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Esteri

Usa-Russia, le ambasciate terreno di battaglia

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Anche le ambasciate russa e americana nei rispettivi Paesi sono diventate terreno di battaglia, sullo sfondo della guerra in Ucraina. Uno scontro a colpi di sit-in, immagini e video proiettati sulle facciate dei compound, spy games, vie e piazze antistanti rinominate in chiave polemica, come racconta il New York Times in un reportage. L’ambasciatore russo a Washington Anatoly Antonov, ribattezzato da Politico ‘Lonely Anatoly’ per il suo isolamento nella comunità politica della capitale Usa, non ha esitato a dipingere l’imponente sede diplomatica di Mosca come un “fortino sotto assedio”. Da quando è iniziato il conflitto in Ucraina, le scene di protesta sono frequenti, talvolta sistematiche. Come quella di Benjamin Wittes, un esperto legale di sicurezza nazionale, che ogni tot settimane si piazza con alcuni amici di fronte all’ambasciata russa con il suo armamentario per il suo show di luci proiettando sulla facciata bianca dell’edificio la bandiera ucraina gialla e blu con lo slogan “l’Ucraina vincerà”, scritte in tre lingue sulle brutalita’ di Mosca (a partire dai ‘bambini rubati’) e volgarità in ucraino contro Vladimir Putin. Gli automobilisti di passaggio suonano il clacson in segno di approvazione. I russi hanno risposto come hanno potuto. Una volta hanno tentato di offuscare le immagini anche con due Z giganti sulle finestre superiori, il simbolo nazionalista dell'”operazione speciale’ in Ucraina. In un’altra occasione un faro russo ha inseguito la bandiera ucraina in un comico, e per certi versi puerile, gioco del gatto e del topo: una sorta di ‘spotligh war’, ha commentato Wittes. Una volta invece un uomo corpulento in jeans e maglietta dei Baltimore Orioles è uscito dall’ambasciata ostruendo silenziosamente i suoi proiettori con un ombrello aperto in ciascuna mano.

Le proteste comunque sono routine, con sit-in, canti anti Putin, performance musicali come quella del famoso violoncellista americano di origini cinesi Yo-Yo Ma, girasoli (fiore simbolo dell’Ucraina) piantati da attivisti nell’erba lungo il marciapiede e puntualmente strappati da ignoti nella notte. I vicini ogni tanto gridano ‘Slava Ukraini’ (Gloria all’Ucraina) a chi entra ed esce dall’ambasciata e hanno pavesato le loro case con bandiere ucraine e slogan anti russi. Uno di loro si ferma abitualmente durante la sua passeggiata quotidiana davanti a ciascuna delle sei videocamere di sicurezza dell’ambasciata mostrando articoli su Alexei Navalny, l’oppositore russo.

“Mi fa sentire un pò meglio”, ha confidato. La via antistante l’edificio è stata ribattezzata “President Zelensky way”. Come se non bastasse, ci sono anche le ombre degli 007. A due passi dall’ambasciata c’è una casetta misteriosa, dove le luci restano accese di notte e che secondo i ben informati sarebbe occupata da agenti dell’Fbi per sorvegliare il ‘nemico’. Ma cio’ che piu’ fa infuriare l’ambasciatore russo e’ che il Bureau tenterebbe il reclutamento di spie alla luce del sole, distribuendo all’esterno numeri dell’Fbi e della Cia da chiamare per stabilire un contatto. Ma anche per l’ambasciata americana a Mosca la vita è dura. Proteste (in questo caso organizzate dal governo russo), diplomatici pedinati e qualche volta intimiditi o scherniti: sul tetto dell’auto di uno di loro una volta è stata incollata una Z e poco dopo la tv di stato ha mostrato l’immagine dall’alto mentre la vettura entrava in ambasciata. Il primo giorno in ufficio dell’ambasciatrice Lynne M. Tracy e’ stato segnato da un misterioso blackout elettrico. Anche qui la zona intorno al compound è stata rinominata, in omaggio ad una delle regioni ucraine occupare dai russi: Donetsk People’s Republic Square. E pure i russi hanno i loro proiettori, per mostrare su un edificio di fronte all’ambasciata i massacri delle guerre americane in Iraq, Vietnam e Afghanistan.

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‘Trump a Zelensky a S.Pietro, solo Usa riconosceranno la Crimea’

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Nel faccia a faccia in Vaticano il giorno dei funerali di Papa Francesco Volodymyr Zelensky avrebbe ribadito che non riconoscerà la Crimea come russa e Trump avrebbe chiarito che non glielo chiederà perché il piano è il riconoscimento della Crimea come russa da parte degli Usa, non dell’Ucraina. Lo riporta Axios che ricostruisce l’incontro. Zelensky avrebbe anche detto a Trump di non aver paura di fare concessioni per porre fine alla guerra, ma di aver bisogno di garanzie di sicurezza sufficientemente forti per farlo. Il leader ucraino avrebbe ribadito che Putin non si sarebbe mosso a meno che Trump non avesse fatto più pressione.

Una fonte avrebbe riferito che Trump ha risposto che avrebbe potuto dover cambiare il suo approccio nei confronti di Putin, come ha poi affermato nel suo post su Truth Social. Zelensky ha anche spinto a tornare alla sua proposta iniziale di un cessate il fuoco incondizionato come punto di partenza per i colloqui di pace, accettata dall’Ucraina ma respinta dalla Russia. Trump sembrava essere d’accordo. La Casa Bianca non ha confermato né smentito. Un portavoce di Zelensky ha rifiutato di commentare i contenuti dell’incontro.

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Maradona, nuove rivelazioni dal processo: «Luque vietò l’ingresso ai medici chiamati dalle figlie»

Il chirurgo che seguì Diego negli ultimi giorni avrebbe impedito le valutazioni cliniche dopo l’intervento alla testa.

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Durante il processo per la morte di Diego Armando Maradona, il dottor Fernando Villarejo, capo del reparto di terapia intensiva della clinica Olivos, ha rilasciato dichiarazioni importanti e potenzialmente decisive. Secondo il medico, Leopoldo Luque, il neurochirurgo a capo del team che seguì Maradona negli ultimi giorni, avrebbe impedito l’accessoad altri specialisti che volevano visitare l’ex campione dopo l’intervento alla testa del 3 novembre 2020.

Medici bloccati all’ingresso: «Chiamati dalle figlie»

Villarejo ha precisato che i medici esclusi erano stati convocati dalle figlie di Maradona, tra cui il dottor Mario Schitere una psichiatra. Il loro compito era valutare la possibilità di un trasferimento del paziente in una struttura di riabilitazione, data la complessità della sua condizione clinica.

«Luque ha vietato l’ingresso ai medici che dovevano valutare Maradona», ha dichiarato Villarejo in aula, definendo il divieto «strano e intempestivo».

Cartella clinica: «Pluripatologie di difficile controllo»

Nonostante il divieto, il dottor Villarejo è riuscito comunque a consultare la cartella clinica di Maradona, dalla quale ha tratto conclusioni preoccupanti: il paziente era ancora in condizioni critiche, affetto da patologie complesse e difficili da gestire.

«Era un paziente molto complesso», ha spiegato, «e necessitava di un monitoraggio costante e di interventi mirati, che forse non gli sono stati garantiti».

Un processo che riaccende i riflettori sulla gestione medica

Le parole di Villarejo si inseriscono in un processo delicato, che mira a chiarire eventuali responsabilità e negligenzenella gestione sanitaria del più grande calciatore argentino. Il comportamento di Luque e le decisioni prese nei giorni successivi all’intervento chirurgico saranno al centro dell’analisi dei giudici.

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La crociata di Ursula contro ‘i populisti filo-Putin’

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Lontano dalle suggestioni populiste, fermamente contro gli “estremisti di destra e di sinistra che non sono a favore della pace ma sono amici di Putin”, per usare le parole di Ursula Von der Leyen. E’ il Partito popolare europeo che si è ritrovato al Congresso di Valencia forte di una stagione di successi elettorali, a trazione sempre più tedesca, convinto di essere il motore propulsore di un’Europa che vuole rilanciarsi ed essere sempre più protagonista anche fuori dai confini dei 27. L’Europa disegnata dai popolari è un’entità politica capace di difendere i propri interessi nei confronti dell’alleato tradizionale, gli Usa, ma anche in grado di aprirsi nei confronti dei mercati emergenti, dalla Cina all’India, dall’Australia ai Paesi del Mercosur. Impegnata a voltare pagina sul fronte della difesa comune, della crescita e della lotta ai clandestini. L’asse formato da Ursula Von der Leyen, l’applauditissimo cancelliere in pectore Merz e il neo eletto presidente del partito, Manfred Weber tiene banco e dà la linea. “L’Europa è la nostra casa. E la nostra prima missione è proteggere il luogo che tutti chiamiamo casa”, ha sintetizzato Ursula Von der Leyen.

“Abbiamo vinto le ultime europee – ha detto Manfred Weber – grazie all’allargamento della famiglia del Ppe: non sono più conservatori o liberali ma stanno con noi. Il Ppe è il partito dell’Europa, dello stato di diritto. Viktor Orban se ne andrà in pensione e la nuova Ungheria sarà popolare”, ha aggiunto Weber tra gli applausi. Anche il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha concordato sulla necessità per l’Unione europea di “voltare pagina”, a partire dalla lotta contro l’eccesiva burocratizzazione legislativa. E soprattutto chiudendo quanto prima la stagione del Green Deal, lasciandosi alle spalle “quella visione di Timmermans e di Greta Thunberg che – ha osservato il leader azzurro – aveva creato una sorta di dea natura, una forma di panteismo che non teneva conto della presenza dell’uomo, facendo perdere decine se non centinaia di migliaia di posti di lavoro”. Dalla pace in Ucraina, alla tensione con Trump sui dazi, dalla lotta contro l’immigrazione clandestina alla partita sulla crescita, il Ppe serra le file sulla responsabilità della leadership europea, consapevole che l’Unione, con i suoi valori e la sua storia, è destinata ad avere un ruolo centrale, in prima fila, nel mondo del futuro. L’Europa a guida popolare lancia poi un monito a Trump: “I mercati globali – ha ammonito Von der Leyen – sono scossi dall’imprevedibile politica tariffaria dell’amministrazione Usa. I loro dazi sul resto del mondo sono ai massimi da un secolo a questa parte. Le tariffe sono come le tasse. Fanno male sia ai consumatori che alle imprese. Non possiamo e non dobbiamo permettere che questo accada”.

Un partito popolare e una Commissione europea che oggi può incassare la discesa in campo di una sua nuova e fondamentale supporter, la Germania a guida Merz, il cui intervento è stato quello più applaudito nella sede della Fiera di Valencia. “Se altri Paesi mettono in discussione la legittimità della difesa dei confini e della sovranità – ha ammonito Merz – noi lotteremo ancora più forte a favore di questi valori”. Molto determinato anche sul dossier difesa: “Dobbiamo lavorare insieme come mai prima, con una sola voce, soprattutto sulla difesa: dobbiamo essere pragmatici nel nuovo progetto. Tutto deve avvenire nella cornice Nato ma dobbiamo essere capaci di difenderci meglio che nel passato”, ha concluso tra gli applausi.

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