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Venezia, tassa di sbarco fino a 10 euro per chi arriva

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Venezia non sara’ piu’ gratis per i vacanzieri ‘mordi e fuggi’. A mettere un ‘prezzo’ al capoluogo lagunare, per chi si ferma solo una giornata e non dorme in albergo nella Serenissima, ci pensera’ la ‘tassa di sbarco’, un contributo, alternativo all’imposta di soggiorno, che il Comune potra’ chiedere a chi arriva “con qualunque vettore” (nave, treno, forse auto) nella citta’ antica. Riguardera’ solo i turisti, non chi lavora, studia o si ferma poche ore per motivi professionali. L’obiettivo e’ chiaro: far pagare un contributo a chi usa i servizi di Venezia, ma si porta il panino da casa e se ne va alla sera senza lasciare un euro. Chi pernotta in hotel, infatti, versa gia’ 30 milioni l’anno con l’imposta di soggiorno. La norma e’ prevista dal comma 1129 del maxiemendamento alla Legge di bilancio, approvata stasera dalla Camera. Il Comune di Venezia – dice l’art. 1 – e’ autorizzato “ad adottare nelle proprie politiche di bilancio, in alternativa all’imposta di soggiorno, l’applicazione del contributo di sbarco previsto per le isole minori. Inoltre l’importo massimo consentito per entrambe tali misure e’ elevato a 10 euro”. Una misura gia’ prevista per isole come le Eolie o l’Elba, compresa tra 2,5 e 5 euro, e che verra’ estesa a Venezia. “Adesso il contributo di sbarco a Venezia e’ legge! Studieremo un regolamento equilibrato e partecipato che tuteli chi vive, studia e lavora nel nostro territorio”, ha twittato il sindaco Luigi Brugnaro. La tassa – come anticipato dal primo cittadino – sara’ impiegata in primis per finanziare i costi di pulizia della citta’, invasa da milioni di turisti. Potrebbe trovare immediata applicazione su due categorie di ‘pendolari’ facilmente identificabili: quelli che scendono in giornata dalle grandi navi da crociera, e chi arriva a San Marco con i ‘lancioni’ gran turismo dalle localita’ del litorale. Piu’ difficile sara’ applicarla ai passeggeri dei treni, come a chi arriva con l’auto privata. Per i grandi numeri si pensa al sistema del sostituto d’importa: a pagare un sovrapprezzo sui biglietti potrebbero essere le compagnie che fanno servizio di trasporto persone su Venezia a fini commerciali. Altra ipotesi, da confermare, e’ che sia escluso il traffico aereo, sia perche’ l’aeroporto di Tessera non serve solo Venezia, sia perche’ questo tipo di turisti poi pernotta a Venezia. Le prime stime sul ‘valore’ del ticket parlano di alcune decine di milioni l’anno, forse tra i 40 e i 50. Un calcolo, non ufficiale, fatto da operatori del settore, che partendo da una platea di circa 20 milioni di ‘giornalieri’ l’anno, diminuita della meta’ – quindi 10 milioni – per via delle categorie esenti (lavoratori, studenti, etc) e basandosi su un costo di 5 euro, pari all’attuale imposta di soggiorno, portano appunto il gettito annuale ad una cinquantina di milioni. Plaude al provvedimento il presidente di Federalberghi, Bernabo’ Bocca. “Le nostre citta’ sono musei: come accade nei musei, e’ giusto pagare il biglietto d’ingresso”. Sulla stessa linea il presidente degli albergatrori veneziani (Ava), Claudio Scarpa: “il principio – dice – e che chi viene in citta’ dalla mattina alla sera, contribuendo pochissimo al fatturato turistico, ma pesando sui costi dei servizi, deve capire che non e’ tutto gratis”.

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Precari e licenziamenti facili, verso l’ok della Camera

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Contratti di somministrazione e licenziamenti. Questi gli ambiti degli interventi principali inseriti nel ddl Lavoro, che si prepara a ricevere il primo via libera della Camera. Terminato l’esame degli odg in Aula, a Montecitorio manca il voto finale sul provvedimento approvato dal Consiglio dei ministri il Primo maggio del 2023. Che così potrà sbarcare al Senato per l’ok definitivo dopo un lungo iter. Mentre non si placano le voci critiche di opposizioni e sindacati, che scendono in piazza per opporsi a uno strumento che “aumenta la precarietà”.

Tra le misure più discusse, c’è quella sulle cosiddette ‘dimissioni in bianco’, che di fatto allarga le maglie delle disposizioni in tema di licenziamenti rispetto a quanto stabilito dal Jobs Act del governo Renzi. In particolare, l’articolo 19 del collegato al lavoro prevede la risoluzione del rapporto di lavoro imputabile alla volontà del lavoratore (dimissioni volontarie) nei casi in cui un’assenza ingiustificata si protragga oltre il termine previsto dal contratto collettivo o, in mancanza di previsioni contrattuali, per un periodo superiore a quindici giorni. Secondo la maggioranza, è una maniera per impedire che i lavoratori, sfruttando la leva delle assenze ingiustificate, inducano i datori al licenziamento per poi accedere opportunisticamente alla Naspi. In caso di dimissioni volontarie, infatti, non è possibile richiedere l’indennità.

Con un’altra misura cardine, si interviene, di fatto per estenderlo, sul tetto del 30% previsto per i lavoratori con contratto di somministrazione a tempo determinato sul totale del numero dei lavoratori con contratti stabili. La nuova norma esclude dal computo di questo limite i casi in cui la somministrazione riguardi lavoratori assunti a tempo indeterminato da parte di un’agenzia o lavoratori con determinate caratteristiche o assunti per determinate esigenze. Vincoli più leggeri anche per il ricorso al lavoro stagionale, che si allarga a fattispecie come l’intensificazione dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno oppure per esigenze tecnico-produttive o collegate ai cicli stagionali dei settori produttivi o dei mercati di destinazione.

Tra le altre misure, c’è anche quella che ridefinisce la durata del periodo di prova dei contratti a tempo determinato: tra i due e i quindici giorni per i contratti con durata non superiore a sei mesi, e da due ai trenta giorni per i contratti dai sei ai dodici mesi. Intanto, in piazza a Roma, i sindacati alzano la voce contro il provvedimento. Per la Uil il ddl “cancella diritti e tutele”, per la Cgil “è contro il lavoro, perché lo precarizza ancora di più”.

A Maurizio Landini, che non esclude uno sciopero generale contro la manovra, replica la ministra del Lavoro Marina Calderone. “Non credo si possa dire che il governo stia attuando una politica di precarizzazione del lavoro, i numeri non dicono questo”, taglia corto. Alla protesta delle due sigle sindacali, si affiancano i partiti di opposizione: Pd, M5s e Avs, che intanto in Aula provano a rilanciare ancora sul salario minimo con un odg bocciato dalla maggioranza. Per dem e rossoverdi, il ddl Lavoro allarga la precarietà. Per il M5s, “c’è un accanimento contro le lavoratrici”.

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A novembre il nuovo M5s, si chiude la costituente

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Il nuovo M5s nascerà il 23 e 24 novembre, quando si terrà l’assemblea Costituente chiamata a ridisegnare struttura e politiche del partito: dai ruoli del garante e del presidente, oggi occupati da Beppe Grillo e da Giuseppe Conte, al nome e al simbolo, che potrebbero cambiare, fino allo spinoso tema del limite dei due mandati, che potrebbe scomparire. E perfino le alleanze. La data definitiva dell’assemblea, genericamente prevista in autunno, è stata comunicata ufficialmente dal presidente Conte. Il percorso costituente, che ha coinvolto non solo gli iscritti ma anche i simpatizzanti, ha portato non poco scompiglio nel Movimento, con uno scontro acceso fra Grillo e Conte.

Il garante aveva infatti chiesto che alcuni pilastri – nome, simbolo e limite del doppio mandato – non venissero messi in discussione. Mentre Conte ha lanciato la costituente lasciando campo libero alla discussione. Ne sono seguiti scambi di lettere al vetriolo con accuse e rivendicazioni reciproche. Una coda della polemica è arrivata fino in Sardegna. Per Grillo, il Movimento sta perdendo la sua spinta originale. Una prova sarebbero le politiche energetiche della presidente sarda Alessandra Todde, del M5s. In un post, il fondatore del Movimento ha pubblicato una foto della bandiera della Sardegna con i quattro mori che indossano una maschera antigas.

E sopra il testo. “Finalmente un po’ di verità su questo ambientalismo da strapazzo: e basta con il vento, il sole, il fotovoltaico! Ci vuole il carbone! Facciamo una rivoluzione straordinaria in Sardegna!”. Dura la replica della presidente: “Credo che Grillo faccia quello che fa meglio: il comico”. Poi la spiegazione: “Fino al 2030 abbiamo stanziato quasi un miliardo di euro, stiamo promuovendo le comunità energetiche e l’autoconsumo. La transizione energetica la vogliamo fare, ma il tema è non trasformare il paesaggio unico della Sardegna in un paesaggio industriale”.

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Voto per la presidenza Rai, la maggioranza prende tempo

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Nulla di fatto in ufficio di presidenza sulla convocazione della riunione della Commissione di Vigilanza per la votazione di Simona Agnes alla presidenza Rai. Di fronte alla richiesta dell’opposizione di calendarizzare in tempi brevi l’appuntamento, la maggioranza ha chiesto di avere più tempo e ha spinto la presidente della bicamerale Barbara Floridia a convocare per domani mattina una riunione plenaria dove si prenderà la decisione.

Sono stati in particolare il capogruppo di Fratelli d’Italia, Francesco Filini, e quello di Forza Italia, Roberto Rosso, ad insistere su questa linea, mentre Lega e Noi Moderati non hanno mosso particolari obiezioni. Non è un caso, perché lo sponsor principale di Agnes è proprio il partito guidato da Antonio Tajani ed al momento non c’è un accordo con la minoranza, o parte di questa, per arrivare alla ratifica dell’incarico, che richiede i due terzi delle preferenze. Alla maggioranza mancano almeno due voti sui 28 necessari e l’opposizione ha già reso noto che intende non partecipare alla votazione per evitare il rischio dei franchi tiratori. Floridia ha proposto senza successo alcune date ravvicinate per la convocazione, tra questa sera e i prossimi giorni. “Nell’ufficio di presidenza di questa mattina ho preso atto della impossibilità di stabilire oggi una data per il voto sulla presidente della Rai a causa del diniego di alcune forze di maggioranza – afferma -. Ho quindi convocato per domani mattina alle 8 la commissione di vigilanza in plenaria affinché si decida in quella sede la data del voto. Ove ciò non avvenisse, calendarizzerò il voto entro venerdì, come previsto dal regolamento”.

Forza Italia sostiene che non c’è alcun intento ostruzionistico. “Abbiamo aperto un ponte con l’opposizione avviando la discussione sulla riforma della governance Rai e dato la nostra disponibilità a partecipare agli stati generali sull’informazione – spiega Rosso -. A fronte di questo, ci sembra opportuno avere più tempo per provare ad instaurare un dialogo con l’opposizione anche sulla presidenza della Rai, visto che al momento, con l’annuncio della minoranza di voler uscire dall’aula, questo dialogo non c’è”. L’opposizione teme, invece, che si vogliano dilatare i tempi per provare a trovare i voti mancanti, eventualmente barattando qualche poltrona in Rai. Sul piatto ci sono, infatti, le nomine alle testate che arriveranno, probabilmente a novembre, sul tavolo del cda. In particolare, oltre a Rainews, Tgr e Rai Sport che presumibilmente resteranno nell’ambito della maggioranza, è da assegnare la guida del Tg3 dopo l’uscita di Mario Orfeo in direzione Repubblica.

I Cinque Stelle vengono dati favoriti, con l’approdo di Bruno Luverà o Senio Bonini, ma la partita è tutta da giocare e non mancano nomi di area Pd. I dem si sono chiamati fuori dal voto per i consiglieri, ma la spaccatura ha già creato molti malumori nella minoranza e solo ieri Carlo Calenda ha parlato di “figura da imbecilli”. I Cinque Stelle hanno assicurato che non parteciperanno al voto, ma la maggioranza, Forza Italia in primis, spera che questa linea possa cambiare, trovando così un appoggio da parte loro o dei due renziani in commissione, eventualmente al secondo tentativo di votazione per Agnes che potrebbe avvenire dopo il voto in Liguria.

Nella maggioranza c’è chi preme, però, per l’allargamento del dialogo anche al Pd con la scelta per la presidenza di un nome di garanzia, come ad esempio Giovanni Minoli. Da Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli respinge le illazioni su un dialogo con M5s in chiave Rai. “Noi lavoriamo per le istituzioni – afferma -. Certo poi speriamo che a un certo punto l’opposizione inizi a pensare anche all’Italia e non alle loro divisioni interne. Il problema è tutto lì: che non riescono a trovare una sintesi tra di loro”.

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