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Economia

Già 20mila domande per il reddito di emergenza, fondi a tutte le ‘zone rosse’

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Tutti i comuni ‘zona rossa’ per l’emergenza avranno accesso ai Fondi del decreto Rilancio. Dopo le proteste dei sindaci e dei governatori dei territori esclusi con una revisione in corsa delle norme, e’ il premier Giuseppe Conte ad assicurare che per una questione di “equita’” tutti i Comuni piu’ colpiti avranno risorse fresche per le misure anti-Covid. La correzione arrivera’ in Parlamento, dove si iniziera’ l’esame dalla prossima settimana, mentre gia’ cominciano ad essere attivati i nuovi strumenti come il Reddito di emergenza, chiesto nella prima giornata gia’ da 20mila famiglie. Il nuovo Rem si potra’ chiedere, come ha spiegato l’Inps, fino a fine giugno, solo per via telematica, ed e’ rivolto ai nuclei con Isee fino a 15mila euro che non abbiano accesso ad altri sussidi, che potranno avere, in due tranche, fino a 800 euro. La previsione del governo e’ che possa interessare circa 2 milioni di persone (867mila famiglie). Nelle stesse ore, in “automatico”, l’Inps sta versando anche il bonus ai 4,9 milioni di autonomi che l’hanno gia’ ricevuto per il mese di marzo. Si tratta, ha sottolineato il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, di una delle categorie piu’ colpite, che ha subito “un drastico calo del reddito” a differenza degli statali che, in alcuni casi forse sono pure riusciti a risparmiare qualcosa durante l’epidemia, lavorando ma “stando a casa”. Per gli autonomi e’ stato costruito uno strumento ad hoc, che mancava “nella cassetta degli attrezzi”, ha sottolineato Gualtieri ospite di un live Fb delle Sardine, ricordando che finora si e’ speso “quasi il 5% del Pil” per contrastare gli effetti economici del virus. L’ultimo tassello dello scudo economico anti-crisi, per ora, e’ la maxi-manovra da 55 miliardi appena arrivata alla Camera, dove sara’ esaminata in effetti come si fa con le leggi di Bilancio in autunno: audizioni anche nelle commissioni settore per settore, addirittura tre relatori (Fabio Mellili del Pd, Luigi Marattin di Iv e Leonardo Donno del M5S) e il tentativo di arginare la “valanga” di emendamenti attesi attraverso le indicazioni che arriveranno alla commissione Bilancio dalle altre commissioni. Non ci sara’, infatti, solo il tema delle zone rosse da sistemare: dopo il ‘pasticcio’ della norma pubblicata in Gazzetta comprendendo tutti e poi sostituita con un errata corrige da un’altra che invece destinava 200 milioni alle sole province di Cremona, Lodi, Bergamo, Brescia e Piacenza, tutta la maggioranza ha annunciato un emendamento per tornare alla versione originale, che comprendeva anche i Comuni focolaio del centro-Sud (ma anche del Veneto, come Vo). Conte ha dato il suo benestare e, anzi, il governo e’ impegnato ad aumentare i fondi (probabilmente in base ai giorni di chiusura totale dei territori e al numero di abitanti). Restera’ da vedere se la modifica sara’ ritenuta sufficiente, visto che il Veneto chiedeva di avere ristoro per tutti i Comuni delle province con piu’ casi, come accade per le aree di Lombardia ed Emilia-Romagna. Tra i capitoli che saranno sicuramente riaperti in Parlamento (a disposizione per le modifiche ci sono circa 800 milioni che dovrebbero essere divisi tra Camera e Senato) c’e’ quello del superbonus al 110% per lavori di efficienza energetica e antisismica, da cui al momento sono escluse le seconde case ‘unifamiliari’. Altro nodo che si tentera’ di affrontare quello dei professionisti iscritti agli ordini, che lamentano di essere stati esclusi dai ristori a fondo perduto previsti per le piccole e micromiprese. Per i professionisti, dicono intanto dal ministero del Lavoro, non c’e’ “alcun blocco” del bonus: il fondo per il reddito di ultima istanza e’ stato rifinanziato appositamente per gli ‘ordinisti’, visto che le altre categorie (lavoratori stagionali, intermittenti, prestatori d’opera, lavoratori porta a porta) con il decreto Rilancio sono stati inserite in altra norma. E a giorni arrivera’ il decreto che assegnera’ alle Casse le risorse da distribuire per i mesi di aprile e di maggio. Come per gli altri autonomi.

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Economia

Bilanci di previsione, virtuoso 86% dei Comuni ma non al Sud

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Comuni diventati virtuosi nella presentazione dei bilanci di previsione. Quest’anno sette su dieci già a metà febbraio avevano approvato e trasmesso il documento e alla data del 15 marzo la percentuale di comuni in linea era salita all’84%. Il dato risulta da un’elaborazione dei dati del Mef fatta dal Centro studi enti locali. Il dato, si spiega, è di netta rottura rispetto al passato e testimonia l’efficacia delle misure adottate lo scorso anno dal Ministero dell’Economia per interrompere il circolo vizioso dei posticipi infiniti che aveva caratterizzato gli ultimi decenni.

Ciò che emerge è però, ancora una volta, è “l’esistenza di divari siderali tra varie aree del Paese che vede contrapposti casi come quello siciliano, dove solo 30 comuni su 100 risultano aver approvato e trasmesso il bilancio, e la Valle d’Aosta e l’Emilia Romagna, dove questa percentuale sale al 96%”. Dopo anni di slittamenti nel 2023 un decreto ministeriale, ha riscritto il calendario delle scadenze contabili e anche se è comunque stata necessaria una proroga al 15 marzo quest’anno ben 4.695 comuni, il 59% del totale, hanno iniziato l’anno corrente con un bilancio di previsione già approvato e non si sono avvalsi del tempo aggiuntivo concesso dal Viminale.

Stando a quanto emerso da un’elaborazione di Centro Studi Enti Locali, basata sui dati della Banca dati delle Amministrazioni Pubbliche (Bdap-Mef), sono stati approvati entro il 15 marzo scorso i bilanci dell’84% dei comuni italiani. All’appello mancano quelli di 1.268 comuni. Questi enti hanno un profilo abbastanza preciso: la stragrande maggioranza è di piccole dimensioni. Nove di questi comuni su dieci hanno infatti meno di 10mila abitanti e il 64% è localizzato al sud e nelle isole. Nel nord Italia, nel suo complesso, risulta essere stato già trasmesso al Mef il 92% dei preventivi. In particolare, spiccano per efficienza: Emilia Romagna e Valle d’Aosta (entrambe a quota 96%) e Trentino Alto Adige e Veneto (95%). Ottimi anche i risultati registrati in: Lombardia (93%), Friuli Venezia Giulia (90%) e Piemonte (89%). Chiude il cerchio la Liguria, con l’85% di comuni adempienti.

Scendendo verso sud la percentuale decresce gradualmente, restando comunque buona al centro, dove mediamente sono stati già approvati e trasmessi 89 bilanci su 100. A trainare verso l’alto questo gruppo sono soprattutto Toscana (95%), Marche e Umbria (93%). Più indietro i comuni laziali, fermi a quota 81%. Meno rosea, ma comunque in netto miglioramento rispetto al passato, la situazione del Mezzogiorno dove i comuni più tempestivi sono stati 6 su 10. In particolare, le 3 regioni in assoluto più distanti dalla media nazionale sono – nell’ordine – la Sicilia, la Calabria e la Campania.

Nella banca dati gestita dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, alla data del 24 aprile, risultano essere stati acquisiti soltanto 117 bilanci di previsione di comuni siciliani su 391, meno di uno su tre. Al di là dello Stretto ne sono stati trasmessi 236 su 404 (58% del totale), in Campania il 67% dei preventivi sono stati approvati nei tempi. Prima della classe, per quanto riguarda il meridione, è la Basilicata (92% di bilanci approvati), seguita a breve distanza dalla Sardegna (885) e dalla Puglia (86%). Chiudono il cerchio l’Abruzzo e il Molise, rispettivamente con l’80% e il 77% di comuni che hanno già inviato al Ministero il proprio preventivo.

Secondo il Centro Studi Enti Locali questi dati, nel loro insieme, testimoniano un effetto tangibile prodotto dalla nuova programmazione ma preoccupa la distanza abissale che continua a caratterizzare i risultati ottenuti da enti di territori diversi. Il processo di riforma della contabilità e dell’ordinamento degli enti locali, i cui cantieri sono aperti, dovrà necessariamente tenere conto anche delle criticità finanziarie e organizzative, ormai strutturali ed endemiche, di alcuni territori e individuare delle soluzioni efficaci per far sì che queste distanze siano colmate.

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Economia

Inflazione, Codacons: con record cacao e caffè rischi rincari

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E’ boom per le quotazioni di cacao e caffè, con i prezzi delle due materie prime che sui mercati internazionali stanno raggiungendo nuovi preoccupanti record, aumenti che potrebbero portare a breve a forti rincari dei listini al dettaglio per una moltitudine di prodotti venduti in Italia. L’allarme arriva oggi dal Codacons, che ha monitorato l’andamento delle quotazioni negli ultimi mesi. A inizio gennaio il prezzo del cacao era pari a circa 4.250 dollari la tonnellata, mentre ieri, mercoledì 24 aprile, le quotazioni sui mercati avevano raggiunto quota 10.800 dollari, con un incremento del +154% da inizio anno, riporta il Codacons. Trend analogo si registra per il caffè, con il Robusta che è passato dai 2.800 dollari la tonnellata dello scorso gennaio ai 4.250 dollari del 24 aprile, segnando un +51,8%, mentre l’Arabica nello stesso periodo sale da 190 a 224 centesimi alla libbra (+18%).

Quotazioni alle stelle che interessano materie prime utilizzate per prodotti molto consumati in Italia, e che rischiano di determinare rincari a raffica per i prezzi al dettaglio di una moltitudine di alimenti, lancia l’allarme il Codacons. Basti pensare che solo per i prodotti a base di cacao e caffè gli italiani spendono oltre 10,2 miliardi di euro all’anno, circa 392 euro a famiglia: il giro d’affari del cioccolato nel nostro Paese è di circa 2 miliardi di euro, con un consumo procapite di circa 2 kg. Cialde e capsule valgono 595 milioni di euro annui, mentre il caffè per moka registra vendite per 640 milioni di euro. 7 miliardi di euro il business del caffè espresso consumato al bar. I prezzi al dettaglio hanno già risentito nell’ultimo periodo dell’andamento delle quotazioni, con i prezzi di prodotti a base di cacao e caffè che sono aumentati sensibilmente rispetto allo scorso anno – aggiunge il Codacons. Ipotizzando un rincaro medio dei listini al dettaglio del +5% come effetto dei rialzi delle materie prime, i consumatori andrebbero incontro ad una nuova stangata da 510 milioni di euro solo per i consumi di caffè e cioccolato.

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Economia

Ocse, in Italia il cuneo fiscale supera il 45% nel 2023

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Per il lavoratore ‘single’ in Italia il peso delle imposte complessive sul salario è in media del 45,1%, sostanzialmente stabile rispetto al 2022 (era del 45%). E’ quanto emerge dal rapporto Ocse per il 2023 ‘Taxing Waging. Il cuneo fiscale nell’Ocse è stato del 34,8% in media nel 2023 (34,7% nel 2022) e l’Italia figura al quinto posto per l’incidenza più alta tra i 38 Paesi Ocse, dopo Belgio (52,7%), Germania (47,9%), Austria (47,2%) e Francia (46,8%). In Italia, le imposte sul reddito e i contributi previdenziali del datore di lavoro rappresentano insieme il 90% del cuneo fiscale totale, mentre la media Ocse è del 77%. Per un lavoratore spostato con due figli il cuneo è invece inferiore e vede l’Italia all’ottavo posto con il 33,2% (era al nono posto nel 2022), rispetto a una media Ocse del 25,7%.

Tra il 2000 e il 2023 il cuneo fiscale per il lavoratore single è sceso di 2 punti percentuali (dal 47,1 al 45,1%). Nello stesso periodo nei paesi Ocse è sceso di 1,4 punti percentuali (dal 36,2 al 34,8%). Tra il 2009 e il 2023 invece il cuneo fiscale per il lavoratore medio single in Italia è sceso di 1,7 punti percentuali. Durante questo stesso periodo, il cuneo fiscale per il lavoratore single nei paesi Ocse è aumentato lentamente fino al 35,3% nel 2013 e nel 2014, scendendo al 34,8% nel 2023. L’aliquota fiscale netta del dipendente single in Italia nel 2023 è stata in media del 27,7% nel 2023, rispetto alla media Ocse del 24,9%. Tenendo conto degli assegni familiari e delle disposizioni fiscali, l’aliquota fiscale media netta del dipendente per un lavoratore sposato con due figli in Italia era del 12% nel 2023, il 26esimo valore più basso nei Paesi Ocse, e si confronta con il 14,2% della media Ocse.

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