“Non siamo scimmie, ma ora basta violenze”. Olivier Dacourt si muove nella vita con lo stesso dinamismo logico che ne fece uno dei migliori centrocampisti della sua generazione, titolare della nazionale francese e per qualche stagione anche in serie A con le maglie di Roma e Inter. Figlio di una nera e di un bianco (“ho subito la discriminazione da entrambe le parti”), da molti anni ormai è in prima fila nella lotta al razzismo e in particolare quello nello sport “che è il più odioso perché si manifesta nel luogo dell’integrazione per eccellenza”. Ha anche realizzato un docu-film, titolato appunto “Non sono una scimmia”.
“E in un mondo giusto – spiega in una intervista all’ANSA – non dovrebbe neanche essere necessario precisarlo”. Un messaggio che assume ancora più rilevanza in questi giorni mentre la Francia è scossa dalle violente proteste dei giovani delle periferie. E casi come le presunte discriminazioni razziali da parte dell’allenatore del Paris Saint Germain, Christophe Galtier, “alimentano in questi giorni di rivolte il malessere dei ragazzi che di base hanno ragione, ma reagiscono in maniera sbagliatissima”. “Quanto a Galtier dobbiamo aspettare perché prima dobbiamo capire se le accuse sono vere. Io rispetto la presunzione di innocenza, non voglio giudicare prima. Se davvero Galtier avesse detto le cose per cui lo accusano sarebbe gravissimo”, aggiunge. “Il calcio è solo il riflesso della società. Queste cose accadono da anni”, ammonisce Dacourt che da incontrista in campo si è trasformato in regista dietro la camera e che già nel suo documentario del 2019 ha ricostruito i tanti, troppi, episodi di insulti razzisti negli stadi europei: da Matuidi ad Eto’o. Da allora poco è cambiato: i casi Vinicius in Spagna o Galtier in Francia…
“Il razzismo è dappertutto, il paradosso è che in Francia pensano che sia nel calcio italiano; in Italia magari ritengono sia in Spagna”. “Tutti pensano di essere migliori degli altri. Le discriminazioni sono ovunque ma lo sport dovrebbe far emergere i valori universali. Quando giochi a calcio non c’è differenza di religione, non c’è colore della pelle. Se non parli la stessa lingua, c’è il pallone che ti aiuta. Il calcio è questa cosa. Quando noi in Francia nel 1998 abbiamo vinto la Coppa del Mondo, tutta la gente festeggiava insieme sugli Champs Elysees. E quando vinci non c’è colore, non ci sono differenze. Siamo tutti insieme. Questo è il fascino del calcio: per un gol puoi abbracciare chiunque”. Lo sport dunque può fare ancora molto: “I giocatori della nazionale francese hanno chiesto ai giovani di calmarsi. I ragazzi hanno rispetto per Mbappé. Tutti lo ascoltano. Io li capisco perché anche io, come Mbappé, sono cresciuto nella periferia di Parigi. Ma, ripeto, il razzismo l’ho vissuto dalle due parti. Quando andavo dai miei parenti in Guadalupa mi chiamavano il “bianco”. Il razzismo è ignoranza. Se non conosci qualcosa ne hai paura”.
“Ma quello che sta accadendo ora in Francia è assurdo. Io vivo a Parigi e mia figlia studia fuori, a Strasburgo. Abbiamo avuto paura perché era lontana e non poteva più uscire di casa per gli incendi. Abbiamo avuto paura. In questo momento tutte le città sono a fuoco”, sottolinea con il tono della voce che lascia trapelare la naturale apprensione di un padre. “Ma questi ragazzi che stanno infiammando la Francia – insiste – sbagliano. Hanno dai 13 ai 18 anni ed hanno ragione ad essere arrabbiati ma il modo in cui lo fanno è sbagliatissimo. Hanno messo a fuoco le scuole ed ora loro e gli altri giovani non potranno andare più a scuola. Incendiano i negozi dove la gente lavora”. Come allo stadio…. “Lo stadio è diventato come un’arena. Allo stadio tutti possono dire le cose che vogliono senza provare vergogna. Non c’è grossa differenza in Italia o Inghilterra: chi va allo stadio pensa di poter dire tutto quello che vuole. Se uno si comporta male, gli devi impedire di andare allo stadio per 5 anni. Poi vedrai che tanti si comporteranno molto meglio”.