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Esteri

Trump grazia amici e alleati e sfida il Congresso

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Donald Trump, per la prima volta da dopo le elezioni, lascia la Casa Bianca per piu’ giorni e vola nella sua residenza di Mar-a-Lago per le festivita’ di fine anno. Non senza sferrare gli ultimi di una lunga serie di colpi tesi a creare caos prima dell’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca. Cosi’ pone il veto sulla legge alla difesa varata a larga maggioranza da Camera e Senato e minaccia di metterlo sul piano di stimoli all’economia frutto di un accordo tra repubblicani e democratici. Una doppia sfida al Congresso ma anche al suo partito che accusa di non sostenerlo a sufficienza nella sua battaglia per ribaltare l’esito delle elezioni. Non solo. Prima di dirigersi verso la Florida Trump ha concesso la grazia o commutato la pena a ben 20 controversi personaggi condannati per gravi reati dalla giustizia americana. Un vero e proprio regalo di Natale ad amici, alleati e politici corrotti, tra cui due indagati coinvolti nel Russiagate e tre ex membri repubblicani del Congresso molto vicini al presidente uscente. Il perdono di Trump e’ andato anche a quattro mercenari della societa’ Blackwater accusati di crimini di guerra in Iraq, responsabili nel 2007 della strage di piazza Nisour a Baghdad in cui furono uccisi 17 civili, tra cui due bambini di 8 e 11 anni. Un episodio che provoco’ un’ondata di sdegno nella comunita’ internazionale. L’ondata di provvedimenti – spiegano gli esperti – riguarda molti casi che non incontrerebbero gli standard necessari per essere presi in considerazione, con Trump che avrebbe deciso di procedere bypassando il consueto processo di revisione da parte del Dipartimento di giustizia. Insomma, ancora una volta un uso del potere di grazia da parte del presidente americano uscente che i detrattori considerano spregiudicato e prevalentemente mirato a soddisfare propositi personali e politici. Basti pensare, come ricorda il New York Times, che su 45 provvedimenti di concessione della grazia o di commutazione della pena varati da Trump dall’inizio del suo mandato, ben l’88% e’ andato a beneficio di persone legate al presidente e impegnate nella promozione della sua agenda politica. Lo dimostra anche l’identikit di molti dei personaggi graziati in queste ore. George Papadopoulos e’ l’ex consigliere di politica estera della campagna elettorale di Trump nel 2016, condannato in seguito alle indagini del procuratore speciale sul Russiagate Robert Mueller, cosi’ come un legale legato al tycoon, Alex van der Zwaan. Ci sono poi i tre ex parlamentari sostenitori di Trump, Duncan Hunter, Chris Collins e Steve Stockman, condannati a pene pesanti per reati che vanno dall’uso improprio di fondi della campagna elettorale a false dichiarazioni all’Fbi, passando per la frode finanziaria e il riciclaggio di denaro. Nel caso dei militari contrattisti della Blackwater, poi, i commentatori americani ricordano anche come l’ex responsabile della societa’ e’ Erik Prince, il miliardario amico del presidente e, tra l’altro, marito della ministra dell’Istruzione dell’amministrazione Trump, Betsy DeVos. I ben informati sostengono che questa nuova gigante ondata di provvedimenti non sia l’ultima che The Donald ha in mente da qui al 20 gennaio, quando volente o nolente dovra’ lasciare il passo a Joe Biden. Senza contare l’ipotesi piu’ clamorosa riecheggiata piu’ volte tra le mura dello Studio Ovale: quella della grazia preventiva per i figli maggiori del presidente – Donald Jr, Eric e Ivanka – per proteggerli, almeno in parte, da futuri guai giudiziari. Cosi’ come il suo avvocato personale e amico Rudy Giuliani. Con Trump che potrebbe arrivare a graziare persino se’ stesso. Sul fronte della sfida al Congresso, Trump ha posto sulla legge sulla difesa un veto che ora potrebbe essere ribaltato dalla stessa maggioranza che ha votato il provvedimento. Ma il presidente ha cosi’ messo in difficolta’ il suo partito che si trova ora nel mezzo di un dilemma. In un video postato su Twitter poi ha definito “una vergogna” l’accordo raggiunto sul piano di stimoli all’economia da 900 miliardi di dollari, soprattutto per quell’assegno da 600 dollari promesso agli americani, che lui vorrebbe portare ad almeno a 2.000 dollari. “Se cosi’ non sara’ – ha detto minacciando il suo veto – della questione se ne occupera’ il prossimo presidente… che poi potrei essere io”.

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Esteri

‘Chora è una moschea’, scintille Erdogan-Mitsotakis

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La moschea di Kariye a Istanbul, un tempo chiesa ortodossa di San Salvatore in Chora e tesoro del patrimonio bizantino, diventa tempio della discordia tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il premier greco Kyriakos Mitsotakis, nel giorno della visita del leader ellenico ad Ankara proprio per confermare la stagione di buon vicinato tra i due Paesi dopo decenni di tensioni. Le divergenze sulla moschea si sono riaccese nei giorni scorsi, dopo che il 6 maggio scorso San Salvatore in Chora, chiesa risalente al V secolo e tra i più importanti esempi dell’architettura bizantina di Istanbul, è stata riaperta dopo lavori di restauro durati quattro anni.

Convertita in moschea mezzo secolo dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi ottomani del 1453, Chora è stata trasformata in un museo dopo la Seconda guerra mondiale, quando la Turchia cercò di creare una repubblica laica dalle ceneri dell’Impero Ottomano. Ma nel 2020 è nuovamente diventata una moschea su impulso di Erdogan, poco dopo la decisione del presidente di riconvertire in moschea anche Santa Sofia, che come Chora era stata trasformata in un museo. La riapertura aveva suscitato malcontento ad Atene, con Mitsotakis che aveva definito la conversione della chiesa come “un messaggio negativo” e promesso alla vigilia del suo viaggio ad Ankara di chiedere a Erdogan di tornare sui suoi passi in merito. Una richiesta respinta al mittente: “La moschea Kariye nella sua nuova identità resta aperta a tutti”, ha confermato Erdogan in conferenza stampa accanto a Mitsotakis.

“Come ho detto al premier greco, abbiamo aperto al culto e alle visite la nostra moschea dopo un attento lavoro di restauro in conformità con la decisione che abbiamo preso nel 2020”, ha sottolineato. “Ho discusso con Erdogan della conversione della chiesa di San Salvatore in Chora e gli ho espresso la mia insoddisfazione”, ha indicato in risposta il leader greco, aggiungendo che questo “tesoro culturale” deve “rimanere accessibile a tutti i visitatori”. Nulla di fatto dunque sul tentativo di Atene di riscrivere il destino del luogo di culto. Ma nonostante le divergenze in merito, la visita di Mitsotakis ad Ankara segna un nuovo passo nel cammino di normalizzazione intrapreso dai due Paesi, contrapposti sulla questione cipriota e rivali nel Mediterraneo orientale. A dicembre i due leader hanno firmato una dichiarazione di “buon vicinato” per sancire una fase di calma nei rapporti iniziata dopo il terremoto che ha ucciso più di 50.000 persone nel sud-est della Turchia, all’inizio del 2023. “Oggi abbiamo dimostrato che accanto ai nostri disaccordi possiamo scrivere una pagina parallela su ciò che ci trova d’accordo”, ha sottolineato Mitsotakis accanto a Erdogan, confermando la volontà di “intensificare i contatti bilaterali”. Perché “l’oggi non deve rimanere prigioniero del passato”.

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Kiev, più di 30 località sotto il fuoco russo nel Kharkiv

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Sono ancora in corso i combattimenti nella regione di Kharkiv, nel nord-est dell’Ucraina, dove più di 30 località sono sotto il fuoco russo e quasi 6.000 residenti sono stati evacuati, secondo il governatore regionale. “Più di 30 località nella regione di Kharkiv sono state colpite dall’artiglieria nemica e dai colpi di mortaio”, ha scritto Oleg Synegoubov sui social network.

Il governatore ha aggiunto che dall’inizio dei combattimenti sono stati evacuati da queste zone un totale di 5.762 residenti. Le forze russe hanno attraversato il confine da venerdì per condurre un’offensiva in direzione di Lyptsi e Vovchansk, due città situate rispettivamente a circa venti e cinquanta chilometri a nord-est di Kharkiv, la seconda città del Paese.

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Insulti sui social tra Netanyahu e il leader colombiano Petro

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Scambio di insulti, sui social, tra il presidente colombiano, Gustavo Petro, e il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. Quest’ultimo ha detto che il suo Paese non avrebbe preso “lezioni da un antisemita che sostiene Hamas”, dopo che Petro, pochi giorni fa, aveva chiesto alla Corte penale internazionale dell’Aja di emettere un ordine d’arresto nei confronti di Netanyahu. “Signor Netanyahu, passerai alla storia come un genocida”, ha risposto a sua volta il leader progressista colombiano, smentendo di appoggiare Hamas in quanto “sostenitore della democrazia repubblicana, plebea e laica”. “Sganciare bombe su migliaia di bambini, donne e anziani innocenti non fa di te un eroe. Ti poni al fianco di coloro che hanno ucciso milioni di ebrei in Europa. Un genocida è un genocida, non importa se ha una religione o no. Cerca almeno di fermare il massacro”, ha postato Petro.

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