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Von der Leyen: Putin sia processato per crimini di guerra

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“Putin deve perdere questa guerra e rendere conto delle sue azioni” davanti alla giustizia internazionale. Di ritorno a Berlino dal suo secondo viaggio a Kiev dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, Ursula von der Leyen non esita a condannare i crimini di guerra commessi dal leader del Cremlino e dalle sue truppe. Parlando al canale tv del quotidiano tedesco Bild che le chiedeva se si potesse ipotizzare di vedere un giorno Putin alla sbarra alla Corte Penale internazionale dell’Aja, ha risposto: “E’ possibile, in fin dei conti e’ lui il responsabile” delle atrocita’ e delle violazioni commesse in Ucraina. “Ed e’ per questo – ha spiegato – che sosteniamo la raccolta delle prove”. A Kiev e’ stata ricevuta dal presidente Volodymyr Zelensky, reduce da un incidente stradale nella notte senza gravi conseguenze. Di nuovo vestita dei colori della bandiera ucraina, giallo e blu, la leader europea ha assicurato: “Saremo al vostro fianco finche’ necessario, saremo amici per sempre”. E ha insistito sulla necessita’ di continuare “a sostenere l’Ucraina militarmente con tutti i mezzi di cui ha bisogno”, compresi i carri armati da combattimento che Kiev richiede. Zelensky e Von der Leyen – insignita dell’onorificenza di Prima Classe dell’Ordine del Principe Yaroslav il Saggio – hanno discusso anche del percorso di adesione dell’Ucraina all’Ue e del suo ingresso nel mercato unico come chiesto dal presidente ucraino, che da parte sua ha teso una mano agli alleati sul fronte energetico, offrendo elettricita’ a basso costo. Intanto con il suo esercito costretto alla ritirata da una vasta area dell’est dell’Ucraina, Putin vuole dimostrare di avere ancora il coltello dalla parte del manico. E lo fa sganciando missili sulla linea del fronte nelle regioni di Dnipropetrovsk, Zaporizhzhia, Donetsk, ancora l’oblast di Kharkiv, e a sud a Mykolaiv e Kherson.

Ma in queste ore la rabbia e la vendetta del Cremlino per la riconquista da parte ucraina di “400 localita’” si sono riversate in particolare sulla citta’ natale del suo nemico numero uno, Zelensky. Kryvyi Rih, nel centro sud del Paese, e’ stata bersaglio di almeno 9 missili in due giorni. Gli attacchi hanno colpito la diga idroelettrica sul fiume Inhulets, le cui acque hanno inondato le strade e costretto all’evacuazione di parte dei residenti. “Il sistema idrico non aveva alcun valore militare e centinaia di migliaia di civili dipendono da esso ogni giorno”, ha accusato in un video messaggio notturno un inferocito Zelensky. E il suo ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba, ha denunciato un altro “crimine di guerra”: “Sconfitti dall’esercito ucraino sul campo di battaglia, i codardi russi ora sono in guerra contro le nostre infrastrutture sensibili e civili. La Russia – ha scritto su Twitter – e’ uno Stato terrorista e come tale deve essere riconosciuto”. Nel corso del pomeriggio il livello dell’acqua era gia’ sceso di 40 centimetri, ma secondo un rapporto dell’Institute for the Study of War (Isw) gli attacchi alla diga potrebbero avere l’obiettivo di danneggiare i ponti di barche ucraini piu’ a valle per interrompere la controffensiva a Kherson. Passato l’effetto sorpresa sui russi a Izyum, il ritmo della riconquista di territori occupati e’ certamente rallentato rispetto all’avanzata lampo di una settimana fa. Ma ormai, sostiene Zelensky, “il percorso verso la restituzione di tutti i nostri territori si sta delineando in modo piu’ chiaro”. “Vediamo i contorni del ripristino dell’integrita’ territoriale del nostro Stato. E’ un percorso difficile. Ma e’ possibile percorrerlo e lo stiamo facendo”, ha detto il presidente su Telegram. Le autorita’ locali di Zaporizhzhia hanno annunciato per esempio che “gli occupanti hanno ritirato truppe ed equipaggiamenti da molti villaggi e citta’ vicini alla linea di contatto nella regione”, dove resta ancora sotto il controllo russo la centrale nucleare di Energodar, costantemente presa di mira.

A Vienna il Consiglio dei governatori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) ha adottato – con il voto contrario di Russia e Cina – una risoluzione che chiede a Mosca di ritirarsi dall’impianto, per evitare rischi nucleari. Sembra invece mancato l’obiettivo di Kiev di riprendere Kherson dal mare. Secondo il vice governatore filorusso della regione, Kirill Stremousov, il tentativo di sbarco degli ucraini sulla sottile striscia di terra di Kinburn Spit, nel mar Nero, “e’ stato respinto”. “Gli ucraini – ha affermato – non hanno alcuna possibilita’ di entrare nella regione di Kherson”.

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‘Chora è una moschea’, scintille Erdogan-Mitsotakis

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La moschea di Kariye a Istanbul, un tempo chiesa ortodossa di San Salvatore in Chora e tesoro del patrimonio bizantino, diventa tempio della discordia tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il premier greco Kyriakos Mitsotakis, nel giorno della visita del leader ellenico ad Ankara proprio per confermare la stagione di buon vicinato tra i due Paesi dopo decenni di tensioni. Le divergenze sulla moschea si sono riaccese nei giorni scorsi, dopo che il 6 maggio scorso San Salvatore in Chora, chiesa risalente al V secolo e tra i più importanti esempi dell’architettura bizantina di Istanbul, è stata riaperta dopo lavori di restauro durati quattro anni.

Convertita in moschea mezzo secolo dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi ottomani del 1453, Chora è stata trasformata in un museo dopo la Seconda guerra mondiale, quando la Turchia cercò di creare una repubblica laica dalle ceneri dell’Impero Ottomano. Ma nel 2020 è nuovamente diventata una moschea su impulso di Erdogan, poco dopo la decisione del presidente di riconvertire in moschea anche Santa Sofia, che come Chora era stata trasformata in un museo. La riapertura aveva suscitato malcontento ad Atene, con Mitsotakis che aveva definito la conversione della chiesa come “un messaggio negativo” e promesso alla vigilia del suo viaggio ad Ankara di chiedere a Erdogan di tornare sui suoi passi in merito. Una richiesta respinta al mittente: “La moschea Kariye nella sua nuova identità resta aperta a tutti”, ha confermato Erdogan in conferenza stampa accanto a Mitsotakis.

“Come ho detto al premier greco, abbiamo aperto al culto e alle visite la nostra moschea dopo un attento lavoro di restauro in conformità con la decisione che abbiamo preso nel 2020”, ha sottolineato. “Ho discusso con Erdogan della conversione della chiesa di San Salvatore in Chora e gli ho espresso la mia insoddisfazione”, ha indicato in risposta il leader greco, aggiungendo che questo “tesoro culturale” deve “rimanere accessibile a tutti i visitatori”. Nulla di fatto dunque sul tentativo di Atene di riscrivere il destino del luogo di culto. Ma nonostante le divergenze in merito, la visita di Mitsotakis ad Ankara segna un nuovo passo nel cammino di normalizzazione intrapreso dai due Paesi, contrapposti sulla questione cipriota e rivali nel Mediterraneo orientale. A dicembre i due leader hanno firmato una dichiarazione di “buon vicinato” per sancire una fase di calma nei rapporti iniziata dopo il terremoto che ha ucciso più di 50.000 persone nel sud-est della Turchia, all’inizio del 2023. “Oggi abbiamo dimostrato che accanto ai nostri disaccordi possiamo scrivere una pagina parallela su ciò che ci trova d’accordo”, ha sottolineato Mitsotakis accanto a Erdogan, confermando la volontà di “intensificare i contatti bilaterali”. Perché “l’oggi non deve rimanere prigioniero del passato”.

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Kiev, più di 30 località sotto il fuoco russo nel Kharkiv

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Sono ancora in corso i combattimenti nella regione di Kharkiv, nel nord-est dell’Ucraina, dove più di 30 località sono sotto il fuoco russo e quasi 6.000 residenti sono stati evacuati, secondo il governatore regionale. “Più di 30 località nella regione di Kharkiv sono state colpite dall’artiglieria nemica e dai colpi di mortaio”, ha scritto Oleg Synegoubov sui social network.

Il governatore ha aggiunto che dall’inizio dei combattimenti sono stati evacuati da queste zone un totale di 5.762 residenti. Le forze russe hanno attraversato il confine da venerdì per condurre un’offensiva in direzione di Lyptsi e Vovchansk, due città situate rispettivamente a circa venti e cinquanta chilometri a nord-est di Kharkiv, la seconda città del Paese.

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Insulti sui social tra Netanyahu e il leader colombiano Petro

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Scambio di insulti, sui social, tra il presidente colombiano, Gustavo Petro, e il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. Quest’ultimo ha detto che il suo Paese non avrebbe preso “lezioni da un antisemita che sostiene Hamas”, dopo che Petro, pochi giorni fa, aveva chiesto alla Corte penale internazionale dell’Aja di emettere un ordine d’arresto nei confronti di Netanyahu. “Signor Netanyahu, passerai alla storia come un genocida”, ha risposto a sua volta il leader progressista colombiano, smentendo di appoggiare Hamas in quanto “sostenitore della democrazia repubblicana, plebea e laica”. “Sganciare bombe su migliaia di bambini, donne e anziani innocenti non fa di te un eroe. Ti poni al fianco di coloro che hanno ucciso milioni di ebrei in Europa. Un genocida è un genocida, non importa se ha una religione o no. Cerca almeno di fermare il massacro”, ha postato Petro.

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