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Sky venderà telefonini e giga, tagli ai telegiornali e divorzio con la Lega di Serie A: fine di un’epoca

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Erano diventati i padroni del pallone, facevano il bello e il cattivo tempo, stilavano calendari, stabilivano a che ora si giocavano le partite di calcio più importanti, quali match andavano all’ora di pranzo, quali a cena, chi faceva gli anticipi, chi i posticipi. Hanno simulato ad libitum persino l’esistenza di una concorrenza tra broadcast nel mondo dorato dei diritti tv del pallone che hanno controllato a piacimento per almeno 15 anni spazzando la concorrenza con pacchi di milioni di euro, spesso mortificando anche la Rai.
Ora i padroni ingordi del pallone sono sul punto di fare il botto. Colpa di un management che ha trasformato la gallina dalle uova d’oro in una vacca dove tutti i manager hanno munto qualcosa senza però lasciare nulla. Sky si avvia al fallimento.

Francesca Manili Pessima. Nel cassetto della signora c’è da due anni il piano per chiudere interi settori delle news e dello sport

Il fallimento della sua missione: innovare la televisione, far convergere piattaforme, offrire al cliente-utente della piattaforma contenuti che potevano essere cuciti su misura: tutti gli sport, calcio, film, intrattenimento, documentari, lifestyle, motori, benessere. Alla fine però si sono fossilizzati solo sulla dipendenza e sulla commistione di interessi con il calcio e con i padroncini del calcio. Così l’azienda di Rogoredo, chiusa nei palazzoni di vetro con vista sul boschetto dei drogati e sulla ferrovia che attraversa Santa Giulia, si è tenuta in piedi inventando, drenando e acquistando abbonati da altre piattaforme, sguazzando in un mercato con una concorrenza di facciata. I padroni del pallone hanno aumentato il fatturato senza investire mai un centesimo, dimenticando che la televisione non è il device ma le idee che ci metti dentro. Bene, dentro la televisione di Sky, tolta qualche incursione di Rosario Fiorello ben pagata e Gomorra, non c’è nulla. Solo roba di facciata o roba importata dagli Usa che ultimamente gli abbonanti devo sorbirsi in lingua originale con i sottotitoli.

La manifestazione di protesta degli ex tecnici dipendenti di società esterne che lavoravano a Sky tg24

Tutta roba già vista: 4 ristoranti, 8 alberghi, EPCC, ECG e altre cose sempre uguali. Come resta intatta l’arroganza di chi si sente padrone anche se non possiede più niente. Sky non ha liquidità in cassa. Non ha versato alle società di serie A i 131,6 milioni di euro di maggio per i diritti tv. Per loro, per i padroni del calcio, l’ultima rata del campionato sospeso da marzo per pandemia non s’ha da pagare. E se riprende il campionato si può anche pagare ma con un sensibile sconto. Altrimenti “facessero pure causa” i presidenti delle società di Serie A che in massima parte tengono i bilanci più o meno in ordine grazie a Sky. Da marzo ad oggi, siamo nella terza decade di maggio, però, a Sky non hanno mai mancato di incassare le rate mensili degli abbonati che pur versando il denaro come da contratto per avere anche il pacchetto calcio, non hanno mai ricevuto la controprestazione. Ora siamo in quella che è la classica storiella all’italiana.  La Lega di Serie A (cioè tutti i club di Serie A) rivendicano i 131,6 milioni di euro da Sky e altri 81 milioni da Dazn e Img, gli altri titolari dei diritti Tv del calcio in Italia e all’estero. Sky non vuole pagare ma continua ad incassare dai suoi abbonati i diritti tv del calcio sull’abbonamento che però non rispetta. La Lega di Serie A fa causa a Sky e chi lo prende in quel posto sono, come sempre, i consumatori. Perchè se è vero, come è vero, che Sky e la Lega di Serie A, alla fine troveranno una composizione dei loro affari, gli abbonati sono sempre quelli che non vengono tutelati, semprechè qualche avvocato o associazione dei consumatori non capisca la grave violazione dei diritti degli abbonati e si decide infine ad occuparsi di questa faccenda.

Maximo Ibarra. Nuovo Ceo di Sky Italia che deve traghettare l’azienda verso un modello di business diverso sganciato dal calcio

E la faccenda Sky-Lega di Serie A è molto più pesante di quello che sembra. Sembra infatti che Sky voglia sfruttare questo momento difficile, facendo balenare una cosa che a loro giudizio dovrebbe terrorizzare i presidenti di Serie A. Quale sarebbe la notizia farlocca? Che Sky non avrebbe intenzione di sborsare ancora 789 milioni di euro per la prossima stagione e comunque avrebbe intenzione di uscire dal mondo del calcio perchè le risorse autorizzate dalla proprietà americana Comcast sono state notevolmente ridotte al management italiano che è ritenuto responsabile dello sfascio .
E allora, davanti a questa pantomima di finte tensioni e di scambi di lettere tra legali, quello che a Sky vorrebbero portare a casa con questi mezzi ricatti, altro non è che uno sconto (da 120 a 140 milioni all’anno) per evitare lunghi contenziosi in tribunale. Ma pare che la Lega di Serie A non voglia saperne di scontare soldi a Sky e che ci siano dei legali pronti a mandare i decreti ingiuntivi. Quello che è certo è che se Sky finge di volere andare via sperando che i club la trattengano, la Lega di Serie A discute già su come separarsi da Sky e come trovare altri players. E ce ne sono.
Il contratto per i diritti Tv del triennio 2018/21 non contempla deroghe: se il calcio ripartirà a giugno (il 13), Sky deve fare il bonifico per chiudere la stagione. Poi a luglio dovrà versare l’anticipo per la prossima stagione. E in autunno sarà già tempo di asta per il 2021/24. De Laurentiis, Lotito e colleghi pretendono almeno un miliardo a campionato, più gli introiti dall’estero (Img garantisce 367 milioni). Sky contribuisce con 789 milioni, altri 193 li hanno messi quei generosi di Dazn. Secondo quanto apprendiamo noi, Comcast potrebbe non avallare un esborso superiore al mezzo miliardo. Allora il canale di Lega, che l’altroieri appariva un insulto a Sky perché non prevede l’esclusiva, domani potrebbe accontentare tutti e lasciare il rischio dell’impresa a uno solo: la Lega. La trattativa sullo sconto sono i titoli di coda di un rapporto oramai morto tra Lega di serie A e la Sky Italia degli americani di Comcast che di Sky Europa acquistata per 33 miliardi di euro vuole servirsene per fare gli stessi business che fa negli Uniti: telefonia fissa e tv via cavo. Questo è il mestiere di Comcast: telefonia, affari, Universal, , Dreamworks Animation, Universal Pictures. I Roberts ( i proprietari) quando hanno comprato Sky Europa pensavano ai 24 milioni di utenti, di cui 5 milioni di italiani.

Risparmi. Molti risparmi saranno realizzati tagliando personale e contratti a tutto il personale delle aree news

Volevano esportare un modello, il più classico degli integrati: Internet a casa con la banda larga (anche mobile, in Uk già funziona), una televisione a pagamento in stile Netflix con contenuti pregiati di sport e canali gratuiti come TV8 per ammassare pubblicità. Con un po’ di ritardo, il modello sta per debuttare in Italia. Da luglio il gruppo proporrà agli italiani l’attivazione di Internet a casa.
Quanto al nome, scarso apporto di fantasia e ballottaggio tra “Sky fibra” e “Sky wi-fi”.
“Per archiviare la vecchia Sky, il comando centrale di Londra, che vigila sull’Europa, da ottobre ha reclutato Maximo Ibarra, un amministratore delegato con una rodata esperienza nella telefonia e completamente digiuno di editoria e di pallone, tranne per il legame personale con Gabriele Gravina, presidente della Federcalcio e compagno di sua sorella. Oltre ad essere stato alle dirette dipendenze di Paolo Dal Pino, attualmente Ad della Lega di Serie A, quando questi era Ceo Tim Brasile.

Ibarra per lo sport si è affidato al vicepresidente Marzio Perrelli, banchiere di successo, assai gradito a Giovanni Malagò del Coni che voleva spedirlo in Lega. L’ex Ad Andrea Zappia ha portato Sky Italia a una condizione di egemonia nello sport e di rilevanza politica col tg. Questa avanzata nel deserto dei regolamenti italiani si è arenata in un bilancio con una crescita dei ricavi (3,29 miliardi, più 10%) e un saltello degli abbonati da 4,855 milioni a 5,195, ma soprattutto con un’esplosione dei costi e una perdita di 41 milioni dopo 100 di utili.
Ibarra deve sanare il bilancio – ancora non brillante – e curare il travaso di clienti dalla televisione al pacchetto “televisione più Internet”. Il calcio serve a ottenere un travaso ordinato. È una fondamentale motivazione di acquisto, ma non sarà più l’unica.
A Rogoredo ci si chiede che ruolo abbia un telegiornale in un’azienda che deve sedurre gli italiani con i giga. Ibarra e la prima linea aziendale sono in quarantena a Roma dal 23 febbraio. La Capitale fu abbandonata (resta uno studio in zona Montecitorio), fra trasferimenti e licenziamenti, per issare a Milano, zona Santa Giulia, il polo della tv, tre palazzi da otto piani. Per lo stabile più nuovo si riflette (da Roma) sulla dismissione. E Ibarra, per assecondare le pressanti indicazioni in arrivo da Londra, valuta i tagli da applicare: riduzioni di organico (giornalisti dello Sport e della cronaca) e di stipendi alle voci accordo integrativo e superminimo, eliminazione dei buoni pasto con un sussidio per il pranzo da spendere in mensa aziendale.

Redazione romana. Il direttore del canale delle news dipende dal capo delle relazioni istituzionali di Sky

Si taglia e si risparmia ovunque. Sta per interrompersi, per esempio, il rapporto con Almaviva che per 17 anni ha fornito 300 operatori telefonici. Risparmi vistosi e piccini. A migliaia di dipendenti su 3.037 che lavorano da casa, più i collaboratori, la piattaforma interna propone acquisti per allestirsi l’ufficio a domicilio. Sono in vendita sedie ergonomiche, in promozione grazie alle imperdibili convenzioni, che vanno da 150 a 1.600 euro per un esemplare in stile Ibarra. Ci si può sentire comodi come si è sentito comodo Ibarra quando è capitato a Rogoredo. Venerdì mattina per introdurre i dipendenti nei meandri del “decreto rilancio”, l’azienda ha comunicato l’opportunità di una consulenza a 20 euro per comprendere i segreti del “bonus baby sitter”.

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Eurostat, in Italia povero il 9% dei lavoratori full time

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In Italia sale il rischio di povertà tra le persone che lavorano anche se impegnate a tempo pieno: nel 2024 gli occupati con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale al netto dei trasferimenti sociali sono il 9%, in aumento dall’8,7% registrato nel 2023. Una percentuale più che doppia di quella della Germania (3,7%). E’ quanto emerge dalle tabelle Eurostat appena pubblicate secondo le quali, invece, sono il 10,2% i lavoratori di almeno 18 anni occupati per almeno la metà dell’anno (sia full time che part time) a rischio povertà, anche questi in aumento rispetto al 9,9% del 2023 .

In Spagna la percentuale dei lavoratori impegnati full time poveri è del 9,6% mentre in Finlandia è al 2,2%. Per chi lavora part time la percentuale di chi risulta povero in Italia nel 2024 risulta in calo dal 16,9% al 15,7%. La povertà lavorativa sale in Italia soprattutto per i lavoratori indipendenti, tra i quali il 17,2% ha redditi inferiori al 60% di quello mediano nazionale (era il 15,8% nel 2023) mentre per i dipendenti la quota sale all’,8,4% dall’8,3% precedente. In Germania la quota degli occupati over 18 in una situazione di povertà è diminuita dal 6,6% al 6,5% mentre in Spagna è diminuita dall’11,3% all’11,2%. Soffrono in Italia di questa condizione soprattutto i giovani: tra i 16 e i 29 anni è povero l’11,8% degli occupati mentre tra i 55 e i 64 anni è il 9,3%. Nella povertà lavorativa conta il livello di istruzione.

Tra i lavoratori che hanno fatto la sola scuola dell’obbligo in Italia si registra un 18,2% di occupati poveri (era il 17,7% del 2023) mentre la percentuale crolla tra i lavoratori laureati, tra i quali solo il 4,5% risulta con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale. Ma in questo caso si registra un importante aumento, visto che la percentuale era al 3,6% nel 2023. Si registra invece un lieve calo della povertà tra gli occupati che hanno un diploma con il 9,1% in difficoltà nel 2024 a fronte del 9,2% dell’anno precedente.

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Parte l’ops su Bpm, Unicredit cerca dialogo col governo

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Da lunedì i soci di Banco Bpm potranno aderire all’offerta di Unicredit ma in questo momento tutti si chiedono se conviene, gli azionisti di Piazza Meda, la Borsa e lo stesso Andrea Orcel, il ceo di Piazza Gae Aulenti. Agli azionisti converrebbe vendere sul mercato. Per ciascuna azione di Bpm consegnata, che nell’ultima seduta di Borsa valeva 9,74 euro consegnata, si ricevono 0,175 azioni UniCredit (che venerdì valevano 50,87 euro), uno sconto che va oltre l’8 per cento. Improbabile un rialzo di prezzo ora che Unicredit deve fare i conti con i paletti imposti dal governo e con l’acquisizione di Anima che senza il Danish Compromise – una normativa europea che consente alle banche di acquisire assicurazioni con un minor assorbimento di capitale – pesa sull’indice patrimoniale di Banco Bpm e la rende meno attraente. L’offerta però resterà aperta fino al 23 giugno e nel frattempo Unicredit cerca un dialogo con il governo.

Le prescrizioni, tra cui il mantenimento del rapporto prestiti/depositi in Italia, le filiali di Banco Bpm in Lombardia e l’uscita dalla Russia entro il gennaio 2026, hanno un impatto che gli analisti di Jp Morgan hanno provato a calcolare: cento milioni di minori sinergie sui ricavi derivanti dalla stabilità del rapporto prestiti/depositi; 47 punti base di impatto CET1 derivante dall’uscita dalla Russia equivalente a 1,4 miliardi di capitale; 300 milioni di minori sinergie sui costi su un totale di 0,9 miliardi di euro. E in caso di inadempimento o violazione delle prescrizioni, secondo indiscrezioni, rischierebbe una multa compresa tra 300 milioni e 20 miliardi di euro. La normativa stabilisce infatti che la sanzione amministrativa possa arrivare fino al doppio del valore dell’operazione, e non sia inferiore all’1% del fatturato cumulato dell’ultimo esercizio approvato. Mentre Orcel si interroga se ne valga la pena, le tecnicalità vengono portate avanti e dopo una lunga istruttoria il 24 aprile è stato notificato alla DG Competition l’operazione di fusione e una risposta è attesa entro il 4 giugno.

“Data la forte complementarietà, presumiamo che non vi sia alcun piano di riduzione degli sportelli di in Lombardia”, sottolineano gli analisti di Jp Morgan, ricordando che Banco Bpm ha una quota di mercato del 13% contro il 6% di Unicredit. Resta in ogni caso sotto la soglia del 25% richiesta dall’Antitrust europeo. Il gruppo combinato avrebbe quote di mercato in eccesso solo in Sicilia (27%); raggiungerebbe il 24% in Val d’Aosta e Molise, il 23% in Piemonte, il 21% in Veneto e Lazio. La via del dialogo va percorsa, anche se il ministro Giancarlo Giorgetti tiene il punto e, a margine dei lavori del Fmi, non mostra segni di ammorbidimento. “Il governo deve valutare l’interesse nazionale, che non sono le competenze della Bce o della dg competition, è l’interesse nazionale. Qui (negli Usa ndr) ho capito che l’interesse nazionale risponde ad un concetto abbastanza virile anche in materia economica. In Italia abbiamo un concetto di interesse nazionale un po’ più lasco. Io li invidio gli americani”, ha chiosato.

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Generali, vince la lista Mediobanca: Donnet e Sironi confermati alla guida

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Con il 52,38% dei voti, l’assemblea dei soci di Generali ha scelto la lista di Mediobanca, confermando per il prossimo triennio Philippe Donnet (foto Imagoeconomica in evidenza) nel ruolo di amministratore delegato e Andrea Sironi come presidente. Una decisione che riafferma la linea della continuità e della stabilità nella governance della storica compagnia assicurativa triestina.

Affluenza e composizione del voto

L’assemblea, che ha registrato un’affluenza del 68,7%, è tornata in presenza per la prima volta dal 2019, riunendo oltre 450 azionisti presso il Generali Convention Center. A pesare sul risultato finale sono stati in particolare i voti degli istituzionali (circa il 17,5%) e un sorprendente apporto del retail (5%), mai così attivo. Anche la Cassa forense, con il suo 1,2%, ha votato a favore della lista Mediobanca.

Risultato del gruppo Caltagirone e confronto con il 2022

La lista Caltagirone ha ottenuto il 36,8% del capitale votante, confermando il ruolo di minoranza forte, ma non sufficiente a ribaltare gli equilibri. I fondi Assogestioni, con il 3,67%, non superano la soglia del 5% e quindi restano fuori dal consiglio. Il confronto con il 2022 mostra un equilibrio sostanzialmente stabile: allora Mediobanca aveva ottenuto il 56%, Caltagirone il 41%.

Il nuovo consiglio d’amministrazione

Il nuovo board sarà composto da 13 membri, con una struttura molto simile a quella uscente. Oltre a Donnet e Sironi, confermati nomi come Clemente Rebecchini, Luisa Torchia, Lorenzo Pellicioli, Antonella Mei-Pochtler, Alessia Falsarone. Tra le novità, Patricia Estany Puig e Fabrizio Palermo, ex ceo di Cdp e attuale ad di Acea.

Il ruolo di Unicredit, Delfin e gli altri azionisti

A sostenere Caltagirone si è aggiunta Unicredit, con il 6,5% su un portafoglio totale del 6,7%. Al suo fianco anche Delfin(9,9%) e probabilmente la Fondazione Crt (quasi 2%). Assente invece dai voti sulle liste Edizione della famiglia Benetton (4,83%), che ha scelto di astenersi, pur votando su altri punti all’ordine del giorno.

Donnet: «Ha vinto Generali»

«Oggi ha vinto Generali», ha dichiarato Donnet. «Il mercato si è espresso chiaramente: questa era la scelta per il futuro della compagnia come public company indipendente». Il presidente Sironi ha parlato di un consiglio «che ha lavorato con rispetto e responsabilità» e che continuerà a farlo anche nel prossimo mandato.

 

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