I giornalisti e critici musicali, in questi tre gioni di festival, sono stati molto fiscali nei loro giudizi in netta contrapposizione con le preferenze del pubblico. I più scaricati sulle piattaforme digitali sono stati Shade e Federica, poi Irama, Ultimo e Simone Cristicchi.
Federica e Shade sono stati criticati dai giornalisti per la loro canzone, non è piaciuto ai rappresentanti dei media che forse non l’hanno tenuta in considerazione.
Shade, in un post pubblicato su instagram, non ha battuto ciglio e ha replicato alle critiche dicendo che le accetta ma non tollera di essere colpito a livello personale.
Il pubblico comunque per loro ha un attenzione particolare: i due piacciono e ciò trova riscontro proprio dai social dove il loro brano risulta fra i più scaricati ed anche il loro video è quello più visto su YouTube.
Stasera i due ragazzi saranno di nuovo sul palco dell’Ariston, faranno con la loro canzone un duetto con Cristina D’Avena che risulta essere la prima sostenitrice dei due giovani.
«Un testamento? Ah ah, non direi proprio! Sono viva e vegeta». Esordisce così Patty Pravo(Foto Imagoeconomica in evidenza)– erre arrotata e ironia tagliente – nella lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera. A 76 anni, la regina ribelle della musica italiana non smette di stupire: in questi giorni è tornata con un nuovo singolo a sorpresa, dal titolo inequivocabile: Ho provato tutto. Un brano intenso, autobiografico, prodotto da Taketo Gohara e scritto da Francesco Bianconi, leader dei Baustelle.
«È un bilancio, non un addio»
«Il brano è un bilancio – spiega Patty – racconta realmente tutto ciò che ho vissuto, sempre nel segno della libertà». Libertà che ha guidato ogni sua scelta, anche musicale: «Non mi sono mai fermata a un solo genere. Ho fatto di tutto, dal pop all’elettronica, dal rock al blues. E anche quando la critica storceva il naso, me ne fregavo altamente».
«Le droghe? Sì agli acidi, ma niente cocaina o eroina»
Nel brano cita l’Lsd, e alla domanda se abbia davvero “provato tutto”, risponde senza filtri: «Tutte no, non sono scema. Mi sono divertita con hashish e acidi, ma non ho mai avuto il gusto dell’autodistruzione. La cocaina e l’eroina le ho sempre evitate. L’eroina ha fatto danni incalcolabili alla mia generazione».
PATTY PRAVO CANTANTE
«Amori, orgie, e cinque matrimoni felici»
Sulla vita sentimentale non si nasconde: «Mi sono sposata cinque volte, ma sono stata innamorata di tutti gli uomini con cui sono stata. Erano quasi tutti musicisti, con loro avevo una sintonia speciale». E smentisce il gossip di essere stata la “Yoko Ono dei Pooh”: «Io non c’entravo nulla con l’addio di Riccardo Fogli, avevano problemi interni».
«Jimi Hendrix in 500, gli Stones da Schifano. E ora chatto con Madonna»
Patty rievoca aneddoti impagabili: da un giro per Roma in 500 con Jimi Hendrix “pieni di fumo” («ci salvò il fatto che mi riconobbero») agli incontri al Piper con Pink Floyd e Who, fino all’intimità con Keith Richards e Anita Pallenberg: «Lui ha davvero provato tutto e gli è andata bene».
Oggi? «Chatto spesso con Madonna. Mi ha cercato lei su Instagram. Ci raccontiamo le nostre vite, sarebbe bellissimo incontrarci di persona».
«Sanremo? Pazza di Lucio Corsi. L’amore? Ora basta così»
Del Festival ha ascoltato poco, impegnata in tv, ma ha un nome nel cuore: Lucio Corsi. «Ha un’inventiva meravigliosa. Farà una carriera formidabile». Quanto all’amore, è single per scelta: «A quest’età non ho più nulla da chiedere. Sono a posto così».
«La vita mi sorprenda. Io l’aspetto a braccia aperte»
E cosa manca da fare a chi ha davvero provato tutto? Patty risponde come solo lei sa fare: «Voglio che la vita mi sorprenda. Mi prenderò tutto quello che viene, così come viene».
L’ultimo disco, Alaska Baby, è un successo. Il tour previsto per l’estate registra stadi già pieni. Eppure Cesare Cremonini, 45 anni, guarda al presente con uno sguardo che mischia orgoglio, malinconia e consapevolezza. In una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera, l’artista bolognese si apre con sincerità, raccontando la sua storia, il suo percorso e le sue ferite.
«Ho sofferto, ho vissuto, ma oggi voglio assaporare il tempo»
«Non mi sento in credito, ma neanche in debito. Ho lottato e vissuto per questo», confessa Cremonini. Il successo, per lui, è un punto di partenza, non di arrivo. Oggi desidera “la campanella dell’intervallo”, il tempo per assaporare ciò che ha costruito: «La mia mente si espande solo nel confronto con chi è diverso da me. Le cose più belle nascono dal contatto o dallo scontro».
«La musica? Radici profonde. E non temo di invecchiare»
Sono passati venticinque anni dal debutto con i Lùnapop, e Cesare li celebra con uno sguardo lucido: «Volevo fare questo da sempre. Guardavo Fantastico, Quelli della notte e sognavo il palcoscenico. Oggi mi alzo all’alba, scrivo, cammino. Bologna mi protegge. L’ultima volta ho incontrato Vasco Rossi sotto i portici: mi ha detto che camminare è fondamentale. Aveva ragione».
«La malinconia nei miei occhi? È il cuore il mio centro»
Tra le righe dell’intervista emerge una profonda consapevolezza emotiva. «Nella mia vita ho conosciuto il dolore», dice. «Invece di incattivirmi, sono diventato cardiocentrico. Il cuore è il punto di incontro con la vita e con gli altri». Ma non tutto può o deve essere svelato: «Il pubblico è parte dell’opera, ascolta anche con gli occhi. E sa proteggerti».
«L’amore? Un trono ancora vacante»
Alla domanda sull’amore risponde con delicatezza: «Il mio trono è ancora libero. Vivo l’amore come una forma d’arte, ma non sono superficiale. Le sovrastrutture ci proteggono, ma non ci definiscono». Il dolore, per lui, è “elemento di connessione”, una materia con cui ha imparato a cucire l’anima.
«Il mio viaggio? Dai Lùnapop a Bob Dylan, passando per Pasolini»
L’infanzia, racconta, è stata felice, «ma non semplice». Cresciuto in una famiglia particolare, con un padre anziano e una madre molto più giovane, Cesare custodisce ricordi intimi e profondi, come le notti sotto le coperte con il fratello, a sbirciare il buio. E poi la musica: a 13 anni decide che va cantata in italiano, come i suoi miti: Battisti, Dalla, De Gregori, Vasco.
Il vero punto di svolta arriva però dopo il successo dei Lùnapop. «Mi tagliai i capelli rossi e partii: Argentina, New York, Bob Dylan, Pasolini, Gaber. Quando tornai, portavo con me “Maggese”». Un disco ignorato all’epoca, ma che oggi molti considerano una pietra miliare della sua maturità artistica.
«Mi hanno detto: “Non ti paghiamo per questo”. Ma sono andato avanti»
Dopo il grande successo giovanile, Cremonini affronta un decennio difficile. «Quattro album e tour con pochissimi paganti». Ma non si è mai arreso. «Con La teoria dei colori, nel 2012, ho ritrovato il mio pubblico. E insieme abbiamo ricominciato». Un percorso che lo ha portato a riempire gli stadi, come sognava. «Nessuno ce la fa due volte? Io sì, con i miei sogni ancora intatti».
«I numeri non contano. Conta l’anima delle canzoni»
Sui numeri, Cesare è netto: «Oggi i clic hanno svuotato il significato delle certificazioni». La musica, per lui, è ben altro. Una connessione umana, non un algoritmo. Per questo non teme la nuova generazione: «Li seguo e li ammiro. Ma non li invidio. Devono capire il valore del tempo e imparare a farsi le domande giuste».
«Il Cesare dei Lùnapop c’è ancora. Esce solo sul palco»
E quel ragazzino dai capelli rossi? «È chiuso in una gattabuia della mia anima. Ma lo faccio uscire quando salgo sul palco. Quando sento il boato del pubblico, lui è con me».
Ci sono l’ormai famoso amico fotografo di Volpiano Francis Delacroix, Rocco il bullo delle scuole medie, il Re del rave che ‘viaggia in treno ma in bagno’ e tanti altri personaggi, veri e immaginari, in “Volevo essere un duro” (Sugar Music), il nuovo album di Lucio Corsi che il cantautore-rivelazione dell’ultimo Sanremo ha presentato oggi a Milano con uno showcase. “”Volevo essere un duro” – racconta l’artista toscano, arrivato secondo al festival, dove ha anche vinto il premio della critica – è un disco che parla di infanzia, di amicizia e di amore. È un disco di ricordi veri e falsi, di personaggi del bene e del male, di località, che esse siano prati di margherite o squallide zone industriali”.
“In questo album – sottolinea conversando con la stampa tra un brano e un altro – ho cercato una trasformazione soprattutto a livello testuale, cercando di non staccare più di tanto i piedi da terra. Ho cercato di cantare in maniera chiara e diretta di persone. “Volevo essere un duro” è nato strisciando sui marciapiedi, nascondendomi negli armadi o sotto le zampe dei tavoli, girando tra i panni sporchi nelle lavatrici, appendendomi con le mollette ai capelli ai panni stesi, cercando ricordi non miei nei cappelli degli altri, cercando nuovi orizzonti nelle scarpe degli alti”.
Così, “dopo circa due anni ho trovato nove canzoni diverse e le ho convinte ad andare ad abitare nello stesso palazzo”. Un disco dove sono forti i richiami a Lucio Dalla, Edoardo Bennato, Ivan Graziani e al loro modo di creare delle canzoni-racconto, dove tutto si tiene, dal blues di ‘Let there be rocko’ allo stile anni 60-70 di ‘Questa vita’ fino alla “lunga coda di pianoforte sull’autostrada della luna” del brano “Nel cuore della notte”. Tutti i 9 brani sono stati scritti da Lucio e Tommaso Ottomano “che è un po’ più di un fratello per me, ci teniamo l’un l’altro – racconta Lucio – coi piedi per terra. E poi veniamo tutti dalla zona dove gli alberi nascono e si scavano la fossa: rimangono coi piedi per terra, sbirciano il più in alto possibile durante la loro vita e poi si scavano la fossa proprio lì dove sono sbocciati. Questo già di per sé è un insegnamento: l’importante è essere concentrati sulla musica, sulle cose che mi hanno guidato fin qui e cui tengo”.
Con lo stesso spirito con cui ha affrontato l’Ariston, il cantautore a maggio rappresenterà l’Italia all’Eurovision di Basilea. “Con Tommaso ci avevamo pensato ed eravamo d’accordo che già che eravamo in ballo, avremmo continuato – spiega – a ballare, ma sulla stessa linea di Sanremo, niente fronzoli o fuochi d’artificio, andremo diretti e scarni, al massimo porterò l’armonica”. Tutta altra musica per il “Club Tour 2025”, in partenza il 10 aprile, già tutto esaurito, e le 25 tappe del tour “Estate 2025”, cui si aggiungono gli Ippodromi di Roma e Milano (21 giugno al Rock in Roma, Ippodromo delle Capannelle e 7 settembre al Milano Summer Festival, Ippodromo Snai San Siro). “Non vedo l’ora, anche perché sarò con la stessa banda con cui suono dal liceo” dice Lucio, che per gli ippodromi promette un live molto rock’n’roll in versione allargata con fiati, cori e percussioni, “ma sempre con gli stessi ragazzi con cui facciamo concerti da sempre”.
Ed è in questa sincerità, forse, la chiave del successo di questo 31enne che per fare musica ha dovuto lasciare l’amata Maremma: “In provincia si respira pace, che è noia, e viceversa, è un equilibrio sottile ma sono fortunato ad essere cresciuto in campagna, prima o poi devi fare i conti con la noia e il silenzio ed è fondamentale – sottolinea – per fuggire con l’immaginazione”, come invitano a fare i suoi brani. Un’innocenza tale che non cade nella polemica lanciata dal marionettista e attivista rom Rasid Nikolic, che riascoltando Altalena Boy si è lamentato dell’uso della parola ‘zingari’. Perché in fondo – ricorda Corsi – il lavoro di un cantastorie è proprio quello di “raccogliere le voci di piazza e metterle in una canzone”.