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Trump chiude i rubinetti: stop agli aiuti a Kiev

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Quando Volodymyr Zelensky ha varcato la soglia della Casa Bianca per l’incontro con Donald Trump sapeva che il flusso di armi e attrezzature militari dagli Stati Uniti si era sostanzialmente fermato da 50 giorni. Certo non poteva immaginare che quando avrebbe lasciato la residenza la situazione per le forniture dell’Ucraina sarebbe stata ancora più disperata e il rischio che il commander-in-chief blocchi qualsiasi forma di supporto a Kiev – militare o indiretto – più concreto che mai. Secondo quanto riferito da fonti dell’amministrazione al Washington Post, dopo l’incidente nello Studio Ovale il presidente americano sta seriamente valutando la possibilità di interrompere tutte le spedizioni di aiuti militari in corso verso l’Ucraina, incluse quelle già approvate dalla precedente amministrazione.

La decisione riguarderebbe miliardi di dollari di radar, veicoli, munizioni e missili in attesa di essere inviati a Kiev con conseguenze catastrofiche sulle capacità di difesa delle forze di Zelensky. Stando ai dati del Pentagono, restano ancora circa 3,85 miliardi di dollari di armi della somma che il Congresso ha autorizzato a prelevare dalle scorte del dipartimento della Difesa. Una cifra che, nei piani di Joe Biden, avrebbe coperto Kiev per altri sei mesi, dopo i quali sarebbe stato compito dell’Europa ed altri Paesi continuare da soli a contribuire alla resistenza degli ucraini contro l’aggressione della Russia. Ora Trump potrebbe decidere di bloccare anche quest’ultima tranche. Non solo.

Il presidente americano starebbe considerando la possibilità di porre fine anche al sostegno indiretto fornito dagli Stati Uniti, che comprende ad esempio finanziamenti militari, condivisione di intelligence, addestramento di truppe e piloti ucraini e la direzione del Gruppo di contatto che gestisce gli aiuti internazionali nella base militare statunitense di Ramstein, in Germania. Se i piani dovessero realizzarsi si tratterebe dell’abbandono totale di una nazione partner in difficoltà dopo tre anni nei quali ingenti spedizioni di armi ed equipaggiamenti militari americani venivano annunciati da Washington all’incirca ogni due settimane. D’altra parte l’epilogo del colloquio alla Casa Bianca lascia poche speranze.

All’indomani dello scontro fonti informate hanno rivelato ad Axios che Zelensky e la sua delegazione hanno aspettato in un’altra stanza per circa un’ora, sperando ancora di firmare l’accordo sui minerali, prima di essere accompagnati alla porta dal segretario di Stato Marco Rubio e il consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz. Saltato anche l’accordo sulle terre rare, la situazione di Kiev è sempre più critica. Non era un mistero che con il ritorno di Trump gli aiuti all’Ucraina rischiavano di ridursi drasticamente. Già alla fine di ottobre 2023, un anno prima della vittoria del tycoon alla elezioni, lo speaker della Camera Mike Johnson ha iniziato ad avvertire che avrebbe bloccato ulteriori finanziamenti.

Poi il repubblicano ha allentato la presa e ha quasi rischiato il suo posto a Capitol Hill per spingere sull’approvazione di un nuovo pacchetto da 60 miliardi di aiuti militari, il 20 aprile 2024, mentre le truppe del Cremlino avanzavano e le scorte di armi degli ucraini diminuivano. Dopo l’incredibile scontro tra Trump e Zelensky, Johnson è stato uno dei primi ad esprimere suoi social la sua gratitudine nei confronti del presidente. “Grazie al presidente Trump, i giorni in cui l’America veniva sfruttata e non rispettata sono finiti”. Da un momento all’altro potrebbero finire anche gli aiuti all’Ucraina.

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Processo Maradona, la testimonianza shock di Villarejo: “Sedato senza esami. Ricovero in terapia intensiva trasformato in caos”

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Nel quattordicesimo giorno del processo per la morte di Diego Armando Maradona, ha deposto il dottor Fernando Villarejo, responsabile della terapia intensiva della Clinica Olivos, dove il campione fu operato per un ematoma subdurale il 2 novembre 2020, appena 23 giorni prima della sua morte.

Villarejo, 67 anni, con oltre 40 anni di esperienza, ha dichiarato davanti ai giudici del Tribunale Penale Orale n. 3 di San Isidro che Maradona fu operato senza alcun esame preoperatorio, esclusivamente per volontà del suo medico di fiducia, il neurochirurgo Leopoldo Luque, nonostante non vi fosse, secondo i medici della clinica, alcuna urgenza immediata.

Trattamento per astinenza e decisione di sedazione

Tre giorni dopo l’intervento, Villarejo partecipò a un incontro con la famiglia e i medici curanti. Fu allora che Luque e la psichiatra Agustina Cosachov confermarono che l’obiettivo era trattare i sintomi di astinenza da sostanze e alcol.

«Maradona era ingestibile, difficile da trattare dal punto di vista comportamentale», ha riferito Villarejo, aggiungendo che Luque e Cosachov ordinarono di sedare il paziente, consapevoli dei rischi: depressione respiratoria, complicazioni infettive, cutanee e nutrizionali. La sedazione iniziò il 5 novembre e durò poco più di 24 ore, finché lo stesso Villarejo decise di ridurla, vista l’assenza di un piano preciso.

Il caos in terapia intensiva: “Potevano entrare con hamburger o medicine”

Il medico ha denunciato un clima caotico nel reparto: «Troppe persone in terapia intensiva, potevano portare hamburger o qualsiasi altra cosa. È stato vergognoso, scandaloso». Ha poi ammesso: «Mi dichiaro colpevole, ero una pedina su una scacchiera con un re e una regina», riferendosi al peso dell’ambiente vicino a Maradona.

Ricovero domiciliare e responsabilità

Villarejo ha raccontato che il ricovero presso la clinica non era più sostenibile. Fu deciso il trasferimento a casa, dove secondo l’ultima pagina della cartella clinica, fu la famiglia a chiedere l’assistenza domiciliare, sostenuta da Luque e Cosachov.

In aula ha testimoniato anche Nelsa Pérez, dipendente della società Medidom incaricata dell’assistenza a casa Maradona. Pérez ha ammesso che, secondo lei, in Argentina non esistono ricoveri domiciliari, ma che il termine viene usato per semplificazione. La testimone ha nominato Mariano Perroni come coordinatore dell’équipe, composta dagli infermieri Dahiana Madrid e Ricardo Almirón.

Tensione in aula: accuse di falsa testimonianza

Le affermazioni di Pérez hanno generato momenti di alta tensione in aula. Gli avvocati Fernando Burlando e Julio Rivas hanno chiesto la detenzione della testimone per falsa testimonianza, ma i giudici hanno rigettato la richiesta.

Nel corso del controinterrogatorio, Pérez ha confermato che non fu ordinato alcun monitoraggio dei parametri vitali, ma che veniva comunque effettuato dall’infermiera per scrupolo, a causa di precedenti episodi di tachicardia.

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Esercito libanese: smantellato il 90% delle strutture di Hezbollah nel sud Libano

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L’esercito libanese ha smantellato “oltre il 90 per cento” dell’infrastruttura militare del gruppo filo-iraniano Hezbollah nel Libano meridionale, vicino al confine con Israele, ha dichiarato un funzionario all’Afp. “Abbiamo completato lo smantellamento di oltre il 90 percento delle infrastrutture di Hezbollah a sud del fiume Litani”, ha dichiarato un funzionario della sicurezza, a condizione di mantenere l’anonimato. L’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah libanese prevede lo smantellamento delle infrastrutture di Hezbollah.

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Guterres ‘inorridito’ dagli attacchi in Darfur

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  Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, “è inorridito dalla situazione sempre più catastrofica nel Darfur settentrionale, mentre continuano gli attacchi mortali alla sua capitale, Al-Fashir”. Lo ha detto il portavoce del Palazzo di Vetro, Farhan Haq. La città nel Sudan occidentale è sotto assedio da parte delle Forze di Supporto Rapido paramilitari, guidate dal generale Mohamed Hamdan Daglo, che da due anni combattono contro l’esercito del generale Abdel Fattah al-Burhan. Il portavoce ha riferito che Guterres ha anche espresso preoccupazione per le segnalazioni di “molestie, intimidazioni e detenzione arbitraria di sfollati ai posti di blocco”. In questa situazione, l’entità dei bisogni è enorme, ha sottolineato Haq, citando le segnalazioni di “massacri” avvenuti negli ultimi giorni a Omdurman, nello stato di Khartoum.

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