avvertita della scoperta del corpo di Mario Paciolla e informata del presunto suicidio “è stata ricoverata in ospedale a Calì, dove l’hanno raggiunta i familiari. “Ha tentato il suicidio”, hanno detto le autorità colombiane mentre lei ha spiegato di essere rimasta traumatizzata e in stato di choc.

Il racconto della ragazza è contenuto nella relazione di servizio. “Ilaria Izzo ha comunicato di conoscere Paciolla dal 2007 e di aver avuto con lui una relazione sentimentale durata nove anni, conclusa nel settembre 2019. Nonostante la rottura i due hanno mantenuto contatti costanti fino a poche ore prima del decesso. Izzo ha riferito di aver parlato molte volte con Paciolla, soprattutto negli ultimi giorni, quando sarebbe diventata “l’unica persona di cui si fidava”. Ha sottolineato che le sue condizioni psicologiche sono andate progressivamente peggiorando e nei 5 giorni precedenti il decesso, a suo dire anche a seguito di timori per le conseguenze di una presunta e non meglio precisata indagine interna alle Nazioni Unite, di cui Paciolla credeva di essere oggetto. Riferisce che le sue preoccupazioni sarebbero diventate “ossessive”, avendole confidato la convinzione di essere continuamente spiato e oggetto di intercettazioni e controlli menzionando anche la Cia. Izzo ha inoltre comunicato che Paciolla, probabilmente in relazione a qualcosa di cui era stato testimone, le avrebbe riferito di aver perso la fiducia in due colleghi della missione i cui nominativi sono a conoscenza della Fiscalia e sono tra i dipendenti della missione per i quali le Nazioni Unite hanno già concesso la rinuncia all’immunità diplomatica”.
Ilaria Izzo oltre a essere stata la fidanzata di Mario Paciolla, è anche una eccellente fotografa che spesso in giro per il mondo ha documentato inchieste (anche giornalistiche) di Mario Paciolla. I due, Paciolla e Izzo, risultano essere in calendario al festival del giornalismo di Perugia nell’aprile del 2021. Calendario che andrà aggiornato già che Paciolla è stato ucciso. La Izzo, a proposito delle paura di Paciolla, ha spiegato che i familiari di Mario Paciolla avrebbero avuto continui contatti con il proprio congiunto nei giorni precedenti il decesso”. Era così preoccupati che avrebbero contattato telefonicamente anche la Izzo per capire che cosa sapeva lei dello stato di prostrazione  psicologica del loro congiunto in Colombia. Ilaria Izzo ha riferito agli investigatori di essere stata anche a conoscenza dei programmi di Paciolla relativamente al rientro in Italia.  Anzi, proprio su quest’ argomento si sarebbero raggiunti toni drammatici durante una delle ultime telefonate tra i due giovani. Secondo la relazione la donna «ha dichiarato di essere a conoscenza del fatto che il Paciolla aveva utilizzato la sua carta di credito per acquistare, la mattina del 14.07.2020, due biglietti per l’Italia, per se stesso e per la Izzo (senza averla interpellata), evidenziando come lei lo abbia subito informato di non aver alcuna intenzione di lasciare la Colombia. Notizia, questa, che ha contribuito ulteriormente ad alterare lo stato emotivo dell’uomo. Forse la Izzo era in  pericolo come lo era lui? Forse Ilaria Izzo potrebbe ancora essere in pericolo? Perchè Mario Paciolla avrebbe fatto un biglietto di rientro in Italia anche ad Ilaria senza informarla? La Izzo, nella relazione arrivata agli inquirenti italiani per via diplomatica, ha dichiarato di essere stata a lungo al telefono con il Paciolla il 14 luglio e che le conversazioni di quel giorno sono state particolarmente agitate con continue crisi di pianto e urla da parte del connazionale che a un certo punto avrebbe anche detto di “non voler più vivere”. Che cosa significherebbe tutto ciò? Sono manifeste intenzioni suicide del Paciolla? O solo paura per quanto stava accadendo, per i pericoli che correva ma di cui non aveva parlato con nessuno? La Izzo dice che poi Mario è apparso più calmo. Avrebbe confessato che lei era stata “la donna della sua vita” e poi “l’avrebbe supplicata di lasciare la Colombia e utilizzare il biglietto aereo che lui le aveva comprato”. L’ultimo colloquio tra Ilaria Izzo e Mario Paciolla si sarebbe quindi concluso con questa preghiera dell’uomo, ma senza che lui le rivelasse i motivi dei propri timori, dell’improvvisa sfiducia nei due colleghi, e della sua fretta di partire. E la mattina successiva Mario era già morto.

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Re Carlo torna in pubblico e sorride, ‘sto bene’

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Un ritorno a mezzo servizio sulla scena degli impegni pubblici che non scioglie tutte le incognite, ma certo fa tirare un sospiro di sollievo al Regno Unito. Re Carlo III riavvolge il film di questo inizio d’anno maledetto per la monarchia britannica e si ripresenta alla platea dei sudditi per il primo appuntamento ufficiale fra la gente da oltre tre mesi, dopo la diagnosi di cancro svelata urbi et orbi a febbraio e i risultati “molto incoraggianti” (parola dei suoi medici) d’una prima fase di terapie tuttora in corso. Una rentrée all’insegna dei sorrisi e del contatto umano per il monarca 75enne, affiancato dall’inseparabile regina Camilla, pilastro della sua vita. Ma pure un momento altamente simbolico, vista la meta prescelta per la visita d’esordio di questa sorta di nuovo inizio, nel rispetto di quanto preannunciato da Buckingham Palace venerdì: l’University College London Hospital e l’annesso Macmillan Cancer Centre, istituto oncologico d’eccellenza sull’isola dove la coppia reale si è soffermata a parlare fitto fitto con medici, infermieri e soprattutto pazienti, non senza far rilanciare dalla viva voce di Sua Maestà un accorato messaggio a favore della prevenzione, dei controlli, delle cure “precoci” come armi “cruciali” per affrontare una malattia che non fa distinzioni fra teste coronate e non.

Accolti già fuori dall’ospedale da fan e curiosi, e poi fra le corsie da mazzi di fiori e auguri, Carlo e Camilla hanno cercato in tutti i modi di dare un’immagine incoraggiante, se non proprio da business as usual. “Non sei solo”, hanno fatto sapere al monarca alcuni dei presenti, in uno scenario in cui a tratti il primogenito di Elisabetta II – da oggi neo patrono del Cancer Research UK – è parso scambiare confessioni intime, persino qualche inusuale contatto fisico fatto di strette di mani prolungate con i malati: quasi come un paziente tra i pazienti. “Sto bene”, ha detto fra l’altro a una di loro, Asha Miller, in chemioterapia, rispondendo all’affettuoso “come si sente?” che la donna gli aveva rivolto stando a quanto da lei stessa raccontato più tardi ai giornalisti. Mentre vari testimoni hanno riferito di aver visto un re emozionato, ma “pieno di energia”. Parole che suggellano gli spiragli di ottimismo alimentati in queste ore dai vertici politici del Paese come da diversi commentatori dei media mainstream dopo le congetture allarmistiche di certa stampa scandalistica Usa.

Anche se sullo sfondo restano gli elementi di prudenza suggeriti dagli stessi comunicati di palazzo, che per i prossimi mesi si limitano per adesso ad evocare una ripresa parziale dell’attività pubblica di rappresentanza dinastica del sovrano: “calibrata con attenzione” e soggetta a conferme da formalizzare di volta in volta in relazione a eventi chiave quali la tradizionale parata di giugno di Trooping the Colour, l’agenda della visita di Stato a Londra della coppia imperiale del Giappone, o quella d’un viaggio in Australia di due settimane fissato orientativamente per ottobre. Già dalla settimana prossima, intanto, a rubare la scena in casa Windsor sarà un fugace rientro in patria del principe ribelle Harry, in arrivo entro l’8 maggio dall’autoesilio americano per partecipare al decimo anniversario degli Invictus Games, giochi sportivi riservati ai militari mutilati che egli patrocina sin dalla fondazione. Anche se non si sa se nell’occasione vi sarà spazio per un nuovo faccia a faccia fra padre e figlio, dopo la visita fatta di getto dal duca di Sussex al genitore a febbraio all’indomani della notizia della diagnosi di un cancro la cui natura resta per ora imprecisata.

Viaggio in cui del resto il principe cadetto – come confermato da una sua portavoce – non sarà accompagnato da Meghan, né dai figlioletti Archie e Lilibet, salvo ricongiungersi con la consorte in una successiva missione in Nigeria, Paese del Commonwealth. E che tanto meno sembra poter preludere a un disgelo col fratello maggiore William. Il tutto mentre rimane ad oggi ignota qualsiasi scadenza su un potenziale ritorno in pubblico anche della 42enne principessa di Galles, Kate, moglie dell’erede al trono, colpita a sua volta da un cancro di tipo non specificato reso noto nel toccante video alla nazione di marzo, due mesi dopo una delicata operazione all’addome. E reduce da una celebrazione privatissima, strettamente familiare, del suo 13esimo anniversario di matrimonio: il più difficile, in una favola regale divenuta dolorosa realtà.

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Netanyahu: entreremo a Rafah con o senza accordo

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Rafah resta nel mirino di Benyamin Netanyahu, con o senza accordo con Hamas per una tregua di lunga durata. Nonostante l’ottimismo per un’intesa che nelle prossime 48 ore si dovrebbe concretizzare nelle trattative al Cairo, il premier israeliano insiste – almeno a parole – nel rivendicare la necessità dell’operazione militare nella città più a sud di Gaza, piena di sfollati palestinesi. Durante un incontro con i rappresentanti delle famiglie dei circa 130 ostaggi israeliani ancora in mano ad Hamas dal 7 ottobre scorso, Netanyahu ha ribadito che “l’idea di porre fine alla guerra prima di raggiungere tutti i nostri obiettivi è inaccettabile”. “Noi – ha spiegato – entreremo a Rafah e annienteremo tutti i battaglioni di Hamas presenti lì, con o senza un accordo, per ottenere la vittoria totale”.

Una mossa tuttavia che deve fare i conti con la netta opposizione degli Stati Uniti, che non vogliono l’operazione di terra, oltre che dell’Onu (“sarebbe un’escalation intollerabile”, secondo il segretario generale Guterres), e con lo spettro di possibili mandati di arresto per crimini di guerra da parte della Corte penale internazionale dell’Aja sia per il premier sia per altri membri della leadership politico-militare di Israele. Non a caso Netanyahu ha denunciato che la Corte non ha “alcuna autorità su Israele” e che gli eventuali mandati sarebbero “un crimine d’odio antisemita”.

Spetta ora al segretario di Stato Usa Antony Blinken alla sua ennesima missione, da stasera, in Israele spingere sull’accordo che sembra in dirittura d’arrivo e fare della ventilata iniziativa della Cpi il grimaldello con Netanyahu per rimuovere dal tavolo l’operazione militare a Rafah, per la quale l’Idf ha già i piani pronti. Le indiscrezioni sull’intesa riportate dal Wall Street Journal prevedono due fasi: la prima con il rilascio di almeno 20 ostaggi in 3 settimane per un numero imprecisato di prigionieri palestinesi; la seconda include un cessate il fuoco di 10 settimane durante le quali Hamas e Israele si accorderebbero su un rilascio più ampio di ostaggi e su una pausa prolungata nei combattimenti che potrebbe durare fino a un anno. Un obiettivo così importante, a quasi 7 mesi dall’inizio della guerra, che ha spinto Blinken a rivolgersi direttamente ad Hamas per chiedere alla fazione palestinese di accettare “senza ulteriori ritardi” la proposta.

Lo spettro dell’Aja per Israele sta assumendo intanto contorni sempre più netti visto che gli investigatori della Cpi, secondo la Reuters, hanno raccolto testimonianze tra il personale dei due maggiori ospedali di Gaza. “Le fonti, che hanno chiesto di non essere identificate per la delicatezza dell’argomento, hanno riferito che gli investigatori della Cpi hanno raccolto testimonianze dal personale che ha lavorato nel principale ospedale di Gaza City, l’Al Shifa, e nel Nasser, il maggior nosocomio di Khan Younis”. “La possibilità che la Cpi emetta mandati di arresto per crimini di guerra contro comandanti dell’Idf e leader di Stato, è uno scandalo su scala storica”, ha ribattuto Netanyahu.

“Sarà la prima volta che un Paese democratico, che lotta per la propria esistenza secondo tutte le regole del diritto internazionale, verrà accusato di crimini di guerra. Se dovesse accadere – ha tuonato il primo ministro israeliano – sarebbe una macchia indelebile per tutta l’umanità. Un crimine d’odio antisemita, che aggiungerebbe benzina all’antisemitismo”. Al 207esimo giorno di conflitto intanto, si comincia a intravedere la concretezza della continuità degli aiuti umanitari a Gaza. Il portavoce del Consiglio per la sicurezza americana John Kirby ha fatto sapere che “il molo temporaneo per l’ingresso di aiuti a Gaza sarà completato nei prossimi giorni” dato che i lavori di costruzione stanno procedendo “molto velocemente”. Il Centcom ha anche diffuso le immagini del molo costruito al largo della costa della Striscia. Le foto mostrano l’equipaggio di diverse navi militari impegnato nella costruzione della piattaforma, che avrà un costo di circa 320 milioni di dollari.

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Stoltenberg visita Kiev, raid russi su Odessa

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“Un maggior sostegno è in arrivo, gli alleati hanno ascoltato il tuo appello”. Il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg si è rivolto con parole rassicuranti a Volodymyr Zelensky durante una visita a sorpresa a Kiev. Il capo dell’Alleanza ha garantito che i Paesi occidentali forniranno più aiuti militari, e più rapidamente, come chiede il presidente ucraino. E, mentre nell’est del Paese le forze russe continuano ad avanzare, si è dichiarato convinto che “non è troppo tardi perché l’Ucraina vinca”.

Per garantire la sua sicurezza, tuttavia, Kiev punta ora anche ad un accordo bilaterale con gli Stati Uniti, che recentemente hanno sbloccato un nuovo pacchetto di assistenza militare dal valore di 61 miliardi di dollari dopo mesi di diatribe nel Congresso. “Stiamo già lavorando su un testo specifico, il nostro obiettivo è rendere questo accordo il più forte di tutti”, ha annunciato Zelensky. Il riferimento è ad altre intese simili siglate negli ultimi mesi dall’Ucraina con diversi Paesi europei tra cui l’Italia lo scorso febbraio. Tuttavia il patto con Roma, come chiarito dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, “non è vincolante dal punto di vista giuridico” e non prevede “garanzie automatiche di sostegno politico o militare a Kiev”.

Con Washington, invece, “l’accordo dovrebbe essere davvero esemplare e riflettere la forza della leadership americana”, ha assicurato Zelensky. Con gli Usa ha insistito il presidente, l’Ucraina sta “discutendo le basi concrete di sicurezza e cooperazione” e “per fissare livelli specifici di sostegno per quest’anno e per i prossimi 10 anni”.

Ciò dovrebbe includere “il sostegno militare, finanziario, politico e la produzione congiunta di armi”. Durante la conferenza stampa con Stoltenberg, Zelensky ha insistito sulla richiesta che “la consegna degli aiuti militari sia più rapida”. Un’urgenza dettata per Kiev dalle drammatiche difficoltà con cui deve confrontarsi sul terreno, dove si trova a corto non solo di munizioni ma anche di uomini. Il capo di Stato maggiore, Oleksandr Syrsky, ha lanciato ieri l’allarme per una situazione che è “peggiorata”, con la Russia che “sta attaccando lungo tutta la linea del fronte”. Mentre il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha affermato che “fra gli ucraini al fronte sta crescendo il panico”. Per il momento l’avanzata russa, ancora limitata, si concentra nell’area del Donbass, nell’est dell’Ucraina. Le forze di Kiev hanno detto di aver respinto nelle ultime ore “55 tentativi di attacco” nella regione di Donetsk, dove nei giorni scorsi i russi si sono impadroniti di tre villaggi nell’area di Avdiivka, cittadina caduta nelle mani delle truppe di Mosca a febbraio. E il ministero della Difesa russo ha detto che oggi è stata conquistato un altro insediamento, quello di Semenivka.

Raid sono stati segnalati anche a Odessa, con frammenti di missile russo caduti sul Castello di Kivalov, dove si è sviluppato un incendio. Il bilancio è di almeno 5 morti. Stoltenberg ha ammesso che Kiev si trova in questa situazione perché negli ultimi tempi “gli Alleati non hanno mantenuto ciò che avevano promesso”, e “gli ucraini ne stanno pagando il prezzo”. Ma con Zelensky il segretario generale ha anche parlato del possibile ingresso di Kiev nel Patto Atlantico.

“Sto lavorando duramente per garantire che l’Ucraina diventi membro della Nato, abbiamo bisogno che tutti gli alleati siano d’accordo”, ha detto Stoltenberg. Per poi ammettere che anche in questo caso rimangono delle difficoltà. “Non mi aspetto che raggiungeremo tale accordo entro il vertice di luglio” a Washington, ha dichiarato. Ma per Zelensky il futuro del suo Paese è nella Nato, perché, ha affermato, “è impossibile immaginare la sicurezza dell’Europa e della comunità euro-atlantica senza l’effettiva partecipazione dell’Ucraina”.

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