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Esteri

Sulla linea di Kherson, fronte caldo della guerra

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Poco piu’ di 130 chilometri separano Odessa da Mykolaiv. Ma per arrivare in questa citta’ famosa per i suoi cantieri navali e la tradizione operaia serve innanzitutto essere pazienti. Prima di vederla all’orizzonte bisogna superare una ventina di checkpoint. Mostrare ai militari il passaporto e spiegare perche’ mai si e’ diretti verso Est, verso uno dei centri nevralgici della guerra tra Ucraina e Russia. A volte non basta e, per convincere il militare di turno, e’ meglio far vedere il bagagliaio. Mykolaiv, e’ il fronte caldo della guerra. E’ il luogo dove, all’ombra degli attacchi russi che anche in queste ore hanno colpito l’Ucraina a macchia di leopardo, i due contendenti si giocano parte del loro destino. Strategicamente questo luogo ha pochi uguali nel Paese. Sfondare qui, per i russi, significherebbe aprirsi una strada a doppia corsia verso Odessa e, chissa’, verso la vittoria. Sfondare qui, per l’esercito di Mosca, al momento e’ impossibile. Mykolaiv e’ stata piu’ volte attaccata ma non si e’ mai realmente scomposta. Anzi, negli ultimi giorni l’esercito ucraino e’ passato alla controffensiva. “I russi stanno arretrando, e’ vero”, spiega Alex che, dall’inizio della guerra, e’ entrato a far parte della resistenza e abita in una delle case riconquistate dagli ucraini. A 40 chilometri dalla citta’ c’e’, di fatto, il nuovo confine tra Ucraina e Russia, laddove termina l’Oblast di Mykolaiv e inizia quello di Kherson, una delle prime aree occupate dal nemico. E’ in questa zona grigia che Kiev e Mosca si contendono ogni centimetro. Uno dei villaggi chiave, in questo cruento tira e molla, e’ Lymany. Ci si arriva dopo aver superato un’altra decina di checkpoint e aver fiancheggiato qualche casa sventrata dai missili russi. Lymany ha una manciata di edifici e centinaia di sfollati. Vengono dai villaggi dell’Oblast di Kherson come Prybuzke e Oleksandrivka. Tutti occupati o distrutti dai russi. Famiglie fuggite precipitosamente, chi con la propria auto, chi addirittura a piedi. Lasciandosi alle spalle macerie. Poco meno di un centinaio sono alloggiati in una scuola che affaccia proprio sulla strada principale. “La mia casa e’ distrutta, io vorrei andare in Europa. Non so, in realta’, dove andare ma l’importante e’ che non torno a Prybuzke”, racconta Janna. Con lei ci sono neonati, bambini, anziani che, in alcuni casi, non riescono neppure a camminare. La scuola ha un bunker che funge anche da dormitorio. Al piano terra ci sono la mensa e altre stanze per le famiglie piu’ numerose. In una di queste ci sono sei bambini. Uno di loro, sulla lavagna, appena e’ arrivato a Lymany ha scritto “buongiorno Ucraina”. Le attivita’ scolastiche sono interrotte. Aleksandr, che in un’altra vita faceva il professore di ginnastica, ora provvede a dare una mano come tutti i residenti del villaggio. Per i corridoi si aggira un piccolo gatto bianco e rosso. “E’ un gatto rifugiato, viene anche da Prybuzke”, scherza una ragazzina. I flussi non si fermano, con alterne fortune. In mattinata, ad esempio, un convoglio Osce partito da Kherson e’ stato costretto a fare marcia indietro dai bombardieri russi e spari in aria. Tra sterpaglie e magazzini infuria la battaglia. All’artiglieria russa risponde, continuamente, la contraerea ucraina. Il golfo Boristenico, dove sfocia il grande fiume Dnepr, divide questo tratto di costa dalle propaggini piu’ occidentali della Crimea occupata. Trenta chilometri piu’ a Nord, a Mykolaiv centro, il sabato scorre invece tranquillo e, da queste parti, e’ una novita’. Ma qui la guerra si sente in ogni angolo, dall’hotel distrutto dai missili russi alcuni giorni fa al lungo ponte sul fiume Bug Orientale. E’ l’unico collegamento per decine di chilometri tra Mykolaiv e la strada che porta a Odessa. Non e’ neanche fotografabile e qui c’e’ chi giura che, in caso di estrema emergenza, gli ucraini lo farebbero saltare in aria. Al checkpoint all’ingresso del ponte uno dei soldati, davanti ai visitatori europei, prima sorride, poi alza il pugno e dice: “No pasaran”.

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Processo Maradona, la testimonianza shock di Villarejo: “Sedato senza esami. Ricovero in terapia intensiva trasformato in caos”

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Nel quattordicesimo giorno del processo per la morte di Diego Armando Maradona, ha deposto il dottor Fernando Villarejo, responsabile della terapia intensiva della Clinica Olivos, dove il campione fu operato per un ematoma subdurale il 2 novembre 2020, appena 23 giorni prima della sua morte.

Villarejo, 67 anni, con oltre 40 anni di esperienza, ha dichiarato davanti ai giudici del Tribunale Penale Orale n. 3 di San Isidro che Maradona fu operato senza alcun esame preoperatorio, esclusivamente per volontà del suo medico di fiducia, il neurochirurgo Leopoldo Luque, nonostante non vi fosse, secondo i medici della clinica, alcuna urgenza immediata.

Trattamento per astinenza e decisione di sedazione

Tre giorni dopo l’intervento, Villarejo partecipò a un incontro con la famiglia e i medici curanti. Fu allora che Luque e la psichiatra Agustina Cosachov confermarono che l’obiettivo era trattare i sintomi di astinenza da sostanze e alcol.

«Maradona era ingestibile, difficile da trattare dal punto di vista comportamentale», ha riferito Villarejo, aggiungendo che Luque e Cosachov ordinarono di sedare il paziente, consapevoli dei rischi: depressione respiratoria, complicazioni infettive, cutanee e nutrizionali. La sedazione iniziò il 5 novembre e durò poco più di 24 ore, finché lo stesso Villarejo decise di ridurla, vista l’assenza di un piano preciso.

Il caos in terapia intensiva: “Potevano entrare con hamburger o medicine”

Il medico ha denunciato un clima caotico nel reparto: «Troppe persone in terapia intensiva, potevano portare hamburger o qualsiasi altra cosa. È stato vergognoso, scandaloso». Ha poi ammesso: «Mi dichiaro colpevole, ero una pedina su una scacchiera con un re e una regina», riferendosi al peso dell’ambiente vicino a Maradona.

Ricovero domiciliare e responsabilità

Villarejo ha raccontato che il ricovero presso la clinica non era più sostenibile. Fu deciso il trasferimento a casa, dove secondo l’ultima pagina della cartella clinica, fu la famiglia a chiedere l’assistenza domiciliare, sostenuta da Luque e Cosachov.

In aula ha testimoniato anche Nelsa Pérez, dipendente della società Medidom incaricata dell’assistenza a casa Maradona. Pérez ha ammesso che, secondo lei, in Argentina non esistono ricoveri domiciliari, ma che il termine viene usato per semplificazione. La testimone ha nominato Mariano Perroni come coordinatore dell’équipe, composta dagli infermieri Dahiana Madrid e Ricardo Almirón.

Tensione in aula: accuse di falsa testimonianza

Le affermazioni di Pérez hanno generato momenti di alta tensione in aula. Gli avvocati Fernando Burlando e Julio Rivas hanno chiesto la detenzione della testimone per falsa testimonianza, ma i giudici hanno rigettato la richiesta.

Nel corso del controinterrogatorio, Pérez ha confermato che non fu ordinato alcun monitoraggio dei parametri vitali, ma che veniva comunque effettuato dall’infermiera per scrupolo, a causa di precedenti episodi di tachicardia.

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Esercito libanese: smantellato il 90% delle strutture di Hezbollah nel sud Libano

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L’esercito libanese ha smantellato “oltre il 90 per cento” dell’infrastruttura militare del gruppo filo-iraniano Hezbollah nel Libano meridionale, vicino al confine con Israele, ha dichiarato un funzionario all’Afp. “Abbiamo completato lo smantellamento di oltre il 90 percento delle infrastrutture di Hezbollah a sud del fiume Litani”, ha dichiarato un funzionario della sicurezza, a condizione di mantenere l’anonimato. L’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah libanese prevede lo smantellamento delle infrastrutture di Hezbollah.

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Guterres ‘inorridito’ dagli attacchi in Darfur

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  Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, “è inorridito dalla situazione sempre più catastrofica nel Darfur settentrionale, mentre continuano gli attacchi mortali alla sua capitale, Al-Fashir”. Lo ha detto il portavoce del Palazzo di Vetro, Farhan Haq. La città nel Sudan occidentale è sotto assedio da parte delle Forze di Supporto Rapido paramilitari, guidate dal generale Mohamed Hamdan Daglo, che da due anni combattono contro l’esercito del generale Abdel Fattah al-Burhan. Il portavoce ha riferito che Guterres ha anche espresso preoccupazione per le segnalazioni di “molestie, intimidazioni e detenzione arbitraria di sfollati ai posti di blocco”. In questa situazione, l’entità dei bisogni è enorme, ha sottolineato Haq, citando le segnalazioni di “massacri” avvenuti negli ultimi giorni a Omdurman, nello stato di Khartoum.

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