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Cronache

Un giudice Buono assolve Autostrade per l’Italia e cassa le accuse del procuratore di Avellino Cantelmo

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Strage del bus di Avellino, 40 cittadini uccisi: assolti tra le urla di “vergogna vergogna” i vertici di Autostrade per l’Italia

Quello che leggete di seguito è il resoconto stenografico fedele della requisitoria del 10 ottobre del 2018 del procuratore di Avellino Rosario Cantelmo nell’ambito del processo per la strage del bus in cui il 28 luglio del 2013 persero la vita 40 persone. Tra le responsabilità da indagare ci sono quelle di Autostrade per l’Italia. Sotto inchiesta per questa strage che fa segnare tre morti in meno rispetto al crollo del Ponte Morandi del 14 agosto del 2018, ci sono i vertici di Autostrade per l’Italia. A Genova come ad Avellino le accuse per l’Amministratore delegato di Aspi e altri 12 dirigenti solo quelle di omicidio colpo plurimo e disastro colposo. Il procuratore Camtelmo, a fine requisitoria, chiede 10 anni di reclusione per Giovanni Castellucci, attuale amministratore delegato di Autostrade per l’Italia e altri undici dirigenti e dipendenti della società, imputati nel processo.

Nella requisitoria al processo Cantelmo aveva ricordato le vicende umane che  suscitarono grande emozione, prima di concludere con la richiesta di 10 anni per i vertici di Autostrade, accusati di «sciatteria» e «negligenza». Il procuratore, a proposito di negligenza, in quella stessa sede aveva annunciato l’avvio di una inchiesta per accertare la sicurezza di altri tratti di autostrada sia per quanto riguarda i cavalcavia che per quanto attiene tutti gli altri presidi di sicurezza.

 

Giovanni Castellucci. L’ad di Autostrade assolto

Questa è la requisitoria. È un documento che richiede dieci minuti di attenzione ma è illuminante anche per la correttezza, l’equilibrio e lo studio degli atti indagine che hanno portato il capo dell’ufficio inquirente irpino a richiedere pesanti condanne per gli imputati. Di questa requisitoria come delle arringhe  difensive hanno tenuto conto i giudici nella emissione della sentenza di primo grado pronunciata oggi.

 

DISCUSSIONE DEL PUBBLICO MINISTERO DOTTOR CANTELMO 

PUBBLICO MINISTERO DOTTOR CANTELMO – Grazie Presidente. Non le nascondo che sono stato e sono anche stamattina un po’ preoccupato perché è da un po’, in particolare da un po’ di anni, da quando ero Procuratore aggiunto a Napoli, mi occupavo della camorra vesuviana, che non prendo la parola in una discussione finale di un processo. Però, nonostante questo oggettivo handicap del tempo che è passato, io spero in tutti i modi di riuscire a tenere viva la sua attenzione, a renderla attenta alle cose che dirò perché, se anche una sola delle cose che io dirò Lei le rivaluterà in Camera di Consiglio, vorrà dire che sono riuscito a dare un senso, un senso concreto alla funzione del Pubblico Ministero. Una premessa: nello svolgere le mie considerazioni io farò esclusivamente riferimento a quello che io chiamo il linguaggio della prova; non farò riferimento alcuno a suggestioni, supposizioni, salti logici, voli pindarici, ma solo e esclusivamente alle risultanze processuali che si sono formate in questa aula, qui, nel confronto diretto tra accusa e difesa sotto la sua direzione. Tutto quello che dirò, signor Giudice, e lo indicherò pagina per pagina, documento per documento, verbale per verbale, è agli atti del fascicolo del dibattimento. E quindi è sotto il suo governo e di questo potrà tener conto nel corso della Camera di Consiglio. Incominciamo. La collega Annecchini, nel corso della sua discussione alla scorsa udienza, ha proiettato delle immagini relative all’ultimo tratto della strada percorsa dal bus, da quando cominciò a colpire la prima barriera fin quando è volato giù, un volo di 30 metri, da un viadotto gestito male, a avviso del Pubblico Ministero, da Autostrade per l’Italia Spa. Io vorrei aggiungere a queste immagini le voci delle persone, un paio di voci di persone che erano presenti lì, che sono stati in quel pullman, che hanno vissuto questa incredibile vicenda. Sono persone che sono state sentite in questa aula e ricordo a me stesso il contenuto di quelle dichiarazioni. La prima dichiarazione che voglio ricordarvi è quella di Iaccarino Clorinda. L’udienza è quella del 7 dicembre 2016, la pagina è pagina 18. Il Pubblico Ministero chiede alla signora Iaccarino: “Lei ha riportato lesioni a seguito di quella caduta?”, “Sì, mi si è rotto il bacino, il femore, avevo delle cicatrici dalla testa fin sotto i piedi”, “E suo marito?”, “Mio marito è morto, le mie figlie sono morte, la piccola era rimasta in coma e poi è stata operata, ma è morta dopo otto giorni”, “Quindi lei ha perso tutto? Ha altri figli oltre i due che stavano sul pullman?”, “Non ho nessuno, non ho nessuno, non ho più nulla”. E allora chiede il Pubblico Ministero: “In conclusione si può dire che lei ha perso tutta la famiglia?”, “In conclusione sono rimasta sola, senza nulla, nulla, assolutamente nulla”. E poi, nelle pagine successive, sempre della signora Iaccarino, rispondendo alle sue domande, signor Giudice, quando Lei le chiede: “Ma lei ha perso conoscenza quando è caduta?”, “Non ricordo quando mi sono presa da laggiù, io penso quando sono stata assistita, tutto, sentivo che mi facevano delle domande, io rispondevo ma… però non capivo dove ero, non capivo nulla, sentivo che lavoravano su di me per vedere tutto quello che mi era successo. Io ho dato dei numeri di telefono, ho detto qualche cosa sulle mie figlie, su mio marito. Poi nei giorni seguenti… un altro giorno ho urlato tutta la giornata, ho strappato la cosa, il sondino dal naso. Poi mi hanno visto in quelle condizioni e mi hanno addormentato per diversi giorni”, “Va bene, va bene”, dice Lei. La signora dice: “Vorrei aggiungere un’altra cosa. Quando mi sono risvegliata per diversi giorni mi veniva come un ricordo”, “Che cosa ricordava?”, chiede lei, signor Giudice. “Un’agitazione, il cuore mi sbatteva, mi veniva una grande macchina rossa davanti agli occhi, questa immagine, qualcuno che mi stringeva il polso, ora non so se quando sono andata giù, però questa immagine mi veniva di continuo davanti”. “Una macchina rossa?”, chiede lei. “Sì, non so se era sangue, non so se era qualche cosa che avevo visto, non lo so se è stato il volo, non lo so. Era proprio quella immagine rossa, rossa, proprio così grande”. Oltre a queste dichiarazioni, vorrei leggere le altre dichiarazioni di una persona presente su quel pullman, anche lei miracolosamente salvata. Era con il marito e con due figli. Era la signora Caiazzo Annalisa. Anche lei è stata sentita all’udienza del 7 dicembre 2016, il foglio è la pagina 65. “Io mi sono detta a un certo punto: forse avrà perso qualche cosa, si sarà bucata una ruota. Io mi sono abbracciata forte a mio figlio perché c’erano urla disumane. Ad un certo punto poi nel pullman entrava fumo, scintille, odore di asfalto bruciato, ferro bruciato, questi rumori di questo ferro. Poi ha iniziato a prendere le macchine, penso, qualche cosa nel guardare. Nel momento in cui siamo arrivati all’altezza del ponte, perché io ero proprio dal lato destro, in questa carambola, nel prendere queste cose, è stato quell’attimo, come se si fosse fermato, ma eravamo già quasi fuori. Ho detto: mio Dio, se cadiamo siamo morti tutti. Il tempo di pensarlo e il pullman è caduto nel vuoto. Tipo quando si va sulle giostre. È successo l’impossibile”. E anche alla signora Caiazzo viene chiesto da parte del Pubblico Ministero le lesioni che ha riportato. “Lei ha riportato lesioni?”, “Sì, io ho la faccia sfigurata, non potrò essere messa a posto perché non ho punti di appoggio. La schiena con le cicatrici, la scapola si è rotta, si sono rotte due costole, non ho più controllato, una tumefazione sulla gamba, praticamente ho il piede destro che è addormentato, però non ho avuto tempo di fare niente perché sono dovuta partire con mia figlia”. “Mi scusi, suo marito ha riportato lesioni?”, “Mio marito è stato due mesi in rianimazione, l’hanno dato per morto non so quante volte, ha avuto tantissime complicazioni: la rottura del bacino, ha avuto uno schiacciamento cervicale rischiando di rimanere paralitico, lo è stato anche per un bel po’ nel tempo della riabilitazione che sono stati ricoverati a Lecco papà e figlia. È stato due mesi completamente sedato perché non riusciva a respirare”. “Lei ha fatto cenno a sua figlia, può riferire?”, “Sono tre anni che mia figlia continua a essere ricoverata, è stata operata alla testa non so quante volte, è stata aperta e chiusa come una scatoletta, proprio come il tonno praticamente. Ha rischiato di morire però lei è molto forte, ringraziando Dio. Attualmente mia figlia non cammina, ha dei problemi di deficit, mia figlia era sanissima come un pesce però capisce che lei non cammina, mi chiede di camminare come gli altri bambini. Questa cosa mi porta a andare in Slovacchia, girare e tenere l’altro figlio di 13 anni completamente parcheggiato perché i miei genitori me li hanno uccisi, come neppur i malavitosi vengono ammazzati, massacrati come loro”. “E tutti gli altri parenti? Gli altri presenti?”, “Tutti deceduti”, “A seguito dell’incidente?”, “A seguito dell’incidente. Mio padre aveva la testa sfondata, il cervello che gli usciva dal naso. Anche la maggior parte delle persone aveva la testa sfondata, come è stata sfondata anche a mia figlia, però il Signore mi ha dato una possibilità, una vita orribile, però stiamo andando avanti, andiamo avanti, il tempo passa, ormai la mia vita è cercare di riportare mia figlia a una normalità perché se i miei genitori, parliamo di 50 e 54 anni, mi hanno lasciato da un giorno all’altro, dopo una gita, se io esco mo fuori e muoio, mia figlia che cosa fa!”. E potrei continuare, signor Giudice, con altre 38 drammatiche storie, ma mi rendo conto che il tempo non me lo consente. Ho deciso di cominciare così, signor Giudice, perché ritenevo necessario ricordare il vero tema di questo processo, il tema che è stato accantonato, si è cercato di farlo dimenticare. Nel corso di questo dibattimento non c’è stata una sola parola che ha riguardato questo tema. Un dibattimento tutto impregnato, impegnato su argomenti di carattere tecnico, amministrativo, burocratico. Non una sola parola su questa vicenda, su questo passaggio che si doveva dimenticare. Contribuire a far perdere di vista il vero tema del processo è stata anche un’altra circostanza. Le parti offese, che inizialmente erano numerose e molto vivaci e che si erano costituite parti civili, a una a una hanno revocato la loro costituzione e questo ha potuto contribuire, a mio avviso, a far perdere di vista il vero tema del processo. Mi riferisco in particolare al tema dei 40 morti e dei tanti feriti. La collega Annecchini, alla scorsa udienza l’ha accennato brevemente; io vorrei dedicare qualche attimo in più. Di queste 40 persone, 36 sono morte all’atto dello schianto, nel momento in cui dopo un volo di 30 metri nel vuoto, il pullman si è schiantato sotto i piloni del viadotto Acqualonga. Due di queste persone hanno resistito un po’ di tempo in più, mi riferisco a Trincone Vincenza, ricoverata presso l’ospedale Moscati di Avellino, è morta alle 23:00 dello stesso giorno; è durata dopo il volo nel vuoto un paio   d’ore; mi riferisco a Rocco Luigia che è stata ricoverata presso l’ospedale di Solofra dove decedeva il 29 luglio 2013, il giorno dopo. E poi ci sono le ultime due vittime: Del Giudice Silvana, nata nel 1997, ricoverata presso l’ospedale Loreto Mare di Napoli con prognosi riservata, è morta il 26 agosto 2013; Di Bonito Salvatore, l’ultimo, il quarantesimo, ricoverato con prognosi riservata presso l’ospedale Civile di Salerno e successivamente trasferito presso l’ospedale Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli in imminente pericolo di vita, è morto il 7 settembre 2013. Una carneficina, una autentica carneficina. Tutte vittime di quelle che si può considerare, fino a una quarantina di giorni fa, il più grave incidente nella storia autostradale di Italia, superato in questa terribile negativa classifica da quello che è successo a Genova dove, accanto ai morti, c’è addirittura una città che sta cercando di recuperare tra mille difficoltà. E poi c’è un altro tema, completamente dimenticato, quello della scia di dolore che ha portato questo terribile incidente. Mi riferisco al tema dei sopravvissuti, li avete sentiti, ho letto il verbale un attimo fa, ma prima l’avete sentito voi in questa aula il 7 dicembre 2016. La signora che continua a vedere, dopo tanto tempo, quella macchina rossa davanti agli occhi e non sa di cosa si tratta. Oppure l’altra signora, la signora Caiazzo, che vive tutti i giorni nella terribile ansia di pensare: “Che cosa farà mia figlia quando io non ci sarò più”. E poi c’è l’altro tema, anche questo completamente dimenticato, quello dei parenti delle vittime che hanno seguito questo dibattimento durante tutte le udienze, inizialmente avevano seguito tutta la fase dell’udienza preliminare. È vero, in qualche occasione si sono verificate delle intemperanze che non possono assolutamente essere giustificate, ma che forse, forse, tenendo conto del quadro generale della vicenda, possono essere anche forse comprese. I parenti delle vittime ci hanno messo la faccia, e anche oggi sono qui, signor Giudice, alle mie spalle, di fronte a Lei, e ancora oggi, dopo cinque anni, sono qui a chiedersi il perché, il come, il chi di questa vicenda. E aspettano la giustizia, una risposta di giustizia che deve venire da questa aula alla fine di questo processo. Ho deciso di cominciare così, signor Giudice, per ricordare a me stesso, a me che quella notte sono stato lì insieme alla collega Annecchini, tutta la notte, e ho assistito all’indescrivibile, indescrivibile attività di recupero dei corpi dai rottami del bus. Scene che nessuno mai, ma proprio mai, dovrebbe vedere nella sua vita. Corpi straziati, corpi senza braccia, senza gambe, toraci sfondati, teste spaccate. Ripeto, per ricordare a me stesso che non è vero, non è vero che tutto si può comprare. Non si può comprare, non si potrà comprare mai il dolore di una donna che è venuta in questa aula a dirvi: “Ho perso tutto, non ho più niente”. Non ha più niente perché a seguito di quell’incidente ha perso il marito e le due figlie, Silvana e Simona; Simona, una ragazzina di 16 anni che stava vivendo forse la fase più bella della vita di una persona e che ha posto fine alla sua esperienza volando giù da un viadotto maltenuto da Autostrade per l’Italia Spa. Sia ben chiaro a tutti, sia ben chiaro a tutti: questo dolore non si può comprare. Ho deciso di cominciare così, signor Giudice, per ricordare a me stesso, a me che quella notte ero lì insieme alla collega Annecchini, siamo stati tutta la notte lì, quando si è posto il problema della sistemazione dei corpi delle vittime. I morti a terra hanno talmente tanti, erano talmente tanti che, ad un certo punto, il titolare dell’agenzia funebre che era stato convocato sul posto ci disse: “Io non posso sistemare più nessuno, ho esaurito le scorte, non ho più bare”. Tanti erano i morti a terra. E si dovette far ricorso a una agenzia funebre tra mille difficoltà, era di notte, eravamo al 28 luglio, fine luglio, quasi a cavallo del periodo feriale di ogni estate, si dovette far ricorso a una agenzia funebre di Pozzuoli e una di Napoli, tanti erano i morti a terra. Ripeto, per ricordare a me stesso che non è vero che tutto ha un prezzo, non è vero. Non ha prezzo, signor Giudice, e non avrà mai prezzo il dolore di una donna che, l’avete sentita in questa aula, abbiamo letto il verbale un attimo fa, l’avete sentita però in diretta mentre rendava le dichiarazioni del dicembre 2016, una donna che come figlia ha visto il padre con il cranio sfondato e il cervello che gli usciva dal naso, e che come mamma è costretta tutti i giorni a convivere con una figlia, la piccola Francesca, una ragazzina che all’epoca dei fatti aveva credo cinque anni, quattro anni, non di più, e che ha riportato lesioni gravissime a seguito di quell’incidente. Le hanno riconosciuto una invalidità pari quasi al massimo, pari quasi al cento per cento. La piccola Francesca, che a mio avviso,  a mio modestissimo avviso, può essere considerata il simbolo di questo incidente, l’emblema del dolore dei parenti delle vittime; non vive, sopravvive, tra mille difficoltà; Francesca non parla bene, non cammina bene e ogni tanto piange e chiede alla mamma, l’avete sentito, vi ho letto il verbale non a casa un attimo fa, di voler camminare come gli altri bambini. E la mamma non sa come risponderle. La mamma non sa cosa risponderle. Che nessuno si illuda, signor Giudice: questo dolore non ha prezzo. A questo dolore e alla domanda della piccola Francesca si può dare soltanto una risposta, una sola, una risposta di giustizia che avverrà in questa aula alla fine di questo processo. Ho deciso di cominciare così, signor Giudice, perché ho ritenuto opportuno, direi doveroso che su questo dolore così forte che ha accompagnato, accompagna e credo accompagnerà per sempre i familiari delle vittime e che, come dicevo prima, non ha mercato perché non si compra e non si vende, su questo dolore non poteva, anzi mi corregga, non doveva cadere il silenzio e per questo l’ho ricordato in questa sede. So benissimo, per l’esperienza maturata ahimè in tanti anni, che dicendo queste cose corra il rischio che ci sia il solito benpensante che comincia a dire che la Procura della Repubblica è un ufficio populista, giustizialista, che la Procura di Avellino celebra i processi strizzando l’occhiolino alle parti offese. Lo dicano pure. Poco importa. So bene che tra un attimo anche io, come ha fatto già la collega Annecchini, e credo come farà chi verrà dopo di me, cominceremo a parlarle di azione, evento, nesso di causalità, cooperazione del reato colposo, e tante altre sofisticate tesi che sono state elaborate in questi mesi degli uffici di Procura o negli ovattati studi professionali romani. Ma non è questo il vero tema del processo. Il vero tema del processo è questa incredibile vicenda che ha portato 40 morti e una scia indescrivibile di dolore. Se lo ricordi, signor Giudice, quando andrà in Camera di Consiglio. Si ricordi il vero tema di questo processo. Si ricordi, mi permetto di dirlo con il massimo rispetto naturalmente, che Lei ha un compito straordinario perché Lei, con la sua decisione, potrà riportare questa vicenda nei confini, sul terreno della legalità e soprattutto con la sua decisione potrà far sì che gli esclusi da questo processo non diventino anche dei dimenticati della giustizia. E  passiamo ai fatti. Anche qui è necessaria una premessa, signor Giudice, perché l’avvio delle indagini per la parte relativa alla responsabilità di Autostrada è stata avviata con alcune difficoltà. Le prime difficoltà sorsero perché nell’immediatezza dei fatti, non erano passati neanche alcuni giorni dall’inizio della vicenda della quale trattavamo, cominciavano a comparire sulla stampa dichiarazioni di personaggi anche importanti, personaggi influenti, i quali cominciavano a commentare la cosa dicendo che a loro avviso la responsabilità era esclusivamente del bus, che la struttura autostradale non c’entrava nulla, senza parlare neppure una parola sul fatto che forse tra le concause ci poteva essere anche quella della manutenzione stradale. Tutto risolto. Ci furono dichiarazioni nelle quali si diceva che si doveva smettere di continuare nell’ingiusto pregiudizio di pensare che i gestori delle reti autostradali non fanno gli investimenti di manutenzione così come si sono impegnati a fare nel momento in cui hanno assunto la gestione. Delle vere e proprie dichiarazioni assolutorie in via preventiva. Non si conosceva una sola carta di questa vicenda. La Procura stava ancora avviando le indagini, stava cercando di costruire un gruppo di consulenti che potevano far capire che cosa era successo. E già erano arrivate le dichiarazioni assolutorie preventive. Ma come ha detto qualcuno, e io credo a queste cose, la verità non scappa, c’è sempre tempo per farla venire fuori. E la Procura si è impegnata proprio in questo, nel cercare di ricostruire le responsabilità a 360 gradi. E alla fine ha accertato, contraddicendo quelle preventive e iniziali dichiarazioni assolutorie, raccogliendo degli elementi che oggi qui voglio sottoporre alla valutazione della Signoria Vostra. Primo elemento: dove è avvenuto l’incidente. L’ha detto già la collega nel corso della scorsa udienza. Il teatro del fatto è l’Autostrada A 16, in particolare il viadotto Acqualonga, nella tratta che va da Avellino Ovest a Baiano, territorio del comune di Monteforte Irpino. I consulenti del Pubblico Ministero hanno detto in questa aula, troverà nei verbali di udienza, e dopo li rileggerò, che la A 16 è una vecchia autostrada, che presenta molte criticità, alcune delle quali progettuali e addirittura strutturali. La prima criticità, la più importante, l’olografia del territorio e la necessità quindi di costruire il tracciato con una particolare pendenza. Pensi, signor Giudice, nel tratto da Avellino a Baiano si passa dai 619 metri sul livello del mare del valico di Monteforte a 196 metri sul livello del mare di Baiano, su una distanza di 9 chilomeri e mezzo. Si scende di livello di 50 metri a chilometri, per la precisione 47,3 metri al chilometro. È una pendenza pari quasi al massimo, il 5 per cento che è previsto dalla normativa. Ma comunque, a prescindere dalla normativa, è una sorta di picchiata dal valico di Monteforte a giù, verso valle. E ancora, del tratto inverso, da Baiano ad Avellino, tra il valico di Monteforte a Avellino Ovest, l’uscita autostradale, c’è un dislivello di 250 metri su cinque chilometri. Anche in questo caso si scende di 50 metri al chilometro, anche in questo caso una sorte di picchiata verso la città di Avellino. È talmente elevato il dislivello che ci hanno detto i nostri consulenti, anche in questa aula, e la consulenza del Pubblico Ministero è agli atti del Tribunale, Lei potrà verificare le cose che dico, che quel tratto di autostrada è stato costruito, come hanno detto loro, interamente a mezza costa, sulle pareti di una montagna. E poi, la larghezza delle corsie, inferiore a quella prevista dalla legge. La legge stabilisce una larghezza delle corsie, sia quelle ordinarie che quelle di sorpasso, di 3,75 metri. La corsia di sorpasso in molti punti di questa tratta autostradale è larga solo 3,40 metri, il 10 per cento in meno, per la precisione il 9,34 per cento in meno. E ancora: nella direzione Napoli – Candela, la corsia di emergenza è stata eliminata. Chi fa l’autostrada tutti i giorni, come me, è stata sostituita da una terza corsia sulla quale arrancano gli autocarri per cercare di salire verso il valico di Monteforte. E nella opposta corsia, Candela – Napoli, in molti punti la terza corsia non esiste proprio, così come non esiste quella di emergenza. In particolare sul viadotto Acqualonga, teatro di questo incredibile incidente, mancano l’una e l’altra, sia la terza corsia, sia quella di emergenza. E poi, hanno detto i nostri consulenti, in alcuni punti sono presenti anomalie tra i rettilinei e le curve e mancano le cosiddette curve di transito, in particolare mancano proprio sul viadotto Acqualonga, teatro dell’incidente per cui è processo. Naturalmente le cose che sto dicendo non le dico io, non avrei avuto la capacità e la professionalità per farlo. Lo dicono i nostri consulenti. Le indico la pagina, l’udienza è quella del 10 marzo 2017, la pagina è la 52. Troverà elencate da parte dei consulenti del Pubblico Ministero queste indicazioni che vi ho fatto. Ma queste valutazioni dei consulenti del Pubblico Ministero sono condivise anche dal perito di ufficio, dal perito che Lei, signor Giudice, ha nominato per cercare di mettere ordine tra le due consulenze di parte che avevano alcuni punti sui quali non c’era convergenza. Sentite che dice il professor Giuliani, pagina 58, della perizia che è stata depositata agli atti: “Le caratteristiche specifiche del tronco stradale, con riferimento alla ridotta dimensione delle corsie di marcia e di sorpasso, alla geometria altoplanimetrica del tracciato, alla elevazione dell’opera d’arte rispetto al suolo, suggeriscono di propendere per la massimizzazione del livello di contenimento”. A questi limiti, a queste criticità della tratta autostradale A 16 poi si aggiungono quelle specifiche del viadotto Acqualonga, il posto dove si è verificato l’incidente, il famoso volo nel vuoto per 30 metri. L’altezza dell’impalcato appunto dicono i nostri consulenti, 30 metri. Una altezza che i consulenti dicono è importante, è una altezza importante. L’assenza di corsie di emergenza, la presenza all’imbocco di quel viadotto, almeno nella tratta che va da Avellino verso Baiano, di un tratto curvilineo molto accentuato, la forte pendenza. Lo ricordo, l’ho detto prima, si scende di 50 metri a chilometro. La quota altimetrica è elevata; siamo intorno ai 400, 450 metri sul livello del mare; le conseguenti condizioni meteorologiche molto sfavorevoli. Chi frequenta quella strada lo sa perfettamente. Spesso durante i mesi invernale c’è neve, quasi sempre c’è ghiaccio. Anche questo lo dicono in maniera inequivoca i consulenti del Pubblico Ministero. Le segnalo anche su questo la pagina così potrà verificarlo e accertare la fondatezza delle cose che le dico. L’udienza è sempre la stessa, 10 marzo 2017, la pagina è la pagina 41. Ma di queste cose non parlano soltanto i consulenti del Pubblico Ministero. Lo riferiscono anche i testimoni. Richiamo in questa sede le dichiarazioni rese sul viadotto Acqualonga da Migliorini Placido. Migliorini Placido è un ingegnere già dipendente dell’Anas che poi è transitato al MIT, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, e lavora presso la direzione generale della vigilanza concessionaria autostradali, un teste che verrà richiamato più volte da questo Pubblico Ministero, signor Presidente, perché è  uno dei pochi testi che risulta non dipendente di Autostrade per l’Italia Spa e quindi è scevro da possibili condizionamenti che possono derivare da una persona che deve in qualche modo valutare e descrivere il comportamento del proprio datore di lavoro. In seguito dirò perché faccio questo riferimento all’assenza di condizionamenti da parte del Migliorini. Ebbene anche qui il Migliorini, anche qui ho il documento, le dico la pagina, Lei potrà verificarlo, l’udienza è quella del 17 febbraio 2017, alla pagina 160 dice, parlando proprio del viadotto Acqualonga: “È un tratto molto lungo, sicuramente non è un punto singolare ecco. È una tratta significativa, è una tratta molto importante insomma per una barriera”. Ma le dichiarazioni testimoniali non si fermano soltanto ai funzionari del Ministero, ci sono addirittura voci di dentro, di Autostrade per l’Italia Spa, addirittura di dipendenti del sesto tronco autostradale, proprio della direzione che ha la competenza su quella tratta e su quel viadotto, teatro dell’incidente per cui è processo, che sono molto cauti nel descrivere le condizioni del viadotto Acqualonga. Leggo le dichiarazioni di Zappalato Leandro. Zappalato Leandro è un responsabile dell’ufficio controllo traffico della direzione del sesto tronco, quindi una persona addetta a quello specifico lavoro. Sentite che cosa dice, l’udienza è del 15 settembre 2017, la pagina è pagina 16: “È un’autostrada, faccio una parentesi, molto critica perché la nostra competenza è 127 chilometri, è una autostrada di montagna a due corsie, con andamento planoaltimetrico molto critico – lo ripete per la seconda volta – passiamo da pendenze importanti, curve molto particolari. È un tracciato che risale agli anni ’60”. Ma allora si trattava di una situazione critica e pericolosa conosciuta che imponeva regole prudenziali importanti perché si doveva in qualche modo bilanciare quella criticità, ripetuta due volte da parte del teste Zappalato, che richiedeva un programma, a avviso del Pubblico Ministero, poi deciderà Lei, signor Giudice, un programma di monitoraggio e una particolare attenzione manutentiva che invece non c’è stata, come vi dimostrerò di qui a un attimo. Ma la cosa che colpisce di più è che la stessa società Autostrade, non solo i dipendenti, ma la dirigenza, condivideva la particolare criticità di quella tratta autostradale intervenendo con ordinanze limitative della velocità. Due di queste ordinanze sono state depositate dal Pubblico Ministero, sono agli atti, potrà verificarle nel suo fascicolo, signor Giudice. La prima è l’ordinanza della direzione del Sesto Tronco Cassino, la numero 106 del 2010, datata 15 settembre 2010, a firma dell’imputato Berti con la quale si stabiliva che, a causa dell’andamento altoplanimetrico della tratta Baiano – Avellino, e al fine di garantire la corretta transitabilità in corrispondenza delle curve, la velocità era riportata nei limiti di 80 chilometri orari e, in caso di pioggia, a 70. Provvedimento che veniva ribadito alcuni anni dopo dalla persona che aveva preso il posto dell’imputato Berti, si tratta dell’imputato Renzi, subentrato nella qualifica di direttore del Sesto Tronco, il quale emetteva l’ordinanza numero 119/15 del 15 luglio 2015, anche in questo caso, premesso che “causa l’andamento planoaltimetrico ordina che è necessaria la limitazione della velocità massima dei veicoli a 80 chilometri orari”. Lei saprà sicuramente, meglio di me, e lo dico soltanto a me stesso naturalmente, che questi limiti di velocità, la possibilità di ridurre i limiti di velocità è prevista dall’articolo 142 del Codice della Strada, il secondo comma, il quale però al primo comma fissa le velocità sulle tratte autostradali: 130 chilometri orari. Cioè nel caso del viadotto Acqualonga, nel caso della tratta che ci interessa, la stessa autostrada aveva ritenuto di abbassare la velocità addirittura del 40 per cento quasi, per essere preciso 38,5 per cento. Non si poteva superare quella velocità a causa delle condizioni della strada, come dicono le ordinanze adottate dalla stessa dirigenza del Sesto Tronco di Autostrade Spa. Allora bisogna dire che era noto, anche a Autostrade per l’Italia Spa, che quel tratto di strada poneva dei problemi di importante sicurezza e che in concreto, per negligenza, imperizia, imprudenza, o peggio, per sciatteria, sono stati, sotto alcuni aspetti, poi lo vedremo, del tutto ignorati. Questa è la parte che riguarda la descrizione del posto in cui è avvenuto l’incidente. Passiamo adesso al secondo punto: come è avvenuto l’incidente. Sul punto è già intervenuta a lungo la collega nella scorsa udienza, la quale ha individuato le carenze, a suo avviso, a avviso dell’ufficio di Procura naturalmente, del pullman nella causazione di questo evento. A quelle considerazioni io ritengo di aggiungere che una delle concause determinanti dell’incidente è stata la mancata tenuta delle barriere di sicurezza che non hanno resistito all’impatto del bus e sono crollate. La causa di questo mancato controllo, per le cose che dirò di qui a un attimo, è stata il forte degrado dei cosiddetti tirafondi. Che cosa sono le barriere di sicurezza? Brevissimamente, signor Giudice, anche perché non ho la capacità di affrontare in maniera impegnativa questi discorsi tecnici. Le barriere del tipo New Jersey, quelle che ci interessano, quelle che erano installate sul viadotto Acqualonga e che non hanno resistito all’impatto del bus per le ragioni che adesso vi dirò, sono composte da elementi prefabbricati in calcestruzzo ognuno dei quali ha la lunghezza di circa sei metri; sono collegate tra loro nella parte alta da barra di acciaio e in quella bassa da piastre di collegamento, che collegano appunto e tengono fermi i New Jersey l’uno all’altro. Questi elementi vengono poi bloccati sul margine della carreggiata, sul cordolo si dice tecnicamente, della sede stradale, attraverso i cosiddetti tirafondi. Per l’uomo della strada come me sono dei normali bulloni, che vengono sistemati in appositi contenitori, si chiamano tasche e vengono avvitati nel calcestruzzo, proprio per consentire che possono reggere agli urti e svolgere la loro funzione di contenimento. I consulenti del Pubblico Ministero hanno riferito che la tasca assolve benissimo, dal punto di vista meccanico e strutturale, al funzionamento della barriera, però, in alcuni casi, in presenza di particolari condizioni morfologiche e geometriche, determina una criticità. Si determina infatti in questi casi, quando la strada è connotata da certe caratteristiche, la possibilità di ristagno di acque e sali disgelanti all’interno della tasca con il conseguente ammaloramento dei tirafondi. È proprio quello che è successo nel caso in esame, signor Giudice, quello che è successo nel processo del quale ci stiamo occupando. Il viadotto Acqualonga, ve l’ho detto prima e non a caso ve l’ho detto, si trova a una certa altitudine, nei mesi invernali è spesso coperto da neve, quasi sempre da ghiaccio, vi è un costante uso di acqua e di sali disgelanti, la strada in quel tratto, ve l’ho detto prima, è a andamento curvilineo e c’è una lievissima pendenza verso destra, nella tratta da Avellino a Baiano, per cui c’è uno scorrimento verso le barriere dell’acqua e del sale quando si sono disciolti. E tutte  queste circostanze, hanno detto i consulenti del Pubblico Ministero, hanno determinato appunto il forte ristagno di acque e di disgelanti, creando all’interno delle tasche un ambiente salino molto aggressivo che ha determinato l’ammaloramento dei tirafondi fino a giungere al livello di degrado che vi mostro. Sono foto allegate alla consulenza del Pubblico Ministero. Sono state depositate e quindi fanno parte del materiale di cui Lei potrà tener conto. L’allegato alla consulenza è indicato con il numero 5.5.01, la consulenza è quella dell’11 aprile 2014. I primi dodici fotogrammi che adesso faccio scorrere mostrano i tirafondi presenti sul tratto autostradale all’atto della verifica dei consulenti. Quasi inesistenti. Le foto 13, 14 e 15, invece, mostrano i tirafondi e le piastre di collegamento delle barriere che sono state trovate giù, quelle che sono volate nel vuoto insieme al bus. Adesso vi mostro la foto numero 16, sulla quale mi fermo un attimo. Questa è una foto che Lei troverà allegata a pagina 27 della consulenza dell’11 aprile 2014 che ritrae, sulla destra, un tirafondo recuperato sul luogo dell’incidente, sulla sinistra quello che dovrebbe essere un tirafondo in condizioni ordinarie. Mi sono fermato un attimo su questa foto, signor Giudice, perché a mio avviso, naturalmente poi valuterà lei, questa foto rappresenta la sintesi delle ragioni per le quali siamo qui oggi, siamo in questa aula da due anni perché questa foto rappresenta, a avviso del Pubblico Ministero naturalmente, la prova visiva dell’imperizia, della negligenza, della sciatteria, di chi doveva predisporre un programma di interventi e di controlli, di chi doveva operare su quei controlli, di chi doveva in concreto percorrere quelle tratte autostradali e verificare quello che stava succedendo. Nel corso dell’accertamento peritale si è tentato di recuperare alcuni di questi tirafondi. Ricordo a me stesso naturalmente, Lei potrà verificarlo in Camera di Consiglio che la consulenza del Pubblico Ministero è avvenuta nel rispetto delle regole di cui all’articolo 360, quindi erano presenti i consulenti di tutte le parti durante queste attività. Ebbene, il tentativo di recuperare i tirafondi per verificarli, per sottoporli a alcune analisi, i tirafondi erano pressoché irrecuperabili. Si sono sfaldati, si sono rotti, si sono sbriciolati nelle mani. Naturalmente questo non lo dico io, lo dicono i consulenti, quelli che hanno svolto le operazioni. L’udienza è sempre la stessa, 10 marzo 2017, testualmente è riportato nelle pagine 22, 23 e 24 del verbale di udienza. Potrà verificare. Quei piccoli pezzi, quei frammenti, quei residui di tirafondi che sono stati recuperati, sono stati inviati all’università di Udine, in particolare al dipartimento Chimica, Fisica e Ambiente, e i risultati di queste analisi sono allegati alla consulenza acquisita fascicolo del dibattimento. In questa sede Lei potrà verificare la consulenza nella sua interezza. Richiamo soltanto la sintesi, la conclusione che ha dato uno dei consulenti del Pubblico Ministero sull’esito di questi risultati all’udienza del 10 marzo 2017: “Nei tirafondi verificati a Udine abbiamo trovato una forte riduzione della resistenza di progetto, anche nei tirafondi che siamo riusciti a reperire e a trasportare perché la maggior parte, come vi dicevo, non erano proprio presibili essendo totalmente sfaldati dai residui dell’ossidazione”. “Una forte riduzione della resistenza di progetto”. Mi permetto di tradurre questa frase con le parole di una persona qualunque, di un uomo della strada: quei tirafondi non servivano assolutamente a nulla, erano assolutamente inidonei a svolgere la loro funzione. L’accertamento sui materiali fatto dai consulenti, anche presso l’università, consentiva di verificare che i tirafondi erano di acciaio zincato, che invece sarebbe stato più utile utilizzare un altro tipo di acciaio che veniva considerato più resistente alla corrosione, proprio per le particolari condizioni per le quali erano stati installati quei tirafondi. Lo dice il consulente del Pubblico Ministero, l’udienza è sempre la stessa, il 10 marzo 2017, la pagina è la 116, ma soprattutto questa necessità di utilizzare un diverso tipo di tirafondo lo dice anche un documento ufficiale, un organismo europeo. Si tratta dell’organizzazione europea per la omologazione tecnica, un documento che il Pubblico Ministero ha prodotto in versione originale e che su sua disposizione, signor Giudice, è stato tradotto. Questo documento dell’organizzazione europea dice proprio questo: “Liebig ultraplus in acciaio inox è consigliato per l’esposizione a condizione interne permanentemente umide”, proprio quelle che, per le cose che ho detto in precedenza, caratterizzavano il viadotto Acqualonga. Ma ancora, c’è di più. I nostri consulenti, i consulenti del Pubblico Ministero, hanno accertato che quei tirafondi erano presenti da circa 25 anni, 24 o 25 anni, un periodo temporale che i consulenti del Pubblico Ministero ritengono assolutamente abnorme rispetto alla durata ordinaria di un tirafondo. A conferma di questa loro affermazione, hanno portato l’esempio di alcuni importanti viadotti che si trovano sulla tratta autostradale Torino – Savona, dove sono stati esaminati alcuni tirafondi e sono stati trovati nelle condizioni che adesso vi mostro. Le troverà naturalmente allegate alla consulenza. Questi sono i tirafondi sul viadotto Torino – Savona, installati solo 12 o 13 anni prima. Immaginate dopo oltre 25 anni. Ma, per eliminare ogni dubbio che i tirafondi rilevati nella zona incidentata fossero conseguenza dell’incidente stesso, la Procura della Repubblica diede incarico ai suoi consulenti di estendere i controlli anche agli ancoraggi delle altre barriere presenti sul viadotto Acqualonga e non coinvolte nell’incidente. L’esito della verifica su queste barriere è quello che emerge attraverso le foto che sono anch’esse allegate alla consulenza del Pubblico Ministero, che sono già state mostrate in questo dibattimento all’udienza del 10 marzo e che adesso vi dimostro. Eccoli qua. Questa è la situazione dei tirafondi per le barriere non coinvolte nell’incidente. Scorro le foto e mi fermo alle ultime due: questa e la successiva. Mi fermo su queste, sa perché signor Giudice, queste due foto che come ho detto si riferiscono a barriere non coinvolte nell’incidente, a barriere che sono nel normale uso, probabilmente sono attualmente presenti in altri viadotti, rappresentano, a avviso del Pubblico Ministero, poi valuterà Lei, signor Giudice, la politica aziendale di Autostrade per l’Italia che non pensa assolutamente alla sicurezza degli utenti, ma segue soltanto la logica dei ricavi e del profitto, altrimenti sarebbe intervenuta eliminando questa situazione di oggettivo, intollerabile, incredibile pericolo per gli utenti. Anche questi tirafondi, ripeto tirafondi non coinvolti nell’incidente ma relativi a altre barriere, sono stati inviati a un istituto universitario, il dipartimento di Ingegneria civile dell’università di Salerno. I risultati sono assolutamente analoghi a quelli dell’università di Udine. “Forte riduzione della resistenza dei tirafondi alla trazione”, traduco ancora una volta: era come se fossero inesistenti. D’altro canto credo che basta guardare questa foto per evitare ogni commento. Ma c’è di più. L’esito delle analisi eseguite dagli istituti universitari individuati dai consulenti del Pubblico Ministero trovano riscontro nella perizia che Lei, signor Giudice, ha disposto. Sentite cosa dice il professor Giuliani, pagina 78: “Il quadro che emerge dalla documentazione tecnica in atti è impietoso, rappresenta importanti percentuali di tirafondi non efficienti e un avanzatissimo stato di corrosione. Lo stato complessivo dei collegamenti verticali, per severità e diffusione lungo il fronte di installazione, era tale da aver ridotto a apporto irrilevante, se non nullo, il contributo fondamentale dei tirafondi stessi all’equilibrio, al meccanismo dissipativo della barriera collisa con l’autobus Volvo”. È la seconda volta che menziono il perito che Lei ha nominato e la sua perizia. Allora, signor Giudice, Lei mi deve consentire una piccola osservazione perché si è cercato di far passare il perito che Lei ha nominato come una sorta di alieno, calato in maniera assolutamente inopportuna in questo processo, come dire: “Avete scelto un professore specializzato in lettere antiche, in greco antico, in romano antico e gli avete chiesto di fare una relazione sulla teoria fisica della quantistica”. Si sono fatte domande al consulente del tipo, più o meno: “Lei sa che cosa sono le barriere? Ma lei ha mai visto una barriera laterale?”. Ma a fare chiarezza a queste domande basterebbero già le risposte che ha dato in udienza il professor Giuliani. Ne leggo solo una. Gli viene chiesto: “È la prima volta che si confronta in maniera così approfondita sulle barriere?”. “No, assolutamente – risponde il professore – ci sono state diverse occasioni importanti, anche di pari tono, di pari livello”, “Altri processi?”, “Certo”, risponde il consulente. Ma incuriosito da queste domande sono andato a controllare il curriculum personale del professor Giuliani: dal novembre 2014 è professore universitario di strade, ferrovie, aeroporti presso il dipartimento di Ingegneria civile dell’ambiente, del territorio ed architettura dell’università di Parma; dal gennaio 2015 è Presidente della società italiana Infrastrutture Viarie; ha svolto attività scientifica; è stato membro del team di valutatori trasporti e logistica avanzata; Presidente del Comitato Scientifico di Area 108, ingegneria civile ed architettura; direttore del centro interuniversitario di ricerca stradale e aeroportuale che comprende l’università di Ancona, Parma, Padova e il politecnico di Milano; è stato direttore di lavoro delle prove materiali e strutturali dell’università di Parma; è stato direttore generale del centro studi e ricerche, associazioni italiane, ingegneria del traffico e dei trasporti; è stato titolare, è attualmente titolare presso l’università di Parma del corso Analisi e ricostruzione degli incidenti stradali; nel passato è stato titolare del corso di tecnica dei trasporti; tecnologia innovative e costruzioni infrastrutturali; titolare del corso progettazioni avanzate di infrastrutture viarie; titolare del corso di costruzioni di strade, ferrovie e aeroporti; docente nel corso di master universitario in ingegneria della sicurezza stradale. E allora mi pare, naturalmente è un mio giudizio che vale quel che vale ma comunque lo do in questa aula, il professor Giuliani ha, a mio avviso, le qualità, l’esperienza professionale per dare lezioni a tanti, ma proprio a tanti. Il professor Giuliani, seguendo le sue indicazioni, ha letto e ha confrontato le relazioni delle due parti processuali, quella della Procura della Repubblica e quella della difesa. Ha raccolto le opinioni dei consulenti di entrambe le parti nel corso di alcune specifiche riunioni di gruppo. Nel corso di una di queste riunioni erano addirittura presenti numerosi difensori degli imputati, i quali hanno sottoposto in quella sede al perito dei documenti che, con la solita tempistica oserei dire, erano stati depositati solo il giorno prima presso la sua cancelleria, signor Giudice, senza alcuna interlocuzione per la Procura, ma questo non è il momento di parlare di contraddittorio in questo processo. Non sono i comportamenti quelli che dobbiamo esaminare. Il problema è uno, uno solo: le conclusioni del perito che Lei ha nominato non sono state gradite da alcuni, ma di questo bisogna farsene una ragione; bisogna confrontarsi con quello che ha detto il consulente. Ritorno dopo questa parentesi al tema principale. E allora si può affermare che la mancata previsione e l’organizzazione dei controlli, per quello che vi ho detto e vi ho fatto vedere nelle foto, è la conseguente e omessa manutenzione delle barriere, in particolare dei tirafondi per quello che vi ho mostrato su queste foto e trovate sul posto, teatro dell’incidente, sono semplicemente frutto di una inspiegabile, ingiustificata, importante negligenza umana. Ancora una volta trovo conforto, in queste mie valutazioni, in quelle molto più   qualificate di me naturalmente, del professor Giuliani, relazione pagina 61: “Riguardo alla possibilità di prevenire, riconoscere e correggere gli effetti del degrado indicati, con l’obiettivo di ripristinare la piena prestazione del sistema di sicurezza, si ritiene che un’attenta, costante, sistematica attività programmatica avrebbe potuto limitare o impedire il raggiungimento dell’accertato stato di grave deterioramento”, questo che risulta dalle foto. Che il degrado dei tirafondi e delle barriere abbia avuto un contributo importante nella causazione dell’evento, lo dicono i consulenti del Pubblico Ministero. L’udienza è sempre la stessa, il 10 marzo 2017, la pagina è la 94. Risponde uno dei consulenti, il professor Giavotto: “La barriera sana avrebbe contenuto quel pullman”. E il Pubblico Ministero chiede, siccome i consulenti erano più di uno, chiede il conforto anche degli altri consulenti: “In queste condizioni, con quella velocità, con una manutenzione corretta dei tirafondi delle barriere il pullman non sarebbe precipitato perché le barriere erano in grado di contenere l’urto?”, e questo lo chiedo anche agli altri consulenti e rispondono: “Assolutamente sì”, “Sì”, “Sì”, “Sì”. Naturalmente questa che vi ho letto è la consulenza dell’ufficio della Procura, ma c’è da fare i conti con quella presentata dalla controparte, dai difensori degli imputati. Questa presentazione è avvenuta all’udienza del 7 e del 20 dicembre 2017. C’è stata l’escussione dei consulenti di parte difesa, hanno depositato i consulenti una rilevante consulenza tecnica, accompagnata da numerose slide, decine e decine di slide, ma soprattutto accompagnata da un cortometraggio, con un testo letto da uno speaker durante la proiezione del filmato. Lei naturalmente potrà verificarlo interamente in Camera di Consiglio. Io mi limito a riportare soltanto alcuni passaggi e poi spiegherò il perché. Si legge in questa nota di accompagnamento al cortometraggio: “L’eccessiva semplificazione dei modelli, la mancanza di coerenza tra le fasi ricostruttive, gli errori nella valutazione delle prove, il mancato rispetto dei riscontri a delle tracce fisiche rilevate, hanno portato i consulenti della Procura a presentare una ricostruzione non adeguata, non rispondente alla realtà dei fatti avvenuti sul viadotto il 28 luglio 2013”. E queste indicazioni riportate nella relazione di accompagnamento al cortometraggio, la voce dell’anonimo speaker sono poi state accompagnate da valutazioni in sede di udienza, l’udienza è quella del 20 dicembre, dove alcuni dei consulenti, li verificherà in Camera di Consiglio, non leggo tutti i verbali per ragione di tempo, hanno usato delle valutazioni molto forti nei confronti dei consulenti del Pubblico Ministero. “L’assoluta improprietà tecnica di queste informazioni, non capisco perché possa essere capitato uno scivolone del genere, qualunque sia il motivo che abbia indotto in confusione il consulente del Pubblico Ministero”. Troverà questa espressione testuale all’udienza del 20 dicembre. Allora queste conclusioni caratterizzate da così granitiche certezze, da valutazioni inequivoche, prive di ogni dubbio, di ogni incertezza circa la mancanza di responsabilità da parte di Aspi, sia in generale nella causazione dell’incidente, sia nella manutenzione delle barriere di sicurezza, meritano invece, a avviso di questo Pubblico Ministero, alcune considerazioni, sia di metodo che di merito. Comincio dal metodo. Prima considerazione. Io mi sono chiesto: ma per quale motivo l’eccessiva semplificazione dei modelli, il mancato rispetto dei riscontri, gli errori nella valutazione della prova non sono stati segnalati ai consulenti del Pubblico Ministero mentre si facevano le operazioni che sono state svolte ai sensi del 360? Eravate lì, voi che avete delle verità così assolute, avvicinate i consulenti del Pubblico Ministero e dite: “Guarda che stai prendendo uno scivolone terribile, stai in uno stato confusionale, renditi conto di quello che stai dicendo”. Nulla, nulla di nulla. Poi, seconda considerazione, mi sono chiesto per quale motivo una consulenza che conteneva certezze così granitiche poggiate sui numerosi sapere dei tanti cattedratici nominati consulenti di parte non è stata depositata all’ufficio del Pubblico Ministero, almeno all’atto della notifica dell’avviso ex articolo 415 bis, andare dal Pubblico Ministero e dire: “Ma tu a chi hai affidato l’incarico! Questi sono degli scivolatori, sono dei confusionari, hanno scelto dei metodi assolutamente semplificati che non servono a niente. Ma perché non ti rendi conto di quello che stai facendo”. E consentire al Pubblico Ministero di richiamare i consulenti e dire: “Ma voi che cosa avete combinato!”. Nulla, nulla di nulla. E né tanto meno questa straordinaria consulenza che conteneva verità così assolute è stata depositata nel corso della lunga, lunghissima udienza preliminare, sollecitando in quel caso i poteri del GUP e dire: “Guarda, le prove che sta portando il Pubblico Ministero sono delle autentiche follie perché sono basate su semplificazioni di modelli, su errori di valutazione della prova, sul mancato rispetto dei riscontri oggettivi, sono frutto di confusione, di scivoloni”. Nulla, nulla di nulla di nulla. Poi mi sono chiesto ancora una volta: nella stessa relazione che accompagna il cortometraggio, l’anonimo speaker ci dice che… Non ci sono le pagine e quindi non gliele posso indicare, comunque il testo è quello, fa riferimento anche al crash test che sarebbe avvenuto presso il centro prove Aisico di Pereto, provincia de L’Aquila, e dice l’anonimo speaker che commenta il cortometraggio: “A ulteriore conferma di come l’ipotesi dei consulenti della Procura non possa corrispondere alla realtà dei fatti”, cioè è sbagliata, completamente sbagliata! E allora, mi chiedo anche su questo punto, ma perché non invitare i consulenti del Pubblico Ministero che pure avevano fatto la consulenza ai sensi dell’articolo 360 ad assistere a questo crash test, per dire loro: “Guardate, ma che cosa avete combinato, voi siete dei confusionari scivolatori che dite una cosa, ma ne pensate un’altra”. Allora siccome queste considerazioni di metodo non hanno risposte, mi sembra di poter dire, naturalmente è una valutazione del Pubblico Ministero, che la realtà è una sola. La consulenza prodotta dagli imputati, che come ho detto prima era frutto di tanti saperi proposti dagli tanti cattedratici nominati CT dagli imputati, non poteva essere oggetto di alcuna osservazione, non poteva essere messa in discussione neanche in sede di confronto con gli altri consulenti. Doveva essere accettata come verità assoluta a scatola chiusa, senza che nessuno potesse metterci neppure un piccolo becchetto. Ma pur essendo un Pubblico Ministero di provincia, io credo che è possibile svolgere su questa consulenza alcune considerazioni anche di merito, soprattutto di merito che presentano elementi di interesse per l’imputazione che io sto trattando, quella di cui al capo c) della rubrica. La tesi secondo la quale il fenomeno della corrosione degli ancoraggi era un problema non conosciuto, è stato esposto dai consulenti di parte all’udienza del 20 dicembre, nel corso della quale il professor Domenichini che, in quella occasione, era il portavoce del pool di consulenti, ha riferito quello che adesso le leggo testualmente. L’udienza è quella del 20 dicembre, il foglio è 68, leggo testualmente: “Sul manuale di manutenzione e installazione non è riportata assolutamente una parola che riguarda questo problema”, pochi righi più sotto: “Non c’è nulla che dice: “Guardate, forse ci possono essere degli elementi che corrodono all’interno che voi non vedete, ma non c’è scritto nulla, non è neanche data attenzione”, e ancora più sotto: “In nessuno di questi documenti esistono indicazioni circa il pericolo che nella parte non vista del sistema di ancoraggio si possono verificare fenomeni patologici di corrosione”. Queste dichiarazioni rese nel corso dell’udienza sono ancora più esplicitate nella consulenza scritta. Le leggo alcuni passaggi, le pagine sono 5.7, 5.8, 5.9. Senta, signor Giudice, che cosa si dice in questa relazione: “Il tema della possibile riduzione delle prestazioni nel tempo delle barriere prefabbricate in calcestruzzo tipo New Jersey non è mai stato oggetto di approfondimento, né tanto meno lo è stato il tema della possibile riduzione nel tempo della funzionalità strutturale dei loro ancoraggi indotta dalla corrosione qualora l’acqua mista ai sali disgelanti utilizzati nella manutenzione invernale potesse raggiungere gli ancoraggi stessi”. E ancora, nella pagina successiva: “Il problema non era conosciuto, ma non era neppure conoscibile se si tiene conto del fatto che, anche nei più recenti manuali di installazione e manutenzione delle barriere New Jersey, predisposti dai fornitori delle barriere e allegati alla documentazione di certificazione, non è riportata alcuna avvertenza”. E ancora, è l’ultimo passaggio che leggo, signor Giudice: “In base alle indicazioni del produttore, le barriere di calcestruzzo sono esenti da necessità particolari di manutenzione, si fa riferimento a possibili alterazioni del sistema di ancoraggio solo in relazione al rallentamento dei bulloni come conseguenza delle vibrazioni generate dal traffico. Non viene dato alcun avvertimento in merito all’eventualità che possano insorgere, con il passare del tempo, fenomeni di corrosione nelle parti metalliche nascoste”. Prendendo atto di queste dichiarazioni il Pubblico Ministero ha fatto delle verifiche e ha acquisito degli atti che sono stati sottoposti alla Signoria Vostra, sono allegati al fascicolo: il primo è una decisione UNI, la numero  7323/8/1980, la quale ha ad oggetto la bulloneria di acciaio inossidabile resistente alla corrosione. Ma allora già nel 1980 si parlava di esistenza di un possibile problema di bulloneria resistente alla corrosione? L’UNI, lo dico a me stesso naturalmente, Lei lo saprà perfettamente, signor Giudice, è l’ente nazionale italiano di unificazione, è un ente riconosciuto dalla CEE come organismo di normazione del settore industriale, commerciale e del terziario. E ancora, la scheda tecnica, si è parlato nella relazione che il produttore non fa assolutamente riferimento alla possibilità della corrosione. Ebbene la scheda tecnica, il certificato di conformità che il Pubblico Ministero ha prodotto in lingua originale e che lei ha fatto tradurre, signor Giudice, dice una cosa lievemente diversa. Leggo la pagina 5 della traduzione, il capoverso è l’1.2: “L’ancora destinata a essere utilizzata per ancoraggi per i quali debbono essere soddisfatti i requisiti di resistenza meccanica, stabilità e sicurezza durante l’uso e il guasto di ancoraggio fatto con questi prodotti causerebbe rischi per la vita umana. L’ancora può essere utilizzata solo in strutture soggette a condizioni interne asciutte”. Proprio quelle del viadotto Acqualonga! Tutto il contrario, tutto il contrario delle condizioni del viadotto Acqualonga dove, lo ripeto per l’ennesima volta, la particolare altitudine, la olografia del territorio, le condizioni meteorologiche avverse, la presenza costanza di neve e di ghiaccio determinano all’interno delle tasche, per le cose che ho detto prima, la presenza stabile e il ristagno di acqua e di residui chimici. Ma non è finita, ci sono ancora degli altri documenti. L’EOTA, l’abbiamo letto prima, l’Organismo Europeo per l’omologazione tecnica che, a proposito dell’ancoraggio Liebig ultraplus M16, quello utilizzato sul viadotto Acqualonga, dice ancora una volta: “L’ancora può essere utilizzata solo in strutture soggette a condizioni interne asciutte”. E ancora: “Il Consiglio superiore dei lavori pubblici – il protocollo è il numero 147, naturalmente ne parlo perché è stato esibito e acquisito al fascicolo del dibattimento, l’udienza è quella del 12 giugno 2002, già dal 2002, altro che fenomeno sconosciuto – Il Consiglio Superiore dei lavori pubblici – avendo una verifica che aveva ad oggetto l’omologazione di barriere stradali di sicurezza New Jersey, classe H4 bordo ponte dice, a pagina 7 – nulla è detto circa la protezione dalla corrosione dei tirafondi Liebig ultraplus”. Il Consiglio Superiore dei lavori pubblici, già nel 2002, conosceva e si poneva il problema della presenza di un possibile fenomeno di corrosione dei ultraplus. Questa documentazione naturalmente è stata sottoposta, nel corso del dibattimento, alla valutazione dei consulenti di parte i quali hanno affermato, dopo aver esaminato la documentazione prodotta dalla Procura, leggo il verbale di udienza, è ancora una volta il professor Domenichini che si fa portavoce del pool, dell’equipe dei consulenti, il quale all’udienza del 28 marzo 2018, alla pagina 17, dichiara: “Confermo la compatibilità di quanto io ho affermato con quanto affermato nel documento, ammesso e non concesso che sia pertinente, nel senso che questo non è un manuale di installazione, è un certificato di qualità”. È incredibile, incredibile, davvero incredibile. Forse il consulente dimentica o si è distratto nel rispondere che la questione non è il titolo del documento, manuale di manutenzione o certificato di conformità, ma la circostanza sulla quale si stava svolgendo l’accertamento era quella della conoscenza o meno del fenomeno dell’ammaloramento, cosa sulla quale il consulente, nel rispondere a quei documenti, non esamina, non dicendo neppure una parola. E sull’argomento interviene anche un altro consulente di parte, il professor Pastore. L’udienza è la stessa, il 28 marzo 2018, la pagina è la stessa, pagina 17. Sentite che cosa dice il professor Pastore: “C’è un’altra differenza sostanziale, nel senso che di quello che è stato utilizzato sul viadotto, l’acciaio è del tipo 8.8, mentre quello riportato nella specifica è 10.9, quindi non c’entra proprio niente. È come voler applicare le indicazioni per certificare le caratteristiche di un prodotto ad un altro prodotto”. È assurdo. Non è così, signor Giudice. Anche questa risposta mi meraviglia perché effettivamente, se Lei esaminerà la convenzione tra Anas, poi MIT e Autostrade per l’Italia, è prevista la possibilità di utilizzazione di tirafondi del tipo 8.8, ma quelli utilizzati sul viadotto Acqualonga sono quelli del tipo 10.9. Questo non lo dico io, naturalmente, non avrei nessuna capacità per dirlo, ma troverà queste indicazioni negli esami tecnici, chimici fatti presso l’università sia di Udine che di Salerno. In quella documentazione che è allegata alla consulenza di cui lei ha la  disponibilità sono riportati i valori dei provini fatti dalle università che sono tutti, li troverà a pagina 17 e 18 della consulenza del Pubblico Ministero, sono tutti vicini al valore di 10 mpa, che corrisponde proprio alla classe di 10.9, perché la classe 8.8 ha un valore di lettura molto più basso che è quello di 800 mpa e non 1000. Allora bisogna convenire che tutti i tirafondi utilizzati sul viadotto Acqualonga, sia quelli coinvolti nell’incidente, sia quelli presenti e valutati in un secondo momento, erano tutti di 10.9. Allora questa farsene una ragione anche in questo caso, nessuna assurdità. L’unica cosa assurda di questo processo, l’unica cosa assurda di questo processo è quella di aver omesso imprudentemente, negligentemente, irresponsabilmente ogni controllo sulle barriere del viadotto Acqualonga, riducendo i tirafondi nello stato che vi sono stati mostrati e determinando quindi tutto quello che è successo. È questa, signor Giudice, l’unica assurdità di questo processo. Naturalmente anche l’altro consulente, il professor Pastore, non dice una sola parola per rispondere alla documentazione che è stata prodotta dal Pubblico Ministero. Il fenomeno si conosceva o non si conosceva? E aggiungo a queste considerazioni, sulla conoscenza del fenomeno della corrosione, le dichiarazioni rese da un teste, tra l’altro presentato dalla difesa, si chiama ingegnere Mazziotta Francesco ed è il dirigente della direzione generale della sicurezza stradale del Ministero per le Infrastrutture e i Trasporti, la massima competenza in tema di sicurezza stradale. L’udienza è quella del 28 ottobre 2017, la pagina è la pagina 17. Senta, signor Giudice, il Pubblico Ministero chiede al teste: “Senta, ma esiste un problema della corrosione della bulloneria? Lei come direzione generale ne ha mai sentito parlare? Ha affrontato il problema?”, “Ma certo che ne ho sentito parlare – risponde il teste Mazziotta – il problema della corrosione esiste a prescindere, sia per i bulloni delle barriere, sia per le armature delle strutture in genere, esiste per i ponti in ferro, esiste per tante strutture. È un problema che si deve affrontare o in via preventiva, con delle protezioni adeguate, o in via di manutenzione delle opere. Il controllo tecnico sull’efficiente di cui parlavamo prima comprende anche questo”. Il Pubblico Ministero, che ha difficoltà nel praticare questa materia, gli chiede ancora un’altra cosa: “Senta, ma è una questione recente questa della corrosione della bulloneria o è una questione risalente nel tempo, cioè già si conosceva da tempo? “. Il Mazziotta risponde: “Io so che la corrosione in generale è un problema noto da sempre”, noto da sempre. E quando gli sono state mostrate queste due foto, le ultime foto che vi ho fatto vedere, la numero 25 e la numero 26 della consulenza 3 gennaio 2014, il verbale è pagina 18 del solito verbale del 18 ottobre 2017, gli viene chiesto: “Ma, ingegnere, secondo lei sono idonei a svolgere le funzioni per le quali sono stati installati?”, risponde il Mazziotta: “Guardi, il tirafondo idoneo a svolgere la funzione è quello dell’approvazione naturalmente, se ha una configurazione diversa, una sezione diversa per i motivi più diversi, compreso anche il fatto che si sia consumato per effetto della corrosione, è chiaro che quello lì non corrisponde al dispositivo di fissaggio che è previsto per la legge”. E il Pubblico Ministero, che si muove a fatica su questo terreno, gli chiede: “Perfetto, e allora le chiedo in maniera ancora più esplicita: erano tirafondi che abbisognavano di manutenzione e sostituzione secondo lei, secondo la sua qualifica professionale?”, “Certo, se è consumato a quello stadio secondo me andava sostituito”, “secondo me andava sostituito”. Concludo sul punto richiamando ancora una volta il contenuto della perizia dell’alieno professor Giuliani. È riportato a pagina 78 della perizia. Sentite cosa dice, leggo testualmente naturalmente, mi verificherà Lei in Camera di Consiglio: “Non appare affatto congruo rispetto all’importante ruolo svolto e al corrispondente onere assunto dalla più importante società concessionaria italiana la giustificazione relativa al fatto che non si fosse maturata una pregressa esperienza circa la possibilità che gli elementi di ancoraggio potessero così gravemente degradarsi. In vero si può facilmente argomentare, in senso opposto, dal momento che sono ben noti gli effetti prodotti dall’ambiente aggressivo, dai cicli termici e idrometrici su tutte le componenti delle opere civili, con particolare considerazione degli elementi strutturali metallici. L’affermazione dei consulenti tecnici di Autostrade per l’Italia che il problema quindi non era conosciuto deve ritenersi grave e fuorviante – grave e fuorviante – se si considera che lungo le strade, con particolare riguardo a qualsiasi opera in calcestruzzo, ponti, cordoli, muri, barriere, gli effetti dei sali disgelanti a base di cloro costituiscono un atavico problema”. Ma non è finita qui. Devo continuare a incalzarla, signor Giudice, mi dispiace, con queste chiacchiere. Lei sa perfettamente che in questo Tribunale è in corso una controversia civile che ha ad oggetto lo stesso episodio, qui presso il Tribunale di Avellino. Nel corso di questa controversia civile è stata disposta dal Giudice una perizia che è stata prodotta dal Pubblico Ministero, che è stata acquisita al fascicolo del dibattimento. E anche i consulenti che sono stati nominati nella controversia civile giungono a conclusioni difformi da quelle prospettate dai consulenti Aspi. Leggo in particolare un passaggio di questa consulenza. Naturalmente anche su questo, avendo la disponibilità degli atti, mi potrà tranquillamente verificare. Il Giudice civile pone tra gli altri questo quesito sub b: “Specifichi quali sono state le cause del sinistro, se essa rottura sia imputabile a difetti di realizzazione e/o di manutenzione rispetto agli standard tecnici delle barriere tipo New Jersey, di tirafondi e di ogni altra struttura di protezione posta sul tratto autostradale interessato”. E i consulenti rispondono, leggo pagina 89 della consulenza, testualmente, a proposito delle barriere: “La rottura delle barriere era evitabile perché – tra le altre, non leggo tutta la consulenza – la zincatura iniziale non era conforme a quella prescritta dal catalogo delle barriere – ancora – il consumo del ricoprimento di zinco era certamente evidente da tempo e ciò doveva portare almeno ad una valutazione dello stato dei tirafondi – e concludono – la rottura delle barriere ha avuto efficienza causale sulla gravità del sinistro poiché, se ciò non fosse avvenuto, il veicolo non sarebbe caduto dal viadotto. La rottura è imputabile sia a difetti di realizzazione, sia a difetti di manutenzione, rispetto agli standard tecnici, perché il consumo del ricoprimento di zinco e l’avvio del fenomeno della corrosione era certamente evidente e quindi vi era la necessità di urgenti operazioni di manutenzione. – ancora – lo stato di manutenzione complessivo delle barriere del viadotto Acqualonga era, al pari di quanto mostrato per altri viadotti, alquanto scadente”. Allora, se queste sono le risultanze, c’è da prestare attenzione a un’altra circostanza, sempre relativa alla consulenza civile. Il Giudice civile ha avuto il deposito della perizia da parte dei suoi periti, l’ha sottoposta alle parti le quali hanno presentato delle osservazioni. Queste osservazioni sono state poi trasmesse dal Giudice ai suoi periti per chiedere chiarimenti. E sentite a proposito di una di queste osservazioni che cosa dicono i consulenti civili, la troverà naturalmente nella relazione agli atti. “Osservazione a pagina 27 nella quale si afferma che Aspi ha effettuato ispezioni periodiche e che il tratto era costantemente sottoposto a controllo visivo per la rilevazione di anomalia. Le attività ispettive e di manutenzione sono state oggetto di una apposita richiesta in data 22 marzo 2017 alla quale non è stata fornita alcuna risposta”. Alcuna risposta. Straordinario esempio di disponibilità, di spirito di collaborazione! E allora, se quelli che ho esposto sono gli elementi documentali e testimoniali credo inconfutabili, si può ritenere che il fenomeno della corrosione della bulloneria era noto a tutti, ma proprio a tutti, eh. Era noto al costruttore che consigliava di non usarli in certe condizioni, era noto all’Organismo Europeo che diceva: “State attenti a dove sistemate questa bulloneria”, era noto al Consiglio Superiore dei lavori pubblici che diceva: “Ma che cosa facciamo sulla corrosione dei tirafondi Liebig?”, era noto al dirigente del Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture. A tutti era noto. Gli unici che non conoscevano il fenomeno erano i consulenti dei difensori. Seconda considerazione, sempre nel merito della consulenza dei consulenti dei difensori. È stato affrontato il problema della funzionalità delle barriere. È stato trattato nel corso dell’udienza sempre del 20 dicembre 2017, ancora una volta il portavoce delle indicazioni è il professor Domenichini il quale, parlando appunto della funzionalità delle barriere in calcestruzzo, ci dice: “La funzione degli ancoranti, come vi dicevo prima, è una funzione di controllo dello spostamento delle barriere nel momento in cui queste vengono urtate. Controllo dello spostamento quindi”, Sto leggendo pagina 29 dell’udienza del 20 dicembre. E continua, nell’ultimo capoverso: “Quindi il contributo degli ancoranti al contenimento del veicolo in svio, per come è stata concepita la barriera fin dall’origine, il contributo è nullo perché la funzione degli ancoranti, contrariamente purtroppo a quanto è stato detto più volte, sia nella relazione dei consulenti del Pubblico Ministero, sia durante l’esposizione in udienza, è quella di controllare la deformazione e non di contenere”. E continua ancora, nella pagina successiva, a pagina 32: “Quindi quello che mi premeva veramente e cercare di chiarire e di cui sono fermamente convinto è che la prestazione di contenimento non dipende dagli ancoranti. Gli ancoranti controllo lo spostamento della barriera”. A fronte di queste dichiarazioni, la Procura della Repubblica ha prodotto, e è stato acquisito agli atti del fascicolo del dibattimento, il testo di una lezione che il professor Domenichini ha tenuto nel marzo 2007 presso l’università di Firenze, il dipartimento di Ingegneria civile, era la scuola di specializzazione in ricostruzione di incidenti, e la questione riguardava i dispositivi di ritenuta, normativa, tipi e funzionamento. In questa relazione, fatta dal professor Domenichini, si legge tra l’altro: “Se la barriera non è ancorata correttamente, non funzionerà come previsto”. Ma come! Queste sono due tesi completamente contrapposte. Sembra quasi strano che provengono dalla stessa persona, il bianco e il nero, il giorno e la notte. Anche in questo caso il verbale è stato sottoposto, la documentazione prodotta dalla difesa è stata sottoposta ai consulenti di parte e ancora una volta è il professor Domenichini, in qualità di portavoce del pool dei consulenti, risponde all’udienza del 7 febbraio 2018. La pagina è la 36: “La relazione fa riferimento a una barriera metallica. Quanto io ho affermato all’udienza del 20 dicembre si riferisce soltanto al comportamento delle barriere in calcestruzzo, quindi non c’è assolutamente nessun contrasto”. Ma per la verità la tesi non convince, almeno non convince il Pubblico Ministero perché dalla documentazione in atti, dalla relazione depositata dal professor Domenichini che faceva riferimento a quella lezione si parla di contenere il veicolo, di contenimento del veicolo. E sono dettate delle condizioni per le quali l’attività della barriera è il contenimento del veicolo. Legga la relazione. Non troverà una sola parola, una sola parola che dice che quella lezione faceva riferimento alle barriere metalliche e non a quelle New Jersey. I poveri ingegneri che hanno seguito questo corso dovevano essere degli indovini, dovevano essere dei preveggenti per capire che il professor Domenichini stava parlando di barriere metalliche e non di barriere in calcestruzzo. Lascio a Lei ogni valutazione, naturalmente. Ancora una volta soccorse in aiuto di queste poche considerazioni che sto cercando di svolgere, il professor Giuliani il quale probabilmente conosce le barriere perché a pagina 313 della relazione dice testualmente: “Contrariamente a quanto ritenuto dai consulenti di parte Autostrade per l’Italia, il ruolo dei tirafondi era e resta per la concezione stessa del progetto della barriera di fondamentale importanza, sia per l’equilibrio della struttura, sia per lo specifico contributo dissipativo offerto”. Ancora, passo al terzo tutto di rilievi fatti rispetto alla consulenza presentata nell’interesse degli imputati. Nell’indicare la classe di protezione delle barriere che sarebbe stato necessario utilizzare nella tratta in questione, i consulenti di parte fanno riferimento a dei dati relativi al traffico giornaliero e alla percentuali dei mezzi pesanti acquisiti presso l’Aiscat. L’Aiscat è l’Associazione Società Concessionarie Autostrade e Trafori. Comincio con una annotazione di carattere generale, è certamente una coincidenza, ovviamente, una diabolica coincidenza che però, signor Giudice, le sottopongo anche se solo come semplice curiosità crematistica. Dall’istruttoria dibattimentale è emerso che Aspi è una associata di Aiscat e che nel Consiglio direttivo di Aiscat è presente, quale vice Presidente, l’attuale imputato Castellucci, amministratore delegato di Aspi, e quale Consigliere il dottor, l’Avvocato Gagliardi che è della direzione di Aspi e teste in questo processo. Sono stati utilizzati dei dati che provenivano da una associazione, da un organismo che presenta ai propri vertici un imputato e un teste di questo processo. Ma queste sono considerazioni, come le dicevo prima, che le sottopongo soltanto come curiosità crematistica perché ci sono altre osservazioni da fare. I dati riportati nella relazione dei consulenti di parte, fanno riferimento alla sola tratta Avellino ovest – Baiano e indicano la percentuale dei mezzi pesanti in una percentuale pari al 14,2 per cento con un traffico definito credo di classe 2, di seconda classe. Quindi la verifica non è stata effettuata sull’intera porzione di traffico, ma soltanto su una piccola parte di quella tratta. La tratta Avellino Ovest – Baiano e non sull’intera tratta Napoli – Canosa, e quindi il dato riportato in tabella non è un dato che proviene da Aiscat, è un dato che è stato elaborato dai consulenti di parte. Perché dico questo. Perché anche io ho esaminato con molta difficoltà, per la verità, i dati Aiscat, e ho visto che Aiscat, per classificare una tratta autostradale, dal punto di vista del traffico pesante e della percentuale del traffico giornaliero, non fa riferimento a singoli segmenti della tratta, lo troverà negli atti che sono stati depositati, signor Giudice. Fa riferimento soltanto all’intera tratta, quella relativa a Napoli – Canosa. Naturalmente mi sembra quasi continuo questo richiamo che faccio all’alieno perito professor Giuliani. Anche su questo interviene il professor Giuliani. Pagina 77 della relazione. E dice: “I dati di traffico presentati dalla parte Autostrade per l’Italia attestanti l’appartenenza del tratto al tipo 2, invece che al tipo 3, non sono pubblici. Non provengono dalla fonte terza e istituzionale. Le caratteristiche specifiche del tronco stradale, con riferimento alla ridotta dimensione delle corsie di marcia e di sorpasso, alla geometria plano altimetrica del tracciato, alla elevazione delle opere d’arte rispetto al suolo e alla limitata velocità praticata dai veicoli leggeri, suggeriscono comunque di propendere in favore della massimizzazione di livello di contenimento (adozione di barriere H4) rispetto alla deduzione della severità dell’urto H3”. Naturalmente, come ha fatto vedere il Pubblico Ministero nella documentazione prodotta, che Lei ha acquisito, elaborata dai consulenti del Pubblico Ministero perché il Pubblico Ministero non era in grado di fare una valutazione del genere, tenendo conto dell’intera tratta e non solo del segmento Avellino – Baiano, ma dell’intera tratta Napoli – Canosa, i dati cambiano completamente perché la percentuale dei veicoli pesanti passa a 15,8 e la definizione della classe di traffico è terza, non seconda. Questi dai Lei li troverà perché elaborati dal consulente del Pubblico Ministero e sono stati presentati nel corso del dibattimento e acquisiti al suo fascicolo e quindi potrà verificarli. Ancora, sempre in relazione ai rilievi sotto il profilo tecnico che si possono fare rispetto alla consulenza di parte degli imputati. Nell’individuare il parametro di pericolosità, i consulenti tecnici di parte fanno riferimento all’incidentalità e la indicano nella tabella 3.8 che Lei, signor Giudice, troverà a pagina 333 della relazione. Ma nel corso del dibattimento, la Procura ha fatto acquisire dei dati sull’incidentalità provenienti dalla polizia stradale, la sezione di Avellino, che è un rganismo che non è collegato a Aiscat e che non presenta, almeno al momento, nel proprio organigramma alcun indagato o alcun teste di questo processo. E questi dati divergono enormemente da quelli prodotti in consulenza. In particolare, la polizia stradale di Avellino, nell’individuare il numero di incidenti totali, riporta questi dati: 2011, 70 incidenti; 2012, 61 incidenti; primo trimestre del 2013, 24 incidenti. Il totale è di 155, mi controllerà anche su questo totale in Camera di Consiglio. È molto diverso da quello indicato dalla tabella dei consulenti di parte, i quali parlano di un numero pari a 26. 155 e 26: un sesto indicati dal consulente, sono invece relativi al numero generale. E ancora, anche gli incidenti con morti e feriti, la differenza è sostanziale. La polizia stradale dice che nel 2011 sono stati 17, nel 2012 9, nel primo trimestre del 2013 9. Il totale è 35. Ben diverso dal dato di 10 incidenti che invece hanno riportato i consulenti nella loro relazione. Ultima valutazione: è stata affrontata nella consulenza di parte la questione, la problematica che ci ha interessato moltissimo durante questo dibattimento, le disposizioni del decreto ministeriale numero 223, numero 92 e in particolare l’interpretazione da dare all’articolo 2, al comma 3, relativamente all’adeguamento dei tratti significativi di tronchi stradali. E i consulenti hanno concluso nel corso dell’udienza 20 dicembre 2017, la pagina è la 47: “In conclusione quando si dice che dovevano essere sostituite le barriere perché era stato fatto un adeguamento dei tratti significativi dei tronchi stradali, questo dal punto di vista tecnico non sta in piedi perché è stato chiarito che il tratto 27 – 50 non è un tratto significativo ma è un tronco stradale o tratto di studio”. Questa valutazione viene espressa in maniera più estesa nell’ambito di relazione di consulenza. La pagina è 3.19 dove si dice: “La tesi secondo cui l’intero tratto del chilometro 26 – 50 dell’A 16 è un tratto significativo, rappresenta un’interpretazione forzata del testo normativo. La forzatura si scioglie, invece, se si considera, secondo l’originaria intenzione della norma, che il tratto chilometro 26 – 50 come tronco autostradale all’interno del quale esistono tratti significativi oggetto del progetto esecutivo ai sensi del DM 223”. Sul punto è intervenuta anche l’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione, la quale, a seguito dell’importanissimo incidente  che c’era stato decise di intervenire con una propria istruttoria per verificare l’eventuale presenza di carenze della società concessionaria in ordine alla corretta manutenzione della tratta, con particolare riferimento al viadotto Acqualonga. L’istruttoria è stata portata avanti dall’ingegnere Cresta, un funzionario che è stato sentito nel corso di questo dibattimento e si è concluso con una deliberazione del Consiglio dell’Autorità anticorruzione numero 30 del 22 dicembre 2014 che è stata acquisita agli atti. Sentite cosa dice, a pagina 13, a proposito del tratto autostradale l’Autorità anticorruzione: “Pertanto, dalla lettura del combinato disposto del decreto ministeriale 223 e della circolare del 2010, l’obbligo di progettazione dei dispositivi di ritenuta stradale appare applicabile anche agli interventi di riqualifizione, adeguamento delle barriere di sicurezza finalizzati a garantire una maggiore sicurezza dell’utente stradale. Ne discende, in assenza di ulteriori specifiche disposizioni, che un intervento di riqualifica delle barriere di bordo laterale dal chilometro 27 al chilometro 50, la progettazione dello stesso avrebbe dovuto prevedere l’utilizzo di dispositivi di sicurezza muniti di marcatura CEE per l’intero tratto oggetto di riqualificazione, ricomprendendo pertanto anche il viadotto Acqualonga”. Perché ho detto questo. Perché queste dichiarazioni consentono di ritenere che quella esposta dai consulenti di parte è una valutazione, non è una verità assoluta. È una valutazione che loro fanno che, per altro, non corrisponde con quella fatta dai consulenti del Pubblico Ministero, non corrisponde a quella fatta dall’Anac, non corrisponde a quella fatta dal perito che Lei ha nominato, signor Giudice. Ancora una volta ricorro a quanto detto dal perito professor Giuliani: “In ragione di ciascuna delle circostanze su indicate – leggo pagina 48 – si sarebbe determinato l’obbligo, a carico del gestore della strada, di dar corso a quanto disposto dall’articolo 2 del decreto ministeriale 223/92, si ritiene che la condizione di regolarità e conformità normativa delle barriere fosse oramai decaduta al momento in cui verificò l’incidente in esame. Il suddetto obbligo avrebbe richiesto in particolare la redazione di un progetto tecnico e se dagli accertamenti fosse emersa l’insufficienza funzionale della barriera, si sarebbe dovuto programmare la riqualifica delle protezioni marginali nel tratto del viadotto con l’installazione di dispositivi marcati CE”. Allora, se sono fondate queste osservazioni che ho fatto, valuterà naturalmente Lei in Camera di Consiglio, signor Giudice. Mi pare che così granitiche certezze indicate nella relazione dei consulenti, nel cortometraggio prodotto, possono essere messe quanto meno in discussione sulla base degli argomenti che vi ho fornito. Concludo l’argomento relativo alle concause dell’incidente richiamando ancora una volta le considerazioni svolte dal perito che lei ha nominato, signor Giudice, le quali confermano sostanzialmente le conclusioni fatte dai consulenti del Pubblico Ministero che ho già richiamato in precedenza circa la capacità delle barriere manutenute in condizioni ordinarie ad impedire la fuoriuscita del bus dal viadotto. Sentite che cosa dice il professor Giuliani, risponde al quesito sub c, pagina 113: “L’ancoraggio al suolo delle barriere New Jersey bordo ponte oggetto di studio, mediante tirafondi Liebig non corrosi e in buono stato di manutenzione, insieme a connessioni orizzontali efficienti e altrettanto ben manutenute, sarebbero risultate in concreto idonee a scongiurare la tragica fuoriuscita dell’autobus Volvo dall’impalcato del viadotto Acqualonga dell’autostrada A 16 – e ancora, più sotto – qualora fosse stato perfettamente manutenuto, il sistema di ritenuta New Jersey in questione sarebbe stato in grado di trattenere l’autobus Volvo, di fronte non solo alla severità dell’urto, ma anche e soprattutto in considerazione dei più sollecitati impatti ipotizzati sia dai consulenti del Pubblico Ministero che dai consulenti della concessionaria autostradale”. Mi pare, signor Giudice, che questa che ho letto adesso sia la sintesi più adeguata del capo c) dell’imputazione. Mi pare che quello che ho letto adesso è la risposta più adeguata al vero tema di questo processo, quello che ho detto all’inizio del mio intervento: il tema dei 40 morti, il tema della scia di dolore, il dolore dei sopravvissuti, il dolore dei parenti delle vittime. Nulla, ma proprio nulla di tutto questo si sarebbe verificato se Aspi avesse semplicemente, semplicemente adempiuto ai propri doveri contrattuali. Nessuna richiesta di comportamento straordinario, di particolare impegno, di straordinaria collaborazione, di incredibile disponibilità, ma solo il compimento e l’osservanza delle attività che erano previste in concessione, per le  quali Aspi è retribuita, direi lautamente retribuita dagli importi dei pedaggi, dai cittadini, anche da quei 40 cittadini che, a causa della scorretta manutenzione delle barriere del viadotto, sono volati giù e si sono schiantati al suolo dopo un volo di 30 metri. Abbiamo parlato del luogo dove si è verificato l’incidente, abbiamo parlato delle cause dell’incidente, adesso entriamo più nel dettaglio dell’imputazione di cui al capo c), all’omessa riqualifica delle barriere laterali del viadotto Acqualonga. Si dovevano disporre interventi di riqualificazione delle barriere per evitare il verificarsi e il perdurare dello stato di degrado delle barriere laterali che vi ho sottoposto in precedenza? Qui, la ricostruzione dei fatti diventa un po’ più complicata perché la ricostruzione è un po’ più opaca, dico pensare un eufemismo perché nel corso del dibattimento è emersa una mancanza di chiarezza sui ruoli e sulle competenze. A avviso del Pubblico Ministero, una prima condotta inadeguata rispetto ai livelli minimi di diligenza, prudenza, di perizia, va individuata nella scelta di non inserire, nel piano pluriennale di intervento finalizzato alla riqualifica delle barriere laterali, anche le barriere di secondo impianto, limitandosi solo a intervenire sulle barriere di primo impianto. Questa scelta è stata fatta da Autostrade per l’Italia, possiamo dirlo adesso, possiamo dirlo oggi quando Lei, dichiarata chiusa l’istruttoria dibattimentale, ha nella disponibilità tutti gli elementi che le parti le hanno potuto sottoporre. La scelta viene fatta da Autostrade per l’Italia soltanto sulla base di un generico e indefinito criterio di ordine temporale. Sulle barriere di primo impianto non si è mai intervenuti, su quelle di secondo impianto si è già intervenuti, poi vediamo. Senza alcuna riserva di una eventuale verifica sulle barriere, sull’effettiva tenuta delle barriere di secondo impianto, quanto meno per quelle tratte autostradali che presentavano barriere da almeno 25 anni e che erano caratterizzate da una particolare morfologia dei luoghi tale da determinare una maggiore usura delle componenti della barriera. Questa mancanza di qualsiasi valutazione, arriva ancora una volta dalla consulenza del perito il quale, a pagina 59 della perizia, ci dice: “Poiché dalle azioni messe in atto dal gestore prima dell’incidente, ai fini del prescritto controllo e verifica di efficienza tecnica dei dispositivi, non rinvengo elementi di giudizio utili, nel senso che non si reperiscono dati, certificati, rapporti di prove o altre basi documentali, le valutazioni rispetto allo stato del dispositivo all’epoca dell’evento possono essere sviluppate solo sulla base dei fatti accertati nel corso dell’indagine e di pochi altri elementi di conoscenza”. E il consulente, a questa sua affermazione, allega anche una lettera, una richiesta per la verità, che ha inviato al Ministero per le Infrastrutture e i Trasporti chiedendo documentazione sulla manutenzione che è stata fatta da Aspi nel corso degli anni e che è stata riferita al Ministero. La risposta Lei la troverà allegata alla relazione del professor Giuliani. Risponde la direzione generale per la sicurezza stradale e si dice: “Ciò premesso, per quanto a conoscenza della scrivente direzione, non risulta che la società concessionaria Autostrade per l’Italia Spa abbia trasmesso il rapporto sommario di cui all’articolo 7 decreto ministeriale 223”. Il primo intervento sulla manutenzione delle barriere viene deciso, ovviamente, nella sede centrale a Roma, però c’è da fare una premessa. Lo schema di convenzione tra Anas, e poi MIT, e Autostrade per l’Italia prevedeva nella relazione sul progetto di manutenzione e sul piano di sicurezza, l’allegato E, la riqualificazione completa delle barriere spartitraffico e delle barriere laterali, su varie tratte autostradali, tra le quali anche l’A 16, senza nessuna limitazione tra barriere di primo e di secondo impianto. Leggo testualmente, Lei troverà l’allegato E alla consulenza del Pubblico Ministero, l’allegato 10.4.01 e l’allegato 10.4.02, dove si dice, leggo testualmente: “Dal 2008 sarà avviato un piano pluriennale di riqualifica di tutte le barriere laterali, utilizzando barriere di tipo H2, H3, H3 su terra, H3 e H4 su bordo ponte. Il piano prevede interventi diffusi, principalmente su alcune tratte autostradali tra le quali anche l’A 16 Napoli – Canosa”. E spiega anche i motivi, nell’allegato E vengono spiegati i motivi per i quali si chiede l’intervento su tutte le barriere laterali: “La manutenzione delle barriere di sicurezza è motivata dai danni derivanti da incidenti, dai normali interventi di ripristino resi necessari dal degrado legato agli anni di servizio e da esigenze di mantenimento ed efficienza delle barriere a valle dell’intervento di riqualificazione in corso”. Ma non basta questo documento.  

C’era un altro documento che invitava i gestori delle tratte autostradali, concessionari a vigilare con attenzione su tutte le barriere. È la direttiva ministeriale numero 3065 del 25 maggio 2004, l’ho depositata, signor Giudice, Lei potrà verificarla in Camera di Consiglio perché è allegata al fascicolo del dibattimento: “Per le strade esistenti che non sono oggetto di adeguamento e per le quali non sussiste l’obbligo di cui al DM 223, si richiama tuttavia l’attenzione degli enti proprietari e gestori sui compiti agli stessi assegnati all’articolo 14 del codice della strada in merito al controllo dell’efficienza tecnica della strada e delle pertinenze stradali, tra le quali sono compresi tutti i dispositivi di ritenuta. Pertanto, con la presente direttiva – dice il Ministero al concessionario – si invitano gli enti in indirizzo a verificare, lungo la rete stradale di propria competenza, le condizioni di efficienza e di manutenzione dei dispositivi di ritenuta, laddove tali condizioni non siano ritenute sufficienti a programmare l’adeguamento ai sensi dell’articolo 223”. Mi sembra una indicazione testualmente assolutamente ineccepibile per le indicazioni che dà. Per la verità i consulenti di parte, ai quali venne sottoposta questa direttiva, hanno affermato, lo troverà nei verbali di udienza, che quella direttiva non era più in vigore perché era stata sostituita da altra successiva direttiva, protocollo numero 62032 del 21 luglio 2010, dicendo: “Questa successiva direttiva ha annullato la precedente”. A me pare che non sia così, e questo è l’argomento che sottopongo alla valutazione della Signoria Vostra, vedrà Lei in Camera di Consiglio se sono cose fondate o meno, perché questa direttiva del luglio 2010 non annulla la precedente direttiva. Sentite che cosa dice, leggo pagina 2: “Si ritiene inoltre opportuno segnalare anche le circolari più recenti che sono state emanate nel settore dei dispositivi di ritenuta e che risultano, la circolare 25.8.2004 numero 3065”, la presente circolare quindi chiarisce anche quali sono le parti delle citati circolari ancora applicabili. Quindi questa seconda circolare non annulla la precedente, fa soltanto un distinguo tra le parti che possono essere ancora attuate e quelle che non sono attuate. Io l’ho letta questa circolare, è stata una lettura molto fastidiosa perché molto tecnica e poco interessante, però questo interessa poco naturalmente. Quello che tengo a segnalare, potrà verificarlo in Camera di Consiglio, non c’è una sola parola, in questa circolare successiva, che toglie, come dire annulla, le indicazioni che derivavano da quella precedente circolare. Ma naturalmente Aspi, senza tener conto della prescrizione, dell’impegno assunto in convenzione, attraverso la propria struttura, la direzione dei servizi tecnici di cui all’epoca era direttore l’imputato Mollo, invia una proposta di piano pluriennale di riqualificazione delle barriere bordo laterale. Gliela passo velocemente in visione perché può essere utile per le cose che dirò successivamente, pagina 1 di questo documento, lo troverà agli atti, l’ha depositato il Pubblico Ministero; l’intestazione è “Piano pluriennale di riqualifica bordo laterale”, pagina 2: “Riqualificazione rispetto ai valori della convenzione unica”, pagina 3: “Piano di riqualifica barriere di sicurezza bordo laterale di primo impianto”, non c’è una sola parola sulle barriere di secondo impianto; pagina numero 4 “ Piano di riqualificazione delle barriere di sicurezza bordo laterale di primo impianto”, non c’è neppure una parola che riguarda il secondo impianto; pagina numero 5 “ Piano di riqualificazione del bordo laterale di primo impianto con un valore di circa 138 milioni di euro”, non c’è una sola parola che riguarda il secondo impianto; pagina successiva, la 6: “Criteri di determinazione dei costi”; pagina 7, finalmente si parla delle barriere di secondo impianto, e sentite che cosa dice, signor Giudice, potrà verificarlo in Camera di Consiglio, non la leggo tutta, leggo la parte essenziale: “I 1600 chilometri circa di bordo laterale delle reti dotate di barriere di seconda generazione possono essere suddivisi in tre gruppi: 230 chilometri, allargamenti previsti dalla convenzione unica; 530 chilometri circa, prevalenza di barriere a medio potenziale; 850 chilometri circa, prevalenza di barriere a basso potenziale”. E definisce che cosa sono, definisce: “Medio potenziale sono le tipologie di barriere che hanno ragionevole possibilità di superare il crash test in classe 2; basso potenziale, le tipologie di barriere che non si ritiene possano superare le prove di classe H2, classe minima per l’impiego in campo autostradale”. Ci sono 850 chilometri di barriere laterali a basso potenziali per i quali non è possibile, sono talmente in uno stato di disuso per i quali non è prevista neppure la possibilità di superare la prova in classe H2. Come conclude questo documento, dopo aver indicato queste cifre? “Però attualmente non sussiste alcun obbligo di sostituzione. Allo scopo di contenere la necessità di interventi, potenzialmente richiesti da futuri provvedimenti, è in programma l’esecuzione di prove crash test sulle barriere di medio potenziale”, quelle a basso potenziale vengono tenute fuori. Io mi chiedo: ma, scusate, dove sta scritto, che fine ha fatto l’impegno che Autostrade si era preso firmando la convenzione con l’allegato E, quell’allegato che diceva: “Tutte le barriere vanno sostituite”? Che fine ha fatto? Carta straccia. Probabilmente l’allegato E è un allegato del quale non si deve assolutamente tener conto. Questo sarebbe stato interessante chiederlo, ma non è stato possibile avere informazioni al riguardo. La proposta che vi ho letto e che vi ho esaminato punto per punto non dice assolutamente nulla sul perché non si sono decisi interventi sugli 850 chilometri sulle barriere a basso potenziale, nulla, neppure sui tempi che eventualmente un giorno saranno stabiliti per intervenire un giorno su queste barriere. Perché non si è ritenuto quanto meno di prendere in considerazione la possibilità di intervenire su quelle barriere di secondo impianto, a basso potenziale, che si trovavano in tratti autostradali che, secondo le indicazioni dello stesso personale del Sesto Tronco, erano molto critiche? Nulla, nulla, di nulla, di nulla. Eppure il piano pluriennale di riqualifica è un intervento importante, lo dice un altro dei consulenti sentiti nel corso di questo dibattimento, il professor Fiori, pagina 38 della relazione che ha prodotto: “È opportuno segnalare come i piani di riqualifica assumono una rilevanza strategica e operativa, fondamentale all’interno dell’attività Aspi”. E quindi era tutto liquidato in maniera molto semplice, molto superficiale. Sarebbe stato utile sentire su queste indicazioni il direttore dei servizi tecnici, l’imputato Mollo, ma l’imputato Mollo ha deciso di non presentarsi a rendere l’interrogatorio che pure era stato richiesto dalla Procura della Repubblica in questa sede, innanzi alla Signoria Vostra. Per altro non c’era da meravigliarsi perché è un atteggiamento che è stato assunto per l’intero processo perché il Mollo non ha ritenuto di presentarsi quando gli è stato notificato l’invito alla presentazione prima della chiusura delle indagini da parte della Procura della Repubblica, né ha ritenuto di presentarsi durante il pur lungo iter dell’udienza preliminare. L’imputato Mollo ha reso spontanee dichiarazioni, credo alla penultima udienza, qualcosa del genere. Ma sarebbe stato interessante, a avviso di questo Pubblico Ministero, chiedergli: “È stato poi deciso qualcosa sul piano di interventi sulle barriere di secondo impianto? Che cosa avete fatto su quegli 850 chilometri di barriere di secondo impianto a basso potenziale?”. Sarebbe stato utile sentire su quali viadotti si è eventualmente intervenuti. Sarebbe stato utile chiedergli se eventualmente gli interventi sulle barriere laterali su viadotti siano più costosi di quelli che avvengono sulle barriere che sono su strada ordinaria, non su viadotto. Domande troppo scomode, meglio evitarle. Io so bene, pochissime cose so di procedura penale naturalmente, ma tra queste conosco sicuramente il fatto che c’è un oggettivo e assoluto diritto da parte dell’imputato di non rendere l’interrogatorio, ma a mio avviso esiste un corrispondente e parallelo diritto, da parte della controparte, di valutare questa scelta processuale, e di valutarla in questo caso. E in questo caso la scelta sa troppo di una scelta che sa essere anche complice. Anche l’imputato Fornaci, nelle sue lunghe dichiarazioni spontanee, addirittura accompagnate dalla proiezione di alcune immagini, ci ha riferito tutta una serie di cose, ma anche lui non ha reso l’interrogatorio e invece sarebbe stato utile sentirlo su quel piano di riqualifica che ho letto poco fa, sentirlo sugli 850 chilometri a basso potenziale, sentirlo su quel giudizio finale: “Non esiste alcun obbligo di sostituzione”, e chiedergli se questo giudizio è compatibile con il contenuto dell’allegato E della convenzione, quello che ho letto prima. Ma naturalmente tutto questo non è stato possibile. La proposta della direzione dei servizi tecnici viene sottoposta dall’amministratore delegato Castellucci al Consiglio di amministrazione di Autostrade per l’Italia Spa che la esamina e delibera nella seduta del 18 dicembre 2008. Ho letto e riletto questa delibera moltissime volte, alla ricerca delle ragioni per le quali il viadotto Acqualonga in particolare fu escluso dal piano nazionale di riqualificazione delle barriere di sicurezza, pochi metri, 400 metri non di più che avrebbero potuto fare la differenza tra un incidente stradale molto grave, ma differente dal disastro, dalla carneficine che invece si è verificata il 28 luglio. Il verbale del Consiglio di Amministrazione di Autostrade per l’Italia Spa contiene esclusivamente gli atti trasmessi dalla direzione dei servizi tecnici. Un’assenza completa di qualunque tipo di valutazione, di una analisi che consentisse di giustificare perché non si è intervenuto sulle barriere di secondo impianto, perché si è limitato l’intervento solo a quelle di primo impianto, perché si è scelto un rischio del genere, quali sono state le valutazioni del rischio del genere. Nessuna valutazione sui tempi sui quali eventuali in un successivo momento sarebbero stati fatti gli interventi sulle barriere di secondo impianto, soprattutto per gli 850 chilometri a basso potenziale. Eppure si tratta di un piano pluriennale di riqualifica del bordo laterale, quindi un provvedimento che detta regole per un lungo periodo. Non è una indicazione destinata a finire nel tempo. E inizialmente mi ero fatto una certa idea, poi nel corso dell’udienza del 17 febbraio ho sentito il teste Gagliardi che, nel rispondere a una domanda di un difensore diceva che il Consiglio di Amministrazione è un ente che si interessa soltanto dello stanziamento dei fondi, nulla altro, si occupa solo dello stanziamento dei fondi. E allora sono entrato in crisi, signor Giudice, ho detto: “Ma è possibile che forse sono io che non riesco a capire”. E ho letto decine di volte questo documento, forse c’è qualcosa nel linguaggio di questo management così qualificato che un Pubblico Ministero non riesce a capire. L’ho letto, l’ho riletto, quasi in maniera frenetica. Ma alla fine di queste superletture sono giunto alla stessa conclusione dalla quale ero partito. Credo che non ci sia nulla di resistente a quella che si può definire la semplicità lessicale, le parole usate. Guardiamo insieme questo documento, ovviamente solo per la parte che riguarda le barriere di secondo impianto, mi rendo conto che vi sto togliendo moltissimo tempo. Il documento l’ho riportato qua in modo che potrà seguirmi, ma il documento è allegato agli atti quindi potrà verificarmi tranquillamente in Camera di Consiglio. E parla il Consiglio di Amministrazione delle barriere di seconda generazione e riporta le stesse cose che ha già detto la proposta della direzione servizi tecnici. Ci sono le barriere di seconda generazione, sono di tre gruppi, la prima 230 chilometri allargamenti previsti dalla convenzione, 500 chilometri circa di barriere a medio potenziale, 850 chilometri circa di barriere a basso potenziale. E conclude, però, anche il Consiglio di Amministrazione: “Attualmente non esiste obbligo di sostituzione di tali barriere”. Attualmente non esiste obbligo di sostituzione di tali barriere. Per la verità specifica anche i motivi per i quali ritiene che non esista un obbligo, “allo scopo pertanto di contenere la necessità di interventi, si vedrà l’esecuzione di prove, di crash su quelle a medio potenziale” e su quelle a basso potenziale assolutamente nulla. 850 chilometri lasciati nella disponibilità degli utenti. Naturalmente in questa valutazione non viene detta nessuna parola sul perché si decide di intervenire solo sulle barriere di primo impianto, non c’è una sola parola che giustifichi quella affermazione: “Non sussiste obbligo”. Ma chi l’ha detto! Ma ci fate capire come siete arrivati a quel punto di valutazione? Nulla, nulla di nulla. Non c’è una sola parola che riguarda le barriere di secondo impianto, quelle a basso potenziale, quelle che non resisterebbero a un crash test di H2 che è la categoria minima per l’installazione sulle autostrade. Nulla di nulla sul perché non viene rispettato l’impegno di cui all’allegato E della convenzione: “Devono essere cambiate tutte le barriere”, dice l’allegato E, ma questo conta poco o nulla. E queste valutazioni, anzi, mi correggo, queste mancate valutazioni sarebbero soltanto relative allo stanziamento dei fondi. Mah, sarà così. Lascio a Lei le considerazioni. Completo l’esame di questo verbale del Consiglio di Amministrazione aggiungendo due considerazioni: la prima, c’è stata una tesi che è stata proposta nel corso di questo dibattimento nel quale si è detto che il progettista ha un ampio potere di estendere l’intervento oltre all’incarico ricevuto; naturalmente nel documento io ho letto solo la pagina che mi interessa, potrà valutarlo e potrà verificare se è vera la cosa che le dico. Non esiste una sola parola che fa riferimento al potere discrezionale attribuito al progettista. Non vengono neanche indicate le modalità con le quale il progettista deve esercitare questo potere discrezionale. Lo esercita direttamente, si confronta con la sua linea di comando, parla con la direzione, i suoi capi dei capi che gli hanno dato quell’incarico? Nulla di nulla. E quindi secondo questa tesi proposta in questa aula, il progettista avrebbe un ampio potere assolutamente incondizionato, illimitato, completo. Ma provi lei, signor Giudice, come ho fatto io, a immaginare i progettisti di dieci interventi i quali contemporaneamente, qualcuno in Val d’Aosta, qualcuno in Trentino, qualcuno nel Lazio, Sicilia, Calabria, ognuno dei quali senza alcun collegamento tra loro, senza alcuna indicazione alle proprie linee di comando, senza alcun riferimento alle direzioni dei servizi romani, decidono di ampliare i loro interventi, come capita: “Io ti do l’incarico di sostituire le barriere su 50 chilometri, barriere di primo impianto, e tu mi fai 250 chilometri anche di barriere di secondo impianto”. Una sorta di Torre di Babele. È incredibile, inimmaginabile, nell’ambito della quale ogni progettista farebbe quello che vuole, senza riferire a nessuno, neppure prendere un contatto con un suo omologo che probabilmente sta facendo lo stesso intervento nel territorio vicino. Nulla di nulla. Ampia libertà. Seconda considerazione: nel verbale, come vi è detto, viene indicata la cifra stanziata per questo intervento, 138 milioni di euro. Non c’è una sola parola, una sola parola, mi verificherà signor Giudice in Camera di Consiglio, che dice che quella cifra era capiente anche per altri interventi. E allora ritorno all’esempio di prima. Continui a immaginare quei dieci progettisti, in varie regioni di Italia, ognuno dei quali fa quello che vuole. Ma salterebbe ogni previsione di spesa! Io ti do 130 milioni per fare 200 chilometri di barriere di primo impianto, mi trovo che avete fatto 500 barriere di secondo impianto, ma io con quali soldi copro queste spese? Salterebbe ogni previsione, salterebbe ogni budget. Ma cosa vuole farci credere Autostrade per l’Italia! E per la verità, tra un attimo, esamineremo il progettista di questo intervento. La cosa più straordinaria è un’altra, signor Giudice, a proposito di questo verbale, a proposito del potere di stanziamento di spesa. All’inizio del mio intervento gliel’ho detto, probabilmente questi rinvii, questo lungo dibattimento è servito anche per poterle poi sottoporre sofisticate tesi giuridiche. Io ne ho una che risulta dagli atti e che sottopongo alla sua attenzione. Sul contenuto di questa delibera, di questo provvedimento del Consiglio di Amministrazione, è stato acquisito il parere di un consulente il quale ha proposto una elaborata e innovativa tesi, una tesi che è destinata, se viene accolta, a creare una nuova ipotesi di responsabilità assoluta, una nuova forma di causa di non punibilità che aprirebbe scenari straordinari, dei processi che vengono fatti a carico delle figure apicali dell’impresa. Sentite che cosa dice il consulente a proposito dell’amministratore delegato di Aspi, Autostrade per l’Italia, pagina 40, relazione del professor Fiori, che tratta proprio della delibera del Consiglio di Amministrazione del 18 dicembre 2008, punto 4, parla dell’amministratore delegato: “L’amministratore delegato ha riportato ai membri del CDA i contenuti della presentazione tecnica e in particolare ha informato il Consiglio circa il valore complessivo stimato degli interventi di riqualifica fatto pari a euro 138 milioni. Facendosi portavoce di questa iniziativa, l’AD ha del tutto adempiuto alle sue responsabilità e ai compiti propri del suo ruolo”. Incredibile, davvero incredibile. Secondo questa tesi, l’amministratore delegato di una società sarebbe un semplice portavoce della richiesta avanzata da una struttura tecnica, senza alcuna possibilità di intervento, di valutazione di merito, di chiedere chiarimenti, niente, nonostante si stia approvando un atto di questa importanza, un atto che è destinato a produrre effetti nel corso degli anni. Ma, ripeto, sono un normale uomo della strada, ma chiunque di noi si rivolge a un ente erogatore di finanziamento, la prima cosa che gli dico: “Scusa, ma tu questi soldi che ti do che ne devi fare? Se non mi convinci, io mica ti finanzio”. Ma tutto questo, che è logica elementare e comune, è fuori dalle valutazioni di Aspi. Secondo questa tesi, signor Giudice, l’amministratore delegato della società sarebbe, lo dico con il massimo rispetto, un corpo senza anima perché non avrebbe alcun diritto, io direi per la verità alcun dovere di sottoporre alla sua valutazione e di aprire una discussione all’interno del Consiglio di Amministrazione sulle ragioni di quel provvedimento, a esempio sulle ragioni per le quali si è ritenuto di non assecondare le disposizioni di cui all’allegato E. Ma come è possibile tutto questo! Ancora. L’amministratore delegato, secondo questa sofisticata tesi che le viene prodotta, sarebbe, e lo dico con il massimo rispetto, una sorta di figura immateriale che non ha nessuna capacità pensante, non può dire nulla, non ha nessun diritto, direi nessun dovere di chiedere, per esempio, le ragioni per le quali si è stabilito di intervenire solo sulle barriere di primo impianto e di non sottoporre neppure a verifica le barriere di secondo impianto, quei famosi 850 chilometri che non avrebbero resistito a un crash test per la classe minimo di impiego in classe autostradale. Incredibile, davvero incredibile. Si vorrebbe cancellare con alcune pagine di una consulenza, anzi, chiedo scusa, mi correggo, con sei righe di una consulenza, una lenta costruzione legislativa, giurisprudenziale, dottrinale che è stata fatta nel tempo, che si è formata negli anni. È pacifico, poi Lei mi verificherà se è d’accordo o meno, in giurisprudenza e in dottrina che l’amministratore delegato, al di là dei poteri che residuano in capo al Consiglio di Amministrazione, assume in sé i massimi poteri decisionali e di spesa e a lui fanno capo le più importanti scelte aziendali, quelle di più alto livello. E questo si può, anche a mio avviso, valuterà Lei, si deve ribadire anche nelle aziende di grandi dimensioni e in presenza di deleghe di funzioni. È vero, si è sostenuto e è pacifico, concordo assolutamente, anche se la mia adesione conta poco o nulla, che la distribuzione dei compiti, delle competenze, dei ruoli, rappresenta un momento organizzativo essenziale soprattutto nelle realtà economiche imprenditoriali di più grande livello, e i processi decisionali in queste grosse aziende devono necessariamente essere collocati su più livelli decisionali perché è ovvio che l’amministratore delegato delega a altri tutto quello che non può fare direttamente o che non sa fare direttamente. Però, però la giurisprudenza di legittimità ha in sostanza costantemente affermato e limitato questo principio, nel senso che pur in presenza di strutture aziendali complesse, la delega di funzioni esclude la possibilità di riferire ai deleganti situazioni o eventi che sono conseguenze di occasionali disfunzioni, ma certamente permane la responsabilità del vertice aziendale quando l’evento è diretta conseguenza di scelte funzionali e gestionali nell’ambito dell’attività di impresa. Premesso questo principio di carattere generale, vediamo Aspi, il caso che ci occupa. E nel corso del dibattimento, è impossibile negarlo, è emerso che Aspi ha un articolato assetto organizzativo; vi sono competenze attribuite a diverse strutture, a diverse direzioni; in queste direzioni vengono specificati i ruoli, i compiti che sono affidati ai singoli soggetti; vengono attribuiti poteri di organizzazione, poteri di spesa limitata. È evidente, anche per questo Pubblico Ministero, che una organizzazione così articolata, quale quella predisposta da Aspi, e le relative deleghe sono senza dubbio, senza dubbio idonee a far nascere in capo ai destinatari delle dirette responsabilità. Ma di questo ne parleremo quando parleremo delle posizioni degli altri imputati. A parere di questo Pubblico Ministero, proprio sulla base della giurisprudenza che ho richiamato in precedenza, da tale organizzazione non può assolutamente derivare una totale esenzione di responsabilità del vertice aziendale il quale può limitare la propria funzione a quella di fare da portavoce delle organizzazioni, mero passacarte, perché a avviso del Pubblico Ministero vi sono provvedimenti, scelte operative, scelte gestionali che restano comunque, io direi quasi per definizione, in capo al vertice dell’azienda e che nessuna delega potrà far venire meno. In altri termini, a avviso del Pubblico Ministero, l’amministratore delegato di Autostrade per l’Italia Spa resta comunque titolare di funzioni e di obblighi essenziali che, proprio per la loro natura, non possono essere trasferiti a alcuno. E questo, semmai ci fosse un dubbio, in particolare nel piano pluriennale di riqualifica delle barriere laterali. È un provvedimento che ha una durata pluriennale, durerà nel tempo, non si sa quanto, ma durerà nel tempo, vale su tutta la rete stradale nazionale, ma soprattutto ha un importante impegno di spesa, 138 milioni di euro, sono quasi 280 miliardi delle vecchie lire. Su una previsione, ho letto il dato in una delle memorie difensive che sono state depositate nel corso di questo processo, un piano finanziario che per la voce “Miglioramenti standard di sicurezza della tabella Altri investimenti”, prevede per il trentennio 2008 – 2038, 340 milioni di euro. Pensi, signor Giudice, per 30 anni si stabiliscono 340 milioni e di questi 138 milioni, quindi quasi il 40 per cento, 40,558 per cento, solo per la riqualifica delle barriere laterali. Se questi sono i dati, si tratta di una scelta operativa e gestionale rilevantissima, di particolare importanza rispetto alla quale è pensabile che un amministratore delegato limiti la sua funzione a guardare una slide e a farsi portavoce con il Consiglio di Amministrazione. Io credo che solo l’amministratore delegato ha il potere diretto, personale, di assumere decisioni  gestionali di tale rilevante importanza nell’ambito dell’attività economica e produttiva della società, della struttura, dell’impresa di cui ha la diretta responsabilità. In altre parole, e mi avvio alla conclusione su questo punto signor Giudice, chiedendole scusa del tempo che le sto sottraendo, la scelta di non intervenire sulle barriere di secondo impianto è stata espressione di una precisamente linea aziendale, riferibile direttamente ai vertici di Aspi, in particolare all’amministratore delegato il quale ha offerto, è questa la tesi che propongo, valuterà Lei in Camera di Consiglio, la piena, preliminare, diretta, consapevole condivisione della proposta che gli veniva dalla direzione servizi tecnici di escludere da quell’intervento le barriere di secondo impianto. Aggiungo anche, per quello che può valere, un argomento di carattere lessicale. Dal verbale risulta che l’amministratore delegato non è che si limita a dire: “Questa è la proposta, facciamola nostra”, ma la presenta. Risulta dal verbale, se lo leggerà tutto, non l’ho potuto fare io per ragioni di tempo. Fa osservazioni, lo illustra. Questo comporta, almeno a avviso del Pubblico Ministero, che l’amministratore delegato l’ha esaminato del provvedimento, l’ha valutato, ne ha valutato il contenuto, e nel condividerlo pienamente lo sottopone, illustrandolo, alla valutazione del Consiglio di Amministrazione. Allora mi pare, questa è la tesi che le propongo, signor Giudice, che sia destituita di fondamento la tesi che pretende di allontanare l’amministratore delegato da ogni responsabilità in base alle modalità organizzative della società e dell’insieme delle deleghe conferite. Un’ultima considerazione su questo documento: la scelta proposta dalla direzione servizi tecnici è fatta propria dal Consiglio di Amministrazione relativa all’esclusione delle barriere di seconda generazione, è avvenuta, come ho cercato di dimostrare, in assenza di ogni valutazione di carattere tecnico, e fu fatta, verosimilmente, come dice lo stesso verbale del Consiglio di Amministrazione, “allo scopo di contenere la necessità di interventi” e quindi per ragioni esclusivamente economiche, per quello che si chiama profitto. Continuo sul documento. Questo documento è stato acquisito agli atti dalla Guardia di Finanza in data 7 luglio 2014. Le sottopongo alcuni passaggi temporali che potrebbero essere utili: l’acquisizione di questo documento avviene in momenti lontano da alcuni avvenimenti importanti di questo processo, avviene quasi dopo un anno dall’incidente, l’incidente è del 28 luglio, l’acquisizione del documento è del 7 luglio, avviene quando ormai siamo in fase avanzata di conclusione dei lavori sulla tratta autostradale A 16, chilometro 27 – 50, quello che conteneva anche il viadotto Acqualonga sul quale si è verificato quel disastro di cui stiamo parlando, avviene dopo alcuni mesi dal dissequestro del viadotto Acqualonga che è avvenuto nell’aprile 2014. Ma dopo l’acquisizione di questo documento da parte della Guardia di Finanza, questo verbale del Consiglio di Amministrazione che non era stato consegnato in precedenza, e dopo la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini, avvenuta nel gennaio del 2015, Aspi probabilmente viene a conoscenza che oggetto delle indagini, oggetto di una possibile contestazione è anche il contenuto di questo documento e decide di avviare un audit, un controllo sul piano di riqualifica delle barriere laterali. È una decisione importante. Pensi, signor Giudice, che viene assunta dal massimo vertice. L’affidamento dell’incarico viene deciso addirittura dal Consiglio di Amministrazione e viene affidato all’ingegnere Testa, che era responsabile di questa struttura audit, direttamente dall’amministratore delegato, sia pure in forma verbale. Perché dico questo. Lo dico semplicemente perché ce lo dice la teste Testa la quale, sentita all’udienza del 22 novembre 2017, rispondendo alla domanda della difesa: “Ma da chi ha ricevuto questo incarico?”, “Dal Consiglio di Amministrazione di Autostrade”, “Si può ricordare più o meno in che periodo?”, “Diciamo nei primi mesi del 2015”, a conclusione delle indagini preliminari di questo processo. Le ho letto il verbale del 22 novembre, pagina 95. Successivamente, rispondendo alle domande del Pubblico Ministero, sempre la teste Testa, a pagina 103, dice: “L’incarico?”, “Sì, è verbale, mi è stato comunicato su indicazione dell’amministratore delegato di Autostrade, ingegnere Castellucci”. Ma come! Il Consiglio di Amministrazione si occupa anche di audit! Non si era detto che si occupava soltanto di stanziamento di fondi? Forse il teste Gagliardi, quando ha riferito questa circostanza, non ha capito bene la domanda. Forse si è confuso. Non so. Ma si era detto che il Consiglio di Amministrazione stanzia solo i fondi, poi si interessa anche di un audit, di un controllo di quei lavori dei quali non è stato quasi informato! E ancora: ma come, non si era detto che in questa vicenda l’amministratore delegato era semplicemente un portavoce, una persona che riferiva le cose al Consiglio di Amministrazione e poi dà l’incarico dell’audit di questa vicenda? Ma allora si è interessato di questa vicenda. Vai a capire. Veramente in questo processo si continua a dire tutto e il contrario di tutto. Questo controllo fatto dalla struttura che fa riferimento all’ingegnere Testa, viene relazionato con un documento che viene depositato nel luglio del 2015. Una volta depositato viene sottoposto alla Protos Spa che è una società di consulenza che opera in ambito tecnico, economico e finanziario in favore delle imprese. Ovviamente nel corso di questo dibattimento sono stati sentiti sia l’ingegnere Testa, sia il signor Serlenga che è il direttore generale della Protos Spa, e gli stessi hanno riferito, potrà verificarlo in Camera di Consiglio, cerco di sintetizzare perché già sto impegnando molto tempo, sostanzialmente i due dicono che il piano prevedeva l’intervento prevalentemente sulle barriere di primo impianto, ma anche sulle barriere di altro tipo, quelle di secondo impianto, che la somma stanziata era di 138 milioni, ma la somma era capiente, addirittura ridondante, dice una dai due testi, rispetto agli interventi da effettuare e quindi si potevano effettuare anche sulle barriere di secondo impianto. Sarebbe stato molto utile sentire la Testa in relazione al contenuto di questa relazione, ma non è stato possibile. Sa perché non è stato possibile, signor Giudice? Perché la Testa è stata sentita all’udienza del 22 novembre 2017 e la relazione sulla ha reso le dichiarazioni è stata depositata solo all’udienza del 6 aprile 2018, cinque mesi dopo, nove udienze dopo, come si poteva sentire la Testa su queste cose. Però, leggendo la relazione anche se depositata con le modalità che le ho detto, emergono elementi di valutazioni che offrono un interessante riflessione. Sentite che dice la Testa nella sua relazione, la struttura che fa capo alla Testa naturalmente. Leggo la pagina 4, naturalmente la relazione è agli atti del fascicolo del dibattimento, quindi potrà verificare le cose che le dico; innanzitutto esamina la proposta, la proposta che viene dalla direzione servizi tecnici e dice: “Nella proposta di delibera dal titolo Piano pluriennale di riqualifica bordo laterale del 18 – 12 – 2008, era previsto di intervenire su 2.202 chilometri lordi, escludendo trincee e gallerie, per un totale di 1.977 chilometri. I 1.977 chilometri netti di tratta autostradale da sottoporre a riqualifica, comprendevano le intere tratte, inclusi i rilevati ai tratti con barriere non più di primo impianto in quanto oggetto di precedente qualifica”. Ma dove ha letto la dottoressa Testa queste cose che ci ha riferito in questa relazione, dove le ha lette, ma che cosa sta dicendo! Ma io non a caso le ho letto testualmente sia la proposta della direzione servizi tecnici, sia il verbale del Consiglio di Amministrazione. Dove sta scritto! Dove sta scritto! Evidentemente si deve pensare che la dottoressa Testa ha avuto la disponibilità di documenti di cui questo ufficio o il suo ufficio non ha la disponibilità, ha letto qualcosa di diverso. Si vedrà. E continuando, nella pagina successiva, sempre la relazione della Testa, pagina 5 della relazione, parla della seduta questa volta, lì ha parlato della proposta, qui parla della seduta del Consiglio di Amministrazione del 18 dicembre e sentite che cosa dice: “Erano state individuate come tratte da riqualificare quelle con prevalenza di barriere di primo impianto”. Ma dove sta scritto! Ma che cosa ha letto! Ma ha letto quegli stessi documenti che ho letto qui? Oppure c’è una documentazione alternativa nella disponibilità di Autostrade per l’Italia Spa sulla base delle quali la Testa può dire queste cose che dice? La prevalenza di barriere di primo impianto! Ma là sta scritto: “Non esiste nessun obbligo di sostituzione di tali barriere”. La stessa considerazione vale per la relazione che ha presentato Protos. Anche Protos, il direttore generale di Protos, è stato sentito all’udienza del 22 novembre 2017, anche in questo caso però la relazione di accompagnamento è stata depositata nell’aprile del 2018, cinque mesi dopo, nove udienze dopo. E anche la società Protos, attraverso il suo direttore generale, ci informa della stessa organizzazione: “Il perimetro dell’intervento – sto leggendo testualmente signor Giudice la relazione della Protos, pagina 19 – il perimetro dell’intervento di riqualificazione è approvato dal CDA era esteso ai tronchi autostradali con prevalenza delle barriere di primo impianto”… con prevalenza delle barriere di primo impianto! Ma dove l’hai letto! Ma chi te l’ha detto! Dove hai tirato fuori questa valutazione.  

Anche Protos avrà esaminato documenti di cui non abbiamo la disponibilità. Allora, signor Giudice, io continuo a non capire. Il verbale del Consiglio di Amministrazione, la proposta della direzione servizi tecnici dice testualmente: “Attualmente non sussiste obbligo di sostituzione delle barriere di secondo impianto e stabilisce per gli interventi delle barriere di primo impianto la somma di euro 138 milioni”. Questo mi pare linguaggio italiano, facilmente da capire. Invece sa qual è la stranezza di questa esperienza nuova che mi è capitata di vivere, è che in questo processo è come se si volesse far passare l’esistenza di una sorta, uso un termine che adesso va molto di moda, un linguaggio di mezzo: si scrive una frase, non esiste nessun nome, ma non significa quello che sta scritto; la frase significa cose diverse e di tanto in tanto qualcuno viene a darci la sua interprestazione; si scrive che l’intervento è limitato solo alle barriere di primo impianto, si scrive che 138 milioni si riferiscono alle barriere di primo impianto, però potrebbe anche significare che vale secondo impianto. Io continuo a attenermi al linguaggio comune e corrente, quello che leggo. Allora, se è vero quello che sta scritto in questo documento, non è vero quello che dicono nella loro relazione i testi Testa e Serlenga in ordine sia all’intervento sulle barriere di secondo impianto, sia in ordine alla capienza della somma. Quanto riferito dai due testi non appare attendibile perché quando gli sono state richieste delle precisazioni, sentite come hanno risposto; a un certo punto il Pubblico Ministero chiede: “Visto che questi 138 milioni secondo voi servivano anche per altri interventi, mi sapete dire la percentuale della somma di 138 milioni che è stata usata per i secondi interventi?”. Leggo il verbale 22 novembre 2017, pagina 105, il Pubblico Ministero: “Lei ha detto, rispondendo alla domanda della difesa – mi rivolgo al teste Testa – la somma di 138 milioni era ridondante; nel corso della sua verifica ha stabilito quanto di questa somma è stato utilizzato per riqualificare le barriere di primo impianto e quanto per le barriere di secondo impianto?”, “Non come somma – risponde – ma come chilometri”. E che significa. Non come somma, ma come chilometri. E la stessa domanda viene rivolta al Serlenga, il verbale è lo stesso, 22 novembre 2017, la pagina è 115. Il Pubblico Ministero: “138, chiedo scusa, e consentivano gli interventi alle barriere sia di primo che di secondo impianto? Ma di questi 138 milioni quanto è stato utilizzato per le barriere di primo impianto e quanto per le barriere di secondo impianto, se è in grado di dirlo?”, “No, non sono in grado di dirlo in questo momento”, poi vi farò sapere. Una risposta, però, signor Giudice, può venire dalla stessa relazione che ha prodotto la Testa. Questo passaggio è anche molto interessante. Sempre pagina 4 della relazione: si legge nella relazione che dei 1977 chilometri sui quali era stato disposto l’intervento, le barriere di secondo impianto sono state interessate per una distanza di circa dieci chilometri. Dieci chilometri su 1977! E io ho avuto difficoltà, caspita che sperequazione. E non sapendo fare di calcolo, mi sono rivolto a mia moglie che insegnava matematica: “Mi fai la percentuale? Che percentuale c’è di 10 chilometri su 1977?”. E la risposta, lei verificherà in Camera di Consiglio perché questa è una valutazione assolutamente domestica, personale: lo 0,5 per cento. Signor Giudice, no, non ho sbagliato nel dirlo. Glielo ripeto: 0,5 per cento. Signor Giudice, mi ha capito bene, non c’è stata una interferenza del microfono che ha confuso la mia voce: lo 0,5 per cento, il nulla, il nulla assoluto. E di questi 10 chilometri non si sa gli interventi, quando sono stati fatti, dove sono stati fatti. E allora, per la verità signor Giudice, io ritengo forse sbagliando che tra i compiti del Pubblico Ministero vi sia anche quello di pensare male, ogni volta che c’è una situazione che sta ai limiti del possibile, il Pubblico Ministero ha il dovere istituzionale di capire che cosa è successo. E mi pare che in questa situazione ci sono tutti gli elementi per farlo, per pensare male. Mi chiedo: potrebbe essere che dopo la notifica dell’avviso ex articolo 415 bis e dopo la decisione di procedere all’audit si è deciso in tutta fretta di fare i lavori su una decina di chilometri sulle barriere di secondo impianto per consentire alla Testa nella sua relazione di poter relazionare che gli interventi riguardavano anche barriere di secondo impianto? Lascio a Lei la risposta, signor Giudice. Per quanto mi riguarda, per parte mia, la risposta me la sono già data. Sarebbe stata utile, ancora una volta, vi dico sentire su questi punti, il verbale del Consiglio di Amministrazione di Autostrade per l’Italia, quello del 18 dicembre 2008, l’incarico conferito alla Testa, l’amministratore delegato di Autostrade per l’Italia Spa, sarebbe stato utile per esempio sentire l’imputato Castellucci per sapere quali sono stati i ricavi di Autostrade per l’Italia in relazione all’anno 2012, l’anno prima dell’incidente per cui è processo. Sarebbe stato utile sentirlo per chiedergli se è vera l’indicazione che è stata fornita dalla Guardia di Finanza: nel 2012, i proventi, gli introiti sarebbero stati 3 miliardi e 885 milioni di euro. E chiedergli ancora se è in grado di indicare di quella cifra quale porzione di quegli introiti sono stati destinati alla manutenzione delle strade, alla manutenzione dei viadotti sulla A 16, alla manutenzione del viadotto Acqualonga per il quale si è creato questo disastro. Chiedergli se è vero, quello che dice in una delle annotazione la Guardia di Finanza, che per la manutenzione sarebbero stati spesi solo un miliardo e 472 milioni di euro, meno della metà. Sarebbe stato utile chiedergli la differenza tra queste due cifre che fine ha fatto, se è in grado di illustrarcela. È possibile che dobbiamo ritenere che siano tutti ricavi, tutti profitti? Ma è impensabile. Se fosse così non ci troviamo di fronte a dei profitti. Ci troveremmo, se fosse così, di fronte ad una avidità di profitti. Ma naturalmente, come in questo processo, anche l’imputato Castellucci non si è presentato in questa aula, signor Giudice, a rendere l’interrogatorio che gli era stato chiesto da parte della Procura. Anche per lui si tratta di un atteggiamento costante di tutto il dibattimento, un suo diritto naturalmente, non ho nessuna difficoltà a riconoscerlo, ovviamente. Neppure nella fase dell’udienza preliminare, nella lunghissima fase dell’udienza preliminare. Allora a me capita di pensare che, probabilmente l’ingegnere Castellucci è stato troppo impegnato per far conoscere in giro la perfetta organizzazione nella manutenzione delle barriere laterali autostradali soprattutto per i viadotti da parte della società di cui ha la responsabilità oppure di far conoscere in giro semmai al Consiglio superiore dei lavori pubblici, alla direzione manutenzione stradale del Ministero la straordinaria scoperta che avevano fatto il 28 luglio: i tirafondi si ammalorano, diffondere questa notizia, questa straordinaria scoperta che era stata fatta quel giorno. Impegni credo così stringenti da ritenere l’incidente per cui è processo e la carneficina con la morte di 40 persone un accidente burocratico, un inutile orpello del quale ci si deve liberare facilmente tacitando le parti offese, senza sentire la necessità di rendere conto delle condotte della società di cui ha la responsabilità, o forse peggio ancora, forse perché si sente persona irraggiungibile per essentiam, come dicevano i latini. Eppure la decisione è molto importante, quella decisione assunta dal consiglio di amministrazione e è resa particolare visibile, concreta, dai lavori di riqualificazione delle barriere laterali che vengono fatte nel tratto autostradale A 16 Napoli – Canosa, chilometro 27 – 50, lavori eseguiti nel 2013, intervento dal quale vengono tenute fuori le barriere di secondo impianto del viadotto Acqualonga, senza alcuna verifica preventiva, conseguenza di quella mancata verifica è stato l’incidente per quale ci troviamo oggi qua. Committente di questo appalto è la DGOM, la direzione generale operation e maintenance, operazione e manutenzione. Che ruolo ha la direzione generale? Ce lo dice l’ordine di servizio a firma dell’amministratore delegato, l’ordine di servizio è il numero 12 del 2012, definire le linee guida e monitorare le applicazioni in tema di barriere di sicurezza, coordinare le direzioni di tronco, sicurezza, manutenzione e standard tecnici; assicurare la realizzazione e la manutenzione delle opere relative alla rete di esercizio, stazioni, fabbricati, svincoli in esercizio, pavimentazioni, barriere. Questo incarico viene fornito alla società Pavimental Spa, che è una società controllata da Autostrade per l’Italia. Il cantiere viene consegnato nel 2012, il termine di consegna era previsto nel gennaio 2013, il termine poi viene prorogato a agosto 2013 a seguito di alcune interruzioni, ma nel luglio del 2013 si verifica l’incidente per cui è processo. Dalle risultanze processuali emerge in maniera in equivoca che questa scelta tenne fuori, questi lavori tennero fuori sicuramente le barriere presenti al sul viadotto Acqualonga, quello oggetto del processo e dell’incidente per il quale è processo oggi. E dalle stesse risultanze processuali risulta che questa scelta di tener fuori quella tratta autostradale non fu preceduta da alcuna attività di verifica sull’adeguatezza di quelle barriere e sulla eventuale individuazione di elementi che consentivano di imporre la loro sostituzione. Eppure i testi ci dicono cose diverse. Il teste Migliorini ci dice che quando si fa un intervento del genere è sempre  utile fare delle verifiche. Leggo l’udienza del 17 febbraio 2017, il foglio 175. Il Pubblico Ministero chiede al teste Migliorini, uno dei pochi testi che non fa parte di Autostrade per l’Italia Spa, e poi vi dirò tra un attimo perché vi dico questo: “Quindi per decidere se modificare o meno una barriera, va verificato lo stato di manutenzione dei tirafondi per decidere poi di non intervenire proprio?”, “Ma sì, certo, se io ho il dubbio se una certa barriera che possa o non possa in qualche modo assolvere a quelle che sono le funzioni per cui è stata progettata, ma questo si fa normalmente”. E poi, rispondendo a una sua domanda, signor Giudice, lei chiede, la pagina è la 191 della stessa udienza: “Ma allora c’è un obbligo sulla base della norma di verificare lo stato dei tirafondi, delle barriere?”, “Prima di procedere”, “Da chi lo deve decidere?”, “Sì, ma credo – dice il teste – che lo abbiano fatto”. E chiede lei: “E cioè di verificare in concreto? Verificando il tirafondo in che condizioni era, questo dico io”, “Sì, certamente”, risponde Migliorini, “Cioè nel senso che non si può decidere senza fare una verifica?”, “Assolutamente no”, “Quindi devono essere preceduti da una serie di sopralluoghi e verifiche?”, “Sopralluoghi, esatto, per vedere lo stato e quindi se quelle barriere nei singoli punti erano in uno stato…”, “Erano conformi?”, “Sì, se lo stato manutentivo era tale da garantire la capacità prestazionale di quella barriera”. E questa indicazione ci viene anche confermata da un consulente del Pubblico Ministero, ingegnere De Mozzi, udienza del 10 marzo 2017, pagine 122, risponde sempre a una sua domanda, signor Giudice: “Una volta che si interveniva a sostituire le barriere per un tratto più ampio”, chiede Lei, “Sì, andavano verificate”, e chiede ancora Lei, signor Giudice: “Quindi prima di decidere andavano fatti dei sopralluoghi per verificare le condizioni attuali?”, “Sì perché nel momento in cui si focalizza l’attenzione su una tratta di autostrada, all’interno di quel tratto, di quella strada normale, vanno viste tutte le situazioni”. A fronte di queste dichiarazioni vi sono quelle interessanti rese da un teste, il progettista di questo intervento, l’ingegnere Anfosso Paolo che ha proprio progettato questo intervento. Viene sentito all’udienza del 17 febbraio 2017. Sintetizzo per evitare lungaggini, Lei verificherà in Camera di Consiglio. Anfosso ci dice, trattandosi di una progettazione interna, l’incarico gli fu dato da quella che lui definisce la sua linea di comando, si trattava di un incarico verbale, la linea di comando si identificava negli attuali imputati Fornaci e Perna, il primo quale responsabile della struttura PBS, il secondo quale RUP di questo intervento. La committenza, come già abbiamo detto, veniva dalla direzione generale operazione e manutenzione, le valutazioni tecnico progettuali erano stati comuni, nel senso che dice Anfosso, “decise nell’ambito di contatti e di confronti tra l’Anfosso e la sua linea di comando”. Ha parlato addirittura di compartecipazione nella decisione. Una volta ricevuto l’incarico, l’Anfosso aveva proceduto ad eseguire due sopralluoghi sulla tratta oggetto dell’intervento, aveva svolto anche dei rilievi fotografici, ma questa attività, lo dice Anfosso, non aveva in alcun modo interessato il viadotto Acqualonga in quanto, concordemente con quanto stabilito con la linea di comando, quel tratto doveva essere escluso dai lavori. E tale decisione, quella di intervenire su alcuni pezzi e su altri no, era stata accompagnata dalle valutazioni dei parametri, quali le caratteristiche del traffico giornaliero, il traffico di automezzi pesanti, il tratto di incidentalità. Stupiscono, a avviso di questo Pubblico Ministero, alcune risposte date dall’Anfosso. Stupisce in particolare quando il Pubblico Ministero gli chiede: “Ma queste cose che avete deciso risultano da qualche verbale, un verbale di riunione, un ordine di servizio, un appunto, una mail, una traccia di qualche cosa?”. Sentite come risponde l’ingegnere Anfosso, l’udienza è quella del 17 febbraio 2017, foglio 126, il Pubblico Ministero: “Io forse non riesco a essere chiaro, e questa è una cosa che mi dispiace, io le ho fatto un’altra domanda. La difesa le ha chiesto qual è stato l’iter che lei ha seguito per escludere alcuni interventi e ammetterne altri. Io le dico che queste valutazioni, che non risultano nel progetto che le ho sottoposto e che lei ha redatto, da dove risultano? È stato soltanto l’esito di una discussione verbale o ci sono verbali di riunione, valutazioni, acquisizione di questi dati sull’incidentalità, o così come si è ricevuto l’incarico verbale anche questo si è fermato tutto a una discussione salottiera a alta voce?”. Questa è la mia domanda: “C’è un dato documentale nelle cose che lei ci ha detto stamattina?”, “No, non ho dati documentali”, tutto a voce. Anche in questo caso, l’incarico ricevuto dall’Anfosso è verbale, la scelta, le valutazioni tecniche destinate a interventi da effettuare, tutto a voce. E allora c’è da complimentarsi con Autostrade per l’Italia Spa che ha scelto delle modalità organizzative e operative che ci riportano indietro nel tempo, le antiche modalità di trasmissione dei verbali, dei documenti per tradizione orale, nulla di scritto, si racconta tutto a voce, si tramanda tutto a voce e che soprattutto sta dando un contributo sensibile al risparmio della carta e quindi alla conseguente salvaguardia della foresta Amazzonica. Tutto a voce. Ma stupisce soprattutto un’altra risposta che ha dato a una domanda fatta da Lei, signor Giudice. Anche questa gliela leggo perché, nel quadro generale, è particolarmente interessante. Lei gli chiede, l’udienza è sempre la stessa, 17 febbraio 2017, il foglio è il 134. Lei dice: “A distanza di venti, trenta anni la capacità di una barriera resta immutata? Cioè non è possibile che un crash test fatto nell’88 valga anche nel 2013?”, “Sì – risponde Anfosso – la norma non presenta…”, e Lei chiede ancora: “E quindi la valutazione?”, “Non impone valutazione di tipo temporale sulla validità e mantenimento in essere della prestazione della barriera”. E Lei dice quindi, meravigliato quasi da questa risposta, è un commento che faccio io: “Quindi una volta che è stato fatto il crash test nell’88, diciamo non va verificato negli anni successivi?”, “No, assolutamente”. È incredibile. È incredibile la tesi dell’Anfosso che ci propone la tesi dell’eterna giovinezza, la indistruttibilità delle barriere e della bulloneria metallica che fa parte di quella barriera. Ma non è il solo Anfosso a dire queste cose. La tesi sostenuta dall’Anfosso è sostenuta da un altro dipendente di Autostrade per l’Italia Spa. Lai, il teste Lai, udito all’udienza il 5 luglio 2017. Rispondendo a una domanda della difesa, leggo pagina 43 testualmente, sentite che cosa dice, all’esordio della sua deposizione: “La cultura di impresa della società concessionaria, che ha nella sua missione al vertice dei valori quello della sicurezza della circolazione, quello di esercitare in maniera attenta, puntuale, direi quasi ossessionante garantire una attività di verifica e di controllo su tutti quegli elementi che possono appunto garantire la sicurezza della circolazione, in primis sicuramente la pavimentazione e la segnaletica, ma soprattutto anche le opere di sicurezza”. È sconcertante, signor Giudice, è davvero sconcertante a avviso di questo Pubblico Ministero che una valutazione del genere, la cultura della sicurezza, venga data in questa aula, in un processo dove si sta discutendo della morte di 40 persone. Mah, ognuno dà le risposte che gli detta la propria coscienza. Le dichiarazioni del Lai non sono finite perché, sempre nel corso della stessa udienza, 5 luglio 2017, pagina 45, risponde, adeguandosi o comunque confermando le dichiarazioni che ha dato il teste Anfosso: “Un manufatto come un viadotto ha una vita utile media di 50 anni, quindi anche la barriera di sicurezza che viene messa a protezione del bordo laterale di quel manufatto ha 50 anni di vita”. Ma quando al teste, nel corso della stessa udienza, vengono mostrate le foto che adesso vi mostro, viene presentata al teste Lai, quello di 50 anni di durata delle barriere e degli annessi tirafondi, chiesi: “Questo che cosa è?”, “Beh, certo, la sua funzione completa è decisamente compromessa”, decisamente compromessa. E poi, quando gli vengono mostrate altre foto, sapete lui che cosa dice? Dice: “Sono tutti elementi che in questo momento non sono conosciuti, quindi poteva essere un prodotto proveniente dalla risulta di un altro incidente”. Dalla risulta di un altro incidente? Il Pubblico Ministero non ci credeva e chiede: “Scusi, ma poteva essere un riciclato di Autostrade?”, “Certo, certo”. Cioè in questa aula, signor Giudice, di fronte a Lei, si è sostenuto che quando capita un incidente su Autostrada, i tecnici intervengono, mettono a posto un po’ la situazione e poi recuperano tutto quello che possono recuperare e lo ricollocano in altre strutture autostradali. Questa è la risposta che ha dato Lai a questa domanda. Probabilmente i tirafondi del viadotto Acqualonga erano stati collocati lì quale risulta di un altro incidente stradale! Qualcuno ce lo dovrebbe dire. Proseguo con un’altra dichiarazione resa da un dirigente, un altro dirigente di Autostrade per l’Italia Spa sulla medesima documentazione fotografica. Il teste Valeri Enrico a parlare. Valeri Enrico è il coordinatore in sede centrale di tutte le direzioni di tronco italiane. Anche al teste Valeri vengono mostrate queste foto e gli viene chiesto dal Pubblico Ministero, l’udienza è sempre la stessa, 22 novembre 2017, il foglio è 74: “Le mostro queste foto, sono foto allegate alla consulenza del Pubblico Ministero già versate agli atti del Tribunale, quindi è un documento disponibile. Sono foto che fanno riferimento ai tirafondi e alle piastre di collegamento di barriere laterali che sono state oggetto dell’incidente”. E lui sapete che cosa risponde, va letta con attenzione questa dichiarazione, pagina 75: “Ritengo con tutta evidenza, forse probabilmente sia una partita che abbiano utilizzato nella prima installazione, una partita di ancoranti difettosi”. Ancoranti difettosi. E tu ce lo vieni a dire qui! E che cosa ha fatto Autostrade quando si è resa conto il 28 luglio 2013 che erano stati usati ancoranti difettosi? Ha fatto le verifiche sugli altri viadotti, sugli altri posti nei quali potevano forse essere stati utilizzati questi ancoranti difettosi? È andato dal produttore a dirgli: “Ma che cosa mi hai consegnato?”, come farebbe chiunque di noi, ma ovviamente la logica normale è fuori dalle affermazioni di questo processo. Per dirgli: “Ma che mi hai consegnato? Mi hai consegnato delle cose che non vanno bene e io metto a repentaglio gli utenti della rete autostradale?”. E aggiungo un’altra considerazione, tanto per chiudere il conto sull’attendibilità del teste Valeri. L’udienza è sempre la stessa, 22 novembre 2017, la pagina è la 77, chiede il Pubblico Ministero: “Ma nella verifica che avete fatto, la valutazione dopo l’incidente che c’è stato, avete verificato quanto tempo prima le barriere del viadotto Acqualonga, quelle che sono crollate, erano state controllate?”, “Ah, non lo so, io personalmente non ho memoria”, e il Pubblico Ministero, di fronte a questa risposta, gli chiede ancora: “Ma non l’ha fatto, non ne ha parlato, o non è stato proprio oggetto di discussione da parte della direzione?”, e il teste risponde: “No, su quel viadotto in particolare non è stato affrontato il tema su quel viadotto”. Il Pubblico Ministero dice, come se nulla fosse: “Ne prendo atto”. 40 morti, di cui non si è parlato neppure nei giorni successivi in Autostrade per l’Italia Spa. Allora mi permetto di dire che la verità è un’altra, è una sola. È estremamente difficile, secondo me impossibile, fare i conti con il contenuto di queste fotografie, quelle che le ho mostrato, signor Giudice. Sono foto che mostrano, come le ho detto prima, al di là di ogni commento, l’assoluta carenza manutentiva delle barriere. Si è purtroppo costretti a fare ricorso alle più fantasiose tesi: il riciclaggio di residui di incidenti, le partite difettose. Però, peccato che l’originale tesi promossa dai funzionari di Aspi viene contraddetta dagli accertamenti che sono stati fatti dai consulenti del Pubblico Ministero, insieme ai consulenti di parte di Autostrade, i quali hanno dimostrato una situazione, come dimostrano le foto, assolutamente diversa dall’eterna giovinezza di cui parlano queste persone. D’altro canto la stravagante tesi fornita dall’Anfosso è contraddetta anche dalle dichiarazioni rese dal teste Migliorini. Risponde all’udienza sempre del 17 febbraio, pagina 174, risponde alla domanda dell’Avvocato Pisani il quale gli chiede: “Le volevo chiedere: l’eventuale stato di corrosione dei tirafondi è un qualcosa non conforme alla norma?”, “Certo perché la barriera deve essere installata conformemente o al crash o prima che ci fosse il crash a un progetto, e poi lo stato manutentivo deve essere tale che quella barriera deve avere sempre quelle caratteristiche funzionali, altrimenti non è conforme. Quindi se non è conforme alle norme è perché si modifica, perché non c’è stata manutenzione, ma d’altro canto tutte le strutture, anche gli edifici antisismici se io li costruisco oggi e per trent’anni non faccio manutenzione, è chiaro che poi l’invecchiamento dei materiali che gli rende la resistenza inferiore a quella del progetto”. Una logica elementare, assolutamente elementare. Ma non è finita qui perché i dipendenti di Autostrade si impegnano anche su un altro terreno, quello della problematica della non conoscenza dell’ammaloramento dei tirafondi, problematica che era completamente sconosciuta. La tesi è prospettata dal teste Buccella il quale, rispondendo nell’udienza del 5 luglio 2017 a pagina 20 a una domanda del difensore del responsabile civile il quale gli chiede: “Sa anche ovviamente che lì è stata accertata una problematica di corrosione con riferimento ai tirafondi, ecco, prima dell’incidente – gli viene chiesto – questa problematica era conosciuta?”, “Assolutamente no”. E poi, rispondendo alle domande che comincia a fare immediatamente dopo Lei, signor Giudice, meravigliato dal contenuto di questa risposta, dice: “Con riferimento a questa ultima domanda, questa problematica della corrosione dei tirafondi non era conosciuta, ma con riferimento a quel tratto o in generale? È un problema che voi non avete mai affrontato? Cioè, voglio dire, è capitato in altri tratti di trovare tirafondi corrosi”, “Assolutamente no”. Questo signore lavora da un bel po’ di anni in Autostrade per l’Italia Spa e non gli è mai capitato di trovare un tirafondo ammalorato, quello che i nostri consulenti hanno fatto nel giro di pochi giorni. Interviene sul punto anche il teste Lai, quello dei 50 anni, il quale, rispondendo alla domanda di un difensore sul fenomeno della corrosione dei tirafondi, dice: “Era una problematica assolutamente non conosciuta, era ignota”, e poi, rispondendo dalla domanda del Pubblico Ministero, ribadisce: “Forse in termini giuridici potrei dire che questo è un vizio occulto, cioè non è visibile. Però queste dichiarazioni, sia del Buccella, sia del Lai, sono contraddette da tutta la documentazione a cui ho fatto riferimento in precedenza, la decisione dell’UNI, la scheda tecnica, il documento Eota, le dichiarazioni del Mazziotti, la decisione del Consiglio superiore dei lavori pubblici. Tutte vanno nella direzione completamente diversa. Allora si deve, anche in questo caso, dire quello che si è detto per i consulenti, ma proprio tutti sapevano della carenza problematica dell’ammaloramento dei tirafondi; gli unici a non saperlo erano i dipendenti di Aspi i quali ignoravano questo problema, una problematica assolutamente sconosciuta. Allora io credo che, di fronte a queste due tesi, la tesi dei testi dipendenti Aspi e la documentazione prodotta dal Pubblico Ministero, si impone una valutazione. Delle due l’una. È sconcertante l’imperizia tecnica, l’incompetenza professionale dimostrata da questi dipendenti di Autostrade per l’Italia Spa, ai quali è demandata la sicurezza degli utenti, la sicurezza delle persone che passano sull’autostrada tutti i giorni, o forse, peggio ancora, questa è una tesi che le sottopongo, signor Giudice: probabilmente queste dichiarazioni si giustificano con una assoluta mancanza di rispetto per l’istituzione che Lei rappresenta in questa aula. Sono state fatte soltanto nel tentativo di apparire servili e ossequiosi interpreti della volontà aziendale che voleva ritenere questa vicenda, con i suoi 40 morti, un fatto trascurabile, un fatto secondario, ritenuto concluso e da archiviare a seguito della mancata presenza delle parti offese in questo processo. Ma questo dubbio, per quanto mi riguarda, è assolutamente indifferente. Quello che volevo sottoporre alla Signoria Vostra era il fatto della piena, completa, assoluta inattendibilità dei testi Buccella e Lai e delle loro dichiarazioni. Naturalmente su questi lavori, dal chilometro 27 – 50, è intervenuta l’Anac, gliel’ho detto prima quando ho letto la prima parte della delibera dell’Anac che aveva chiesto un accertamento proprio in relazione alla gravità dell’incidente. Leggo pagina 12. Sentite che cosa dice a proposito di questo incidente: “La riqualificazione delle barriere non ha tuttavia interessato direttamente il viadotto medesimo. In merito la documentazione progettuale fornita non dà evidenza dell’attività di verifica dell’adeguatezza delle barriere esistenti e l’individuazione di quelle che necessitano di sostituzione condotta da un progettista. La relazione generale dà atto dell’attività di sopralluogo, rilievo fotografico, analisi delle opere, nonché di misurazioni e indagini strumentali di quelle per le quali emergeva la necessità di una verifica del loro stato di fatto, ma non riporta i risultati – la famosa tradizione orale della quale parliamo – in termini di individuazione dettagliata delle barriere che necessitano di sostituzione e di quelle ritenute ancora idonee a svolgere la funzione”. In altri termini Anac dice: “Ma siete andati sul posto? Avete verificato quali parti andavano sostituite e quali no?”. Silenzio totale. E sapete a queste osservazioni dell’Anac come risponde Autostrade per l’Italia? Autostrade per l’Italia corrisponde con una nota che credo sia del febbraio 2015, se leggo bene, rivolta all’Autorità Nazionale Anticorruzione e al Ministero dei Trasporti: “In particolare si ritiene che codesta spettabile Autorità non abbia titolo o competenza a esprimere valutazioni sulla normativa tecnica applicabile in fase di esecuzione dei contratti; secondo, non posso individuare obbligazioni a carico del soggetto ritenuto responsabile che non siano previste dalla normativa vigente al momento della valutazione”. Cioè una risposta che si ferma ancora sul dato formale. L’incidente? È una cosa che passerà, non c’è problema. Ancora una volta sul dato formale: sei competente, non sei competente, puoi chiedermi queste cose. Ma la questione del merito: che cosa è successo, perché è successo, per colpa di chi è successo, resta un argomento da tenere ovviamente lontano dagli interessi di Autostrade per l’Italia Spa. La realtà è un’altra, signor Giudice, è un’altra, e è collegata alla mancata attività di verifica delle adeguatezze delle barriere  che trovano tutte conseguenza nella delibera 18 dicembre 2008 dove si era stabilito che si doveva limitare l’intervento soltanto alle barriere di primo impianto, non anche a quelle di secondo impianto. D’altro canto questo sapete chi ce lo dice? Ce lo dice proprio il teste Anfosso, il progettista, almeno quando è stato sentito dal Pubblico Ministero. Sentite che cosa dice nel corso delle indagini preliminari. Lo posso leggere perché è inserito a verbale, fa parte della formale contestazione che gli ha fatto il Pubblico Ministero. Sentite che cosa dice: “Gli input progettuali sono stati a me forniti verbalmente da PBS, Pavimentazioni barriere di sicurezza di Roma, nella persona degli ingegneri Fornaci e Perna. Da quanto a mia conoscenza dovrebbe esserci una delibera aziendale che sancisce il principio della riqualifica delle sole barriere di primo impianto”. A me pare, attenendomi al linguaggio comune, ma pare che qui sia un po’ più complicato farlo, una affermazione categorica, inequivoca; una delibera del più alto vertice della società dalla quale dipende sancisce un principio: “Voi dovete fare solo le barriere di primo impianto”, “E io quelle ho fatto”. Naturalmente però, poi c’è la fase dibattimentale. Il teste Anfosso, dipendente di Autostrade per l’Italia Spa, sentito a dibattimento, non ha confermato quelle dichiarazioni perché ha ritenuto di rendere quelle che lui ha chiamato chiarimenti. Sentite che cosa dice, l’udienza è sempre la stessa, 17 febbraio 2017; il Pubblico Ministero insiste e dice, dopo la prima contestazione, Anfosso gli risponde, sto leggendo pagina 93: “ Chiarisco, adesso che ho avuto di… la delibera volta a individuare quelli che sono i tronchi autostradali sottoposti a verifica, sono tutti tronchi caratterizzati da una prevalenza di barriere di primo impianto dove però, per gli anni passati, per piccoli tratti, si era già proceduto, però in questo sostanzialmente nella delibera non c’era una esclusione di questa tipologia di tratte, ma veniva demandato allo sviluppo del progetto”. Ma dove ha letto Anfosso queste cose? Ha letto le stesse carte che ha letto la Testa, che ha letto Serlenga? Cioè tutta documentazione di cui non abbiamo disponibilità e che in italiano sembrano dire cose completamente diverse? E quando il Pubblico Ministero recepisce questo chiarimento di Anfosso e gli dice: Ma guardi, per la verità – sto leggendo la stessa pagina – lei qui, le ripeto, è più formale, e di tanto le faccio formale contestazione. “Di quanto è a mia conoscenza – lei dice – dovrebbe esserci una delibera aziendale che sancisce il principio della riqualifica delle sole barriere di primo impianto”. Lei questo dice, non è vero questo che le ho letto adesso o è vero quello che sta dicendo oggi?”. Risposta, pagina successiva, 94: “Dagli approfondimenti successivi non c’è una”…, discorso tronco: “Mi risulta che non ci sia una diretta correlazione tra la delibera e quanto da me dichiarato in sede di …”. Ma che significa? Io ti ho fatto una contestazione: nel corso delle udienze, delle indagini preliminari, hai detto che tu non hai sottoposto a valutazione le barriere di secondo impianto perché c’era una delibera del massimo vertice di Autostrade, da dove esce fuori che adesso non le risulta una diversa una diretta correlazione tra quanto dichiarato e la delibera? Evidentemente continuiamo a parlare linguaggi diversi. Lascio alla sua intelligenza, signor Giudice, la valutazione sulle dichiarazioni dell’Anfosso. Ultimo punto. Abbiamo visto dove è avvenuto l’incidente, quali sono state le cause dell’incidente, a chi spettava intervenire per sostituire i tirafondi ridotti in quella condizione e dopo c’è da affrontare il punto, la seconda parte della condotta, a chi spettava la competenza di controllare. Ebbene, una condotta imprudente e negligente va individuata proprio nel mancato monitoraggio e nel controllo della tratta autostradale che è stata interessata dall’incidente perché controlli attenti, controlli efficaci avrebbero consentito di ravvisare l’improcrastinabile necessità, ve lo dice questa foto, degli interventi che dovevano comportare un adeguamento funzionale delle barriere di calcestruzzo. A chi spettava questo compito? È testuale, lo dice l’articolo 3 della convenzione che è riportata negli allegati della consulenza, gliel’ho detto prima. Articolo 3, obbligo del concessionario: il concessionario assume l’obbligo di provvedere a proprie spese: 1) al mantenimento della funzionalità delle strutture connesse attraverso la manutenzione e riparazione tempestiva delle stesse; 2) a presentare all’esame del concedente il programma di lavoro di ordinaria manutenzione; 3) presentare al concedente per la relativa approvazione i progetti di manutenzione straordinaria. Su questo punto sia l’Anas che il MIT, dicono, ovviamente, sulla base di  quella norma: “Non spettava a noi, era un incarico che doveva essere eseguito esclusivamente come manutenzione da Autostrade per l’Italia Spa”. Allora esaminiamo un attimo la struttura che era tenuta a questi controlli. Autostrade per l’Italia Spa è suddivisa in nove tronchi ciascuno dei quali ha competenza su una tratta autostradale di circa 300 chilometri. All’interno di ogni tronco, è presente una organizzazione che è articolata con una direzione di tronco, un’area di esercizio, che si occupa della manutenzione ordinaria della struttura, un’area tecnica che si occupa della manutenzione straordinaria, cioè di quella manutenzione che non è ricorrente, un’area esenzioni, un’area impianti, un’area legale. Ciascuna di queste aree ha un proprio responsabile. All’interno dell’area esercizio, poi, ci sono i centri di esercizio che hanno competenza su specifiche tratte autostradali, diciamo nei circa 300 chilometri assegnati a ogni tronco. Anche il centro esercizio ha un proprio responsabile e un organico di coordinatori, ognuno dei quali ha il compito di pattugliare e controllare le tratte riferendo poi le eventuali insidie che sono presenti. Tra i compiti del centro esercizio rientra anche quello di verificare i tirafondi. Naturalmente, non lo dico io, ma lo dice il teste Iacardi che è il responsabile delle risorse umane di Autostrade per l’Italia Spa, l’udienza è quella del 16 marzo 2018, la pagina è 37, chiede il Pubblico Ministero: “Che lei sappia, sono i centri di esercizio che controllano lo stato di conservazione delle barriere? È competenza loro il controllo e la manutenzione delle barriere laterali?”, “Sì”. Troverà questa risposta nella pagina che le ho indicato, pagina 37. Allora una volta che è stata individuata la competenza alla quale spettava di controllare le barriere laterali e tutte le sue componenti, vediamo di stabilire come avvenivano questi controlli, le modalità organizzative degli stessi. Ebbene, l’istruttoria dibattimentale ha stabilito, ha consentito di stabilire che non esistevano direttive organizzative su questi controlli. Partiamo dal giudizio che dà il suo perito, signor Giudice, il professor Giuliani, il quale a proposito di questi controlli dice: “Nel caso di specie non si può invece ritenere che l’azione di controllo e verifica tecnica compiuta dalle strutture della società concessionaria sia risultata sufficientemente efficace. In caso contrario, infatti, il diffuso stato di corrosione, il degrado, la insufficienza strutturale nel quale versavano gli elementi di ancoraggio tra la barriera e il supporto su cui era collocata, si sarebbe potuto e dovuto riscontrare prima che l’incidente si fosse verificato”. Dalla documentazione acquisita a dibattimento non c’è un solo atto, uno solo in base al quale ritenere che i direttori di tronchi abbiano impartito disposizioni circa il controllo, i modi, i tempi con i quali verificare i controlli sulle barriere laterali. Gli imputati Spadavecchia, Renzi e Berti che si sono succeduti nel ruolo di direttore di tronco hanno rilasciato spontanee dichiarazioni, ma da queste dichiarazioni non emerge neppure un elemento che consente di ritenere che vi sia stata una qualsiasi indicazione da parte dei responsabili della direzione di tronco sulle modalità con le quali si dovevano fare i controlli o comunque sui tempi sui quali si dovevano fare i controlli. Ancora una volta le leggo un passaggio della relazione del professor Giuliani su questo punto: “Poiché dalle azioni messe in atto dal gestore prima dell’incidente ai fini del prescritto controllo e verifica di efficienza tecnica dei dispositivi, non rinvengono elementi utili nel senso che se non si riferiscono dati, certificati, rapporti di prova, altre basi documentali, la valutazione allo stato del dispositivo all’epoca dell’evento possono essere sviluppati solo sulla base dei fatti accertati nel corso delle indagini”. D’altro canto, la mancanza di qualunque direttiva risulta non solo da quello che dice Giuliani, ma risulta anche dal teste, altro dipendente di Autostrade, Pellicanò Natale, che era un dipendente di Autostrade per l’Italia Spa, che all’epoca dei fatti era in servizio presso la direzione del Sesto Tronco e che oggi presta servizio a Firenze. Pellicanò è stato escusso dai Pubblici Ministeri nella fase delle indagini e rese delle dichiarazioni nelle quali sostanzialmente affermava, glielo leggo perché è stato oggetto di contestazione e quindi Lei potrà legittimamente utilizzarlo nelle sue valutazioni: “Lei ebbe a dichiarare, vediamo un attimo se diciamo la stessa cosa, le leggo per la memoria quello che lei ha dichiarato il 25 marzo 2014: “Dopo il tragico incidente del luglio 2013, vi è stata una formalizzazione di una procedura interna che mi riservo di produrre al più presto che stabilisce in linea di massima che il tronco interessato, e in particolare l’area esercizio, deve monitorare le barriere di sicurezza, tutte, limitando solo a un mero controllo visivo anche riguardo alle barriere non incidentate”. Il teste Pellicanò mi interrompe: “Soltanto se mi rilegge un attimo…”, “Prima di tale nota – dice il Pubblico Ministero leggendo le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari – non vi era nulla in merito alle barriere di sicurezza, pertanto, a mio modesto parere, l’attività di controllo delle stesse rientrava nei cosiddetti piani di riqualificazione predisposti da PBS, e cioè da Fornaci”. Lei conferma quello che ha detto?”. E il teste, anche in questo caso, dopo aver reso delle dichiarazioni nella fase delle indagini, a dibattimento ha dei ripensamenti e decide di fornire delle migliori spiegazioni. Leggo pagina 47: “Allora mi spiego meglio perché mi sa che non… Allora, sostanzialmente – leggo testualmente – il concetto non è che mancasse l’attività, mancava la modalità di riepilogo di quella che era la modalità di controllo”. “Io le avevo chiesto un’altra cosa, per la verità. L’oggetto della contestazione era un altro, semplicemente una, credo che è una domanda semplicissima, da rispondere con un sì o con un no: prima dell’incidente esistevano disposizioni scritte che disponevano come fare, quando fare i controlli sulle barriere?”. Nel corso delle indagini il Pellicanò ha detto di no, e poi qui rende migliori dichiarazioni con una risposta che per la verità non mi sento di commentare perché non la capisco. Lascio a Lei, signor Giudice, anche in questo caso ogni valutazione, però mi sembra interessante fare una valutazione, una strana e ricorrente circostanza. Alcuni dirigenti di Autostrade per l’Italia Spa, in particolare proprio quelli chiamati dinanzi a questa autorità giudiziaria a rendere dichiarazioni in questo gravissimo incidente per cui è processo, hanno uno strano atteggiamento: inizialmente rilasciano delle dichiarazioni di un certo contenuto, poi riflettono meglio e ricordano cose diverse, cose da precisare, da chiarire meglio. Allora mi viene il dubbio: ma forse Autostrade per l’Italia Spa ha inserito tra i criteri di selezione del proprio personale anche questa particolare caratteristiche? Le persone che presentano domanda devono dire che sono in grado prima di dire una certa cosa, poi di ripensare meglio questa cosa e di riferirla in modo diverso? Naturalmente il dipendente di Autostrade, quando ricorda qualcosa di diverso, non è che va dall’autorità che l’ha sentito e gli dice: “Scusate, mi avete sentito due giorni fa, adesso ricordo delle cose diverse, o comunque posso fare delle precisazioni, posso farle?”. Aspetta, aspetta se e quando sarà chiamato nel corso dell’istruttoria dibattimentale e solo in quel caso riferirà le proprie perplessità per riferire una diversa valutazione del fatto che è stato frutto di una più attenta valutazione. Personalmente, ovviamente di intesa con la collega con la quale abbiamo condotto questo dibattimento, all’esito di queste esposte considerazioni, avanzo fin d’ora riserva di trasmissione, all’atto in cui verranno formulate le richieste definitive, di trasmettere gli atti relativi alle dichiarazioni rese dai testi Anfosso e Pellicanò all’ufficio di Procura per l’ulteriore corso di competenza. Riprendo la tematica della omessa indicazione da parte della direzione di tronco in ordine ai controlli sui tratti autostradali ritenuti più critici, tra i quali anche quello del viadotto Acqualonga. La successione temporale che gli imputati Spadavecchia, Berti, Renzi nella posizione apicale di direzione di tronco, non può far venir meno la responsabilità in relazione alla situazione di pericolo colposamente creatasi nel periodo in cui il predecessore era titolare. La responsabilità, è principio di carattere generale, continua a gravare sul predetto, anche quando l’evento si è verificato dopo la fissazione dell’incarico. Naturalmente quello che sto dicendo, signor Giudice, non è farina del mio sacco; è un costante orientamento della Suprema Corte. È stato avviato nel 1990 con una sentenza relativa al gravissimo disastro del comune di Stava. Con quella decisione, la Suprema Corte ritenne la responsabilità di tutte le persone che si erano succedute nell’arco di molti anni nelle funzioni di progettista, costruttore e gestore dei bacini di decantazione che nel 1985 crollarono, franarono a valle, travolgendo l’abitato di Stava e provocando molti decessi. Quell’orientamento, cominciato nel 1990, è proseguito costantemente, fino alla più recente sentenza, la numero 1994, IV Sezione, 14 gennaio 2014, nella quale si ribadisce “che non possa ritenersi che la successione nelle funzioni, facendo venir meno la possibilità di intervento sulla fonte della criticità, faccia venir meno anche la responsabilità. Dell’evento – sostiene la Suprema Corte – dovrà rispondere, oltre l’attuale titolare della responsabilità, anche il predecessore il quale non potrà spogliarsi dell’obbligo ricadente su di lui”. Nelle stesse sentenze vengono fuori altri due principi che ritengo utili sottoporre alla valutazione della Signoria Vostra per la decisione che andrà a assumere. Il primo è questo, dice la Cassazione: “Il mancato operato del successore nella funzione non può ritenersi una distinta e autonoma causa sopravvenuta da sola sufficiente alla determinazione dell’evento, bensì una causa condizione negativa grazie alla quale la prima continua a essere efficace – Cassazione numero 43078, IV Sezione del 28 aprile 2005 – in altri termini non può ritenersi interrotto il rapporto di causalità tra la precedente condotta all’evento qualora il comportamento del successore non abbia eliminato la situazione di pericolo originariamente esistente”. Secondo principio: “Non assume rilievo impeditivo, né sotto il profilo causale né sotto quello soggettivo, la circostanza che il precedente titolare non abbia più in concreto la possibilità di intervenire per rimuovere le anomalie. Questo ultimo potrà liberarsi della propria responsabilità solo assicurandosi che il successore rimuova la situazione di criticità ponendo nel nulla la situazione di pericolo”. E infine sul punto aggiungo l’ultima sentenza 11 luglio 2012, sempre IV Sezione, la sentenza è la numero 37992, dice: “In tema di omicidio colposo, allorquando l’obbligo di impedire l’evento ricade su più persone che debbano intervenire o intervengano in tempi diversi, il nesso di causalità tra la condotta omissiva e commissiva del titolare di una posizione di garanzia non viene meno per effetto del successivo mancato intervento da parte di altro soggetto, parimenti destinatario dell’obbligo di impedire l’evento, configurandosi in tale ipotesi un concorso di causa ai sensi dell’articolo 41 comma primo del Codice di Procedura Penale”. Vediamo adesso le modalità operative con le quali venivano eseguiti i controlli. Qui l’istruttoria dibattimentale ha consentito davvero di acquisire elementi di sicura suggestione che le sottopongo. Cominciamo dai controlli a piedi. Di questi controlli a piedi parla Russo Alfredo, all’udienza del 26 maggio 2017, la pagina è la 46, dove dice, rispondendo alla domanda di un difensore: “C’era poi la manutenzione che si faceva, più o meno la stessa cosa, in più si curava maggiormente la manutenzione ordinaria ricorrente percorrendo la tratta autostradale, camminando sulla corsia di emergenza, con i camioncini di servizio, con i lampeggianti accesi, più o meno alla velocità di 15, 20 chilometi all’ora”. Il Pubblico Ministero, sentite queste risposte date dal teste Russo, gli chiede: “Senta, io non ho capito bene – la pagina è la 54 dello stesso verbale – lei ha detto che parte delle verifiche avvenivano camminando con un pulmino lungo la corsia di emergenza piano, piano, 15 chilometri”, “15, 20 “, risponde lui, “Verificando a vista, e quando non c’era la corsia di emergenza che cosa facevate?”, E risponde il Russo: “Quando non c’era la corsia di emergenza su quel tratto lì, si fermava prima, nella piazzola più vicina e si percorreva a piedi”, “Si percorreva a piedi?”, chiede il Pubblico Ministero, “Sì”, “Era una verifica visiva nel senso che voi vedevate soltanto la parte incidentata?”, “Esatto”. “E le barriere non incidentate come venivano verificate da voi?”, “No, venivano verificate anche le barriere non incidentate”, “E allora come le verificavate?”, “Sempre camminando a piedi”, “Verificavate lo stato d’uso solo visivamente?”, “Verificavamo lo stato d’uso solo visivamente, camminando lungo il margine della strada, camminando lungo l’emergenza”. Queste stesse modalità ce le riporta anche Cipriano Decoroso. Cipriano Decoroso è una persona che curava i rapporti tra il Ministero dei Trasporti e la Sesta Direzione di Tronco. Anche qui, rispondendo a una domanda del difensore, l’udienza è quella del 5 luglio 2017, il foglio è il 25: “Cioè per esempio un viadotto come veniva controllato?”, “A volte, per quanto riguarda la mia esperienza, è stato controllato a piedi, camminando con l’operatore che seguiva alle spalle le persone che avanzano in fila indiana, adottando le massime cautele”. Le mostro una foto, signor Giudice: questa è la strada sulla quale l’eccentrico racconto di Cipriano e di Russo, qui dovevano camminare a piedi con l’autostrada aperta, con le macchine che transitavano, in fila indiana, per controllare le barriere. Questa è la strada sulla quale si dovevano fare dei controlli. Credo che sia superfluo aggiungere ogni commento a questa foto. Lascio a Lei le valutazioni perché credo che sarebbe offensivo per intelligenza sua e degli altri affrontare una qualunque valutazione di questa incredibile foto. E questi sono i controlli a piedi. Poi ci sono i controlli a bordo dell’auto. Anche qui la realtà è interessante, molto interessante, oggetto di suggestione. Il primo a parlarne è il teste Tortora Vito, sentite che dice, gli chiede un Avvocato: “Il controllo di cui lei ha parlato come avveniva?”, risponde Tortora, pagina 25, l’udienza è 7 luglio 2017: “Il controllo giornaliero veniva seguito in macchina, camminando a una velocità moderata sulle emergenze dove era possibile, poi a una velocità normale sui tratti dove non c’era emergenza”. “Avete mai fatto un controllo a piedi?”, “No, mai”. Passando poi la parola al Pubblico Ministero, il quale si meraviglia di questa risposta, e a pagina 33 chiede al teste Tortora: “Mi scusi, una curiosità, ma quando non c’era la corsia di emergenza, che facevate?”, “Si andava a velocità normale”, “Si andava a velocità normale?”, “Sì, a 80 all’ora dove è previsto a 80 all’ora, dove è previsto 110 si va a 110”, “ Non si controllava quindi?”, “Quello che si può vedere a 80 all’ora, alla velocità che si deve seguire”. Le chiedo, signor Giudice, ma c’è una incredibilità in queste risposte. Ma come si fa, le chiedo, a controllare la tenuta di una barriera laterale attraverso il finestrino, dall’interno di un’auto, senza avvicinarsi in prossimità, senza scendere e controllare se la barriera tiene o meno! È da definire tutto questo ridicolo, risibile, se non fosse per le conseguenze che ci sono state perché questa sciatteria di controlli ha determinato la caduta giù di un pullman e 40 morti di cui ci stiamo occupando in questo processo. E proprio la superficiale e irresponsabile modalità di controllo hanno determinato la verifica anche della bulloneria per quella parte che si vede a occhio nudo. Scheda 6. I consulenti del Pubblico Ministero hanno prodotto, nella loro relazione, queste foto. Sono foto a loro dire relative alla campata numero 7 oggetto dei lavori nel 2009 che presentano tracce evidenti di ammaloramento, che naturalmente nessuno ha controllato, nessuno ha segnalato nei quattro anni precedenti fin quando non sono venuti i consulenti del Pubblico Ministero. Tutto questo, ripeto, signor Giudice, senza nessun controllo sulla effettiva stabilità e tenuta delle barriere perché il Pubblico Ministero continua nelle sue domande e chiede al teste Russo Alfredo, l’udienza è del 26 maggio 2017, la pagina è la 56: “Ma siete mai scesi? Avete mai verificato una barriera da vicino nel corso della sua esperienza? Se si manteneva bene, se era mobile, se era indebolita nella sua tenuta? Questo intendo dire”, “No”, “Ma quindi solo e sempre dal pulmino”, “Sempre e solo dal pulmino”. Per la verità per quanto riguarda i controlli visivi ricorro ancora una volta all’aiuto dell’alieno professor Giuliani, pagina 73 della relazione: “Conseguentemente per il caso specifico, una indefinita, inqualificata, non documentata ispezione visiva, per altro rispetto a quale target si chiede, rappresenta la misura di quanto il problema di ingegneria sia stato gravemente ignorato dal gestore dell’infrastruttura stradale”. Ma naturalmente, come prassi di Autostrade per l’Italia l’esito di queste verifiche non risultava da nessun atto scritto. Nessuno dei controllori, a piedi o a bordo delle macchine, era tenuto a riportare a qualcuno l’esito di questi controlli. È testuale la risposta che dà, a una domanda del Pubblico Ministero, il teste Tortora all’udienza del 7 giugno 2017. Il Pubblico Ministero gli chiede: “Ma facevate relazioni scritte?”, “No, no, no”, tre volte. È quasi offensivo pensare che si potesse in qualche modo scrivere qualcosa delle verifiche che sono state fatte. Adesso vorrei spendere, e le chiedo la pazienza di sentirmi, qualcosa che riguarda l’intervento del 2009. L’intervento che ha avuto a oggetto la demolizione e la ricostruzione di due campate del viadotto Acqualonga con rimozione e riposizionamento delle barriere che erano state in precedenza sostituite. Si è trattato di un intervento di particolare importanza perché aveva a oggetto due campate, ciascuna delle quali lunga circa 36 metri e comportava la parziale demolizione dell’impalcato. Uno dei temi di questo lunghissimo dibattimento è stato quello di stabilire se l’esecuzione di questi lavori avesse consentito, all’esito dello smontaggio delle barriere New Jersey, di accertare lo stato di ammaloramento delle barriere stesse e dei tirafondi e di conseguenza imporre la programmazione degli interventi. Sull’esecuzione di questi lavori sono stati sentiti diversi testi. Un paio di questi sono assolutamente irrilevanti. Spalano Marco fu sentito su richiesta della difesa che ha detto che lui aveva curato esclusivamente l’aspetto della sicurezza del cantiere, dopo di che era andato via, non aveva seguito l’andamento dei lavori, quindi nulla poteva dire su quello che era avvenuto durante l’esecuzione dei lavori. L’altro teste è Russo Donato, un dipendente della Spea, una società anch’essa controllata da Autostrade per l’Italia, il quale ha riferito di essere stato lui a aver notato la necessità di questo intervento, di averlo riferito, ma poi non sapeva più nulla e quindi non poteva riferire alcuna circostanza sullo stato dei tirafondi. È stato sentito poi Vitale Pompeo, dipendente di Autostrade per l’Italia, attualmente in pensione, il quale ha riferito di aver partecipato direttamente all’attività di rimozione delle barriere e di aver notato che i tirafondi erano risultati in buono stato di conservazione. Ma quando gli sono stati chiesti dei maggiori chiarimenti: “Vogliamo un attimo verificare come hai fatto a controllare questi tirafondi?”, lui ha risposto che non poteva riferire più nulla perché il suo compito si era limitato semplicemente alla rimozione dei New Jersey. Ha preso i New Jersey, li ha messi da parte e è andato via, giusto il tempo di controllare che le barriere erano in buono stato di manutenzione. E però, e però, mi sembra che questa dichiarazione sia contraddetta dall’esito della documentazione fotografica perché vi ho riportato, e questa è la foto, le barriere delle campate oggetto dell’intervento del 2009 ridotte in questo stato nel 2013 all’atto del controllo dei consulenti del Pubblico Ministero, quindi soltanto quattro anni dopo l’intervento. Sono già ridotte in queste condizioni e Pompeo nella sua attività non nota nulla. Ricordo soltanto a me stesso, naturalmente, che il Pompeo Vitale è il funzionario di Aspi che è stato coinvolto in una precedente vicenda, un episodio famoso che si è verificato sulla A 16, chilometro 43,5 con il ribaltamento e lo scivolamento a valle dei muri di sottoscarpa, un’ingente colata di fango che ha invaso un complesso residenziale che si trovava nei pressi di Autostrada. Su questo punto il Pubblico Ministero ha chiesto di produrre, e lei l’ha acquisita, la sentenza di primo grado che non determina alcuna valutazione definitiva, ma che comunque per conoscenza è stata depositata dal Pubblico Ministero. L’ultimo teste, sempre di questi lavori del 2009, è Alvarelli Antonio, dipendente della ditta Edil San Felice, che si occupa di manutenzione ordinaria autostradale per conto di Aspi. Lui ha riferito di aver partecipato ai lavori di manutenzione, di rimozione delle barriere e che aveva notato che i tirafondi erano in ottimo stato di conservazione, parla addirittura di tirafondi integri, anche se di questa circostanza non è riferito niente a nessuno, in nessun documento. A me pare che anche le dichiarazioni dell’Alvarelli non siano del tutto attendibili perché in effetti lui riferisce che a suo avviso il tirafondo doveva necessariamente essere integro perché, secondo lui, può durare 100 anni, dice lui, addirittura raddoppia gli anni che ha indicato il teste Lai. Lai si è fermato a 50, lui li porta a 100 anni. Invece questa affermazione dei 100 anni di durata del tirafondo mi pare che dimostrino, e bastano queste foto relative all’intervento del 2009, i tirafondi abbiano una durata tutt’altro che limitata rispetto alle indicazioni che ci rende il teste Alvarelli. Anche su questi lavori è intervenuta l’Anac, anche su questi lavori, sempre nella relazione che vi ho già depositato, e al riguardo leggo pagina 14 l’Anac dice: “In relazione ai lavori del 2009, la verifica dell’idoneità delle barriere esistenti a continuare a svolgere la loro funzione e della corretta esecuzione dell’attività di nuova posa delle stesse, appare di particolare rilevanza. Nella documentazione di collaudo dell’intervento non sono evidenziate attività specifiche di verifica dell’idoneità delle barriere rimosse anche alla luce dell’invasività dell’intervento di demolizione dell’impalcato e della corretta reinstallazione delle stesse”. La società ha evidenziato dei rilievi, glieli salto, li verificherà Lei in Camera di Consiglio, perché l’Anac dice: “Pur prendendo atto di quanto indicato da società Autostrade, si ritiene che il collaudo avrebbe dovuto dar conto del corretto rimontaggio delle barriere di sicurezza rimosse, con particolare attenzione all’idoneità dei dispositivi di ancoraggio”. E quindi anche da Anac vengono fuori delle critiche specifiche. Una delle difese ha posto delle domande dirette, a avviso di questo Pubblico Ministero, a rilevare una competenza esclusiva del responsabile dell’area di esercizio nella gestione dei controlli dei tirafondi, di consistenza tale da escludere ogni intervento dei fatti del direttore di tronco. Per quanto mi riguarda, e questa è la tesi che sottopongo alla sua attenzione, la tesi non appare convincente. Il direttore di tronco rappresenta un presidio sul territorio allo scopo di ottimizzare l’efficienza delle risorse a livello territoriale. Il direttore di tronco è un dirigente, il direttore di tronco è stato definito in questo lungo dibattimento come una persona che assume quasi la qualifica di datore di lavoro e che dirige una struttura con capacità in termini funzionali e decisionali. D’altro canto questa considerazione ce la dice proprio la circolare che riguarda la direzione di tronco. È l’ordine di servizio, l’istruzione di servizio numero 9 del 2013 che fa seguito a un precedente ordine di servizio del 31 gennaio 2013 e attribuisce al direttore di tronco la responsabilità di garantire la sicurezza, di monitorare lo stato dell’infrastruttura, di mettere in atto le azioni necessarie per mantenere un adeguato livello di sicurezza della rete. Su questa figura che deve rispettare queste indicazioni che vengono dalle istruzioni di servizio è intervenuta anche la Suprema Corte la quale ha detto che il dirigente deve essere considerato come un vero e proprio alter ego del datore di lavoro, che lo coadiuva nella specifica attività organizzativa della società, dirigendo proprio il lavoro di altri dipendenti. Ancora, ha detto la Cassazione in un costante orientamento giurisprudenziale, che il dirigente ha specifici doveri, che sono stati così indicati: impartire istruzioni e ordini di servizio per la migliore esecuzione del lavoro, deve trattarsi di ordini specifici che non possono esaurirsi in avvertimenti o direttive generiche; di vigilare affinché le istruzioni impartite vengano eseguite; ove non possa assistere materialmente a tutti i lavori, a delegare incarico a diretti subordinati affinché li controllino e gli riferiscano. Richiamo per tutto la Cassazione, un orientamento che può così sintetizzarsi: “In ogni altro caso il dirigente resta obbligato all’osservanza di tutte le prescrizioni in materia penale e risponde anche delle omissioni addebitabili a negligenze altrui, ricollegabili alla propria mancanza di diligenza per non aver sorvegliato che gli adempimenti prescritti fossero puntualmente osservati”. Con specifico riferimento ai direttori del Sesto Tronco, nella cui competenza rientrava il viadotto Acqualonga, tutto ciò è mancato. Si è cercato in tutti i modi di accertare l’esistenza di direttive, di ordini di servizio, di provvedimenti in base ai quali venivano impartiti ordini circa il monitoraggio da espletare sulle barriere laterali, quelle che ci interessano adesso, e sui tirafondi, quanto meno con specifico riferimento a quelle che sono le tratte autostradali di particolare criticità, come è stata individuata quella del Sesto Tronco. Tutta questa è stata fatica sprecata e pertanto la condotta, a avviso del Pubblico Ministero, consistita nella mancata adozione di questo provvedimento circa i controlli da effettuare integra la negligenza grave, l’imperizia grave, l’imprudenza grave specificamente indicata nel capo di imputazione sub c) nei confronti dei direttori di tronco. Queste stesse valutazioni valgono ovviamente anche per i responsabili dell’area esercizio che sono persone collocate un gradino più sotto nell’organizzazione dell’impresa rispetto ai dirigenti. Per questi è intervenuti uno specifico ordine di servizio il quale attribuisce ai responsabili dell’esercizio “garantire il presidio costante della viabilità delle tratte di competenze, garantire il mantenimento degli standard qualitativi di esercizio e di sicurezza della circolazione, rivalutazione dei piani di manutenzione ordinaria, effettuazione degli interventi non pianificati”. Anche in questo caso nell’attività del responsabile di esercizio rientra non solo l’attività sua, propria, di specifica competenza, ma anche quella di costante controllo che avrebbe dovuto estrinsecarsi in esplicite istruzioni precise circa l’andamento delle verifiche sullo stato manutentivo della tratta. E questo è del tutto mancato. Anche in questo caso, la ricerca di documenti, di circolari, di direttive è stata tutta fatta nei confronti dei diretti dipendenti, dei subordinati e non ha avuto alcun esito. Mi avvio alla conclusione, signor Giudice. Le chiedo, se Lei mi autorizza, la possibilità di una brevissima divagazione extra processuale. Nel preparare la requisitoria di questo processo, mi sono ricordato di un film molto bello che ho visto. A un certo punto della trama di questo film, uno dei protagonisti racconta di una confidenza che aveva avuto dal nonno. Il nonno a un certo punto gli aveva detto che nel passato aveva avuto una relazione extra coniugale, era durata un certo tempo, poi si era interrotta, era tutto finito e lui, dopo un po’ di tempo, aveva ripreso la vita di sempre. Era passato del tempo. A un certo punto lui aveva deciso di confessare tutto alla moglie. E questa confessione ovviamente aveva fatto saltare gli equilibri familiari. E allora il ragazzino aveva chiesto al nonno: “Scusami, ma era tutto finito, era passato del tempo, nessuno si era accorto di niente, perché l’hai dovuto confessare? Oramai l’avevi fatta franca!”. E la risposta del nonno è stata questa: “Era proprio quello il motivo, non riuscivo più a convivere con questa sensazione di averla fatta franca ingiustamente”. Le chiedo scusa di aver rubato questi minuti per  questa divagazione extra processuale, ma io spero che non accada in questo processo. Io spero che la sua attenzione sia tale che all’esito di questo dibattimento nessuno, ma proprio nessuno riesca a farla franca ingiustamente. Sono certo, signor Giudice, che Lei emetterà una decisione attenta, tecnicamente ineccepibile, ma la Procura le chiede qualcosa di più. La Procura le chiede una sentenza che sia anche, anzi forse soprattutto giusta, e questa domanda di giustizia non proviene solo dalla Procura della Repubblica, ma proviene anche da quelle 40 persone che non hanno avuto voce nel corso di questo dibattimento. Se lo ricordi, signor Giudice, quando andrà in Camera di Consiglio. E passo alla richiesta di pena per il reato di cui al capo c) e mi avvio veramente alla conclusione. Ebbene, mi pare che la lunga istruttoria dibattimentale ha consentito di esaminare ogni aspetto di questa vicenda e di spingere la conoscenza di merito su tutti i fattori causali di questa vicenda. Sono emerse condotte omissive addebitabili a più persone, a livello centrale e a livello di strutture territoriali perché da più parti è emerso che più persone dovevano intervenire, o comunque disporre interventi in tempi e in modi diversi e tutto questo non è stato fatto. Mi riferisco in particolare all’imputato Mollo, nella qualità di responsabile della direzione servizi tecnici e dell’imputato Fornaci che hanno redatto direttamente e personalmente il piano pluriennale di riqualifica delle barriere laterali senza tenere in alcun conto la problematica delle barriere di secondo impianto, quelle installate sul viadotto Acqualonga che sono crollate a seguito dell’impatto del pullman. Si sono limitati, come abbiamo visto nel provvedimento che le ho indicato, a scrivere che non esisteva un obbligo di sostituzione per tali barriere senza alcuna preventiva verifica. Hanno omesso di adeguarsi alle prescrizioni di cui all’allegato E della concessione, c’era l’obbligo di intervenire su tutte le barriere della A 16, anche con interventi molto diffusi. Hanno omesso di valutare, e sembra incredibile, lo stato di 850 chilometri di barriere a basso potenziale, o comunque di stabilire anche un progetto, un programma di intervento successivo su queste barriere. Mi riferisco all’imputato Castellucci che ha condiviso questo orientramento, limitandosi anch’egli a sostenere la mancanza di ogni obbligo, alla sostituzione delle barriere di secondo impianto e riferendo questa tesi approvata poi dal Consiglio di Amministrazione. Mi riferisco agli imputati Spadavecchia, Renzi, Berti che si sono succeduti nella qualità di direttori del Sesto Tronco i quali hanno omesso, per le cose che ho detto un attimo fa, di fornire al personale dipendente ogni direttiva sui tempi e sui modi di controllo dell’efficacia delle barriere laterali, anche quelle che erano caratterizzate da particolari criticità, come il viadotto Acqualonga. Ce l’ha detto il teste Zapparato, dipendente tecnico proprio di quella direzione. Mi riferisco agli imputati Fornaci e Perna, nelle rispettive qualità il primo di responsabile dell’articolazione PBS, il secondo di responsabile dell’unità operativa barriere di sicurezza laboratori RSD, e di responsabile del procedimento relativo all’intervento di potenziamento sulle barriere della tratta A 16 chilometro 26 – chilometro 50, decidendo di tener fuori le barriere del viadotto Acqualonga, senza alcuna preventiva verifica sull’efficienza, e pur essendo a conoscenza, proprio attraverso il personale dipendente, che si trattava di un segmento caratterizzato da particolare criticità. Mi riferisco agli imputati De Franceschi, Marrone e Gerardi nella qualità di responsabili dell’area esercizio che si sono succeduti nel tempo, per aver omesso di garantire il mantenimento degli standard qualitativi di sicurezza e la realizzazione di piani di manutenzione, attività alla quale erano tenuti sulla base dell’ordine di servizio 1 del 2015, ve l’ho letto in precedenza, potrà verificarlo. Mi riferisco infine agli imputati Maglietta e Sorrentino, nella qualità di coordinatori del centro di esercizio, succedutesi nel tempo, per aver omesso di controllare che le verifiche tecniche avvenivano con modalità assolutamente inadeguate e comunque tali da consentire di non verificare le condizioni di manutenzione delle barriere laterali e di segnalare la necessità di importanti, necessari interventi. Viceversa, dalle risultanze processuali, emerge che gli imputati hanno seguito tutti una comune linea difensiva, una linea che può definirsi dilazionista, concretizzatasi nella circostanza che nessuno sapeva nulla, che nessuno ha ritenuto che fosse di propria competenza, che si doveva intervenire, tanto è che poi nessuno in concreto è intervenuto, lasciando quel tratto autostradale nelle condizioni in cui è stato trovato al momento dell’incidente.

Infatti nessuno, proprio nessuno degli imputati, sia a livello centrale, sia a livello di strutture decentrate, era a conoscenza del fenomeno dell’ammaloramento dei tirafondi, fenomeno conosciuto da tutti, tranne che da loro. Nessuno degli imputati, sia a livello centrale che a livello decentrato, sapeva del fenomeno dell’invecchiamento dei materiali, il tempo passa e qualcosa si corrode, un fenomeno che viceversa è alla base della comune esperienza delle persone. Nessuno degli imputati, a livello centrale o a livello di struttura decentrata sul territorio, si è posto il problema della incosciente presenza sulla rete autostradale di 850 chilometri di barriere di secondo impianto a basso potenziale, della necessità di intervenire, e dei rischi conseguenti all’assenza di ogni intervento che ha portato le conseguenze che conosciamo. Siamo in questa aula per questo. Nessuno degli imputati, né a livello di struttura centrale, né a livello di strutture decentrate sul territorio, si è posto la problematica di attente verifiche relative alla programmazione di quelle tratte, almeno quelle che erano dotate di strutture risalenti nel tempo, 20, 25 anni, tra le quali il viadotto Acqualonga, definito dallo stesso personale del Sesto Tronco “tratta particolarmente critica”. Allora, se è così, signor Giudice, mi pare che ricorra nella fattispecie quella che si può definire una convergenza di condotte colpose, addebitabili i singoli, l’amministratore delegato, il responsabile della direzione servizi tecnici, il responsabile della Pavimentazione Barriere di Sicurezza, o a gruppi di persone, mi riferisco ai direttori di tronco che si sono succeduti nel tempo, ai responsabili dell’area esercizio che si sono succeduti nel tempo, ai responsabili del centro esercizio, che possono ritenersi queste condotte, tutte e ciascuna, causa dell’evento in base al principio, accolto pacificamente dal nostro legislatore, della causalità materiale fondata sull’equivalenza delle condizioni. Le condotte contestate hanno tutte, a avviso di questo Pubblico Ministero, una pari percentuale determinativa, sia tra loro, sia all’interno di ciascun gruppo di persone, una pari valenza nella valutazione dell’evento. Tutte le indicate condotte presentano, a avviso di questo Pubblico Ministero, ai fini della valutazione della pena, un pari disvalore sociale e un altrettanto pari allarme sociale. Ebbene, rispetto a questa valutazione fatta dal Pubblico Ministero su una pari valenza di tutte queste condotte, non è emerso nel corso di questo lunghissimo dibattimento un solo elemento, uno solo, che potesse attribuire a una sola di queste cause una preminenza esclusiva, sufficiente, anche solo prevalente rispetto alle altre nella determinazione dell’evento. Detto questo, ricordo a me stesso che la morte di 40 persone, il ferimento di tanti altri soggetti, conseguenza del volo del vuoto per circa 30 metri di un bus prima di schiantarsi a terra sotto i piloni di un viadotto maltenuto da Autostrade per l’Italia Spa, e che una attività di controllo che è stata omessa per incuria e per negligenza irresponsabile, rappresentano un fatto di gravità tale da essere fuori da ogni regola, da essere fuori da ogni regola. Di conseguenza da non consentire, neppure ipotizzare lontanamente nei nostri discorsi, la concessione delle attenuanti generiche. Va viceversa concessa l’attenuante del risarcimento del danno perché vi è stato il ristoro delle parti offese, è avvenuto da parte di Aspi, è stato documentato nel corso di questo dibattimento e tutti gli imputati hanno fatto propria la indicazione che è stata fatta dal difensore del responsabile civile. Sussiste di fatti l’ipotesi di concorso formale tra i reati di disastro colposo e omicidio colposo plurimo. Al riguardo c’è un indirizzo giurisprudenziale assolutamente pacifico, basta aprire il più semplice manuale di rassegna di giurisprudenza per trovare sentenze di questo tipo, che adesso le leggo: “I reati di disastro colposo e di omicidio colposo plurimo possono concorrere. Infatti tra essi vi è non già il concorso apparente di norme, bensì concorso formale di reati perché l’imputato, con un’unica condotta colposa, determina due distinti eventi: quello di danno per le persone investite e quello di pericolo per la pubblica incolumità. La morte di una o più persone non è considerata dalla legge come elemento costitutivo, né come circostanza aggravante del reato di disastro che costituisce, viceversa, una autonoma figura criminosa”. Pertanto, tenuto conto del concorso formale, e individuata la più grave delle violazioni, quella relativa al reato di omicidio colposo plurimo, determinata la pena base in anni 8 di reclusione, aumentata ex articolo 81 a anni 12 di reclusione e diminuita per la concessione degli attenuanti di cui all’articolo 62 numero 7, si richiede per ciascuno degli imputati di seguito indicati: Mollo Riccardo, Fornaci Massimo Giulio, Renzi Michele, Berti Paolo, Spadavecchia Nicola, Gerardi Bruno, Sorrentino Antonio, Maglietta Michele, Castellucci Giovanni, De Franceschi Gianluca, Marrone Gianni, Perna Marco, tutti compiutamente generalizzati dal numero 2 al 15 del decreto che dispone il giudizio la pena di anni 10 di reclusione. Si richiede, per le ragioni esposte nel corso della requisitoria, la trasmissione al proprio ufficio per l’ulteriore corso di competenza dei seguenti atti: verbale di udienza in data 17 febbraio 2017, per la parte relativa alle dichiarazioni rese da Anfosso Paolo, verbale di udienza in data 31 marzo 2017 per la parte relativa alle dichiarazioni rese da Pellicanò Natale Marco. Vi è riserva di replica all’esito degli interventi dei difensori. Grazie. 

GIUDICE – A questo punto facciamo una pausa e poi diamo la parola alle parti civili che oggi vogliano concludere e anche all’Avvocato Pisani che vuole concludere oggi. 

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Magnate asiatico Kwong, mai pagato o conosciuto Boraso

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Il magnate singaporiano Ching Chiat Kwong si chiama ‘fuori’ dalle accuse che lo inseriscono nell’inchiesta di Venezia, sostenendo di non aver “mai pagato, ne’ conosciuto” l’assessore Renato Boraso, in carcere per corruzione. Kwong, indagato dai pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini, ha fatto conoscere la sua posizione attraverso il proprio difensore, l’avvocato Guido Simonetti. Nelle carte dell’accusa il miliardario asiatico è chiamato in causa – per l’acquisto dei due palazzi veneziani Donà e Papadopoli, e per la trattativa sui ‘Pili’ – assieme a Luois Lotti, suo plenipotenziario in Italia, e Claudio Vanin, imprenditore prima con loro in affari, ora ingaggiato in una dura lotta legale con Lotti.. A Venezia c’è intanto attesa per capire quali saranno le mosse del sindaco Luigi Brugnaro, a sua volta indagato, che pressato dei partiti della sua maggioranza – in particolare Fdi – ha deciso di anticipare al 2 agosto (prima era il 9 settembre) la data del chiarimento in Consiglio Comunale. Brugnaro continua a lavorare, e non ha intenzione di presentarsi dimissionario.

E se può essere suggestivo accostarvi oggi le dimissioni di Giovanni Toti, suo ex compagno di avventura in ‘Coraggio Italia’, da ambienti vicini a Ca’ Farsetti si fa notare come le due vicende siano “completamente diverse”. Brugnaro è indagato per concorso in corruzione con i due dirigenti dell’ufficio di gabinetto Morris Ceron e Derek Donadini. Quando scoppiò l’inchiesta il Procuratore Bruno Cherchi aveva sottolineato che l’iscrizione del sindaco nel registro era stata fatta solo “a sua tutela”. I chiarimenti veri, tuttavia, non saranno possibili fino a quando i nomi di peso finiti nell’inchiesta non decideranno di presentarsi davanti ai magistrati. Oggi intanto ha provato a chiarire la propria posizione l’uomo d’affari singaporiano “Ching Chiat Kwong – ha dichiarato l’avvocato Simonetti – “non ha mai disposto né effettuato (neppure tramite persone terze) il pagamento di una somma nei confronti dell’assessore Renato Boraso”.

Inoltre “non ha mai neppure conosciuto l’assessore Renato Boraso”. E sulle due operazioni portate a termine da Kwong a Venezia, viene sottolineato che i due edifici citati nell’inchiesta, palazzo Donà e palazzo Papadopoli, “sono stati acquistati attraverso una procedura ad evidenza pubblica e a prezzi in linea (se non superiori) al loro valore di mercato”. Nelle carte dell’inchiesta, l’accusa sottolinea tuttavia che proprio per far abbassare il valore di acquisto di palazzo Papadopoli, da 14 mln a 10,7 mln, Boraso avrebbe ricevuto da Kwong “”per il tramite dei suo collaboratori”, la somma di 73.200 euro, attraverso due fatture da 30.000 euro più Iva, emesse da una società dell’assessore, la Stella Consuting, per una consulenza “in realtà mai conferita, ne’ eseguita”. Quanto all’affare, poi sfumato, dei Pili, l’avvocato di Kwong evidenzia “come la trattativai non si sia in alcun modo mai concretizzata, fermandosi ad uno stadio del tutto embrionale”.

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‘Sgomberate la Vela’, l’ordinanza del 2015 mai eseguita

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Un’ordinanza datata ottobre 2015 metteva in guardia dal pericolo crolli: la Vela Celeste va sgomberata, il succo di una relazione del Comune di Napoli messa nero su bianco. La firma in calce è quella del sindaco dell’epoca, Luigi de Magistris. Un sos che non troverà mai seguito e di cui oggi la città piange le conseguenze dopo il crollo del ballatoio-passerella che lunedì sera ha determinato la morte di tre persone e il ferimento di altre dodici. Dunque, non solo il documento datato 2016 che denunciava la mancata manutenzione dei ballatoi della Vela Celeste di Scampia con relativo rischio crollo, dal passato emerge anche un’altra carta che chiama in causa l’immobilismo delle istituzioni. Perché quell’ordinanza di sgombero coatto non è mai stata presa in considerazione?

E perché si è preferito agire con degli accorgimenti che sanno di palliativo piuttosto che affrontare di petto l’emergenza segnalata da quel documento pubblicato sull’albo pretorio del Comune? Domande in attesa di risposta e sulle quali la procura di Napoli – che ha aperto un’indagine contro ignoti per crollo colposo e omicidio colposo – intende fare chiarezza. L’ordinanza firmata de Magistris – è quanto emerge – era dettata dalla necessità di tutelare l’incolumità di 159 famiglie per un totale di 600 persone residenti nella Vela Celeste. Alla base del provvedimento c’era la relazione di un dirigente comunale che delineava un quadro di pericolo allarmante. Anche la politica chiede di fare chiarezza.

A partire dalla segretaria del Pd Elly Schlein che ne ha parlato al festival di Giffoni: “È un tragedia drammatica – ha detto -. Abbiamo immediatamente espresso tutta la nostra vicinanza alle persone, alle famiglie, al quartiere colpito. C’è da fare luce su quello che è accaduto perché non può succedere una cosa del genere”. Fare luce è quello che intende fare la Procura di Napoli che ha disposto l’ampliamento dell’area sottoposta a sequestro, dal terzo piano fino al piano terra. Le verifiche stanno riguardando anche le posizioni dei residenti nella Vela “incriminata” che, in gran parte, secondo quanto si apprende da fonti qualificate, risulterebbero abusivi. E intanto si sta rivelando più difficoltosa del previsto l’acquisizione della copiosa documentazione amministrativa sulla Vela Celeste. Si tratta in particolare degli atti relativi al progetto di riqualificazione ReStart e alla manutenzione del complesso di edilizia popolare con relative negligenze che oramai sono date per scontate. Fondamentali saranno per gli inquirenti le risultanze del lavoro affidato al perito, un ingegnere strutturista forense. Conferito, infine, l’incarico per gli esami autoptici sui corpi delle tre vittime.

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Rifiuta nutrizione artificiale,”ok a suicidio assistito”

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Si è sbloccato l’iter per l’accesso al suicidio medicalmente assistito della 54enne toscana, completamente paralizzata a causa di una sclerosi multipla progressiva, che aveva rifiutato la nutrizione artificiale: la Asl Toscana nord ovest ha dato parere favorevole. “E’ la prima applicazione della nuova sentenza della Consulta che ha esteso il concetto di ‘trattamento di sostegno vitale'”, afferma l’associazione Luca Coscioni a cui si era rivolta tempo fa la donna e che ne aveva reso noto il caso un mese fa. L’Azienda sanitaria, spiega oggi l’associazione, “ha comunicato il suo parere favorevole: la donna possiede tutti e 4 i requisiti previsti dalla sentenza 242/2019 (Cappato/Dj Fabo) per poter accedere legalmente al suicidio medicalmente assistito in Italia. Da oggi se confermerà la sua volontà, potrà procedere a porre fine alle sue sofferenze. La Commissione medica della azienda sanitaria ora aspetta di sapere le modalità di esecuzione e il medico scelto dalla donna, in modo da assicurare ‘il rispetto della dignità della persona’”. La donna aveva inviato la richiesta di verifica delle sue condizioni il 20 marzo e a causa del diniego opposto aveva diffidato l’Asl, il successivo 29 giugno, alla revisione della relazione finale con particolare riferimento alla sussistenza del requisito del trattamento di sostegno vitale, essendo totalmente dipendente dall’assistenza di terze persone e avendo rifiutato la nutrizione artificiale con la Peg ritenendola un accanimento terapeutico.

Ora la revisione del parere della Asl “è avvenuta – rileva l’associazione – alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale 135 del 2024 che ha esteso l’interpretazione del concetto di ‘trattamento di sostegno vitale'”: fino a quest’ultima sentenza l’Azienda sanitaria “non riconosceva la presenza di questo requisito, in quanto equiparava il rifiuto della nutrizione artificiale all’assenza del ‘trattamento di sostegno vitale'”. I giudici della Consulta però “hanno chiarito che ‘non vi può essere distinzione tra la situazione del paziente già sottoposto a trattamenti di sostegno vitale, di cui può chiedere l’interruzione, e quella del paziente che non vi è ancora sottoposto, ma ha ormai necessità di tali trattamenti per sostenere le sue funzioni vitali'”. “È la prima applicazione diretta della sentenza 135” della Consulta “che interpreta in modo estensivo e non discriminatorio il requisito del trattamento di sostegno vitale – dichiara l’avvocato Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’associazione Coscioni, difensore e coordinatrice del collegio legale della 54enne -. La signora dopo mesi di attesa e sofferenze, con il rischio di morire in modo atroce per soffocamento anche solo bevendo, potrà decidere con il medico di fiducia quando procedere, comunicando all’Azienda sanitaria tempi e modalità di autosomministrazione del farmaco al fine di ricevere assistenza e quanto necessario. Le decisioni della Consulta, che hanno valore di legge, colmano il vuoto in materia dettando le procedure da seguire per chi vuole procedere con il suicidio medicalmente assistito”.

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