Il vuoto è dolore, colore, memoria, paura, immaginazione, anonimato nel mezzo di una folla o brivido di una totale solitudine, nostalgia di un orizzonte perduto o desiderio di un orizzonte nuovo. E da che cosa nasce il vuoto? Da un’assenza. Assenza di una parte di noi stessi: di ciò che siamo stati e non siamo più, di ciò che vorremmo essere e non saremo mai. O assenza di un altro, che solo nel vuoto creato dalla sua sparizione riusciamo a riconoscere davvero.
Tutte le foto della presentazione del romanzo al teatro Diana sono di Giovanni de Giovanni
È intorno a questo tema esistenziale, profondamente intimo e difficile da districare, che si snoda l’ultimo romanzo di Maurizio de Giovanni, arrivato in libreria da qualche giorno. Il titolo è, appunto, “Vuoto per i bastardi di Pizzofalcone”, l’editore Einaudi Stile Libero.
Lo spunto è dato dalla scomparsa di una donna come tante: Chiara, un’insegnante «né giovane né anziana, né bella né brutta», che solo abbandonando di colpo, per ragioni misteriose, la quotidianità di una vita in sordina riesce a diventare importante agli occhi di tanti. Quelli della sua amica e collega, Gloria, che ne denuncia la sparizione. E quelli di tutti i “bastardi”, ognuno dei quali si ritrova a fare i conti con il suo vuoto personale perché, come noi fedeli lettori di De Giovanni sappiamo bene, tutti al commissariato di Pizzofalcone si portano dentro pozze profonde d’assenza che cercano di riempireciascuno a suo modo, ciascuno con la sua personale interpretazione della disperazione e della speranza.
Se Vuoto ci permette di ritrovare i personaggi a noi cari da anni e le loro storie sospese, le sue pagine ci offrono anchela scoperta dell’inconsueto. Innanzi tutto c’è una figura nuova, nel commissariato sulla collina: nuova perché mai vista prima, ma nuova anche per origini geografiche. Si tratta di Elsa Martini, vicecommissario proveniente da una piccola cittadina del Piemonte piena di porticati. Elsa è bella, atletica, rossa di capelli, apparentemente fredda nel carattere e tagliente nel linguaggio, come a volersi difendere dai molti rischi dell’umana prossimità. La donna del Nord dovrà inserirsi in una squadra ormai coesa di gente del Sud e venire a patti con i segreti di una città bella e difficile perché Napoli – che, come sempre, fa da magnifica tela di fondo alla narrazione – è, per citare lo stesso Maurizio de Giovanni, meno accogliente di quanto l’immaginario collettivo ipotizzi e pericolosa nel suo calore meteorologico e umano, che può stordire chi al calore non è abituato.
Oltre a Elsa, altre due novità intrigheranno il lettore: la prima è che non c’è, in Vuoto, spargimento di sangue. Non ci sono morti ammazzati. Solo, appunto, un’assenza che non si sa nemmeno se sia volontaria o coatta. La seconda è che l’intreccio narrativo non prevede indagini parallele: tutta la squadra si dedicherà a tempo pieno al caso di Chiara e, di conseguenza, si ritroverà a guardare senza mediazioni distraenti il vuoto di ciascuno dei suoi componenti, cui la sparizione dell’insegnante farà da specchio.
Ultima impressione di novità è data dalla scrittura di De Giovanni: se tutti i libri precedenti sono vergati con indubbia sapienza, eleganza e fluidità, questo raggiunge punte di lirismo ancora più alte, più dolenti, più profonde e più incisive del solito, che emozionano chi legge e lo inducono a esplorare anche lui le proprie, di “assenze”. E i tentativi di riempirle come sa, come può e – più raramente – come vuole.
La serata di presentazione in anteprima del libro si è tenuta al Diana del Vomero, quartiere collinare di Napoli. Il grande teatro dove De Giovanni è nato e vive era la sola cosa esente da ogni sospetto di vuoto. Alla fine dello spettacolo la firma delle copie è andata avanti per quasi due ore, con la gente disciplinatamente in coda ad aspettare il proprio turno e dimostrare che il grande romanzo è, sempre e necessariamente, romanzo popolare. I tre moschettieri, Madame Bovary e Guerra e Pace, giusto per citarne tre fra tanti, lo insegnano a chi nutrisse dei dubbi.
Lo spettacolo del Diana ha concesso a tutti di immergersi in alcune delle pagine più belle del nuovo libro: per esempio l’ode alle parole, che hanno il potere di cambiare le vite attraverso le loro “concatenazioni”, nelle quali si scontrano, litigano, si abbracciano e fanno, qualche volta, l’amore. O ancora la parte sulle carezze che sanno esprimere quello che le parole non possono dire, sciolgono i nodi, raccontano in silenzio i sentimenti più veri. Ci sono carezze, dice il libro, il cui «suono è necessario». E basterebbe questa sola frase per acquistare il volume.
In una scenografia onirica, popolata di luci blu e personaggi lievi come sogni o fantasmi, le pagine di Vuotosono state lette con intensità e virtuosismo da Maurizio de Giovanni stesso e da un manipolo di attori di talento: Marianita Carfora, Rosalba Di Girolamo, Isabella Martino e Filippo Scotti. Ad accompagnarne le voci e far eco ai sentimenti era la musica jazz suonata da Leonardo De Lorenzo e Giacinto Piracci, con la partecipazione straordinaria, al sax, del grande Marco Zurzolo.
La squadra Einaudi era presente al completo, a sottolineare non solo l’importanza dello scrittore napoletano nel suo catalogo ma anche il visibile attaccamento di tutto il team all’uomo De Giovanni. Attaccamento che può riassumersi nella frase sussurratada colui che da quindici anni è il suo editor, Francesco Colombo: «Come lui ce ne sono pochi». E non alludeva solo al numero di copie che De Giovanni riesce a vendere ogni volta che torna in libreria e che pure rappresentano un piccolo, consolante miracolo in un paese che non legge.
Wanda Marasco premiata dalla Croce Rossa Italiana per “Di spalle a questo mondo”
La scrittrice napoletana Wanda Marasco riceve il Diploma di merito della Croce Rossa Italiana per il romanzo “Di spalle a questo mondo”, riconosciuto come opera capace di trasmettere i valori fondamentali di umanità, imparzialità e impegno verso il prossimo.
La scrittrice Wanda Marasco ha ricevuto il Diploma di merito della Croce Rossa, conferito motu proprio dal presidente nazionale, in base allo Statuti, al regolamento e al decreto legislativo che regolano l’azione dell’ente .
Si tratta di un riconoscimento importante che lega il lavoro letterario di Marasco ai valori fondamentali del Movimento Internazionale della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa.
Il romanzo “Di spalle a questo mondo” al centro della motivazione
Il premio viene attribuito in particolare per l’opera “Di spalle a questo mondo”, con la seguente motivazione ufficiale: la scrittrice è stata insignita del Diploma di merito “in riconoscimento dell’opera letteraria Di spalle a questo mondo con la quale ha saputo trasmettere i valori fondamentali della Croce Rossa, rendendo con sobrietà e profondità la centralità dell’umanità, dell’imparzialità e dell’impegno verso il prossimo. L’opera, con una narrazione attenta e rigorosa, contribuisce alla diffusione culturale e alla riflessione etica sul significato universale della solidarietà e della responsabilità civile, offrendo un esempio di impegno culturale pienamente coerente con i principi umanitari che ispirano la missione del Movimento Internazionale della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa”.
Una scrittura che unisce etica, umanità e rigore
Nel riconoscimento alla sua opera viene messo in luce non solo il valore letterario del romanzo, ma anche la capacità di tenere insieme profondità narrativa e impegno etico. La scrittura di Wanda Marasco viene così letta come strumento di consapevolezza civile, capace di richiamare il lettore alla responsabilità verso l’altro e alla centralità dell’umanità nelle relazioni sociali.
Una voce già raccontata su Juorno
Su Juorno il lavoro di Wanda Marasco è stato già raccontato come una delle esperienze più significative della narrativa italiana contemporanea. Questo nuovo riconoscimento della Croce Rossa Italiana conferma il valore della sua voce e la coerenza del suo percorso: una scrittura che non cerca solo la bellezza formale, ma che si misura con i temi della dignità, della fragilità umana e della solidarietà.
Addio a Giorgio Forattini, il re della satira: funerali a colori per lo spirito libero che ha raccontato l’Italia con una vignetta
Milano saluta Giorgio Forattini con un funerale “a colori”. Il re della satira, morto a 94 anni, ricordato da colleghi e amici come un uomo libero, ironico e gentile.
“Quando hai smesso di disegnare è finita un’epoca”. È una delle frasi lasciate sui registri all’ingresso della chiesa di Santa Francesca Romana, nel cuore di Porta Venezia a Milano, dove questa mattina si sono svolti i funerali di Giorgio Forattini, il più celebre vignettista e maestro della satira italiana, scomparso il 4 novembre a 94 anni.
La chiesa era gremita per un funerale “a colori”, come lo avrebbe voluto lui. Fiori vivaci, cappotti rossi, arancio, celesti, a ricordare la vitalità e l’ironia con cui per mezzo secolo Forattini ha raccontato l’Italia dalle pagine di La Repubblica e Il Giornale.
Il saluto di Ilaria Cerrina Ferroni: “Amava i colori e la gentilezza”
“Oggi sono in rosso perché Giorgio amava i colori”, ha raccontato la moglie Ilaria Cerrina Ferroni, spiegando di aver prestato i suoi cappotti agli amici più cari. “Lo amavano tantissimo, c’è stata una partecipazione straordinaria, che si merita, perché era un uomo buono e gentile”.
Come in uno dei suoi giorni di lavoro, la salma è entrata in chiesa accompagnata da musica celtica, quella che Forattini ascoltava “a tutto volume” mentre disegnava.
Giornalisti, artisti e amici per l’ultimo saluto
Tanti i volti noti del giornalismo e della cultura presenti: Ferruccio de Bortoli, Lina Sotis, Stella Pende, Salvatore Carrubba, insieme alla stilista Chiara Boni, al musicista Mario Lavezzi e all’editore Urbano Cairo.
“Era un grande pensatore libero, capace di sintetizzare un editoriale in una vignetta”, ha detto Cairo. “La sua indipendenza lo ha portato a lasciare anche giornali importanti: non si piegava, non aveva paura di dire ciò che pensava. Oggi c’è bisogno di persone come lui”.
Per Carrubba, Forattini è stato “uno spirito libero e anticonformista”, mentre don Aldo Monga, durante l’omelia, ha ricordato la sua onestà intellettuale.
Un uomo libero, un artista che ha fatto riflettere
“Le sue vignette rimarranno nella memoria della gente come le canzoni”, ha detto Mario Lavezzi, amico di lunga data. “Con la sua penna Giorgio faceva riflettere e toccava corde umane profonde”.
La stilista Chiara Boni ha ricordato un episodio degli anni ’80: “Durante una mia sfilata, D’Agostino commentava in modo terribile: lui e Ilaria erano in prima fila, piegati in due dalle risate. Era la sua ironia, la sua leggerezza”.
L’ultimo viaggio a Monte Porzio Catone
Pur avendo trovato casa e serenità a Milano, le ceneri di Giorgio Forattini saranno tumulate nel cimitero di Monte Porzio Catone, vicino Roma, accanto ai genitori, al fratello e al figlio Fabio, prematuramente scomparso.
Così si chiude la vita di uno dei più grandi osservatori del potere e dei suoi paradossi, un artista che, con una vignetta, sapeva raccontare un intero Paese.
Addio a Giorgio Forattini, il re della satira italiana: una vita a disegnare il potere
È morto a 94 anni Giorgio Forattini, il più celebre vignettista italiano, autore di oltre diecimila disegni che hanno raccontato con ironia e coraggio mezzo secolo di politica italiana. Dalla Dc a D’Alema, il re della satira che fece ridere e infuriare il potere.
È morto a 94 anni Giorgio Forattini, il vignettista che ha rivoluzionato la satira politica in Italia. Nato a Roma nel 1931, è stato il primo disegnatore satirico pubblicato quotidianamente in prima pagina sui giornali, guadagnandosi l’appellativo di “re della satira”. La notizia della sua scomparsa è stata data da Il Giornale, una delle ultime testate con cui aveva collaborato.
Una carriera lunga mezzo secolo
Forattini ha firmato oltre diecimila vignette pubblicate su Paese Sera, La Repubblica, La Stampa, Il Giornale, QN, L’Espresso e Panorama, disegnando con ironia pungente e spesso corrosiva vizi, virtù e ipocrisie della politica italiana. Le sue prime vignette apparvero nel 1973 su Panorama e nel 1974 su Paese Sera, ma la consacrazione arrivò con la vignetta dedicata al referendum sul divorzio: una bottiglia di champagne con il tappo dalle sembianze di Amintore Fanfani che vola via.
Quel disegno fece epoca e segnò l’inizio di una carriera che avrebbe unito arte, giornalismo e satira civile.
GIORGIO FORATTINI
Da “La Repubblica” a “La Stampa”: l’artista che sfidò il potere
Nel 1976 Forattini fu tra i fondatori de La Repubblica di Eugenio Scalfari, dove creò la storica rubrica “Satyricon”, primo inserto italiano interamente dedicato alla satira. Lì collaborò con autori come Sergio Staino ed Ellekappa, definendo un nuovo modo di raccontare la politica. Nel 1982 passò a La Stampa, dove firmò ogni giorno la vignetta in prima pagina e rinnovò l’impianto grafico del giornale. Tornò poi a Repubblica nel 1984 e vi restò fino al clamoroso addio del 1999, dopo la querela per una vignetta su Massimo D’Alema relativa al caso Mitrokhin.
Polemiche, processi e libertà di satira
Forattini non fu mai tenero con nessuno: Craxi, D’Alema, Berlinguer, Spadolini, Prodi, Berlusconi, Bossi, Fanfani — tutti finirono sotto la sua matita tagliente. Le sue caricature restano memorabili: Craxi come un piccolo duce, D’Alema come un Hitler comunista, Amato come Topolino, Veltroni come un bruco, Prodi come un prete, e così via in una galleria che racconta cinquant’anni di storia italiana.
La sua satira fu spesso oggetto di querelle politiche e giudiziarie. Solo da esponenti della sinistra ricevette una ventina di querele, mentre nel 1982 subì persino critiche dal Vaticano per una vignetta su Giovanni Paolo II e Lech Walesa.
Celebre anche il caso del 1999, quando D’Alema lo querelò chiedendo tre miliardi di lire di risarcimento. Forattini, per protesta, disegnò per mesi il premier “senza volto”.
GIORGIO FORATTINI
Un innovatore della comunicazione
Prima di diventare vignettista, Forattini aveva lavorato come pubblicitario e copywriter per Fiat e Alitalia, firmando campagne di successo. Questo background lo rese uno dei primi a coniugare linguaggio visivo e giornalismo con modernità e ritmo.
Tra i suoi oltre 55 libri pubblicati, molti editi da Mondadori, figurano raccolte di successo come Referendum Reverendum (1975), Il Forattone. 1973-2015 e Arièccoci. La Storia si ripete. L’ultimo, Abbecedario della politica (2017), spiegava con ironia “come nasce una vignetta”.
Premi, riconoscimenti e un’eredità immensa
Nel corso della sua carriera ha ricevuto il Premiolino, il Premio Hemingway, il Premio Ischia Internazionale di Giornalismo, il Pannunzio e l’Ambrogino d’Oro dal Comune di Milano nel 1997. È stato giurato del Premio di satira di Forte dei Marmi e ha ottenuto la cittadinanza onoraria ad Asti e la benemerenza civica di Trieste.
SILVIO BERLUSCONI e GIORGIO FORATTINI
Il disegnatore che fece pensare gli italiani
Giorgio Forattini non è stato solo un vignettista, ma un cronista del potere, capace di raccontare la politica con la forza dell’ironia e del segno. Le sue vignette non si limitavano a far ridere: smascheravano ipocrisie, provocavano riflessioni, accendevano dibattiti.
Con lui scompare una delle voci più libere e irriverenti del giornalismo italiano. Ma resta la sua eredità: una matita che non ebbe mai paura di disegnare la verità.
(Tutte le foto del servizio sono di Imagoecononica)