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Cultura

“Vuoto per i bastardi di Pizzofalcone”, nel suo nuovo romanzo Maurizio de Giovanni ci spiega perché «non c’è niente che sia pieno quanto un vuoto»

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 Il vuoto è dolore, colore, memoria, paura, immaginazione, anonimato nel mezzo di una folla o brivido di una totale solitudine, nostalgia di un orizzonte perduto o desiderio di un orizzonte nuovo. E da che cosa nasce il vuoto? Da un’assenza. Assenza di una parte di noi stessi: di ciò che siamo stati e non siamo più, di ciò che vorremmo essere e non saremo mai. O assenza di un altro, che solo nel vuoto creato dalla sua sparizione riusciamo a riconoscere davvero.

È intorno a questo tema esistenziale, profondamente intimo e difficile da districare, che si snoda l’ultimo romanzo di Maurizio de Giovanni, arrivato in libreria da qualche giorno. Il titolo è, appunto, “Vuoto per i bastardi di Pizzofalcone”, l’editore Einaudi Stile Libero.

Lo spunto è dato dalla scomparsa di una donna come tante: Chiara, un’insegnante «né giovane né anziana, né bella né brutta», che solo abbandonando di colpo, per ragioni misteriose, la quotidianità di una vita in sordina riesce a diventare importante agli occhi di tanti. Quelli della sua amica e collega, Gloria, che ne denuncia la sparizione. E quelli di tutti i “bastardi”, ognuno dei quali si ritrova a fare i conti con il suo vuoto personale perché, come noi fedeli lettori di De Giovanni sappiamo bene, tutti al commissariato di Pizzofalcone si portano dentro pozze profonde d’assenza che cercano di riempireciascuno a suo modo, ciascuno con la sua personale interpretazione della disperazione e della speranza.

Se Vuoto ci permette di ritrovare i personaggi a noi cari da anni e le loro storie sospese, le sue pagine ci offrono anchela scoperta dell’inconsueto. Innanzi tutto c’è una figura nuova, nel commissariato sulla collina: nuova perché mai vista prima, ma nuova anche per origini geografiche. Si tratta di Elsa Martini, vicecommissario proveniente da una piccola cittadina del Piemonte piena di porticati. Elsa è bella, atletica, rossa di capelli, apparentemente fredda nel carattere e tagliente nel linguaggio, come a volersi difendere dai molti rischi dell’umana prossimità. La donna del Nord dovrà inserirsi in una squadra ormai coesa di gente del Sud e venire a patti con i segreti di una città bella e difficile perché Napoli – che, come sempre, fa da magnifica tela di fondo alla narrazione – è, per citare lo stesso Maurizio de Giovanni, meno accogliente di quanto l’immaginario collettivo ipotizzi e pericolosa nel suo calore meteorologico e umano, che può stordire chi al calore non è abituato.

Oltre a Elsa, altre due novità intrigheranno il lettore: la prima è che non c’è, in Vuoto, spargimento di sangue. Non ci sono morti ammazzati. Solo, appunto, un’assenza che non si sa nemmeno se sia volontaria o coatta. La seconda è che l’intreccio narrativo non prevede indagini parallele: tutta la squadra si dedicherà a tempo pieno al caso di Chiara e, di conseguenza, si ritroverà a guardare senza mediazioni distraenti il vuoto di ciascuno dei suoi componenti, cui la sparizione dell’insegnante farà da specchio.

Ultima impressione di novità è data dalla scrittura di De Giovanni: se tutti i libri precedenti sono vergati con indubbia sapienza, eleganza e fluidità, questo raggiunge punte di lirismo ancora più alte, più dolenti, più profonde e più incisive del solito, che emozionano chi legge e lo inducono a esplorare anche lui le proprie, di “assenze”. E i tentativi di riempirle come sa, come può e – più raramente – come vuole.

La serata di presentazione in anteprima del libro si è tenuta al Diana del Vomero, quartiere collinare di Napoli. Il grande teatro dove De Giovanni è nato e vive era la sola cosa esente da ogni sospetto di vuoto. Alla fine dello spettacolo la firma delle copie è andata avanti per quasi due ore, con la gente disciplinatamente in coda ad aspettare il proprio turno e dimostrare che il grande romanzo è, sempre e necessariamente, romanzo popolare. I tre moschettieri, Madame Bovary e Guerra e Pace, giusto per citarne tre fra tanti, lo insegnano a chi nutrisse dei dubbi.

Lo spettacolo del Diana ha concesso a tutti di immergersi in alcune delle pagine più belle del nuovo libro: per esempio l’ode alle parole, che hanno il potere di cambiare le vite attraverso le loro “concatenazioni”, nelle quali si scontrano, litigano, si abbracciano e fanno, qualche volta, l’amore. O ancora la parte sulle carezze che sanno esprimere quello che le parole non possono dire, sciolgono i nodi, raccontano in silenzio i sentimenti più veri. Ci sono carezze, dice il libro, il cui «suono è necessario». E basterebbe questa sola frase per acquistare il volume.

In una scenografia onirica, popolata di luci blu e personaggi lievi come sogni o fantasmi, le pagine di Vuotosono state lette con intensità e virtuosismo da Maurizio de Giovanni stesso e da un manipolo di attori di talento: Marianita Carfora, Rosalba Di Girolamo, Isabella Martino e Filippo Scotti. Ad accompagnarne le voci e far eco ai sentimenti era la musica jazz suonata da Leonardo De Lorenzo e Giacinto Piracci, con la partecipazione straordinaria, al sax, del grande Marco Zurzolo.

La squadra Einaudi era presente al completo, a sottolineare non solo l’importanza dello scrittore napoletano nel suo catalogo ma anche il visibile attaccamento di tutto il team all’uomo De Giovanni. Attaccamento che può riassumersi nella frase sussurratada colui che da quindici anni è il suo editor, Francesco Colombo: «Come lui ce ne sono pochi». E non alludeva solo al numero di copie che De Giovanni riesce a vendere ogni volta che torna in libreria e che pure rappresentano un piccolo, consolante miracolo in un paese che non legge.

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Museo di Capodimonte, il fotovoltaico invisibile e l’organico in aumento

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È il primo grande museo nazionale con i tetti in fotovoltaico invisibili, Capodimonte, a Napoli, ha fatto da apripista per altri siti, altri musei per avviare un progetto di efficientamento energetico: Federico Mollicone, presidente della Commissione cultura della Camera ha aperto il suo giro di visite nei musei italiani proprio con Capodimonte. Con lui la commissione che sotto la guida del direttore del museo, Sylvain Bellenger, lo ha girato in lungo e in largo.

“Mostriamo vicinanza a Capodimonte, spiega Mollicone, che sta diventando anche luogo di narrazione e di diplomazia culturale con la prossima mostra al Louvre di Parigi. E’ un’eccellenza ma sappiamo anche che ci sono criticità strutturali che vengono dal passato. Con il ministro Sangiuliano e con la Commissione oggi qui il Parlamento sostiene l’indirizzo in corso che ha delle esigenze di bilancio, ad esempio sul personale e sui restauratori. C’è stato già un grande lavoro su questo e dalle prossime settimane si può rafforzare l’organico. Le criticità nei grandi musei, ha infine detto il deputato, ci sono, nonostante la passione di direttori come Bellenger e altri, ma ci sono limiti di finanza pubblica in strutture meravigliose che hanno problemi di riqualificazione e manutenzione. Il ministro ha presentato politiche attive di defiscalizzazione che estendano il bonus per portare veri sostegni strutturali, dopo il tanto che è stato già fatto con i fondi Ue”.

 

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È morta Bice Biagi, figlia di Enzo, giornalista e scrittrice

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La giornalista Bice Biagi, figlia di Enzo,  è morta: aveva 75 anni. Lo ha reso noto Articolo 21, associazione alla quale la giornalista e scrittrice nata a Bologna contribuiva nel ruolo di garante. “Ha sempre avuto come impegno – ricorda Articolo 21 – la difesa dei diritti delle donne e come baluardo di riferimento la Costituzione”, coerente con l’insegnamento di suo padre Enzo. Fin da giovane del resto era stata protagonista di battaglie di libertà.

 

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Schiava la madre di Leonardo, trovato atto liberazione

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Un documento originale, ritrovato dallo studioso Carlo Vecce nell’Archivio di Stato di Firenze, riscrive la storia di Caterina, madre di Leonardo da Vinci: una giovane originaria dell’antica Circassia, regione del Caucaso, arrivata come schiava a Firenze e liberata con un atto scritto dal notaio Piero da Vinci, padre di Leonardo, il 2 novembre 1452. A renderlo noto lo stesso Vecce che proprio da questo atto ha fatto partire la sua ricerca che lo ha portato poi a pubblicare con Giunti ‘Il sorriso di Caterina’, biografia romanzata della madre del Genio da Vinci.

“La madre di Leonardo era una ragazza della Circassia – rivela Vecce, professore dell’Università di Napoli e studioso della civiltà del Rinascimento – che a un certo punto della sua vita è stata rapita e venduta più volte come schiava fino ad arrivare da Costantinopoli a Venezia e poi a Firenze dove ha incontrato il padre di Leonardo da Vinci”. L’ipotesi che Caterina potesse essere una schiava girava però da tempo.

“Un po’ per caso, qualche anno fa, sono venuti fuori questi documenti e ho iniziato a studiarli per dimostrare che questa Caterina schiava non fosse la madre di Leonardo, ma alla fine tutte le evidenze andavano in direzione contraria, soprattutto questo documento di liberazione”. Con le parole “filia Jacobi eius schlava sue serva de partibus Circassie”, l’atto ritrovato attesta la liberazione della schiava Caterina, figlia di Jacob, da parte della sua padrona di Firenze, monna Ginevra. Nel suo romanzo poi Vecce arriva a immaginare che Jacob fosse un principe del Caucaso, ma questo rientra tra le licenze letterarie che l’autore si concede tra un documento storico e l’altro. “Quello che c’è nel libro è reale – ha precisato l’autore .- Nel libro la fiction interviene solo per connettere le loro storie e integrare le lacune”.

Tra i punti fermi della narrazione c’è il fatto che Caterina sia arrivata a Firenze grazie a un avventuriero fiorentino di nome Donato che prima di morire, nel 1466, lascia i suoi soldi al convento di San Bartolomeo a Monte Oliveto per la realizzazione della cappella di famiglia. Il notaio che scrive il suo testamento, anch’esso custodito dall’Archivio di Firenze, è sempre Piero da Vinci. Proprio per quella chiesa Leonardo dipinse la sua prima opera, l’Annunciazione in cui, secondo Vecce si vede l’influsso della madre. “Nel dipinto ci sono una montagna e una città marina – spiega Vecce -, Caterina potrebbe avergli raccontato i luoghi della sua infanzia”. Per l’autore “Caterina ha lasciato a Leonardo una grande eredità, sicuramente lo spirito di libertà, il desiderio più grande di una schiava. Nell’opera di Leonardo, infatti, troviamo l’idea di libertà prima di ogni altra cosa”. Oltre a questo, il romanzo, anche se incentrato sulla figura della madre, cambia anche la storia dello stesso Leonardo. Il genio, ha detto Vecce, “non è italiano, lo è solo per metà. È figlio di un notaio, ma per l’altra metà Leonardo è figlio di una straniera, di una schiava, di una donna al più basso gradino sociale di quell’epoca, una donna scesa da un barcone”. Vecce infine racconta che recentemente a Milano, dietro Sant’Ambrogio, nei lavori per la nuova sede dell’Università Cattolica, sta ricomparendo la cappella dell’Immacolata Concezione, nella cui cripta sono stati trovati resti umani di antiche sepolture. Forse, ipotizza Vecce, anche i resti di Caterina, morta a Milano tra le braccia del figlio Leonardo nel 1494, e sepolta in quel luogo.

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