Collegati con noi

Cronache

Uccise la sorella, Scagni condannato a 24 anni e 6 mesi

Pubblicato

del

Alberto Scagni è malato, ha un vizio parziale di mente. E va sì condannato per l’omicidio della sorella Alice, ma a 24 anni e mezzo e non all’ergastolo, e alla fine della pena dovrà essere curato. Sono i passaggi salienti della sentenza della corte d’assise di Genova, presieduta dal giudice Massimo Cusatti, pronunciata nei confronti dell’uomo che il primo maggio 2022 uccise con 24 coltellate la sorella Alice sotto la casa di lei a Genova Quinto.

I giudici hanno escluso l’aggravante della crudeltà e del mezzo insidioso (il coltello nascosto dentro un sacchetto di plastica), ma hanno ritenuto che quel delitto fu premeditato. Il pubblico ministero Paola Crispo aveva chiesto l’ergastolo perchè ritiene Alberto pienamente capace di intendere. Adesso valuterà se impugnare il verdetto. I giudici hanno disposto anche la permanenza dell’uomo per almeno tre anni, dopo il carcere, in una Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza. “Siamo moderatamente soddisfatti dalla sentenza visto che sono state accolte gran parte delle nostre argomentazioni – hanno detto Mirko Bettoli e Alberto Caselli Lapeschi, i legali di Scagni – I giudici hanno capito che Alberto deve essere curato e rieducato al termine della condanna perché gli è stato riconosciuto un disturbo grave della personalità”.

Dura la reazione di Antonella Zarri e Graziano Scagni, i genitori di vittima e assassino: “Abbiamo chiesto ad alta voce la giusta pena per Alberto. Ma non è stata ricercata la verità – hanno detto – per noi non è stato un processo sano, non può esserci giustizia. Non siamo stati nemmeno ascoltati. Nostro figlio va curato. Ma aspettiamo che sia perso? Che abbia 90 anni per farlo?”. Al momento è stato disposto anche il pagamento di una provvisionale di 100 mila euro per Gianluca Calzona, il marito di Alice, e di 200 mila euro per il loro figlio, che all’epoca aveva poco più di un anno. “Non ci interessa la provvisionale. La cosa importante è che sia tutelata la sicurezza del bambino” ha sottolineato Andrea Vernazza, il legale del vedovo. Durante le indagini l’assassino era stato sottoposto a una perizia psichiatrica. Elvezio Pirfo, il medico nominato dal giudice aveva definito Alberto “antisociale, narcisista, borderline, socialmente pericoloso” e aveva concluso per la seminfermità. Ne era nato un duro scontro con il consulente della procura, Giacomo Mongodi, per il quale invece il killer era pienamente capace.

Il giorno del delitto Scagni minacciò i familiari perché voleva dei soldi. In poche settimane aveva sperperato 15mila euro del suo fondo pensione. “Fra cinque minuti io controllo il conto, se non ho i soldi stasera tua figlia e Gianluca (il marito, ndr) sai dove sono? lo sai dove c… sono?” disse ai genitori. Una telefonata terribile che annunciava l’omicidio compiuto poco dopo. L’uomo dopo la chiamata andò sotto casa della sorella Alice e la aspettò per diverse ore. Ma prima del delitto il padre chiamò la centrale operativa della polizia segnalando il pericolo. Gli agenti risposero di rimanere in casa e richiamare nel caso il figlio si fosse presentato da loro e di fare una denuncia perché senza non sarebbero potuti intervenire.

Dopo l’omicidio i genitori avevano presentato un esposto, tramite l’avvocato Fabio Anselmo, contro due agenti della centrale e la dottoressa della Salute mentale della Asl3 perchè secondo loro erano stati sottovalutati gli allarmi e le richieste di aiuto. Nei giorni precedenti il delitto i parenti avevano segnalato alla questura come il figlio si stesse facendo sempre più aggressivo. Le forze dell’ordine erano già intervenute nel condominio per le molestie di Alberto contro i vicini. Il giorno prima dell’omicidio una volante si era presentata perché aveva tentato di bruciare la porta di casa della nonna. Per quel fascicolo, nelle scorse settimane, la pm ha chiesto l’archiviazione perché i familiari “non hanno mai denunciato il figlio e le forze dell’ordine non potevano valutare in anticipo la pericolosità”.

Advertisement
Continua a leggere

Cronache

Caso dei turisti israeliani cacciati da un ristorante: indaga la Procura, bufera su Napoli

Pubblicato

del

Finisce in Procura il caso dei due turisti israeliani che sarebbero stati allontanati per motivi razziali dal ristorante “Taverna Santa Chiara”, nel cuore del centro storico. Un video, registrato con uno smartphone e diventato virale sui social, mostra l’alterco tra la titolare del locale, Nives Monda, e la coppia di clienti, Geula e Raul Moses, cacciati perché “sionisti”, come dichiarato dalla stessa ristoratrice. Ora sul caso indaga la Digos della Questura e il comando provinciale dei Carabinieri, con due informative in arrivo sulla scrivania del procuratore Nicola Gratteri.

Il video e la denuncia

Il filmato, che dura meno di due minuti, documenta la parte finale di uno scontro acceso. Una verità parziale? In questo pezzo di video la sognora Monda invita i due clienti ad uscire dal ristorante, dichiarando di non voler servire cittadini israeliani e definendo Israele uno “Stato genocida e di apartheid”. Che cosa si siano detti prima non è dato sapere. La coppia di israeliani ha denunciato l’episodio ai Carabinieri della caserma Pastrengo, ipotizzando il reato di incitamento all’odio razziale. Si tratta di una ipotesi loro che dev’essere però suffragata da prove. «Ci ha cacciati – dicono – solo perché venivamo da Israele – ha raccontato Geula – e ha urlato che avevamo ucciso 55mila bambini. Abbiamo registrato solo la parte finale per paura che degenerasse».

La replica della titolare

Nives Monda respinge le accuse e sostiene di essere stata vittima di un “episodio intimidatorio”, aggiungendo di aver ricevuto una valanga di minacce e insulti sui social. «È in corso contro di me una campagna d’odio», ha dichiarato.

L’intervento delle istituzioni

Il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, ha espresso «solidarietà ai due turisti a nome dell’intera amministrazione comunale», ribadendo che episodi del genere sono inaccettabili in una città da sempre accogliente e aperta. Sulla stessa linea il prefetto Michele di Bari e l’assessore al Turismo, Teresa Armato, che ha incontrato personalmente la coppia: «La guerra non deve generare odio tra i popoli. Napoli deve restare città di pace, dialogo e ospitalità». Ovviamente si tratta di attestazioni di solidarietà che prescindono dal fatto che c’è una inchiesta e che potrebbe n0n essere del tutto vero quel che i turisti sostengono.

Le reazioni politiche

Durissima la posizione di Severino Nappi, capogruppo della Lega in Consiglio regionale: «Chiediamo al sindaco Manfredi di intervenire e chiudere quel locale. È un esercizio di razzismo che getta discredito sulla città e offende i valori della democrazia. Non si può confondere la politica di un governo con la vita privata di due turisti».

Un caso che divide

L’episodio ha generato un’ondata di reazioni, dividendo l’opinione pubblica e infiammando il dibattito tra chi denuncia l’antisemitismo e chi parla di libertà di espressione. Intanto, la giustizia farà il suo corso, mentre Napoli è chiamata a ribadire i valori che ne fanno una capitale dell’accoglienza.

Continua a leggere

Cronache

Torre Annunziata, il sindaco Cuccurullo replica alle inchieste: «Chiariremo tutto, ma nessuna pressione o complicità»

Pubblicato

del

Corrado Cuccurullo, sindaco di Torre Annunziata e docente universitario alla Federico II, ha scelto i social per rispondere alle notizie emerse sull’inchiesta che coinvolge la sua amministrazione, evitando al momento il confronto diretto con i giornalisti. Le indagini delle forze dell’ordine – Guardia di Finanza, Carabinieri e Polizia Municipale – coordinate dalla Procura di Torre Annunziata, hanno sollevato il dubbio sull’opportunità di inviare una nuova commissione d’accesso per valutare possibili legami tra amministrazione e ambienti criminali.

Nel suo lungo post, Cuccurullo respinge ogni accusa e parla di «chiacchiericcio» rilanciato dalla stampa. «È mio impegno affrontare ogni problematica con trasparenza e determinazione», scrive il primo cittadino, ricordando le difficoltà storiche della città e l’impegno a voltare pagina.

Il caso della processione e la scelta sul percorso

Uno dei punti più discussi riguarda il corteo della Madonna della Neve, in particolare la decisione sull’itinerario del 22 ottobre 2024. Secondo gli inquirenti, la processione avrebbe potuto attraversare aree “sconsigliate” per la presenza di soggetti legati alla criminalità organizzata. Cuccurullo chiarisce: «L’idea era quella di un segnale di unità cittadina e rinnovamento. Dopo un confronto con le forze dell’ordine si è scelto di mantenere il percorso tradizionale. Nessun attrito con altri organi dello Stato».

Gli sgomberi e le pressioni denunciate

L’inchiesta parla di presunte pressioni per rallentare gli sgomberi di immobili occupati da persone vicine ai clan. Il sindaco nega: «Nessuna pressione è mai stata esercitata. Anzi, gli sgomberi sono stati effettuati, dopo decenni di stallo, e ne sono stati sollecitati altri».

Il nodo dello staff e il presunto danno erariale

Altro tema cruciale: l’impiego non regolarizzato di alcuni staffisti tra luglio e fine 2024. Cuccurullo assicura che sarà effettuata una verifica con le autorità competenti, sottolineando che il ritardo nella formalizzazione dei ruoli è stato determinato da inefficienze burocratiche. «Chi ricopre un incarico amministrativo ha diritto di scegliere il proprio staff. Ma nessuna violazione intenzionale delle norme», aggiunge.

La parentela scomoda di uno staffista

Nel dossier si segnala la parentela di un componente dello staff con la figlia di un esponente del clan Gallo-Cavalieri. Anche su questo, il sindaco è netto: «La storia personale dello staffista è del tutto estranea alle ipotesi circolate. Nessun legame o influenza riconducibile a contesti criminali».

Cuccurullo conclude con un appello alla cautela e al rispetto: «Ogni aspetto sarà chiarito nel rispetto della città e delle persone coinvolte. Chi amministra deve essere messo nelle condizioni di farlo con rigore e serenità».

Continua a leggere

Cronache

Un farmacista di Napoli sfida i ladri: “Non mi arrendo, vi aspetto”

A Napoli il dottor Giovanni Russo, dopo tre furti nella sua farmacia, risponde ai ladri con un cartello: “Non mi arrendo, ho installato l’impianto di nebbia”.

Pubblicato

del

Furti ripetuti nella sua farmacia di via Simone Martini. Il dottor Giovanni Russo reagisce con un cartello indirizzato direttamente ai rapinatori.

Non si arrende, non scappa, non si piega. Il dottor Giovanni Russo, titolare di una farmacia in via Simone Martini, nel cuore del Vomero, ha deciso di rispondere ai ladri con la fermezza di chi ama il proprio lavoro e la propria città. Dopo aver subito almeno tre furti documentati – il 14 agosto, il 4 gennaio e il 4 maggio – ha affisso un cartello all’interno dell’attività per mandare un messaggio chiaro, diretto e ironico: “Vi avevo avvisato, le casse sono vuote e stavolta siete dovuti scappare come conigli”.

Il cartello, scritto tutto in stampatello blu acceso su sfondo chiaro, è diventato virale. Non solo perché si rivolge esplicitamente ai ladri, ma perché racconta molto di più: una resistenza civile fatta di amore per il proprio mestiere, rispetto per i cittadini onesti e rifiuto della rassegnazione.

Il farmacista racconta di aver installato un impianto di “nebbia artificiale”, un sistema che confonde e disorienta i malintenzionati durante le effrazioni. Una scelta costosa ma necessaria, dice Russo, che aggiunge con amarezza e orgoglio: “Mantengo sempre le promesse”, e poi ancora: “Non sarete voi con questi atti vili e meschini a farmi cambiare idea o peggio ancora ad indurmi a lasciare la professione che amo”.

Il cartello è anche un atto d’amore verso Napoli, che chiude con uno slogan che è quasi una firma di resistenza e passione: “Forza Napoli, sempre!”

Un messaggio che in molti hanno condiviso sui social, facendo del dottor Giovanni Russo un simbolo di chi a Napoli decide di non cedere al degrado ma di rimanere, combattere e difendere il proprio lavoro e la propria dignità.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto