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Si apre il cantiere della manovra, entrate +13 miliardi

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Una manovra da 22-23 miliardi di euro, con il rebus delle risorse da trovare per le misure in cantiere, dalle pensioni alla conferma dell’Irpef a tre aliquote, dato il debito a un passo dai 3.000 miliardi. E un aiuto che arriva oggi dalla Ragioneria generale dello Stato, con le entrate nel periodo gennaio-giugno che segnano un balzo di 13 miliardi, mentre fonti vicine al dossier fanno trapelare che sarebbero già stati definiti quasi 13 miliardi e si starebbe lavorando per completare la base delle risorse con i 10 miliardi mancanti.

I numeri sono ancora tutti da mettere a punto, le priorità principali si vanno delineando: a partire dalla necessità di mettere mano alla spesa a partire da uno sfoltimento della selva di agevolazioni fiscali, a partire da detrazioni e crediti d’imposta. Ma con la Cgil pronta a “tutte le iniziative di lotta” di fronte ai capitoli che potrebbero essere oggetto di ‘spending review’, dove l’obiettivo è due miliardi: “un ritorno all’austerità con la stretta su sanità, previdenza, scuola e pubblico impiego è inaccettabile”, dice il segretario confederale della Cgil Christian Ferrari.

I calcoli veri si faranno a settembre, non appena saranno disponibili i dati aggiornati dell’autoliquidazione delle imposte, e di altre scadenze prorogate come la quinta rata della rottamazione a settembre e il concordato preventivo ad ottobre. Flussi migliori rispetto alle stime del Def potrebbe tradursi in un miglioramento dei conti e diventare così un ‘tesoretto’ utile per la manovra. Poi entro il 20 settembre si dovrà mettere a punto il piano pluriennale di spesa da inviare a Bruxelles, che sarà poi approvato nel pacchetto di autunno del semestre europeo, insieme alle raccomandazioni sul deficit.

Col il fardello del debito, dove al Mef si starebbe lavorando ad aumentare le scadenze medie tramite le prossime emissioni. Proprio i numeri dell’autoliquidazione fanno sperare in un ‘en plein’ sul lato delle entrate, dopo che oggi la Ragioneria ha dato conto di un aumento del 3,4% delle entrate tributarie e contributive nel periodo gennaio-giugno 2024 pari a 13,113 miliardi di euro, con il gettito da tributo aumentato di 10,973 miliardi (+4,2%) a 273,502 miliardi. Incassi cui hanno contribuito le attività di accertamento e controllo (+1,707 miliardi, +31,2% nelle quali vengono contabilizzate anche le prime tre rate della rottamazione quater), ma soprattutto il forte gettito Irpef a 112,883 miliardi (+7,219 miliardi, +6,8%) grazie alle di lavoro dipendente (+8,543 miliardi, +8,6%), ma anche l’Iva, a 80,094 miliardi (+3,585 miliardi, +4,7%). Numeri che peraltro non tengono conto, appunto, delle entrate dell’autotassazione delle dichiarazioni dei redditi dato che il termine ordinario di versamento per il 2024 del saldo e del primo acconto Irpef, Ires e Irap, è slittato al 1 luglio poiché il 30 giugno cadeva di domenica.

“Oltre l’ottanta per cento del maggior gettito accertato (8,5 miliardi su 10,2) è dovuto alle ritenute da lavoro dipendente, che crescono innanzitutto per effetto del fiscal drag, che sta falcidiando gli aumenti derivanti dai rinnovi contrattuali”, dice il senatore e responsabile economico del Pd Antonio Misiani denunciando un “dato impressionante”. Il conto della manovra parte dai circa 18 miliardi necessari per confermare alcuni degli interventi finanziati solo per quest’anno, la conferma dell’Irpef e le ‘politiche invariate’, come il rinnovo dei contratti della Pa. Il governo ha garantito la riconferma quest’anno del taglio del cuneo fiscale (che da solo costa quasi 11 miliardi).

Tutto il resto sarebbe al momento in bilico, dalla detassazione del welfare aziendale alla decontribuzione per le lavoratrici madri, dal taglio del canone Rai all’anticipo pensionistico. Dove il governo punta su conferma per l’Ape sociale e per Opzione donna. Mentre Quota 103 potrebbe essere sostituita da Quota 41, con il ricalcolo interamente contributivo se si confermasse il trend di scarsissima adesione alla misura dopo la stretta dell’anno scorso, mentre fra le opzioni ci sarebbe un intervento sul fronte della previdenza complementare.

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Folla commossa a Santa Maria Maggiore per salutare Papa Francesco

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All’alba, una lunga coda si era già formata davanti alla Porta Santa della basilica di Santa Maria Maggiore, dove è sepolto Papa Francesco. Ad aprire i cancelli, alle 7 in punto, è stato il rettore della basilica, il cardinale Rolandas Makrickas, che con emozione e un sorriso ha accolto i primi fedeli. Un’affluenza straordinaria che testimonia l’enorme affetto verso il Pontefice che ha scelto come ultima dimora il cuore multietnico dell’Esquilino.

Trentamila fedeli in poche ore

Alle 14, i visitatori erano già 30mila, e si prevede che a fine giornata possano raddoppiare. Famiglie, religiosi, scout e cittadini da ogni parte del mondo hanno reso omaggio a Francesco, il Papa dei poveri e della semplicità. La gente dell’Esquilino si è stretta attorno alla basilica, orgogliosa di avere come “vicino di casa” un Pontefice amato universalmente.

Le testimonianze di una devozione senza confini

Tra i tanti fedeli, Maria arrivata da Agrigento ha sottolineato la semplicità della tomba, specchio dello stile di Francesco. Florentine, da Grenoble ma originaria del Benin, ha parlato di una “grande emozione”. Roberto, romano e ateo, ha ricordato una frase che lo aveva colpito: «È meglio vivere da ateo che vivere da cristiano e parlare male degli altri». Dalla Finlandia, Sinika ha definito Francesco “il miglior Papa che i poveri possano avere”, fiera di indossare una maglietta con il suo ritratto.

Il ricordo che si fa simbolo

Nel quartiere, il volto di Francesco campeggia tra le vetrine, mentre striscioni di ringraziamento spuntano sui palazzi. Nella basilica, intanto, le celebrazioni liturgiche si alternano alla lunga processione dei fedeli: messe solenni, canti e l’omaggio di oltre cento cardinali. I tempi di attesa sono lunghi, ma il desiderio di sostare anche solo pochi secondi davanti alla lapide di “Franciscus” è fortissimo.

Roma prepara un afflusso senza precedenti

La fila continuerà oggi fino alle 22 e riprenderà domani mattina. Il sindaco Roberto Gualtieri ha annunciato una pianificazione straordinaria per gestire l’enorme afflusso di pellegrini: «Mercoledì ci sarà una riunione in Prefettura per organizzare al meglio l’accoglienza». Intanto, la rosa bianca – fiore caro a Francesco per la sua devozione a Santa Teresina – è diventata il simbolo silenzioso di questo tributo d’amore.

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Referendum e regionali, la sfida delle opposizioni

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Per le opposizioni, le regionali saranno il “test prima delle politiche”. La definizione è del presidente Pd Stefano Bonaccini. La tornata d’autunno, quindi, come un esame di compattezza, come una prova di forza per vedere se nel 2027 il centrosinistra potrà evitare il Meloni bis. Al voto andranno: Marche, Veneto, Campania, Puglia, Toscana e Valle d’Aosta. Le prime due sono governate dal centrodestra, le altre dal centrosinistra. Qualche mese prima, l’8 e 9 giugno, ci sarà un altro esame: i cinque referendum su lavoro e cittadinanza. Le opposizioni si stanno spendendo anche per quelli, specie Pd, M5s e Avs, mentre i centristi sono meno partecipi. Già raggiungere il quorum del 50% dei votanti farebbe ben sperare il fronte dei sostenitori dei “sì”.

In vista delle regionali, per il momento il lavoro dei partiti d’opposizione è orientato soprattutto alla definizione delle coalizioni. L’obiettivo della segretaria Pd Elly Schlein è rodare lo schieramento, nell’auspicio che sia il più largo possibile e che si presenti nel maggior numero possibile di Regioni. Sui nomi dei candidati i giochi sono fatti solo nelle Marche, dove per la carica di governatore corre l’eurodeputato Pd ed ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci: l’alleanza è in via di costruzione, ma c’è la speranza che alla fine possa comprendere sia il M5s sia i centristi. In Puglia dovrebbe essere in campo l’altro eurodeputato Pd ed ex sindaco di Bari Antonio Decaro. L’accoppiata Pd-M5s parte in discesa, visto che ha già fatto le prove con la giunta ora guidata da Michele Emiliano.

In Toscana, il trascorrere del tempo fa crescere le quotazioni di una ricandidatura del governatore uscente Eugenio Giani, del Pd, già alleato a Iv, che auspica di imbarcare anche M5s e Avs. Mentre Azione ha già dato il suo placet. Giochi aperti in Campania, dove Pd e M5s stanno lavorando al candidato, che potrebbe essere l’ex presidente della Camera Roberto Fico. In ballo c’è anche l’attuale vicepresidente di Montecitorio Sergio Costa.

Entrambi sono del M5s. Fico sembra favorito, anche se per adesso è “bloccato” dal limite dei due mandati: la Costituente del Movimento ha dato indicazione di togliere il vincolo, ma ancora devono essere definiti i criteri, che dovranno passare la vaglio del voto degli iscritti. Sembrava che la chiusura dell’iter potesse arrivare prima di Pasqua. I tempi, comunque, dovrebbero essere maturi. Resta in ogni caso da capire quali saranno le indicazioni del governatore uscente Vincenzo De Luca. Partita aperta in Veneto, dove il centrosinistra è alla ricerca del candidato, che potrebbe essere sostenuto sia da Pd sia dal M5s.

Dinamica a sé in Valle D’Aosta, dove il voto è sostanzialmente proporzionale: spetta poi agli eletti formare una maggioranza in consiglio regionale e individuare il governatore. La prima prova generale delle opposizioni, però, ci sarà fra un mese e mezzo, con i referendum sul lavoro promossi dalla Cgil, che sostanzialmente aboliscono il jobs act, e quello per rendere più facile l’acquisizione della cittadinanza promosso da un comitato con Più Europa. Pd e Avs hanno dato indicazione per cinque sì. Quattro sì per il M5s, che lascerà libertà di coscienza sulla cittadinanza. Per una volta, indicazioni analoghe da Azione e Iv: “sì” solo alla cittadinanza, “no” agli altri.

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‘Commemorazione di Gramsci, bandiere rosse vietate’

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“Bandiere rosse vietate alla commemorazione di Antonio Gramsci”. Lo sostiene Rifondazione comunista, in una nota firmata dal co-segretario della federazione romana del partito, Giovanni Barbera. Lo stop sarebbe stato dato dalla direzione del Cimitero Acattolico di Roma, dove riposano le spoglie di Gramsci.

“Durante la commemorazione dell’anniversario della morte di Antonio Gramsci – scrive Barbera – si è consumato un atto di censura senza precedenti. Per la prima volta, in decenni di celebrazioni, è stato impedito l’ingresso delle nostre bandiere rosse, che da sempre, nel rispetto della memoria storica, hanno accompagnato il ricordo di Gramsci”. La spiegazione del divieto, continua Barbera, offerta dalla direttrice del cimitero è stata che “il colore rosso sarebbe divisivo”.

Arrivando così a vietare “perfino l’uso di un semplice drappo rosso, senza scritte né simboli”. Alla cerimonia – hanno raccontato altri presenti – ha partecipato almeno un centinaio di persone. Fra loro molti esponenti politici, con delegazioni anche del Pd (composta da Cecilia D’Elia, Michele Fina, Roberto Morassut, Andrea Casu ed Eugenio Marino) e di Sinistra Italiana (guidata da Marilena Grassadonia). Una commemorazione “partecipata, più degli anni passati, e tranquilla – è stato il racconto – che si è chiusa con l’esecuzione di un brano musicale”.

Fra i rappresentanti delle altre forze politiche c’è chi ha confermato che è stato chiesto di non portare bandiere di partito nel cimitero, senza però che questo abbia sollevato particolari polemiche. Qualcuno aveva la bandiera della pace, mentre simboli e nomi delle forze politiche erano comunque presenti sugli omaggi lasciati sulla tomba di Gramsci: mazzi di fiori e corone. Dura, invece, Rifondazione comunista: “Negare la presenza dei nostri simboli alla commemorazione di Antonio Gramsci (uno dei più grandi pensatori del Novecento, fondatore del Partito Comunista d’Italia e martire del fascismo) nel giorno della sua morte, è un atto di ignominia che merita la più dura condanna”.

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