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La Lombardia con 11mila morti vuole riaprire subito, l’intero Sud con 854 morti l’hanno chiuso per due mesi

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Proviamo a scrivere un articolo sulla emergenza sanitaria in atto nel nostro Paese asettico. Mettiamo da parte emozioni, sensazioni e persino idee (talvolta pure i giornalisti ne hanno qualcuna). Leggete i dati della tabella sopra. Sono i dati ufficiali della tragedia in atto. Quei numeri sono dolori, morti, sentimenti, emozioni. Metteteli da parte. Provate a togliere da questa tabella i dati della Lombardia dove ci sono più della metà dei morti del Paese, molto meno della metà dei guariti e quasi la metà del totale dei contagiati in Italia. In Lombardia c’è stato un massacro. Questa parola – “massacro” -, non è un termine giornalistico. Non è un mio epiteto per offendere le autorità sanitarie e politiche della Regione Lombardia.

Giunta Regionale della Lombardia. Il presidente Attilio Fontana e l’assessore al Welfare Giulio Gallera registi delle attività di contrasto al Covid 19

Ranieri Guerra, direttore aggiunto dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), ha definito quanto accaduto e quanto sta ancora accadendo in Lombardia nelle Residenze sanitarie assistenziali “un massacro”. Proprio questa parola ha usato: “massacro”.

Con centinaia, probabilmente migliaia di morti nelle sole case di cura. In Lombardia, nelle case di cura, dove ci sono gli anziani, la Regione ha mandato anche i pazienti covid 19 dimessi dagli ospedali formalmente guariti a osservare i 14 giorni di quarantena prima del ritorno a casa e dunque in società da “immunizzati”. È probabile (c’è una inchiesta in corso) che queste persone avessero ancora una carica virale importante e forse non andavano trasferiti nelle Rsa assieme a persone fragili.

La sede della Regione Lombardia – il Pirellone. La gestione della crisi sanitaria è sotto la lente di ingrandimento della Procura di Milano

Solo nel Pio Albergo Trivulzio, 28 anni dopo l’inizio di Tangentopoli col mariuolo Mario Chiesa, hanno perso la vita 143 anziani. Un massacro, appunto. Nelle case di cura lombarde sono migliaia i morti. Davanti a questo dato tragico la Lombardia chiede al governo di dare il via libera alle attività produttive dal 4 maggio. Sì, certo, nel rispetto di quattro condizioni: distanza di un metro tra le persone, obbligo di mascherina per tutti, obbligo di smart working per le attività che lo possono prevedere e test sierologici, che inizieranno dal 21 aprile.  Insomma la Lombardia ricca e produttiva e dall’efficiente sistema sanitario chiede di riavviare i motori dell’economia. Perchè? Forse perché le cose vanno meglio? Quale che sia il motivo, questo è l’appello che arriva dalla Lombardia. La giunta regionale della Lombardia, col presidente Attilio Fontana, ha già un piano operativo per tornare alla “normalità” con ogni precauzione che vorranno disporre gli scienziati per convivere con questo virus fino al vaccino e alla immunizzazione della popolazione.

L’ex Governatore della Lombardia. Roberto Formigoni condannato al carcere per aver “privatizzato” la sanità lombarda

Nel frattempo che arriviamo al 4 maggio, data in cui prevedibilmente e presumibilmente il presidente del Consiglio Giuseppe Conte (sentito il Comitato Tecnico Scientifico) avvierà la fase due, saranno passati circa due mesi in cui nel Sud del Paese abbiamo fermato tutto (anzi hanno bloccato tutto), bloccato ogni attività come al Nord. Ma ci siamo mai chiesti che cosa è accaduto al Sud in questi due mesi? Al Sud c’è stato un rispetto sacro delle regole. Salvo, certamente, qualche idiota o deprivato mentale prontamente ripreso dalle telecamere e immesso nel frullatore mediatico main stream italico col solito colorito addendum di stereotipi, pregiudizi e luogocomunismi. Ma quali sono i reali problemi sanitari provocati dal covid 19 al Sud? Qual è stata l’incidenza del contagio? Quale è stato il tasso di mortalità? Come vi ho detto dapprìncipio, non fidatevi delle chiacchiere anche giornalistiche: guardate i numeri del contagio. Fate voi stessi un po’ di conti. Sicilia (181), Calabria (71), Puglia (288), Campania (278), Basilicata (21) e Molise (15): se sommate i numeri dei decessi registrati in tutte le regioni del Sud aggiornati alle ore 18 del 15 aprile, arriverete a 854 persone morte in conseguenza di covid 19. Spesso questo virus si è innestato su patologie pregresse già gravi. Spessissimo questo virus ha ucciso persone fragili, molto anziane. Sia chiaro, nessuno minimizza 854 morti. Sono dati tragici, perchè parliamo di vite umane perse, ma quasi imputabili ad una influenza. E l’influenza non è mai banale, è una patologia seria che va sempre curata in maniera seria. E però 854 morti in tutte le regioni del sud sono meno dell’8% delle vittime registrate nella sola Lombardia e sarebbe il 4 per cento del totale nazionale.

Ospedale Cotugno. Ambulanze ad alto contenimento biologico e operatori sanitari con dispositivi di protezione: nessun medico infetto a Napoli

Eppure, nonostante questi dati di mortalità, mi si passi il termine “risibili”, il Governo nazionale ha spento i motori alla economia già asfittica del Sud, ha chiuso ogni attività produttiva, fermato ogni servizio, chiuso in casa più della metà degli italiani che hanno accettato con spirito di sacrificio ogni decisione ed hanno dimostrato solidarietà, non a chiacchiere, a chi soffriva e soffre in questo momento. Ma davanti a questi dati di contesto che sono numeri, non opinioni personali di un giornalista, forse occorre cominciare a porsi qualche domanda. Siamo sicuri che la sanità della Lombardia è stata efficiente ed efficace come i media main stream hanno provato in questi anni e questi mesi ad avvalorare? Chi vi scrive ha più di un dubbio. La sanità lombarda negli ultimi 15 anni è stata privatizzata in massima parte, organizzata per l’ospedalizzazione di frotte di pazienti con patologie croniche che dovevano pesare in termini economici. Basta leggere le inchieste sulla sanità lombarda degli ultimi dieci anni per capirlo. Gli ospedali pubblici di quella regione, ridotti all’osso, spolpati, più che centri di contrasto del contagio sono stati focolai di infezione. Medici ed infermieri sono stati mandati al fronte a combattere il covid 19 senza alcun dispositivo di protezione. Sono stati mandati al “massacro”. Anche tra i camici bianchi ci sono decine di morti solo in Lombardia. All’ospedale Cotugno per malattie infettive di Napoli non c’è un solo medico o infermieri infetto. E sapete perchè? Perchè si occupano da 134 anni di malattie infettive.

Giornalista. Ho lavorato in Rai (Rai 1 e Rai 2) a "Cronache in Diretta", “Frontiere", "Uno Mattina" e "Più o Meno". Ho scritto per Panorama ed Economy, magazines del gruppo Mondadori. Sono stato caporedattore e tra i fondatori assieme al direttore Emilio Carelli e altri di Sky tg24. Ho scritto libri: "Monnezza di Stato", "Monnezzopoli", "i sogni dei bimbi di Scampia" e "La mafia è buona". Ho vinto il premio Siani, il premio cronista dell'anno e il premio Caponnetto.

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Fini condannato a 2 anni e 8 mesi per casa a Montecarlo

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featured, Stupro di gruppo, 6 anni ,calciatore, Portanova

Una operazione immobiliare dai contorni opachi e dietro la quale, secondo il tribunale di Roma, si nascondeva una attività di riciclaggio di denaro. Dopo sette anni dalla richiesta di rinvio a giudizio arriva la sentenza di primo grado per la vicenda legata all’acquisto di un appartamento a Montecarlo, al numero 14 di Boulevard Princesse Charlotte. I giudici della quarta sezione collegiale, dopo circa due ore di camera di consiglio, hanno condannato a 2 anni e 8 mesi di reclusione l’ex presidente della Camera, Gianfranco Fini, a 5 anni la sua compagna Elisabetta Tulliani. Il tribunale ha inoltre inflitto 6 anni a Giancarlo Tulliani, 5 anni al padre Sergio e 8 anni a Rudolf Theodor Baetsen. Il tribunale ha sostanzialmente recepito l’impianto accusatorio della Procura di Roma che ai cinque muove l’accusa riciclaggio.

A Fini, che era presente in aula, i magistrati contestano “la condotta relativa all’autorizzazione alla vendita dell’appartamento” escludendo l’aggravante e riconoscendogli le attenuanti generiche. “Non ho autorizzato la vendita dell’abitazione di Montecarlo ad una società riconducibile a Giancarlo Tulliani. Quando ho dato l’ok non sapevo chi fosse l’acquirente” ha commentando l’ex presidente della Camera lasciando la cittadella giudiziaria della Capitale che ha poi aggiunto: “me ne vado più sereno di quello che si può pensare dopo 7 anni di processo. Ricordo a me stesso che per analoga vicenda una denuncia a mio carico fu archiviata dalla procura di Roma. Dopo tanto parlare, dopo tante polemiche, tante accuse, tanta denigrazione da un punto di vista politico sono responsabile di cosa? Di aver autorizzato la vendita. Non mi è ben chiaro in cosa consista il reato”. La difesa dell’ex parlamentare annuncia il ricorso in appello sostenendo che il tribunale ha riconosciuto nei suoi confronti una sorta di “concorso morale” nell’attività illecita.

L’accusa prevista dall’articolo 648 bis del codice penale era l’unica fattispecie contestata nel processo dopo che nell’udienza del 29 febbraio scorso i giudici avevano dichiarato prescritta l’associazione a delinquere, reato che coinvolgeva altri imputati ma non Fini. La prescrizione era legata alla esclusione dell’aggravante della transnazionalità. Nel corso del procedimento è intervenuta anche la compagna di Fini che nel corso di brevi dichiarazioni spontanee aveva di fatto scaricato le colpe sul fratello Giancarlo.

“Ho nascosto a Fini la volontà di mio fratello di comprare la casa di Montecarlo. Non ho mai detto a Fini la provenienza di quel denaro, che ero convinta fosse di mio fratello – ha affermato visibilmente commossa la donna nel corso dell’udienza del 18 marzo scorso-. Il comportamento spregiudicato di mio fratello rappresenta una delle più grandi delusioni della mia vita”. Inizialmente il processo vedeva imputate, come detto, anche altre ‘posizioni’, tra cui il ‘re delle Slot’ Francesco Corallo e il parlamentare Amedeo Laboccetta, per le quali è stata riconosciuta la prescrizione. Secondo l’iniziale impianto accusatorio dei pm della Dda capitolina gli appartenenti all’associazione a delinquere hanno messo in atto, evadendo le tasse, il riciclaggio di centinaia di milioni di euro. Quel fiume di denaro, una volta ripulito, è stato utilizzato da Corallo per attività economiche e finanziarie ma anche, è la convinzione degli inquirenti, in operazioni immobiliari che hanno coinvolto i membri della famiglia Tulliani.

Gli accertamenti della Procura hanno riguardato, quindi, anche l’appartamento di Boulevard Principesse Charlotte, finito poi nella disponibilità di Giancarlo Tulliani che attualmente vive a Dubai da latitante. L’appartamento monegasco, secondo quanto accertato, sarebbe stato acquistato da Tulliani junior grazie ai soldi di Corallo attraverso due societa’ (Printemps e Timara) costituite ad hoc. Il coinvolgimento di Fini nell’inchiesta è legato proprio al suo rapporto con Corallo. Un rapporto, per la procura, che sarebbe alla base del patrimonio dei Tulliani. Quest’ultimi per gli inquirenti avrebbero ricevuto su propri conti correnti ingenti somme di danaro riconducibili a Corallo e destinati alle operazioni economico-finanziarie dell’imprenditore in Italia, Olanda, Antille Olandesi e Principato di Monaco.

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Cultura

“L’avvocato del D10S”: Angelo Pisani e la battaglia giudiziaria per Maradona

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Il libro “L’avvocato del D10S” di Angelo Pisani non è solo un tributo a Diego Armando Maradona, ma anche una narrazione intensa e appassionata delle battaglie legali che hanno segnato la vita del leggendario calciatore. L’opera, pubblicata da LOG edizioni e lunga 159 pagine, è disponibile al prezzo di 14,90 euro e si rivela un testo cruciale per chi desidera comprendere a fondo le vicende giuridiche e umane del “pibe de oro”.

Angelo Pisani, che ha rappresentato Maradona nelle aule di giustizia, descrive con fervore la sua lotta per dimostrare l’innocenza del calciatore di fronte alle accuse di evasione fiscale e altri gravi addebiti mossi dalla giustizia italiana. Attraverso un lavoro legale che si è esteso per decenni, Pisani è riuscito a infrangere il “muro di titanio” di Equitalia, sancendo giuridicamente l’innocenza di Diego.

Il titolo del libro, “L’avvocato del D10S”, è una chiara dichiarazione di stima e devozione verso Maradona, e il sottotitolo “Un’arringa in difesa di Diego Armando Maradona” stabilisce inequivocabilmente il tono dell’opera. Le prefazioni e le postfazioni scritte da noti esponenti del tifo calcistico partenopeo e figure chiave dell’ambiente sociale latino, come Maurizio de Giovanni, Gianni Minà e Nicola Graziano, arricchiscono ulteriormente il testo, aggiungendo diverse prospettive sulla figura di Maradona.

Il libro offre un ritratto inedito di Maradona, non solo come sportivo eccezionale ma anche come eroe umano e difensore dei più deboli, costantemente in lotta contro figure potenti come i presidenti della FIFA, Joao Havelange e Sepp Blatter. Inoltre, evidenzia il supporto di Maradona ai governi di sinistra in America Latina, una posizione che lo ha reso un bersaglio politico tanto quanto una stella del calcio.

Pisani non manca di ricordare il sostegno di Fidel Castro a Maradona durante i suoi momenti più bui, come la lotta contro la tossicodipendenza, un periodo durante il quale Maradona stesso riconoscerà il suo debito verso il leader cubano tatuandosi l’immagine del Che Guevara.

Il culmine del libro si raggiunge nel racconto del 25 maggio 2014, quando la giustizia italiana, dopo una lunga serie di battaglie legali, ha finalmente scagionato Maradona da ogni accusa di evasione fiscale. Questo evento non solo ha rappresentato una vittoria legale, ma ha anche simboleggiato la riscossa di un uomo contro un sistema che sembrava schiacciarlo.

“L’avvocato del D10S” di Angelo Pisani è quindi molto più di un semplice racconto giuridico; è un’affascinante biografia che intreccia diritto, sport e politica, mostrando come la vita di uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi sia stata incessantemente intrecciata con le dinamiche del potere a livello mondiale.

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Il richiamo di Mattarella, non dividere il sud dal nord

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I sindacati hanno un ruolo “insopprimibile” per lo sviluppo della società; il welfare non deve perdere il suo carattere “universalistico”; anche se è “un’ottima notizia” che l’occupazione stia crescendo, le istituzioni non devono mai sentirsi “appagate” perchè “l’ascensore sociale” si è bloccato; ogni morte sul lavoro è “inaccettabile” per uno stato moderno; ed infine porre rimedio allo “sfruttamento” degli immigrati. C’è tutto questo e tanto altro nel primo maggio del presidente della Repubblica che ha scelto di passare la vigilia della Festa del Lavoro tra gli operai del distretto agro-industriale nella provincia di Cosenza. Inevitabilmente però sono le sue preoccupazioni sul distacco del Mezzogiorno dal nord del Paese, sulla perdurante questione meridionale – invincibile nel tagliare il Paese in due – a raccogliere gli applausi convinti dei lavoratori calabresi che erano accorsi ad ascoltarlo.

Sergio Mattarella non pronuncia mai le parole “Autonomia differenziata” ma nella platea, inevitabilmente, tutti pensano alla riforma a motrice leghista. “Una separazione delle strade tra territori del Nord e territori del Meridione recherebbe gravi danni agli uni e agli altri”, premette il presidente che quindi argomenta la sua riflessione spiegando quanto risolvere la questione meridionale sarebbe utile per l’intero Paese. Al contrario, relegarla nel cassetto dei “problemi non urgenti” è una scelta che frena il pil dell’Italia. “Lo sviluppo della Repubblica ha bisogno del rilancio del Mezzogiorno. E’ appena il caso di sottolineare come una crescita equilibrata e di qualità del Sud d’Italia assicuri grande beneficio all’intero territorio nazionale”, spiega Mattarella raccogliendo pieno consenso dall’uditorio.

“Il mezzogiorno è parte dell’Europa”, incalza il presidente chiedendo di uscire da una logica di “analisi semplificate”. Il problema è complesso e va affrontato dalla politica, insiste elencando le differenze insostenibili tra nord e sud: redditi sensibilmente più bassi; servizi e sanità meno efficienti; tasso di occupazione inferiore; donne svantaggiate; ed infine troppi giovani costretti a lasciare la loro terra per cercare fortuna altrove. Chiuso questo passaggio che in tanti hanno letto come un grido d’allarme rispetto ai pericoli di un’Autonomia mal applicata, il capo dello Stato ha avuto molto da dire sul lavoro in senso stretto. Durissime le sue parole sui continui incidenti nei cantieri e nelle fabbriche: “non possiamo accettare lo stillicidio continuo delle morti, provocate da incurie, da imprudenze, da rischi che non si dovevano correre. Mille morti sul lavoro in un anno rappresentano una tragedia inimmaginabile. Ciascuna di esse è inaccettabile”.

Altrettanto secco il richiamo del Quirinale sulle condizioni nelle quali vengono tenuti in Italia i migranti che, regolari o irregolari, spesso vivono il lavoro ai confini della schiavitù: “i lavoratori migranti sono parte essenziale della produzione agricola e delle successive trasformazioni dei suoi prodotti. Ma, in alcuni casi, aree grigie di lavoro – che confinano con l’illegalità, con lo sfruttamento o addirittura se ne avvalgono – generano ingiustizia e, inoltre, insicurezza, tensioni, conflitti. E offrono spazi alle organizzazioni criminali. Vigilare sulle delinquenziali forme di capolarato è, quindi, un preciso dovere. Così come – aggiunge Mattarella – bisogna vigilare sulle condizioni inumane in cui vengono, in alcuni casi, scaraventati i lavoratori stagionali, talvolta senza nome né identità”. Ed ancora, mentre non si spengono le polemiche sulle parole del generale Vannacci sulla disabilità nelle scuole, Mattarella mostra di pensarla diversamente: purtroppo “perdurano le difficoltà di chi sopporta una disabilità, il peso degli oneri di assistenza che non di rado spingono nel bisogno anche famiglie di chi un lavoro ce l’ha”. Non poteva mancare quindi il consueto augurio per la buona riuscita del Concertone di Roma, quest’anno accompagnato da un invito ai giovani a “preparare il futuro senza cedere alla paura o alla sfiducia”.

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