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Stallo sul ddl sicurezza, restano osservazioni Colle

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Il disegno di legge sicurezza tornerà alla Camera. La terza lettura è ora certa. E così il provvedimento, che ormai da un anno tiene in fibrillazione il Parlamento tra il pressing della Lega e le barricate delle opposizioni, è di nuovo in stallo. Pesa il braccio di ferro, mai risolto, nella maggioranza anche rispetto alle osservazioni mosse dal Quirinale sui punti più sensibili del testo e discriminatori, secondo le opposizioni. Anzi, al limite dell’anticostituzionalità per le misure sui migranti e la stretta su alcuni reati, è l’accusa. Si va dalla detenzione in carcere per le donne incinte fino al divieto di vendita di sim telefoniche ai migranti o l’elenco delle opere pubbliche strategiche contro cui diventa reato manifestare, come le stazioni. In ogni caso, da parte del Colle la posizione non è cambiata: le osservazioni sono state da tempo recapitate e restano sul tavolo. La palla, dunque, resta al Parlamento, ma con tempi più lunghi. A imporli è oggi la commissione Bilancio del Senato.

Poche ore prima del mandato al relatore, votato dalle commissioni Affari costituzionali e Giustizia e che porterà il ddl nell’aula del Senato per la seconda approvazione, la commissione rileva lacune sulle coperture finanziarie del testo. Forse non del tutto a sorpresa e su input della Ragioneria generale, fa notare che i fondi stanziati per alcune misure vanno aggiornati al 2025. Ad esempio sull’acquisto di videocamere per le forze dell’ordine, i benefici ai superstiti delle vittime della criminalità organizzata e le assunzioni nella polizia locale nelle città metropolitane siciliane. In origine partivano dal 2024, complice la fiducia del centrodestra (la Lega, più di tutti) di chiudere la partita il prima possibile ed entro il 2024, visto che il primo ok della Camera è del 18 settembre scorso.

“Rilievi tecnici”, li sminuisce ora la maggioranza. Molto di più, per le opposizioni che esultano e si intestano il risultato. “E’ grazie all’ostruzionismo di Avs e delle altre forze di opposizione”, sottolinea il capogruppo Peppe De Cristofaro riferendosi agli oltre 1500 emendamenti presentati dalle minoranze che hanno allungato la discussione al Senato, da ottobre e finora, facendo scavallare il voto finale di un anno. Commenti quasi sarcastici dai 5 Stelle: “è la dimostrazione che abbiamo a che fare con degli incapaci e improvvisati”, e dai Dem contro “una destra pasticciona che non sa nemmeno fare i conti”. In ogni caso Pd, Avs e 5S annunciano compatti che riproporranno in Aula la pioggia di emendamenti dei mesi scorsi. Più risentiti i leghisti che, al di là delle apparenze, accusano il colpo e ribattono: “Dal nostro punto di vista, il ddl deve passare così com’è”, sentenzia il capogruppo Massimiliano Romeo.

E a parte le modifiche finanziarie che liquida a “passaggio assolutamente formale”, ricorda che “gli emendamenti si possono fare solo su quello”. Il Carroccio, insomma, non molla sul testo, respingendo al mittente le correzioni sul merito invocate dai detrattori e sperando ora di sbrigare la ‘pratica’ in poco tempo. “Per noi della Lega si va avanti su questa strada”, ribadisce Romeo. Ma sembra avvertire gli alleati: “Poi vediamo il governo che intenzioni ha”.

Né Fratelli d’Italia né Forza Italia si espongono troppo. Se non uno dei relatori del ddl, il meloniano Marco Lisei: “Aperti a fare modifiche? Noi siamo aperti a un provvedimento fatto bene che non abbia problematiche successive”. Parole che alcuni interpretano come la spia del fastidio per il puntiglio avuto dalla Lega, da sempre restia alle correzioni suggerite da più parti, e in primis dal Colle. A quel punto i meloniani (che a lungo hanno tentato di ammorbidire l’alleato, ad esempio attraverso il presidente della commissione Affari costituzionali, Alberto Balboni) avrebbero mollato il colpo. Ma la Lega conferma la direzione: “Questo è un disegno di legge fondamentale. La maggioranza e il governo non possono essere ostaggio dell’ostruzionismo delle opposizioni”, insiste il sottosegretario leghista all’Interno, Nicola Molteni.

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Folla commossa a Santa Maria Maggiore per salutare Papa Francesco

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All’alba, una lunga coda si era già formata davanti alla Porta Santa della basilica di Santa Maria Maggiore, dove è sepolto Papa Francesco. Ad aprire i cancelli, alle 7 in punto, è stato il rettore della basilica, il cardinale Rolandas Makrickas, che con emozione e un sorriso ha accolto i primi fedeli. Un’affluenza straordinaria che testimonia l’enorme affetto verso il Pontefice che ha scelto come ultima dimora il cuore multietnico dell’Esquilino.

Trentamila fedeli in poche ore

Alle 14, i visitatori erano già 30mila, e si prevede che a fine giornata possano raddoppiare. Famiglie, religiosi, scout e cittadini da ogni parte del mondo hanno reso omaggio a Francesco, il Papa dei poveri e della semplicità. La gente dell’Esquilino si è stretta attorno alla basilica, orgogliosa di avere come “vicino di casa” un Pontefice amato universalmente.

Le testimonianze di una devozione senza confini

Tra i tanti fedeli, Maria arrivata da Agrigento ha sottolineato la semplicità della tomba, specchio dello stile di Francesco. Florentine, da Grenoble ma originaria del Benin, ha parlato di una “grande emozione”. Roberto, romano e ateo, ha ricordato una frase che lo aveva colpito: «È meglio vivere da ateo che vivere da cristiano e parlare male degli altri». Dalla Finlandia, Sinika ha definito Francesco “il miglior Papa che i poveri possano avere”, fiera di indossare una maglietta con il suo ritratto.

Il ricordo che si fa simbolo

Nel quartiere, il volto di Francesco campeggia tra le vetrine, mentre striscioni di ringraziamento spuntano sui palazzi. Nella basilica, intanto, le celebrazioni liturgiche si alternano alla lunga processione dei fedeli: messe solenni, canti e l’omaggio di oltre cento cardinali. I tempi di attesa sono lunghi, ma il desiderio di sostare anche solo pochi secondi davanti alla lapide di “Franciscus” è fortissimo.

Roma prepara un afflusso senza precedenti

La fila continuerà oggi fino alle 22 e riprenderà domani mattina. Il sindaco Roberto Gualtieri ha annunciato una pianificazione straordinaria per gestire l’enorme afflusso di pellegrini: «Mercoledì ci sarà una riunione in Prefettura per organizzare al meglio l’accoglienza». Intanto, la rosa bianca – fiore caro a Francesco per la sua devozione a Santa Teresina – è diventata il simbolo silenzioso di questo tributo d’amore.

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Referendum e regionali, la sfida delle opposizioni

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Per le opposizioni, le regionali saranno il “test prima delle politiche”. La definizione è del presidente Pd Stefano Bonaccini. La tornata d’autunno, quindi, come un esame di compattezza, come una prova di forza per vedere se nel 2027 il centrosinistra potrà evitare il Meloni bis. Al voto andranno: Marche, Veneto, Campania, Puglia, Toscana e Valle d’Aosta. Le prime due sono governate dal centrodestra, le altre dal centrosinistra. Qualche mese prima, l’8 e 9 giugno, ci sarà un altro esame: i cinque referendum su lavoro e cittadinanza. Le opposizioni si stanno spendendo anche per quelli, specie Pd, M5s e Avs, mentre i centristi sono meno partecipi. Già raggiungere il quorum del 50% dei votanti farebbe ben sperare il fronte dei sostenitori dei “sì”.

In vista delle regionali, per il momento il lavoro dei partiti d’opposizione è orientato soprattutto alla definizione delle coalizioni. L’obiettivo della segretaria Pd Elly Schlein è rodare lo schieramento, nell’auspicio che sia il più largo possibile e che si presenti nel maggior numero possibile di Regioni. Sui nomi dei candidati i giochi sono fatti solo nelle Marche, dove per la carica di governatore corre l’eurodeputato Pd ed ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci: l’alleanza è in via di costruzione, ma c’è la speranza che alla fine possa comprendere sia il M5s sia i centristi. In Puglia dovrebbe essere in campo l’altro eurodeputato Pd ed ex sindaco di Bari Antonio Decaro. L’accoppiata Pd-M5s parte in discesa, visto che ha già fatto le prove con la giunta ora guidata da Michele Emiliano.

In Toscana, il trascorrere del tempo fa crescere le quotazioni di una ricandidatura del governatore uscente Eugenio Giani, del Pd, già alleato a Iv, che auspica di imbarcare anche M5s e Avs. Mentre Azione ha già dato il suo placet. Giochi aperti in Campania, dove Pd e M5s stanno lavorando al candidato, che potrebbe essere l’ex presidente della Camera Roberto Fico. In ballo c’è anche l’attuale vicepresidente di Montecitorio Sergio Costa.

Entrambi sono del M5s. Fico sembra favorito, anche se per adesso è “bloccato” dal limite dei due mandati: la Costituente del Movimento ha dato indicazione di togliere il vincolo, ma ancora devono essere definiti i criteri, che dovranno passare la vaglio del voto degli iscritti. Sembrava che la chiusura dell’iter potesse arrivare prima di Pasqua. I tempi, comunque, dovrebbero essere maturi. Resta in ogni caso da capire quali saranno le indicazioni del governatore uscente Vincenzo De Luca. Partita aperta in Veneto, dove il centrosinistra è alla ricerca del candidato, che potrebbe essere sostenuto sia da Pd sia dal M5s.

Dinamica a sé in Valle D’Aosta, dove il voto è sostanzialmente proporzionale: spetta poi agli eletti formare una maggioranza in consiglio regionale e individuare il governatore. La prima prova generale delle opposizioni, però, ci sarà fra un mese e mezzo, con i referendum sul lavoro promossi dalla Cgil, che sostanzialmente aboliscono il jobs act, e quello per rendere più facile l’acquisizione della cittadinanza promosso da un comitato con Più Europa. Pd e Avs hanno dato indicazione per cinque sì. Quattro sì per il M5s, che lascerà libertà di coscienza sulla cittadinanza. Per una volta, indicazioni analoghe da Azione e Iv: “sì” solo alla cittadinanza, “no” agli altri.

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‘Commemorazione di Gramsci, bandiere rosse vietate’

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“Bandiere rosse vietate alla commemorazione di Antonio Gramsci”. Lo sostiene Rifondazione comunista, in una nota firmata dal co-segretario della federazione romana del partito, Giovanni Barbera. Lo stop sarebbe stato dato dalla direzione del Cimitero Acattolico di Roma, dove riposano le spoglie di Gramsci.

“Durante la commemorazione dell’anniversario della morte di Antonio Gramsci – scrive Barbera – si è consumato un atto di censura senza precedenti. Per la prima volta, in decenni di celebrazioni, è stato impedito l’ingresso delle nostre bandiere rosse, che da sempre, nel rispetto della memoria storica, hanno accompagnato il ricordo di Gramsci”. La spiegazione del divieto, continua Barbera, offerta dalla direttrice del cimitero è stata che “il colore rosso sarebbe divisivo”.

Arrivando così a vietare “perfino l’uso di un semplice drappo rosso, senza scritte né simboli”. Alla cerimonia – hanno raccontato altri presenti – ha partecipato almeno un centinaio di persone. Fra loro molti esponenti politici, con delegazioni anche del Pd (composta da Cecilia D’Elia, Michele Fina, Roberto Morassut, Andrea Casu ed Eugenio Marino) e di Sinistra Italiana (guidata da Marilena Grassadonia). Una commemorazione “partecipata, più degli anni passati, e tranquilla – è stato il racconto – che si è chiusa con l’esecuzione di un brano musicale”.

Fra i rappresentanti delle altre forze politiche c’è chi ha confermato che è stato chiesto di non portare bandiere di partito nel cimitero, senza però che questo abbia sollevato particolari polemiche. Qualcuno aveva la bandiera della pace, mentre simboli e nomi delle forze politiche erano comunque presenti sugli omaggi lasciati sulla tomba di Gramsci: mazzi di fiori e corone. Dura, invece, Rifondazione comunista: “Negare la presenza dei nostri simboli alla commemorazione di Antonio Gramsci (uno dei più grandi pensatori del Novecento, fondatore del Partito Comunista d’Italia e martire del fascismo) nel giorno della sua morte, è un atto di ignominia che merita la più dura condanna”.

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