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Cronache

Se questo è un bambino, eccovi la foto della follia della guerra di San Silvestro

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Ha undici anni. È adagiato su un lettino dell’ospedale pediatrico Santobono di Napoli, reparto ortopedia. Gli è stata amputata la mano sinistra fino al palmo. Ha la mano destra quasi completamente fasciata per ustioni gravi e per ferite lacero contuse. Ha due buchi nell’addome dai quali sono state estratte delle schegge che per miracolo non hanno leso organi interni. Ha un buco sulla gamba. Entrambi gli occhi sono fasciati per ustioni e schegge che non dovrebbero averlo accecato ma solo momentaneamente menomato la vista. Anche su questo delicato aspetto clinico i medici del Santobono vogliono aspettare qualche giorno per capire se e quale sarà la capacità visiva del bambino. Dal 1 gennaio questo bambino napoletano, il cui nome omettiamo per proteggere la sua privacy e per rispettare la sua famiglia, distrutta dal dolore, è in una situazione clinica e psicologica assurda. A nessuno si può augurare quel che è successo a questo bimbo. Lui, il piccolo di 11 anni, si è chiuso nel silenzio. Non parla da giorni, dal suo viso non scende una lacrima, sul letto di ospedale, sottoposto a più interventi chirurgici, sopporta ogni dolore, ogni sofferenza indicibile come se fosse un adulto. È provato. Eppure sembra fortissimo, una roccia. Rincuora lui la mamma. È una storia che si fa fatica a raccontare.

Il legale della famiglia del bimbo ferito, Angelo Pisani: tragedia assurda che ha precise responsabilità che voglio perseguire

Ma che cosa è successo a questo bambino? Chi l’ha ridotto in queste condizioni? Come si può assistere a scene così strazianti? Ce lo racconta lo zio del bambino, Pasquale. Anche in questo caso omettiamo il cognome e il luogo di provenienza dell’uomo, sempre per rispettare la privacy del bimbo e il dolore della sua famiglia. Pasquale racconta lo strazio subito dal piccolo nella speranza che qualcuno ne ricavi un insegnamento vero, serio, affinché non capiti mai più a nessun bambino quello che è accaduto al nipotino.

“Nella tarda mattinata del primo gennaio, il bimbo era in strada con una sua coetanea. Stavano per andare a casa di lei a giocare alla Play Station. Lungo il tragitto – spiega Pasquale che ha raccolto il racconto del nipote e della sua amichetta coetanea – il bimbo ha notato qualcosa di colorato a terra, qualcosa che poteva assomigliare ad una lattina, e l’ha scalciato. A quel punto – prosegue – c’è stata una potente deflagrazione che lo ha sbalzato ad un paio di metri di distanza. Mio nipote ha fatto da scudo alla sua amica. Quando l’ambulanza del 118 è arrivata sul posto, lui era ridotto in condizioni pietose, sangue ovunque, ferite gravissime ovunque. Lei, la bambina, sotto choc, aveva solo qualche piccola ustione ed escoriazione. Mio nipote è l’ennesimo bambino quasi ucciso da questa usanza barbara dei fuochi d’artificio illegali esplosi a fine anno. Mio nipote è vittima di chi ha abbandonato quel petardo enorme che ha ridotto in brandelli un bambino” spiega Pasquale.

 

“Mio nipote, però, è anche una vittima delle nostre istituzioni locali che non fanno nulla per scoraggiare questa usanza barbara, non fanno nulla per evitare che il giorno dopo i bambini possano toccare petardi o altri botti illegali inesplosi per strada” accusa Pasquale. “Noi abbiamo incaricato l’avvocato Angelo Pisani di tutelare i nostri diritti in sede penale e civile anche per punire i responsabili del comune di Villaricca e dell’azienda che si occupa o si sarebbe dovuta occupare della raccolta dei rifiuti, perchè non è possibile che a diverse ore dalla notte di San Silvestro ancora per strada c’era sporcizia di ogni tipo e fuochi d’artificio illegali inesplosi. Avrebbero dovuto toglierli, rimuoverli, anche con persone specializzate. Non si può lasciare le strade in queste condizioni di pericoli. Pensate – conclude Pasquale -, quando sono arrivati i carabinieri, che hanno fatto un lavoro straordinario per salvare mio nipote, sul posto in cui il nostro piccolino è rimasto quasi ucciso hanno documentato la presenza di altri botti e persino bossoli di chi ha festeggiato fine anno a colpi di pistola”.

Angelo Pisani. Legale della famiglia del bimbo ferito

A Brescia come a Napoli, c’è un bimbo di 10 anni con una mano amputata per aver raccolto un petardo inesploso

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Cronache

Il caso Cipriani scuote il pre-conclave: accuse di abusi e tensioni in Vaticano

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In Vaticano, archiviata la vicenda Becciu, un nuovo caso scuote le giornate che precedono il prossimo conclave. Al centro dell’attenzione c’è Juan Luis Cipriani Thorne, arcivescovo emerito di Lima, accusato di abusi sessuali e già sanzionato da Papa Francesco, ma che nonostante tutto continua a partecipare alle riunioni ufficiali dei cardinali.

Non potrà entrare nella Cappella Sistina in caso di conclave — ha superato gli 80 anni — ma la sua presenza e il ruolo attivo nelle congregazioni generali, dove si delinea il profilo del futuro Papa, sta provocando sconcerto, in particolare tra i cardinali latinoamericani. Le sanzioni papali, che prevedevano anche il divieto di indossare le insegne cardinalizie o rilasciare dichiarazioni pubbliche, sembrano di fatto ignorate da Cipriani, che continua ad aggirarsi tra i confratelli in abiti cardinalizi.

Primo Maggio senza congregazioni, ma con intensi conciliaboli

In questo clima di tensione, oggi, Primo Maggio, è saltato l’incontro ufficiale in Aula del Sinodo. Tuttavia, la mattinata libera ha favorito colloqui informali tra cardinali: un’opportunità preziosa per discutere lontano dai riflettori delle congregazioni. Uno dei temi più discussi, secondo fonti vaticane, è proprio la controversa presenza di Cipriani.

Le finanze vaticane e le eredità delle riforme di Francesco

Parallelamente, un altro tema preme nelle conversazioni riservate: la situazione economica della Santa Sede. Il rosso operativo del 2021 era stato di 77,7 milioni di euro e secondo alcuni prelati, la situazione non sarebbe migliorata negli anni successivi.

Tra gli interventi di ieri:

  • Il cardinale Reinhard Marx ha parlato delle sfide di sostenibilità economica;

  • Il cardinale Kevin Farrell del comitato per gli investimenti;

  • Il cardinale Christoph Schönborn ha relazionato sulla “banca vaticana”;

  • Fernando Vergez Alzaga ha fornito aggiornamenti sui lavori di ristrutturazione;

  • Konrad Krajewski, elemosiniere del Papa, ha esposto le attività caritative.

Secondo fonti interne, la Curia romana punta a proseguire le riforme di Francesco, mantenendo le bonifiche avviate, in particolare dentro lo Ior e nella gestione patrimoniale. Il cardinale Pietro Parolin, già Segretario di Stato, viene indicato come possibile guida di questa missione risanatrice.

Curiosità e anomalie: il “ringiovanimento” del cardinale Njue

Infine, tra le note curiose, si segnala l’assenza del cardinale John Njue, di Nairobi, che un anno fa risultava ringiovanito nell’Annuario Pontificio: il suo anno di nascita era stato aggiornato dal 1944 al 1946, permettendogli in teoria di partecipare al conclave. Ma problemi di salute lo hanno comunque escluso.

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Cronache

Chiara Ferragni diventa azionista di maggioranza, ma il brand è in crisi: “Un tentativo disperato”

Chiara Ferragni rileva le quote del suo marchio, ma secondo Selvaggia Lucarelli si tratta di una manovra per salvare un’azienda in crisi. La vera minaccia? La bancarotta.

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Chiara Ferragni ha annunciato con entusiasmo sul suo profilo Instagram di essere diventata azionista di maggioranza della Chiara Ferragni Brand, definendolo “un nuovo inizio”, “un gesto di responsabilità” e “la scelta di rimettere le mani sulla mia storia”. Ma dietro la patina da storytelling motivazionale si nasconde, secondo quanto ricostruisce Il Fatto Quotidiano in un articolo a firma di Selvaggia Lucarelli, una verità ben più amara: una crisi finanziaria profonda, seguita al crollo reputazionale legato al cosiddetto Pandorogate.

Il passaggio di quote, che ha visto Ferragni rilevare le partecipazioni di Paolo Barletta e quasi interamente anche quelle di Pasquale Morgese (rimasto con uno simbolico 0,2%), è stato reso possibile da un aumento di capitale da 6,4 milioni, sborsati direttamente dall’influencer. Una mossa orchestrata non da Ferragni in prima persona, ma dall’amministratore unico di Fenice, Claudio Calabi, esperto in ristrutturazioni aziendali, con il supporto dell’avvocato Giuseppe Iannaccone.

Un’operazione di salvataggio, non un rilancio

Secondo Lucarelli, questa non è una storia di emancipazione, ma di autosalvataggio: Ferragni è oggi l’unica disposta a investire nel suo marchio, perché nessun altro lo ritiene appetibile. “È come dire che un ristoratore è diventato il cliente numero uno del proprio locale perché gli altri non ci vogliono più venire”, scrive la giornalista.

Le perdite del 2024 superano i 10 milioni di euro, e Ferragni sta attingendo al proprio patrimonio personale per tenere in piedi l’azienda. Ma, tra la casa acquistata a City Life per 14 milioni, le spese legali, lo stile di vita sfarzoso e la gestione di una vita privata pubblica, i fondi potrebbero non bastare a lungo. Voci non confermate parlano di una possibile messa in vendita della casa, ipotesi smentita dal suo staff.

Il nodo delle licenze e la reputazione in frantumi

Il punto più critico riguarda però le licenze del brand: aziende come Safilo e Pigna chiedono conto delle perdite legate al marchio e ora i negoziati sono affidati a Calabi. In questo quadro, la comunicazione pubblica dell’influencer — ancora improntata a viaggi, look, sondaggi su Instagram — appare fuori fase e dannosa.

“Chi la aiuta le suggerisce il basso profilo, ma lei continua a vivere come se niente fosse accaduto”, osserva Lucarelli. E avverte: la vera minaccia è la bancarotta.

Un cambio di passo è ancora possibile?

Il grande punto interrogativo è sul futuro. Non basta l’apparizione in seconda fila alle sfilate o una copertina su Elle Romania. Servirebbe, scrive Lucarelli, una vera rivoluzione strategica e personale: niente più immagine da eterna adolescente digitale, ma un’autentica trasformazione in imprenditrice.

“Per risollevarsi”, conclude, “Chiara Ferragni avrebbe bisogno di iniziare a pensarsi oberata, e non più semplicemente ‘libera’ come da slogan sanremese”.

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Cronache

il giornalista Marc Innaro e la censura Rai: Russia demonizzata, Europa marginale

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Marc Innaro (foto Imagoeconomica in evidenza), storico corrispondente Rai da Mosca e oggi inviato dal Cairo, torna a parlare in un’intervista rilasciata a Il Fatto Quotidiano, affrontando con lucidità e tono critico le tensioni tra l’Occidente e la Russia, il suo allontanamento da Mosca e la crescente russofobia nelle istituzioni europee.

Dal 1994 al 2000 e poi dal 2014 al 2022, Innaro ha raccontato la Russia da dentro, cercando – come lui stesso dice – di “corrispondere” la realtà e il punto di vista di Mosca. Una scelta giornalistica che gli è costata accuse di filoputinismo e, di fatto, l’interruzione della sua esperienza russa da parte della Rai, ufficialmente per motivi di sicurezza legati alla nuova legge russa contro le “fake news”.

Ma Innaro contesta apertamente questa versione: “Quella legge valeva per i giornalisti russi, non per gli stranieri accreditati. Commissionai persino uno studio legale russo-italiano che lo dimostrò. Nessuno mi ascoltò”. A detta sua, la vera censura arrivava “non dai russi, ma dagli italiani”.

Nato, Ucraina e verità scomode

Un episodio televisivo emblematico segnò la sua posizione pubblica: una cartina sull’allargamento della Nato a Estmostrata in diretta al Tg2 Post, che gli offrì l’occasione per dire: “Ditemi voi chi si è allargato”. Una verità storica, sottolinea, che rappresenta “la versione di Mosca” e che fu raccontata anche da Papa Francesco, quando parlò del “latrato della Nato alle porte della Russia”.

Da lì in poi, dice Innaro, cominciò l’isolamento. Non gli fu consentito di intervistare Lavrov né di andare embedded con i russi nel Donbass, mentre altri inviati Rai furono autorizzati a farlo con le truppe ucraine, anche in territorio russo.

“La Russia non vuole invadere l’Europa”

Secondo Innaro, la narrazione di Mosca come minaccia globale è costruita ad arte: “La Russia è un Paese immenso con 145 milioni di abitanti. Come può voler invadere un’Europa da 500 milioni?”. L’obiettivo russo, dice, è sempre stato chiaro: la neutralità dell’Ucraina e il rispetto per le minoranze russofone.

Nel commentare le dichiarazioni dei vertici Ue e Nato, come quelle di Kaja Kallas o Mark Rutte, Innaro osserva che “alimentare la russofobia non aiuta a risolvere nulla” e ricorda che è grazie al sacrificio sovietico se l’Europa è stata liberata dal nazifascismo.

“L’Europa doveva includere la Russia”

La guerra, secondo Innaro, “diventa sempre più difficile da fermare”, anche per il consenso interno a Putin. Ma l’errore strategico dell’Occidente, dice, è stato non costruire una nuova architettura di sicurezza con la Russia dopo la Guerra Fredda: “Abbiamo più in comune con i russi che con altri popoli. Ma ora i 7/8 del mondo si riorganizzano e l’Europa resta ai margini”.

Un’analisi lucida e controcorrente, che rimette in discussione molte certezze del racconto dominante.

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