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Salvini si smarca su Trump: toni sinistra armano violenza

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La politica italiana reagisce all’attentato a Donald Trump con un coro unanime di condanna. Difendere la democrazia dalla violenza è l’imperativo comune ai messaggi che giungono da ogni schieramento. L’invito bipartisan è ad abbassare i toni del confronto politico. Invito che diventa avvertimento, nelle parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, secondo cui “l’intollerabile gesto di odio” di Butler è “motivo di grave allarme e forte indignazione”. Per il capo dello Stato, la violenza che torna a manifestarsi in ambito politico è lo “sconcertante sintomo di deterioramento del tessuto civile e del pericoloso rifiuto del confronto, del dialogo, del rispetto della vita democratica”.

Per la premier Giorgia Meloni “nel dibattito politico, in tutto il mondo, ci sono limiti che non dovrebbero mai essere superati”. Monito che per la presidente del Consiglio vale per tutti, “indipendentemente dallo schieramento politico”. Voce fuori dal coro è invece quella del vicepremier Matteo Salvini, che punta il dito contro gli avversari politici, da una parte all’altra dell’Atlantico. “I toni violenti della sinistra rischiano di armare le mani di deboli di mente”, dice quando è chiamato a commentare gli spari in Pennsylvania. “È successo negli Usa, era capitato anche in Italia contro Berlusconi”, aggiunge. Il leader della Lega passa dagli Stati Uniti all’Italia, citando anche altri leader vittime di episodi di violenza, come l’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro e il presidente slovacco Robert Fico.

“Spero che questo episodio – dichiara -serva a qualcuno che semina parole di odio e di cattiveria contro le destre, i fascisti, i razzisti”. Chiaro l’obiettivo della sortita del vicepremier: le sinistre globali, attaccate nell’occasione anche da altri leader di destra, da Santiago Abascal a Javier Milei. E Salvini non evita di chiamare in causa le opposizioni in Italia, quando parla di idee diverse “sul premierato, sull’Autonomia, sull’immigrazione o sulla giustizia”. Ma anche quando si scaglia contro i toni usati sui “candidati di destra alle europee” o contro le “polemiche folli, e rabbiose” sull’intitolazione di Malpensa a Silvio Berlusconi. “Violenti, fanatici e sinistra non fermeranno mai noi e le nostre idee di libertà”, scrive in un post in cui cita quel “non ci arrenderemo mai” pronunciato da Trump stesso.

Il ministro leghista aveva sottolineato il suo endorsement al candidato repubblicano alla casa Bianca solo poche ore prima dell’attentato. Poche ore dopo, lo rinforza. “Penso di essere uno dei pochi, se non il solo, ai massimi livelli in Italia, a sostenere da tempo l’utilità di una vittoria di Donald Trump per gli equilibri mondiali”, dichiara. Marcando così l’ennesimo distinguo all’interno del centrodestra sulla politica estera. Uno smarcamento che si somma a quelli dei giorni precedenti, quando è cresciuto il pressing di alcuni parlamentari leghisti su un incontro di coalizione. A chi avanza ipotesi su vertici o incontri di maggioranza, dalla parti di Fratelli d’Italia si rimanda al confronto in Consiglio dei ministri.

Mentre il capogruppo al Senato Lucio Malan, sull’attentato a Trump, taglia corto: “i seminatori di odio vanno condannati e isolati a prescindere dal loro colore politico”. In FdI si registra un palpabile fastidio suscitato dalle ultime uscite di Salvini. Anche se si preferisce evitare la polemica, soprattutto in vista della partita cruciale che la presidente del Consiglio dovrà giocare nei prossimi giorni a Bruxelles sui ‘top jobs’ in Ue. Tra le fila delle opposizioni, invece, l’attacco di Salvini alla sinistra produce qualche critica. Per Angelo Bonelli di Avs, la parole del vicepremier sono “il classico esempio di quello che la politica non dovrebbe fare”. “Salvini – aggiunge – ha dimostrato ancora una volta quanto è irresponsabile”. Per la senatrice del Pd Enza Rando “chi ha sparato a Trump era un militante di destra, pro armi”. Su un “episodio gravissimo”, spiega, “sarebbe meglio tacere piuttosto che strumentalizzare”.

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Folla commossa a Santa Maria Maggiore per salutare Papa Francesco

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All’alba, una lunga coda si era già formata davanti alla Porta Santa della basilica di Santa Maria Maggiore, dove è sepolto Papa Francesco. Ad aprire i cancelli, alle 7 in punto, è stato il rettore della basilica, il cardinale Rolandas Makrickas, che con emozione e un sorriso ha accolto i primi fedeli. Un’affluenza straordinaria che testimonia l’enorme affetto verso il Pontefice che ha scelto come ultima dimora il cuore multietnico dell’Esquilino.

Trentamila fedeli in poche ore

Alle 14, i visitatori erano già 30mila, e si prevede che a fine giornata possano raddoppiare. Famiglie, religiosi, scout e cittadini da ogni parte del mondo hanno reso omaggio a Francesco, il Papa dei poveri e della semplicità. La gente dell’Esquilino si è stretta attorno alla basilica, orgogliosa di avere come “vicino di casa” un Pontefice amato universalmente.

Le testimonianze di una devozione senza confini

Tra i tanti fedeli, Maria arrivata da Agrigento ha sottolineato la semplicità della tomba, specchio dello stile di Francesco. Florentine, da Grenoble ma originaria del Benin, ha parlato di una “grande emozione”. Roberto, romano e ateo, ha ricordato una frase che lo aveva colpito: «È meglio vivere da ateo che vivere da cristiano e parlare male degli altri». Dalla Finlandia, Sinika ha definito Francesco “il miglior Papa che i poveri possano avere”, fiera di indossare una maglietta con il suo ritratto.

Il ricordo che si fa simbolo

Nel quartiere, il volto di Francesco campeggia tra le vetrine, mentre striscioni di ringraziamento spuntano sui palazzi. Nella basilica, intanto, le celebrazioni liturgiche si alternano alla lunga processione dei fedeli: messe solenni, canti e l’omaggio di oltre cento cardinali. I tempi di attesa sono lunghi, ma il desiderio di sostare anche solo pochi secondi davanti alla lapide di “Franciscus” è fortissimo.

Roma prepara un afflusso senza precedenti

La fila continuerà oggi fino alle 22 e riprenderà domani mattina. Il sindaco Roberto Gualtieri ha annunciato una pianificazione straordinaria per gestire l’enorme afflusso di pellegrini: «Mercoledì ci sarà una riunione in Prefettura per organizzare al meglio l’accoglienza». Intanto, la rosa bianca – fiore caro a Francesco per la sua devozione a Santa Teresina – è diventata il simbolo silenzioso di questo tributo d’amore.

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Referendum e regionali, la sfida delle opposizioni

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Per le opposizioni, le regionali saranno il “test prima delle politiche”. La definizione è del presidente Pd Stefano Bonaccini. La tornata d’autunno, quindi, come un esame di compattezza, come una prova di forza per vedere se nel 2027 il centrosinistra potrà evitare il Meloni bis. Al voto andranno: Marche, Veneto, Campania, Puglia, Toscana e Valle d’Aosta. Le prime due sono governate dal centrodestra, le altre dal centrosinistra. Qualche mese prima, l’8 e 9 giugno, ci sarà un altro esame: i cinque referendum su lavoro e cittadinanza. Le opposizioni si stanno spendendo anche per quelli, specie Pd, M5s e Avs, mentre i centristi sono meno partecipi. Già raggiungere il quorum del 50% dei votanti farebbe ben sperare il fronte dei sostenitori dei “sì”.

In vista delle regionali, per il momento il lavoro dei partiti d’opposizione è orientato soprattutto alla definizione delle coalizioni. L’obiettivo della segretaria Pd Elly Schlein è rodare lo schieramento, nell’auspicio che sia il più largo possibile e che si presenti nel maggior numero possibile di Regioni. Sui nomi dei candidati i giochi sono fatti solo nelle Marche, dove per la carica di governatore corre l’eurodeputato Pd ed ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci: l’alleanza è in via di costruzione, ma c’è la speranza che alla fine possa comprendere sia il M5s sia i centristi. In Puglia dovrebbe essere in campo l’altro eurodeputato Pd ed ex sindaco di Bari Antonio Decaro. L’accoppiata Pd-M5s parte in discesa, visto che ha già fatto le prove con la giunta ora guidata da Michele Emiliano.

In Toscana, il trascorrere del tempo fa crescere le quotazioni di una ricandidatura del governatore uscente Eugenio Giani, del Pd, già alleato a Iv, che auspica di imbarcare anche M5s e Avs. Mentre Azione ha già dato il suo placet. Giochi aperti in Campania, dove Pd e M5s stanno lavorando al candidato, che potrebbe essere l’ex presidente della Camera Roberto Fico. In ballo c’è anche l’attuale vicepresidente di Montecitorio Sergio Costa.

Entrambi sono del M5s. Fico sembra favorito, anche se per adesso è “bloccato” dal limite dei due mandati: la Costituente del Movimento ha dato indicazione di togliere il vincolo, ma ancora devono essere definiti i criteri, che dovranno passare la vaglio del voto degli iscritti. Sembrava che la chiusura dell’iter potesse arrivare prima di Pasqua. I tempi, comunque, dovrebbero essere maturi. Resta in ogni caso da capire quali saranno le indicazioni del governatore uscente Vincenzo De Luca. Partita aperta in Veneto, dove il centrosinistra è alla ricerca del candidato, che potrebbe essere sostenuto sia da Pd sia dal M5s.

Dinamica a sé in Valle D’Aosta, dove il voto è sostanzialmente proporzionale: spetta poi agli eletti formare una maggioranza in consiglio regionale e individuare il governatore. La prima prova generale delle opposizioni, però, ci sarà fra un mese e mezzo, con i referendum sul lavoro promossi dalla Cgil, che sostanzialmente aboliscono il jobs act, e quello per rendere più facile l’acquisizione della cittadinanza promosso da un comitato con Più Europa. Pd e Avs hanno dato indicazione per cinque sì. Quattro sì per il M5s, che lascerà libertà di coscienza sulla cittadinanza. Per una volta, indicazioni analoghe da Azione e Iv: “sì” solo alla cittadinanza, “no” agli altri.

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‘Commemorazione di Gramsci, bandiere rosse vietate’

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“Bandiere rosse vietate alla commemorazione di Antonio Gramsci”. Lo sostiene Rifondazione comunista, in una nota firmata dal co-segretario della federazione romana del partito, Giovanni Barbera. Lo stop sarebbe stato dato dalla direzione del Cimitero Acattolico di Roma, dove riposano le spoglie di Gramsci.

“Durante la commemorazione dell’anniversario della morte di Antonio Gramsci – scrive Barbera – si è consumato un atto di censura senza precedenti. Per la prima volta, in decenni di celebrazioni, è stato impedito l’ingresso delle nostre bandiere rosse, che da sempre, nel rispetto della memoria storica, hanno accompagnato il ricordo di Gramsci”. La spiegazione del divieto, continua Barbera, offerta dalla direttrice del cimitero è stata che “il colore rosso sarebbe divisivo”.

Arrivando così a vietare “perfino l’uso di un semplice drappo rosso, senza scritte né simboli”. Alla cerimonia – hanno raccontato altri presenti – ha partecipato almeno un centinaio di persone. Fra loro molti esponenti politici, con delegazioni anche del Pd (composta da Cecilia D’Elia, Michele Fina, Roberto Morassut, Andrea Casu ed Eugenio Marino) e di Sinistra Italiana (guidata da Marilena Grassadonia). Una commemorazione “partecipata, più degli anni passati, e tranquilla – è stato il racconto – che si è chiusa con l’esecuzione di un brano musicale”.

Fra i rappresentanti delle altre forze politiche c’è chi ha confermato che è stato chiesto di non portare bandiere di partito nel cimitero, senza però che questo abbia sollevato particolari polemiche. Qualcuno aveva la bandiera della pace, mentre simboli e nomi delle forze politiche erano comunque presenti sugli omaggi lasciati sulla tomba di Gramsci: mazzi di fiori e corone. Dura, invece, Rifondazione comunista: “Negare la presenza dei nostri simboli alla commemorazione di Antonio Gramsci (uno dei più grandi pensatori del Novecento, fondatore del Partito Comunista d’Italia e martire del fascismo) nel giorno della sua morte, è un atto di ignominia che merita la più dura condanna”.

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