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Economia

Si cercano 531.000 lavoratori, metà non si trova

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Con la fine dell’estate riparte la caccia ai lavoratori, difficili da trovare per quasi metà delle posizioni aperte secondo le segnalazioni delle imprese. Le assunzioni programmate per settembre sono 531 mila, l’1,3% in più rispetto allo scorso, ma continuano ad aumentare anche i problemi di reperimento. I casi in cui non si trovano candidati adatti sono saliti in un anno di cinque punti percentuali fino al 48%. E per molte figure tecnico-ingegneristiche e di operai specializzati le assunzioni scoperte toccano punti del 60-70%. Il problema più frequente per le imprese è proprio la ‘mancanza di candidati’ per il 31,7%, mentre la ‘preparazione inadeguata’ si attesta al 12%.

Mancano operai specializzati, conduttori di impianti e le professioni tecniche. A livello territoriale le imprese delle regioni del Nord Est sono quelle più in difficoltà, con il 53,4% del personale ricercato difficile da trovare, una quota ben superiore a quella registrata nel Sud e Isole (43,5%) e nel Centro (45,9%), mentre il valore nel Nord Ovest (47,4%) si mantiene vicino alla media. Per rispondere alle esigenze delle imprese, sale il ricorso alla manodopera straniera che passa dalle 95mila assunzioni dello scorso anno, pari al 18,2% del totale, alle attuali 108mila, pari al 20,4%. Guardando alle caratteristiche delle posizioni aperte, il tempo determinato si conferma la forma contrattuale più proposta con 284mila posti, pari al 53,4% del totale. I contratti a tempo indeterminato sono meno di uno su cinque (108 mila) e gli altri si dividono tra contratti di somministrazione, di apprendistato, di collaborazione e altri contratti. Tra i settori risulta in crescita la domanda per servizi alle persone e logistica, mentre aumenta l’incertezza per commercio e turismo.

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Economia

Btp Valore parte da 3,7 miliardi, Bce pronta a tagliare

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Il Btp Valore parte da 3,7 miliardi di euro di sottoscrizioni nella prima giornata di collocamento fra i risparmiatori. Un ammontare che mostra una tenuta dell’interesse per lo strumento voluto dal Mef per diversificare la base degli investitori ampliando la platea del ‘retail’, pur di fronte a una normalizzazione ora che la Bce si avvicina alla prima riduzione dei tassi. Il titolo 2030 studiato per le famiglie, come annunciato dal Mef venerdì scorso, avrà tassi minimi garantiti al 3,35% per i primi tre anni e 3,90% per i restanti tre. Qualcosa di più sul primo triennio rispetto all’emissione dello scorso febbraio (era 3,25%), qualcosa di meno sui restanti tre anni (era 4%).

Per un collocamento ‘speciale’, fissato a una data ravvicinata rispetto al precedente e con la Bce in modalità ribassista, in molti sul mercato vedono una fisiologica normalizzazione della domanda, che nell’emissione record di febbraio nella prima giornata aveva totalizzato 6,4 miliardi. Fonti di mercato indicano in 10-11 miliardi di euro un range possibile per l’ammontare finale, che porterebbe il totale fin qui raccolto con il Btp Valore, nelle quattro emissioni di giugno 2023, ottobre 2023, febbraio 2024 e maggio 2024, in almeno 63 miliardi. Una fetta consistente di sottoscrizioni del debito da parte delle famiglie italiane, che era la strategia annunciata dalla premier Giorgia Meloni. Solo sul 2024, con le due emissioni di febbraio e maggio, al pubblico retail andrebbero quasi 30 miliardi, che contribuiscono a spingere a oltre il 40% la copertura dei 360 miliardi di titoli pubblici da collocare quest’anno. Il risultato finale lo si conoscerà al termine del collocamento, alle 13 di venerdì 10 maggio salvo chiusura anticipata. Il giorno prima, giovedì, il Mef collocherà 7,5 miliardi di Bot a 12 mesi, dopo aver annunciato che che “in assenza di specifiche esigenze di cassa, non verrà offerto il Bot trimestrale”.

Un calendario denso di emissioni: in vista c’è l’avvicinarsi del meeting di giugno della Bce, dal quale, a dispetto delle incertezze su cosa farà la Fed, i segnali confermano che è in arrivo un taglio dei tassi: gli swap danno al 95% un taglio di un quarto di punto. Con l’approssimarsi di quella riunione scendono anche i tassi di mercato, e così la remunerazione dei titoli italiani, che avevano visto un’impennata di interesse da parte dei risparmiatori nel 2022, più o meno in concomitanza col superamento del 3% sul Btp a tre anni che oggi è al 3,30% circa. Proprio oggi Philip Lane, il capo economista della Bce, a dispetto di un’inflazione rimasta ad aprile al 2,4% come a marzo, ha detto che gli ultimi dati sull’andamento dei prezzi e la crescita “hanno aumentato la mia fiducia che l’inflazione tornerà al target (del 2%, ndr) con tempismo”.

Un taglio dei tassi Bce, del resto, assieme alla ripresa dei salari, al calo dell’inflazione e al tasso di occupazione record in Europa, sarebbe un’iniezione di ossigeno per rilanciare i consumi, tassello mancante per un maggiore slancio all’economia europea messa alle corde prima dalla pandemia, poi dallo shock inflazionistico causato dalla guerra in Ucraina. Un doppio colpo cui l’Europa ha risposto con uno stimolo di bilancio senza precedenti come il Next Generation Eu, ma comunque meno potente di quello dispiegato dagli Usa. I segnali di ripresa ci sono già e sono confermati dagli indici anticipatori Pmi calcolati da S&P Global, che per il settore dei servizi indicano l’espansione più forte degli ultimi 11 mesi salendo a 53,3 ad aprile da 51,5 di marzo (per l’Italia rispettivamente 54,3) dopo una revisione in meglio legata all’economia francese.

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Cronache

Stakanovista 10% italiani, lavora 49 ore a settimana

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In Italia quasi un lavoratore su dieci tra i 20 e i 64 anni nel 2023 ha lavorato in media almeno 49 ore alla settimana, una percentuale superiore a quella media dell’Unione europea (7,1%) e inferiore solo a quella di Grecia, Francia e Cipro. In pratica il 9,6% degli occupati ha lavorato l’equivalente di un giorno in più a settimana, considerando che l’orario standard oscilla tra le 36 e le 40 ore a settimana. All’opposto si trovano le Repubbliche baltiche, con percentuali tra l’1% e il 2%, ma anche i Paesi scandinavi (la Norvegia è al 5,2% e la Finlandia al 5,7%) e la Germania con il 5,4%.

L’immagine di una parte degli italiani insolitamente stakanovista emerge dalle tabelle Eurostat sui lavoratori che fanno orari di lavoro lunghi. Il risultato, si deduce dai numeri, è legato alla consistenza del lavoro autonomo che tradizionalmente è impegnato per un numero di ore maggiore rispetto alla media totale dei lavoratori. Guardando infatti solo a professionisti e partite Iva, a lavorare almeno 49 ore è una percentuale molto più alta, pari al 29,3%. Il dato quindi non è legato tanto all’ampio uso del lavoro straordinario, quanto alla larga diffusione del lavoro autonomo in Italia (ma anche in Grecia), tipologia che spesso ha orari più lunghi di quelli contrattuali, soprattutto in settori come i servizi, le vendite e l’agricoltura.

La controprova sta nel fatto che nel nostro Paese i lavoratori dipendenti che lavorano almeno 49 ore la settimana in media sono il 3,8% del totale dei lavoratori subordinati (3,6% in Ue). Gli autonomi con dipendenti che lavorano con questi orari sono il 46% del totale (41,7% la media Ue). Gli autonomi senza dipendenti che lavorano 49 ore alla settimana sono invece il 27,4% (23,6% in Ue) mentre quelli impegnati in un lavoro di aiuto all’attività familiare che raggiungono le 49 ore sono il 20,1% (14% in Ue). La percentuale degli “stakanovisti” sale se si guarda solo agli uomini con il 12,9% del complesso degli occupati che lavora almeno 49 ore a settimana (9,9% in Ue). Nel complesso le donne che lavorano almeno 49 ore alla settimana sono il 5,1% del totale, comunque sopra la media europea del 3,8%. Tra gli uomini autonomi con dipendenti la percentuale di coloro che raggiunge o supera le 49 ore di lavoro a settimana supera il 50% in Italia (50,8%) e si attesta sul 46,3% in Ue.

Anche tra i dipendenti la percentuale di chi lavora almeno 49 ore alla settimana è più alta tra gli uomini con il 5,1% in Italia a fronte del 5% della media Ue. Tra le donne le autonome con dipendenti lavorano a lungo nel 32,5% dei casi (quasi una su tre) a fronte del 29,6% in Ue. Tra le dipendenti sono invece il 2,3% a fronte del 2,1% in Ue. In Italia lavorano con orari lunghi nel complesso soprattutto i manager (40,5% del totale a fronte del 21,9% in Ue) con una percentuale del 24,4%, molto superiore alla media, anche per i manager dipendenti (14,3% in Ue). Il 10,3% dei professionisti in Italia dichiara di lavorare almeno 49 ore e il 10,9% dei lavoratori dei servizi e delle vendite (6,5% in Ue). Tra i lavoratori dell’agricoltura infine è il 36,3% a lavorare ben oltre lo standard, contro il 27,5% rilevato in media nell’Unione europea.

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Economia

Il clima affonda la produzione di vino in Italia (-23%)

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Piogge frequenti e malattie delle viti fanno crollare la produzione di vino in Italia. Tra agosto 2023 e luglio 2024 l’Unione europea vedrà un calo della produzione annua di vino del 10% (stimata in circa 143 milioni di ettolitri, il dato più basso dal 2017-18) a causa “delle condizioni meteorologiche avverse”: un dato trainato da una “diminuzione significativa” osservata tanto in Italia (-23%) quanto in Spagna (-21%) nei dodici mesi. A rilevarlo è l’ultimo rapporto sulle prospettive a breve termine per i mercati agricoli dell’Ue pubblicato dalla Commissione europea. Intanto oggi è stato presentato alle associazioni di settore il nuovo avviso Ocm vino ‘Promozione sui mercati dei paesi terzi’.

Il ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, mette a disposizione degli operatori 22 milioni di euro a cui vanno aggiunti 71 milioni di euro per bandi regionali e multiregionali per un investimento complessivo che supera i 90 milioni di euro. “L’avevamo detto e l’abbiamo fatto anche prima del previsto”, ha segnalato il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida. “Ci stiamo muovendo per una più grande valorizzazione dell’export del vino”. Da subito per il Governo “è stata una priorità”, ha sottolineato. Il rapporto della Commissione Ue sulla produzione attesa a luglio 2024 sottolinea che il settore continua a essere influenzato da numerosi eventi “fuori dal controllo” degli agricoltori, come le crisi climatiche e geopolitiche, che esercitano pressioni in termini di prezzi, domanda e reddito.

Il “calo senza precedenti” che si osserverà in Italia, spiega l’Ue, è “determinato da frequenti piogge nelle regioni dell’Italia centrale e meridionale, e le conseguenti malattie fungine delle viti”. Visto il crollo della produzione in Spagna e Italia, la Francia tornerà a essere il primo produttore di vino in Ue. Non solo produzione, Bruxelles stima che a diminuire sarà anche il consumo (-1,5%) fino a 96 milioni di ettolitri, in particolare dei vini rossi, dovuto anche al fatto che più giovani preferiscono altri alcolici, soprattutto birre e cocktail. Considerata “l’imprevedibilità degli eventi meteorologici estremi e dei bruschi cambiamenti osservati nell’ultimo anno”, il rapporto mette in guardia sulla necessità di trattare “con cautela” i segnali attuali. Nel 2023-2024 a crollare saranno inoltre i volumi delle esportazioni di circa l’11%, a 28 milioni di ettolitri. Non solo sul vino, le condizioni meteorologiche avverse peseranno anche sulla produzione europea di mele e arance, le esportazioni delle quali diminuiranno drasticamente. Quanto alla produzione di olio d’oliva, la Commissione stima “una leggera ripresa” tra ottobre 2023 e settembre 2024 dopo un raccolto record lo scorso anno. Quanto ai cereali, si prevede che nel 2024/25 la produzione aumenterà fino a circa 278,5 milioni di tonnellate (+ 3% su base annua), principalmente grazie a rese migliori. Le importazioni tra luglio 2023 e giugno 2024 potrebbero rimanere superiori del 17% rispetto alla media quinquennale.

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