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Coronavirus, parla il segretario nazionale Fimmg Scotti: “Medici di base sono un unicum da valorizzare, vero argine contro l’epidemia”

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Sono 150 i medici morti durante l’emergenza Covid-19, una cifra inaudita che denuncia la scarsa attenzione dedicata alla tutela dei camici bianchi. Fra questi, 56, più di un terzo, sono medici di famiglia. La prima linea, la medicina di territorio, quella che, se istruita a dovere, avrebbe potuto rappresentare un’importante argine contro la diffusione del contagio. Invece la mancanza di istruzioni chiare e la scarsità di dispositivi di protezione individuale hanno mandato al macello la categoria dei medici di base, un’eccellenza del sistema sanitario nazionale italiano. Abbiamo approfondito la questione con Silvestro Scotti, Segretario Generale Nazionale di Fimmg (Federazione Italiana Medici di Medicina Generale).

Dottor Scotti, come hanno operato i medici di base durante la prima fase dell’emergenza?

All’inizio i medici di base non sono stati minimamente considerati. Nella prima fase, quando l’epidemia si stava diffondendo e si cercava di contenerla attraverso l’istituzione di zone rosse nei primi focolai, continuava ad esserci un contatto continuo e costante fra medico e paziente per i sintomi più lievi; oltretutto i medici non erano stati immediatamente attrezzati, nemmeno nelle zone contigue alle zone rosse, con i dispositivi di protezione individuale, né informati sulle procedure da adottare per impedire la diffusione del virus.

Che direttive avete ricevuto?

I primi documenti prescrivevano al medico di continuare a ricevere pazienti nel suo studio. Nel caso in cui il paziente avesse mostrato complicazioni respiratorie, il dottore gli avrebbe dovuto mettere la mascherina. Non ne aveva per sé, figuriamoci per il paziente! Si prevedeva inoltre la possibilità che questo ipotetico paziente fosse isolato e visitato in una zona selezionata dell’ambulatorio; ma la maggior parte degli ambulatori di medicina generale non è dotata di uno spazio del genere. Chi ha messo a punto questa metodologia sembrerebbe qualcuno che non è mai entrato nello studio di un medico di famiglia. Una procedura inefficace e pericolosa: se oggi la percentuale di medici di base deceduti sul totale delle vittime fra i camici bianchi è del 40%, in quella fase iniziale arrivava intorno al 70%.

In corso d’opera sono stati però apportati dei correttivi.

Siamo stati noi a mettere l’accento sulla necessità del triage telefonico, una consultazione a distanza prima del contatto diretto fra medico e paziente. Un’iniziativa partita dalla nostra categoria e non da chi, occupandosi di sanità pubblica, avrebbe dovuto valutare l’impatto del virus sui medici di famiglia. Al triage telefonico è stata poi affiancata la dematerializzazione delle ricette, che ha contribuito a svuotare i nostri studi. Devo anche sottolineare la sensibilità del ministro Speranza che ha recepito in modo tempestivo la nostra richiesta di implementare il triage telefonico. E anche grazie alla medicina di famiglia si è iniziato a comprendere che indirizzare tutte le chiamate per Covid al 118 era un errore.

Ci parli della raccolta fondi lanciata insieme a Cittadinanzattiva per l’acquisto dei dispositivi di protezione individuale.

Insieme a Cittadinanzattiva, che ringraziamo, abbiamo raccolto materiali e risorse per quasi 5 milioni di euro; a breve consegneremo ai medici 4 milioni e 500mila guanti, abbiamo consegnato 50mila litri di disinfettanti per gli studi, 10mila occhiali protettivi, 30mila visiere protettive disinfettatili, 60mila camici, 90mila mascherine. Facciamo il possibile per fornire a questi medici un minimo di garanzie.

Per fronteggiare l’emergenza sono stati addirittura richiamati medici in pensione. Non è forse il caso di fare una riflessione sulla carenza dei medici e sul numero chiuso alla Facoltà di Medicina?

Il problema non è tanto nel numero chiuso, quanto nella carenza di borse per la specializzazione; ogni anno abbiamo 2-3mila medici laureati che non hanno accesso alla formazione di secondo livello. Questo per me è sempre stato un tentativo subdolo di valorizzare la sanità privata: è il pubblico che necessita della specialità e del corso di formazione in medicina generale, mentre nella sanità privata puoi avere dei semplici laureati in medicina con esperienza, coordinati da uno specialista, che funge da responsabile del reparto. In questo modo si abbattono le spese, assumendo soggetti apparentemente meno qualificati.

Per i medici di base c’è invece un corso di formazione in medicina generale. Qual è la situazione?

Da quando il corso di formazione è stato istituito non s’è mai registrato un incremento di spesa per le borse di studio. Negli ultimi due anni c’è stato un tentativo di migliorare le cose, con un aumento dei posti per i corsi di formazione, che consentirà per due o tre anni di formare 2000 medici all’anno, al posto degli attuali 1000. Il problema è che ne servirebbero 3000 fino al 2028 per riuscire a colmare il gap; nei prossimi anni moltissimi medici di base andranno in pensione. Manca programmazione delle risorse umane; eppure non è un calcolo così complesso: è un rapporto numerico popolazione medico, è banale. Basta poi conoscere l’età dei medici assunti e prevedere quando ciascuno di loro potrebbe andare in pensione, capire quando ci sarà il buco e programmare una risposta efficace e tempestiva. E’ la parte più elementare della programmazione che non è stata fatta.

L’Italia sembra incapace di valorizzare la medicina di territorio, un’eccellenza del sistema sanitario nazionale…

Un’esclusiva, più che un’eccellenza. Ci vantiamo di avere il miglior servizio sanitario nazionale e non ne valorizziamo le specificità. All’estero, per come è offerta in Italia, la medicina di territorio esisteva fino a qualche anno fa solo in Inghilterra; adesso pure lì il sistema è stato un po’ smantellato.

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AstraZeneca ammette: vaccino contro Covid-19 può causare trombosi

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L’azienda biofarmaceutica internazionale AstraZeneca ha ammesso per la prima volta che uno degli effetti collaterali del suo vaccino contro il Covid-19 può essere la sindrome da trombosi con trombocitopenia (TTS). Lo ha scritto il Telegraph, citando documenti di tribunale. È stata presentata un’azione legale collettiva contro l’azienda perché il vaccino, sviluppato insieme all’Università di Oxford, ha causato danni gravi o fatali a diversi pazienti, si legge nel comunicato.

“Il vaccino può causare, in casi molto rari, una sindrome da trombosi con trombocitopenia (Tts). Le cause sono sconosciute”, si legge in un estratto di un documento fornito dall’azienda a un tribunale lo scorso febbraio. Secondo i media, sono state presentate 51 richieste di risarcimento all’Alta Corte di Londra, in cui le vittime e le loro famiglie chiedono danni per circa 125 milioni di dollari. La sindrome da trombosi con trombocitopenia causa coaguli di sangue e un basso numero di piastrine, ha spiegato il quotidiano.

La prima richiesta, spiega l’articolo, è stata presentata l’anno scorso da Jamie Scott, che, dopo la somministrazione del vaccino nell’aprile 2021, ha sviluppato un coagulo di sangue e un’emorragia cerebrale, che avrebbe causato danni permanenti al cervello. Viene citato anche il caso della famiglia di Francesca Tuscano, una donna italiana morta nell’aprile 2021 dopo essere stata vaccinata contro il coronavirus. La famiglia della 32enne si è rivolta a un medico legale e a un ematologo, che hanno stabilito che “la morte della paziente può essere attribuita agli effetti collaterali della somministrazione del vaccino Covid-19”. La donna è deceduta per trombosi vascolare cerebrale il giorno successivo alla somministrazione del farmaco di AstraZeneca.

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Covid, ancora calo dei casi e dei decessi

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Continua il calo dei nuovi casi di Covid in Italia e sono in netta diminuzione i decessi. Nella settimana compresa tra il 18 e il 24 aprile 2024 – secondo il bollettino del ministero della Salute – si registrano 528 nuovi casi positivi con una variazione di -1,9% rispetto alla settimana precedente (538); 7 i deceduti con una variazione di -22,2% rispetto ai 9 della settimana precedente. Sono stati 100.622 i tamponi effettuati con una variazione di -6,4% rispetto alla settimana precedente (107.539) mentre il tasso di positività è invariato e si ferma allo 0,5%. Il tasso di occupazione in area medica al 24 aprile è pari allo 0,9% (570 ricoverati), rispetto all’1,1% (700 ricoverati) del 17 aprile. Il tasso di occupazione in terapia intensiva al 24 aprile è pari allo 0,2% (19 ricoverati), rispetto allo 0,3% (22 ricoverati) del 17 aprile.

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Influenza e Covid, attesa crescita con ritorno a scuola

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La riapertura delle scuole dopo le festività natalizie potrebbe dare un’ulteriore spinta alle infezioni respiratorie: influenza, soprattutto, ma anche Covid-19 e virus respiratorio sinciziale. È il timore espresso da più parti e confermato anche dalla Società Italiana di Pediatria. “Con il rientro dei bambini a scuola ci aspettiamo un aumento dei casi di influenza anche se – c’è da dire – durante il periodo delle vacanze non si è osservato un calo dei contagi, probabilmente per le occasioni di vita sociale durante le festività.

Inoltre, siamo nel momento del clou del virus respiratorio sinciziale”, dice Rino Agostiniani, consigliere nazionale della Società Italiana di Pediatria, che sottolinea che “è importante che i bambini che hanno sintomi influenzali rimangano a casa”. “Ho scritto al ministro della Salute con l’obiettivo di accedere un faro su una malattia che provoca, soprattutto tra i neonati, gravi patologie, anche mortali: la bronchiolite.

La Commissione europea ha autorizzato il vaccino Nirsevimab che ha già passato severissime e rigidissime misure di controllo da parte di Ema. Questo farmaco potrebbe essere uno strumento fondamentale per la lotta alla bronchiolite ed è arrivato il momento che venga adottato anche nel nostro Paese, quanto prima”, ha intanto fatto sapere Orfeo Mazzella, capogruppo del Movimento 5 Stelle in Commissione Affari Sociali al Senato, citando il caso di una neonata di tre mese morta a fine anno probabilmente proprio a causa di questo virus.

Intanto nelle ultime due settimane, in Italia, l’influenza e le sindromi simil-influenzali hanno fatto registrare numeri da record: due milioni di persone messe a letto solo nelle ultime due settimane dell’anno, con tassi elevati soprattutto nei bambini più piccoli “che sono quelli nel corso degli ultimi anni non hanno sviluppato un patrimonio immunitario per difendersi dall’infezione”, spiega Agostiniani. Covid-19, al contrario, nell’ultima rilevazione del ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità ha mostrato un lieve rallentamento.

Tuttavia, nel mondo sembra che i contagi abbiano ripreso a salire: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nelle ultime 4 settimane ci sono stati 850mila casi di Covid nel mondo, con un aumento del 52% rispetto al mese precedente. I numeri reali, tuttavia, potrebbero essere molto più alti.

“Sappiamo che in tutto il mondo le segnalazioni sono diminuite, i centri di sorveglianza sono diminuiti, i centri di vaccinazione sono stati smantellati o chiusi. Questo fornisce un quadro incompleto della situazione e purtroppo dobbiamo aspettarci più casi di quelli che abbiamo dichiarato ufficialmente”, ha detto Christian Lindmeier dell’Oms.

Che la situazione stia peggiorando si intuisce anche dai ricoveri: tra il 13 novembre e il 10 dicembre, nei Paesi che segnalano sistematicamente i dati all’Oms e che sono ormai meno di 60, sono stati registrati più di 118 mila nuovi ricoveri per Covid e più di 1.600 nuovi ricoveri in terapia intensiva, con un aumento rispettivamente del 23% e del 51%.

La ripresa dei contagi potrebbe essere legata alla nuova JN.1 del virus Sars-CoV-2. I dati che arrivano dagli Stati Uniti sembrano confermarlo. Secondo le ultime stime dei Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) nell’ultima settimana JN.1 è arrivata al 61,6% di prevalenza. JN.1, che ormai è dominante anche in Italia, discende dalla variante BA.2.86 (Pirola) ed è stata isolata proprio negli Stati Uniti lo scorso settembre. Per i Cdc “al momento non vi è alcuna indicazione di un aumento della gravità da JN.1”. Tuttavia, è possibile che “questa variante possa determinare un aumento delle infezioni”.

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