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Cultura

Turchia e Cina, storie di Leyla Güven e Zhang Zhan: donne che pensano e dunque meritano il carcere

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Un ennesimo tribunale anatolico ha perpetrato un ennesimo atto di ingiustizia, a ridosso di Natale. Non ci si deve stupire. E’ quel che può accadere, è quel che accade, nei regimi autoritari, nei quali il sistema giudiziario perde la sua indipendenza e viene progressivamente asservito al potere politico.

Leyla è stata inviata dal popolo turco in Parlamento, eletta nelle file dell’HDP (Partito democratico dei popoli), accusato dal potere in carica di essere la “vetrina politica” del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan), a sua volta considerato un’organizzazione terroristica. Sicché, seguendo un micidiale sillogismo, Leyla è stata accusata di essere una terrorista, per aver istigato atti di terrorismo facendo propaganda terroristica. E’ stata destituita nel giugno scorso dalla sua carica di deputata in base alla quale godeva dell’immunità parlamentare. Va in carcere, dunque.

Leyla è stata condannata per reati di opinione. Non ha “fatto” nulla: né atti di violenza contro la persona, né danneggiamento di beni pubblici e privati, né minacce personali, né vilipendi istituzionali. 

Ha criticato, questo sì, le condizioni di detenzione di Abdullah Öcalan, uno dei fondatori del PKK, per cui ha già subito una carcerazione durante la quale ha lanciato un drammatico sciopero della fame che ne aveva minato la salute al punto da costringere le autorità turche a liberarla. Ha criticato, questo sì, l’intervento militare turco nell’enclave curda di Afrin in Siria. Insomma ha fatto politica. Ha espresso opinioni.

Leyla è una donna curda, ha 56 anni, è a piede libero, come si dice, e non si sa dove sia. Sta combattendo per i diritti del popolo curdo, cinicamente sfruttato nelle guerre siro-irakene. Sta combattendo per la dignità umana. Con le armi dell’intelligenza, con le armi della ragione. 

Non si è ancora spenta l’eco di questa notizia, che un’altra ne giunge dalla Cina: non meno triste, non meno grave. 

Esiste, sapete, una “verità ufficiale” sul coronavirus in Cina, e segnatamente sull’epidemia a Wuhan, dove tutto è cominciato e dove si sono contati 4.000 dei 4600 decessi formalmente registrati in tutto il Paese. E c’è poi una “verità storica” che un pugno di coraggiosi tenta di costruire attraverso indagini sul campo, filmati, interviste, spulcio di comunicati e documenti. Intrappolati in una terribile morsa e cioè avendo “davanti il virus e dietro il potere legale e amministrativo di Pechino”, come dice uno di questi indagatori, il blogger Chen Qiushi, scomparso da 10 mesi.

Tra questi “giornalisti cittadini” c’è lei, Zhang Zhan, una ex avvocatessa di Shanghai, partita in occasione dell’epidemia nascente per Wuhan e presto arrestata, perché faceva troppe domande in giro. Perché filmava strade e negozi. Perché scriveva e diffondeva quel che sperimentava. Insomma, redigeva le cronache della pandemia, quelle “dal basso”, che non sempre e non del tutto coincidevano con quelle “dall’alto”. A nulla sono serviti i diversi scioperi della fame, la solidarietà della gente e perfino di ONG e diplomatici stranieri. Zhang Zhan è stata condannata ieri, 28 dicembre 2020, a 4 anni di prigione, per “istigazione di disordini” da un tribunale della sua città. Un’accusa generica trasformata in un reato nel “teatro delle ombre” della (in)giustizia di regime. 

Un’altra mezza dozzina di giornalisti è in prigione per lo stesso reato, in attesa di processo. Per fortuna, nessuno ha osato toccare Fang Fang, l’autrice di “Wuhan. Diari da una città chiusa”. La sua notorietà internazionale la tiene al riparo, per ora. 

Per i poteri autoritari, dovunque essi si esercitino, il pensiero è pericoloso. Se a pensare, poi, è una donna, la faccenda diventa intollerabile? 

Agli uomini liberi, alle donne libere, questo stillicidio non darà assuefazione. Ieri Leyla Güven, Turchia. Oggi Zhang Zhan, Cina. Domani chiunque altra, dovunque. Nessun Natale o Capodanno o altra festa, per loro, sarà la solitudine dei vinti. 

Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM.

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Maurizio Landini, esce “Un’altra storia” per parlare ai giovani

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Il segretario generale della Cgil Maurizio Landini si racconta per la prima volta nel libro ‘Un’altra storia’ con l’intento di parlare soprattutto ai giovani. “Uno dei motivi che mi ha spinto a raccontare la mia esperienza di vita e di lotta, è che vedo tra le giovani generazioni una straordinaria domanda di libertà. Una domanda di libertà e di realizzazione che non può essere delegata ad altri o rinviata a un futuro lontano, ma che si costruisce giorno per giorno a partire dalla lotta per cambiare le condizioni di lavoro e superare la precarietà. Se riuscirò ad accendere nei giovani la speranza e la voglia di lottare per la loro libertà nel lavoro e per un futuro migliore, potrò dire di aver raggiunto uno degli obiettivi che mi ero prefisso. Questo libro, con umiltà, vuole parlare soprattutto a loro” dice Landini.

In libreria proprio a ridosso dei referendum abrogativi dell’8 e 9 giugno su lavoro e cittadinanza, ‘Un’altra storia’ è una narrazione intima tra ricordi, aneddoti e svolte professionali ed esistenziali, che si intreccia alla storia degli ultimi quarant’anni di questo paese, con un focus su alcune grandi ferite sociali di ieri e di oggi che ancora sanguinano e che devono essere rimarginate. Dagli anni Settanta ai giorni nostri, dall’infanzia e l’adolescenza a San Polo d’Enza, fino alle esperienze sindacali degli inizi a Reggio Emilia e Bologna, al salto nazionale in Fiom prima e in Cgil poi, nel libro di Landini non mancano le analisi sulle grandi questioni legate al mondo del lavoro e a quello delle grandi vertenze, tra cui Stellantis, il rapporto con i governi Berlusconi, Prodi, Renzi, Conte, Draghi e Meloni, nella declinazione dell’idea-manifesto del “sindacato di strada”, in cui democrazia e autonomia sono il grande orizzonte.

Questa narrazione personale e intima, ricca di spunti e riflessioni, si tiene insieme a quelle che sono le battaglie storiche del segretario e della sua azione “politica”: la dignità del lavoro, affermata nel dopoguerra e nella seconda metà del Novecento e “negata nell’ultimo ventennio a colpi di leggi sbagliate, che le iniziative referendarie propongono, infatti, di correggere e riformare profondamente” sottolinea la nota di presentazione. ‘Un’altra storia’ è un libro che ci parla di diritti da difendere, battaglie ancora da fare e del futuro.

Eletto segretario generale della Cgil nel 2019, Landini ha cominciato a lavorare come apprendista saldatore in un’azienda artigiana e poi in un’azienda cooperativa attiva nel settore metalmeccanico, prima di diventare funzionario e poi segretario generale della Fiom di Reggio Emilia. Successivamente, è stato segretario generale della Fiom dell’Emilia-Romagna e, quindi, di quella di Bologna. All’inizio del 2005 è entrato a far parte dell’apparato politico della Fiom nazionale. Il 30 marzo dello stesso anno, è stato eletto nella segreteria nazionale del sindacato dei metalmeccanici Cgil. Il primo giugno del 2010 è diventato segretario generale della Fiom-Cgil. Nel luglio del 2017 ha lasciato la segreteria generale della Fiom per entrare a far parte della segreteria nazionale della Cgil.

MAURIZIO LANDINI, UN’ALTRA STORIA (PIEMME, PP 224, EURO 18.90)

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Consulta: niente automatismo sulla sospensione dei genitori, decide il giudice

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Stop all’automatismo che impone la sospensione della responsabilità genitoriale per i genitori condannati per maltrattamenti in famiglia. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 55 del 2025, dichiarando illegittimo l’articolo 34, secondo comma, del Codice penale nella parte in cui non consente al giudice di valutare in concreto l’interesse del minore.

Una norma rigida che non tutela sempre i figli

L’automatismo previsto dalla norma, secondo cui alla condanna per maltrattamenti in famiglia (articolo 572 c.p.) segue obbligatoriamente la sospensione della responsabilità genitoriale per il doppio della pena, è stato giudicato irragionevole e incostituzionale. Secondo la Consulta, la previsione esclude qualsiasi valutazione caso per caso e impedisce al giudice di verificare se la sospensione sia effettivamente nell’interesse del minore, come invece richiedono gli articoli 2, 3 e 30 della Costituzione.

Il caso sollevato dal Tribunale di Siena

A sollevare la questione è stato il Tribunale di Siena, che aveva riconosciuto la responsabilità penale di due genitori per maltrattamenti nei confronti dei figli minori, ma riteneva inadeguato applicare in automatico la sospensione della responsabilità genitoriale. Il giudice toscano ha evidenziato la possibilità concreta che, in presenza di una riconciliazione familiare e di un miglioramento del contesto domestico, la sospensione potesse arrecare un danno ulteriore ai minori.

Il principio: al centro l’interesse del minore

La Corte ha ribadito che la tutela dell’interesse del minore non può essere affidata a presunzioni assolute, bensì deve derivare da una valutazione specifica del contesto familiare e della reale efficacia protettiva della misura. Il giudice penale deve dunque essere libero di stabilire, caso per caso, se la sospensione della responsabilità genitoriale sia davvero la scelta più idonea alla protezione del figlio.

La continuità con la giurisprudenza

La decisione si inserisce nel solco della sentenza n. 102 del 2020, con cui la Consulta aveva già bocciato l’automatismo previsto per i genitori condannati per sottrazione internazionale di minore. In entrambi i casi, si riafferma il principio secondo cui le misure che incidono sulla genitorialità devono essere coerenti con i valori costituzionali e orientate alla tutela concreta del minore.

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Addio a Mario Vargas Llosa, Nobel per la Letteratura: è morto a Lima a 89 anni

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Il mondo della cultura piange la scomparsa di Mario Vargas Llosa (foto in evidenza di Imagoeconomica), uno dei più grandi romanzieri del Novecento e premio Nobel per la Letteratura nel 2010. Lo scrittore peruviano si è spento oggi, domenica, a Lima all’età di 89 anni, circondato dalla sua famiglia, come ha comunicato suo figlio Álvaro attraverso un messaggio pubblicato sul suo account ufficiale di X.

«Con profondo dolore, rendiamo pubblico che nostro padre, Mario Vargas Llosa, è morto oggi a Lima, circondato dalla sua famiglia e in pace».

Una vita tra letteratura e impegno

Nato ad Arequipa il 28 marzo del 1936, Vargas Llosa è stato tra i più influenti autori della narrativa ispanoamericana contemporanea. Oltre ai riconoscimenti letterari internazionali, ha vissuto una vita profondamente segnata anche dall’impegno civile e politico.

Con la sua scrittura tagliente e lucida, ha raccontato le contraddizioni della società peruviana e latinoamericana, esplorando con coraggio e passione temi di potere, ingiustizia e libertà.

I capolavori che hanno segnato la sua carriera

Autore di romanzi fondamentali come “La città e i cani” (1963), durissima denuncia del sistema militare peruviano, e “La casa verde” (1966), Vargas Llosa ha lasciato un’impronta indelebile nella letteratura del Novecento. La sua vasta produzione comprende anche saggi, articoli e testi teatrali.

Un addio in forma privata

Come reso noto dalla famiglia, i funerali saranno celebrati in forma privata e, nel rispetto della volontà dell’autore, le sue spoglie saranno cremate. Un addio sobrio, coerente con la riservatezza che ha spesso contraddistinto l’uomo dietro lo scrittore.

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