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Stretta Regioni, domani si decide su nuove zone rosse

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Arriva l’ulteriore stretta delle Regioni per evitare che al prossimo monitoraggio molte di loro finiscano in zona rossa: nelle prossime ore sono attese le ordinanze dei governatori di Emilia Romagna, Veneto e Friuli Venezia Giulia, per porre un freno a spostamenti e assembramenti, e il sindaco di Napoli Luigi De Magistris annuncia per venerdi’ un “ampio provvedimento” che non si fermera’ alla chiusura di singole strade. Ma sulla Campania, che da giorni ha una situazione ospedaliera sotto stress e difficolta’ nella trasmissione dei dati, si muove ora anche il governo, che fino a venerdi’ non aggiornera’ l’elenco delle regioni in zona arancione o rossa: si valuta la possibilita’ di aprire nuovi Covid hotel e rafforzare la presenza di Esercito e Protezione Civile a partire proprio dal capoluogo campano. Con i contagi che hanno superato la soglia simbolica del milione di casi e con quasi 29.500 persone ricoverate nei reparti ordinari degli ospedali, un numero mai raggiunto neanche durante la prima ondata, la necessita’ di frenare rapidamente la curva dei contagi resta la priorita’ del premier Giuseppe Conte e della maggioranza. Il governo non si muovera’ pero’ prima dell’arrivo dei nuovi dati: perche’ le misure introdotte con i Dpcm del 24 ottobre e del 3 novembre cominciano a produrre i primi, seppur minimi, effetti positivi; e perche’ saranno solo e soltanto i parametri “oggettivi e scientifici” a determinare eventuali passaggi da una zona all’altra. Passaggio comunque scontato per le 4 regioni per le quali il presidente dell’Istituto superiore di Sanita Silvio Brusaferro ha chiesto un anticipo delle misure restrittive: Campania, Veneto, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna. “Dobbiamo aspettarci che in base al flusso dei dati e ad un’accurata analisi con i parametri stabiliti”, conferma il viceministro della Salute Pierpaolo Sileri, alcune Regioni possano vedere un “innalzamento del loro livello di guardia”. La linea del governo non esclude pero’ che le regioni possano fare ordinanze piu’ restrittive e procedere in autonomia, ad esempio per limitare l’apertura dei negozi nel fine settimana. Ed e’ infatti su questa strada che si stanno muovendo alcune regioni. Emilia Romagna, Veneto e Friuli sono attualmente in zona gialla ma alcuni parametri le collocano nello scenario 4, il peggiore, quello che se dovessero aggravarsi ulteriori indicatori le farebbe slittare automaticamente nella zona rossa. L’obiettivo dei governatori e’ dunque di anticipare le misure per tentare di finire ‘solo’ in zona arancione e ridurre l’impatto sull’economia dei territori. “Ci saranno tre ordinanze, una per ogni regione” spiega il governatore del Veneto Luca Zaia sottolineando che i provvedimenti saranno diversi ma seguiranno tutti lo stesso principio: evitare “gli assembramenti” e far rispettare “le regole, per chi non se le e’ fatte ancora entrare in testa”. Una delle misure potrebbe riguardare bar e ristoranti: l’ipotesi e’ quella di mettere la consumazione obbligatoria al tavolo e ridurre il numero di persone che possono stare sedute rispetto alle 4 indicate nel Dpcm, ha detto il presidente del Friuli Massimilano Fedriga. E ci saranno interventi anche per limitare gli spostamenti e regolare l’apertura dei negozi, in vista del fine settimana, per non ripetere le scene dello scorso weekend. Non si muovera’ invece il governatore della Campania Vincenzo De Luca, che da tempo invoca un lockdown nazionale e che e’ tornato a chiedere al prefetto la “rapida definizione” di un piano di controlli di polizia che possano evitare i “clamorosi assembramenti fuori controllo” visti a Napoli. Ecco perche’ il governo ha deciso di accelerare: per ovviare allo stress delle strutture sanitarie, si interverra’ con l’Esercito e con nuovi Covid hotel. A Napoli, dice chiaramente il capodelegazione M5s Alfonso Bonafede, “lo Stato deve far sentire la sua presenza”. Nelle prossime ore ci sara’ dunque il Comitato operativo della Protezione Civile proprio su questi punti: il capo del Dipartimento Angelo Borrelli dovra’ valutare con la Regione quali sono le esigenze prioritarie e definire gli interventi. De Luca aveva gia’ chiesto dei medici, ma non e’ escluso possano anche essere inviati uno o piu’ ospedali da campo, tenendo conto che nei magazzini del Commissario per l’emergenza Domenico Arcuri ci sono ancora 1.300 ventilatori per le terapie intensive, se fosse necessario potenziare le rianimazioni.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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