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Cronache

2,3 miliardi sequestrati dalla Finanza, frodi su covid e superbonus

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L’ultimo sequestro risale al 31 gennaio scorso. 440 milioni di fondi stanziati dallo Stato per aiutare le imprese e i commercianti in difficolta’ erano finiti nelle mani di professionisti, imprenditori e commercialisti che non ne avevano diritto e che hanno potuto metterci sopra le mani creando e commercializzando falsi crediti d’imposta: avevano messo su una vera e propria associazione che si era estesa in diverse regioni, ha scoperto la Guardia di Finanza che e’ riuscita a sequestrare 378 milioni e ha registrato gli indagati che al telefono ridevano della pandemia: “il Covid ha portato bene”. Sono solo una parte di quei 2,3 miliardi sequestrati dai finanzieri negli ultimi mesi nell’ambito dei controlli per intercettare i tentativi di frode sulla cessione dei crediti d’imposta sfruttando le agevolazioni dai vari bonus edilizi varati dal governo. Controlli che saranno implementati, sempre piu’ “selettivi e mirati” in base ad un’indice di rischio, passando al setaccio le attivita’ tributarie, le verifiche antimafia, le ispezioni antiriclaggio e le banche dati. Il ministro dell’Economia Daniele Franco ha parlato di una delle “truffe piu’ grandi che il Paese abbia mai visto” e i numeri della Gdf confermano che si tratta di cifre imponenti. Nell’audizione alla commissione Bilancio del Senato il capo ufficio tutela entrate delle Fiamme Gialle, il colonnello Paolo Consiglio, ha fatto un quadro di quella che e’ la situazione sottolineando che le indagini da un lato hanno confermato “l’alto rischio di frode e riciclaggio” connessi alla circolazione dei crediti, dovuto alla possibile natura fittizia di questi ultimi ma anche all’utilizzo di capitali illeciti per l’acquisto e allo svolgimento di attivita’ finanziarie abusive. E dall’altro hanno messo in evidenza quali siano le frodi piu’ ricorrenti: lavori edilizi dichiarati sulla carta e mai avviati, crediti che vengono ceduti piu’ volte con uno schema ‘a catena’ che ha proprio lo scopo di ostacolare i controlli e l’accertamento delle responsabilita’, immobili sui quali sarebbero stati eseguiti gli interventi agevolati non riconducibili ai beneficiari che originariamente hanno avuto accesso ai benefici, lavori incompatibili con le dimensioni imprenditoriali di chi li effettua. Non e’ un caso, dunque, che la Guardia di Finanza veda “con favore” ogni misure normativa che, “perimetrando adeguatamente il numero delle cessioni e il profilo soggettivo dei cessionari, consenta di minimizzare il rischio di condotte di frode e riciclaggio”. Nel documento consegnato al Parlamento sono citate quattro grandi frodi scoperte: oltre a Rimini, c’e’ l’indagine di Roma che ha portato a novembre al sequestro di oltre 1,3 miliardi in due distinte operazioni: una ha riguardato una societa’ che si proponeva in rete come soggetto capace di far ottenere ai clienti liquidita’ mediante lo smobilizzo immediato di crediti d’imposta mentre la seconda ha portato alla luce un sistema di creazione di crediti inesistenti attraverso soggetti che avevano un profilo reddituale nullo o imprese di dimensioni e attivita’ modeste o in perdita. Altri 110 milioni di crediti fittizi sono stati sequestrati a Napoli in un’indagine che ha riguardato un consorzio che, attraverso una rete di procacciatori, si spacciava come general contractor per l’esecuzione di lavori ai privati, ai quali veniva fatto sottoscrivere un contratto per “appalto lavori con cessione crediti d’imposta”. Il 1 febbraio, infine, sono stati i finanzieri di Perugia a sequestrare 103 milioni: anche in questo caso e’ venuto alla luce l’inesistenza dei crediti d’imposta chiesti per il bonus facciate, il bonus patrimonio edilizio e il bonus locazioni visto che i lavori o non erano mai stati fatti, o sono stati eseguiti in parte o c’erano dei contratti d’affitto falsi.

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Last Banner, aumentano le condanne per gli ultrà della Juventus

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Sugli ultrà della Juventus la giustizia mette il carico da undici. Resta confermata l’ipotesi di associazione per delinquere, l’estorsione diventa ‘consumata’ e non solo più ‘tentata’, le condanne aumentano. Il processo d’appello per il caso Last Banner si chiude, a Torino, con una sentenza che vede Dino Mocciola, leader storico dei Drughi, passare da 4 anni e 10 mesi a 8 anni di carcere; per Salvatore Ceva, Sergio Genre, Umberto Toia e Giuseppe Franzo la pena raggiunge i 4 anni e 7 mesi, 4 anni e 6 mesi, 4 anni e 3 mesi, 3 anni e 11 mesi. A Franzo viene anche revocata la condizionale.

La Corte subalpina, secondo quanto si ricava dal dispositivo, ha accettato l’impostazione del pg Chiara Maina, che aveva chiesto più severità rispetto al giudizio di primo grado. Secondo le accuse, le intemperanze da stadio e gli scioperi del tifo furono, nel corso della stagione 2018-19, gli strumenti con cui le frange più estreme della curva fecero pressione sulla Juventusper non perdere agevolazioni e privilegi in materia di biglietti. Fino a quando la società non presentò la denuncia che innescò una lunga e articolata indagine della Digos. Già la sentenza del tribunale, pronunciata nell’ottobre del 2021, era stata definita di portata storica perché non era mai successo che a un gruppo ultras venisse incollata l’etichetta di associazione per delinquere. Quella di appello si è spinta anche oltre.

Alcune settimane fa le tesi degli inquirenti avevano superato un primo vaglio della Cassazione: i supremi giudici, al termine di uno dei filoni secondari di Last Banner, avevano confermato la condanna (due mesi e 20 giorni poi ridotti in appello) inflitta a 57enne militante dei Drughi chiamato a rispondere di violenza privata: in occasione di un paio di partite casalinghe della Juve, il tifoso delimitò con il nastro adesivo le zone degli spalti che gli ultrà volevano per loro e allontanò in malo modo gli spettatori ‘ordinari’ che cercavano un posto. Oggi il commento a caldo di Luigi Chiappero, l’avvocato che insieme alla collega Maria Turco ha patrocinato la Juventus come legale di parte civile, è che “il risultato, cui si è giunti con una azione congiunta della questura e della società, è anche il frutto dell’impegno profuso per aumentare la funzionalità degli stadi”. “Senza la complessa macchina organizzativa allestita in materia di sicurezza – spiega il penalista – non si sarebbe mai potuto conoscere nei dettagli ciò che accadeva nella curva”. Fra le parti civili c’era anche Alberto Pairetto, l’uomo della Juventus incaricato di tenere i rapporti con gli ultrà.

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Malore in caserma, muore vigile del fuoco

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Ha accusato un malore nella notte tra domenica e lunedì nella caserma dei vigili del fuoco del Lingotto a Torino ed è morto dopo circa un’ora all’ospedale delle Molinette, dove era stato ricoverato. L’uomo, Samuele Del Ministro, aveva 50 anni ed era originario di Pescia (Pistoia). In una nota i colleghi del comando vigili del fuoco di Pistoia ricordano come Del Ministro avesse iniziato il suo percorso nel corpo nazionale dei vigili del fuoco con il servizio di leva, per poi entrare in servizio permanente nel 2001, proprio al comando provinciale di Torino, da cui fu poi trasferito al comando di Pistoia.

Per circa vent’anni ha prestato servizio nella sede distaccata di Montecatini Terme (Pistoia), specializzandosi in tecniche speleo alpino fluviali e tecniche di primo soccorso sanitario. Ha partecipato a tante fasi emergenziali sul territorio nazionale: dal terremoto a L’Aquila, all’incidente della Costa Concordia all’Isola del Giglio, fino al terremoto nel centro Italia. “Un vigile sempre in prima linea – si legge ancora -, poi il passaggio di qualifica al ruolo di capo squadra con assegnazione al comando vigilfuoco di Torino e a breve sarebbe rientrato al comando provinciale di Pistoia. Del Ministro lascia la moglie e due figli”.

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Nei campi 200 milioni di danni, razzia cinghiali

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Vigneti e uliveti, ma anche pascoli e prati, campi di mais e cereali, coltivazioni di girasole, ortaggi: è lunga la lista della razzia compiuta dalla fauna selvatica “incontrollata” dove i cinghiali, con una popolazione che ha raggiunto i 2,3 milioni di esemplari sul territorio nazionale, costituiscono il pericolo maggiore. La conseguenza sono 200 milioni di euro di danni solo nell’ultimo anno all’agricoltura italiana. La Puglia, con oltre 30 milioni di euro e 250mila cinghiali, e la Toscana con oltre 20 milioni di cui l’80% a causa dei 200mila cinghiali, sono le regioni che hanno pagato di più. Questa la fotografia scattata dalla Coldiretti in occasione delle 96 Assemblee organizzate in contemporanea su tutto il territorio nazionale, con la partecipazione di oltre 50mila agricoltori, per celebrare dai territori gli 80 anni dell’associazione agricola.

In particolare, secondo la mappa realizzata da Coldiretti, nel Lazio i danni stimati dai soli cinghiali (100mila esemplari) superano i 10 milioni di euro e in alcuni casi riguardano anche l’80% del raccolto. Oltre 10 milioni di euro i danni stimati in Calabria. Un fenomeno che si sta espandendo anche ad aree prima meno frequentate come quelle del Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia (20mila esemplari) e in Valle d’Aosta dove i cinghiali si sono spinti fino a quote che superano i 2mila metri. Pesante la situazione in Emilia Romagna dove solo nel Reggiano si stimano almeno 50mila esemplari; “dramma” sul fronte seminativi (specie per mais e girasole) in Umbria con una popolazione stimata di circa 150mila cinghiali. Sei milioni di euro i danni in Basilicata e 5 in Piemonte.

Qui la superficie danneggiata nel 2023 è stata di 34.432 ettari. Colpiti anche l’Abruzzo (i capi superano ampiamente le 100mila unità) con 4,5 milioni di euro di risarcimenti richiesti nel 2022, il Molise (40mila cinghiali) e la Campania (stimati danni per circa oltre 4 milioni di euro). Critica la situazione in Sardegna soprattutto a ridosso delle aree protette mentre in Sicilia non ci sono territori immuni e salgono i costi per la difesa, come i recinti elettrici. In Liguria da tempo i cinghiali si sono spinti fino alla costa e tanti i danni non solo alle colture ma anche ai tipici muretti a secco. Nelle Marche il 75% dei danni in agricoltura da fauna selvatica è causato dai cinghiali. Tra risarcimenti alle aziende agricole e da incidenti stradali la Regione spende circa 2 milioni di euro all’anno.

Risarcimenti, lamentano gli agricoltori, che arrivano spesso dopo molti anni e solo in minima parte. “Non coprono mai il valore reale del prodotto distrutto, con la conseguenza – rileva Coldiretti – che molti rinunciano a denunciare”. Cinghiali e fauna selvativa anche causa di incidenti, 170 nel 2023, ricorda l’associazione agricola, secondo l’analisi su dati Asaps, in aumento dell’8% rispetto all’anno precedente. A questo si aggiunge l’allarme della peste suina africana, non trasmissibile all’uomo, che i cinghiali, ricorda Coldiretti, rischiano di diffondere nelle campagne mettendo in pericolo gli allevamenti suinicoli e con essi un settore che, tra produzione e indotto, vale circa 20 miliardi di euro e dà lavoro a centomila persone. Da qui la richiesta dalle Assemblee Coldiretti “di mettere un freno immediato alla proliferazione dei selvatici, dando la possibilità agli agricoltori di difendere le proprie terre. Mancano, infatti, i piani regionali straordinari di contenimento”.

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