Mentre la pandemia è ancora in corso in tutto il mondo,come preannunciato dalle pagine di questo giornale, anche la contrazione del trasporto aereo inizia ad entrare nel vivo. Così in queste ore drammatiche assistiamo ad una vicenda sindacale tra Ryan Air ed i suoi dipendenti che segnerà un prima e un dopo non solo nella storia della compagnia irlandese che, nata nel contesto di liberalizzazione del mercato del trasporto aereo “Open Sky”, grazie ad una politica di mercato cinica ma assolutamente efficace, in pochi anni dalla sua fondazione ha potuto raggiungere le migliori compagnie del mondo per solidità ed efficienza.
Sarebbe una storia a lieto fine, o meglio, con un fine, ma siamo in Europa e quindi anche questa vicenda rimane assolutamente inattuata, prigioniera anch’essa di una visione comunitaria che non si compie. Già perché se la compagnia con sede legale in Irlanda si muove in un contesto di libero mercato, arruolando il suo personale sia di terra che di bordo con contratti e tutele lavorative che fanno rabbrividire i maggiori sindacati europei, dall’altro non si avvantaggia di protezioni nazionali, recte, aiuti di stato, che seppur vietati nella contraddittoria U.E., di fatto sono stati sempre sistematicamente destinati alle compagnie di bandiera dai loro Stati di riferimento. L’irrisolto “caso Alitalia” ne è un (triste) esempio.
E vendiamo al caso di oggi. L’appena trascorso Venerdì 08/05/2020, i dipendenti con contratto di lavoro a titolo subordinato diRyan Air, tra cui personale di volo di ormai lungo corso, ricevono una nota aziendale la quale comunica “papale papale” che a causa della crisi dovuta dalla pandemia, la società datrice di lavoro per restare competitiva “chiede”, ma in effetti impone ai propri dipendenti,un taglio dello stipendio del 20% . Detto fatto e così avvia una trattativa sindacale con prevista teleconferenza da concludere entro il 12/05/2020, quindi il martedì seguente.
Per i contractor, ossia i lavoratori che lavorano sostanzialmente a “cottimo”, le cose vanno anche peggio, perché in questo caso, tali figure professionali praticamente prive delle “normali” tutele sindacali (si compensa tutto in quattrini e quindi con la stessa opportunità di lavorare), hanno l’obbligo di accettare la “nota” di revisione contrattuale da restituire con apposizione di esplicita approvazione entro il successivo 12/05/2020, con la specifica che in caso di mancato riscontro il rapportocontrattuale… si intenderà risolto. Tant’è, prendere o lasciare, ma forse sarebbe il caso di dire “ingoiare o non volare”.
Ryanair. La compagnia aerea low cost con sede in Irlanda
Orbene, a parte la tempistica che sarebbe stata imposta per la risposta (quattro giorni a cavallo di un intero week end) quello che appare oltremodo singolare è come la società non palesi gravissime motivazioni del caso, come ad esempio una prospettazione su di un imminente crack finanziario che avrebbe potuto, questo sì, in parte giustificare il ricorso ad un’azione tanto forte ed il cui peso viene posto esclusivamente sulle “ali” dai lavoratori. Eppure qualche settimana fa “Ryan Air” comunicava di avere in cassa liquidità per mesi, e quindi avrebbe avuto la possibilità di meglio fronteggiare la crisi in corso, a differenza delle concorrenti europee. Forse un buon modo per rassicurare gli investitori in un momento tanto delicato.
Ma non è tutto. Desta ancora perplessità come una tale iniqua prospettazione venga sostanzialmente imposta senza indicare un congruo limite temporale, che poteva essere sicuramente ancorato al concreto evolversi della pandemia e quindi all’analisi certa dei suoi reali effetti. Eppure il taglio del 20% vuole essere imposto per i prossimi cinque anni. Sarebbe stata forse accettabile una possibile diminuzione salariale nell’attualità della difficoltà economica, e quindi poter concertarla al massimo per i prossimi due – tre mesi, ma salvo poi riaggiornare la trattativa al trascorrere della stagione estiva, con dati alla mano ed indicatori finanziari quindi certi.
Ryanair. Sciopero del personale 25 e 26 luglio
Ma tanto basta al vettore irlandese per preannunciare di fatto un licenziamento a fronte della mancata accettazione di una riduzione contrattuale che così si palesa sproporzionata e rimandata alla generica perdita di competitività. Se tale comunicazione fosse stata fatta da Alitalia, con tali motivazioni e soprattutto tali tempistiche, sarebbe stata sicuramente sommersa da critiche (sicuramente condivisibili) provenienti da ogni parte del nostro paese e forse dal mondo intero.
Eppure anche la vicenda in corso con Ryan Air tocca parimenti migliaia di lavoratori italiani che nel nostro paese lavorano in modo stabile per la società con sede legale a Dublino. E poco o niente si sente dai media, salvo la disponibilità dell’attenzione di canali di comunicazione senza padroni come appunto Juorno, che ci ospita in modo libero dando forza alle nostre denunce e vertenze in favore delle parti più deboli.
In una Europa che da un lato incita al libero mercato di stampo capitalista U.S.A., mentre dall’altro lascia agli Stati membri la possibilità dell’assistenzialismo nazionale che è la negazione della medesima politica comunitaria, non potranno che continuare a generarsi insanabili contrasti in ogni campo, non soloeconomici ma anche sociali. Il che tradisce anche lo spirito dell’Unione sempre più lontana dai veri valori dei padri fondatori che così non ne stimola la crescita, perché manca la vera condivisione dell’oggi e la chiara visione del domani.
Come sempre a pagare le conseguenze di tale confuso contesto potrebbero continuare ad essere i lavoratori ma dalla Giustizia europea qualcosa di importante si è mosso già da qualche tempo. Nell’anno 2017 infatti è stato riconosciuto un importante principio destinato a cambiare l’intera storia giuridica del Diritto dei Lavoratoridell’Unione, laddove la pronuncia resa dalla Corte di Giustizia Europea nella causa intercorsa proprio tra dipendenti di “Ryan Air” di diverse nazionalità e la medesima compagnia irlandese, ha visto riconoscere ai primi la giurisdizione del giudice nazionale a fronte del giudice irlandese invece invocato dalla datrice di lavoro. Quindi ogni dipendente italiano di Ryan Air, che in Italia presta il proprio servizio prevalente, potrà adire il Giudice nazionale e qui convenirla in giudizio, così potendo contare quantomeno si di un accesso alla giustizia più diretto e sicuramente meno dispendioso, il che di questi tempi, non è cosa da poco.
Mediobanca lancia offerta su Banca Generali: nasce un colosso del Wealth Management
Mediobanca offre la propria partecipazione in Generali per acquisire Banca Generali e rafforzarsi nel Wealth Management con 210 miliardi di attivi in gestione.
Mediobanca ha ufficialmente lanciato un’offerta pubblica di scambio sul 100% di Banca Generali, proponendo al Leone di Trieste la propria partecipazione azionaria in cambio della controllata specializzata nel settore del risparmio gestito. L’operazione, annunciata attraverso una nota ufficiale, comporta per Mediobanca la cessione della sua quota in Generali e un simultaneo investimento in Banca Generali per un valore complessivo di 6,3 miliardi di euro.
Evoluzione del rapporto tra Mediobanca e Generali
Secondo quanto precisato da Piazzetta Cuccia, questa mossa rappresenta un cambiamento strategico nei rapporti tra Mediobanca e Generali: da un semplice legame finanziario si passa a una “forte partnership industriale”, segnando una nuova fase di collaborazione tra i due gruppi.
Obiettivo: la leadership nel Wealth Management
L’operazione permetterà a Mediobanca di rafforzare notevolmente la propria presenza nel settore del Wealth Management. Una volta completata l’aggregazione, il gruppo potrà contare su attivi in gestione pari a 210 miliardi di euro, ricavi per circa 2 miliardi e una capacità di crescita stimata in oltre 15 miliardi annui. Un passo decisivo che conferma la volontà di Mediobanca di posizionarsi come leader di mercato in un settore strategico e in forte espansione.
In Italia sale il rischio di povertà tra le persone che lavorano anche se impegnate a tempo pieno: nel 2024 gli occupati con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale al netto dei trasferimenti sociali sono il 9%, in aumento dall’8,7% registrato nel 2023. Una percentuale più che doppia di quella della Germania (3,7%). E’ quanto emerge dalle tabelle Eurostat appena pubblicate secondo le quali, invece, sono il 10,2% i lavoratori di almeno 18 anni occupati per almeno la metà dell’anno (sia full time che part time) a rischio povertà, anche questi in aumento rispetto al 9,9% del 2023 .
In Spagna la percentuale dei lavoratori impegnati full time poveri è del 9,6% mentre in Finlandia è al 2,2%. Per chi lavora part time la percentuale di chi risulta povero in Italia nel 2024 risulta in calo dal 16,9% al 15,7%. La povertà lavorativa sale in Italia soprattutto per i lavoratori indipendenti, tra i quali il 17,2% ha redditi inferiori al 60% di quello mediano nazionale (era il 15,8% nel 2023) mentre per i dipendenti la quota sale all’,8,4% dall’8,3% precedente. In Germania la quota degli occupati over 18 in una situazione di povertà è diminuita dal 6,6% al 6,5% mentre in Spagna è diminuita dall’11,3% all’11,2%. Soffrono in Italia di questa condizione soprattutto i giovani: tra i 16 e i 29 anni è povero l’11,8% degli occupati mentre tra i 55 e i 64 anni è il 9,3%. Nella povertà lavorativa conta il livello di istruzione.
Tra i lavoratori che hanno fatto la sola scuola dell’obbligo in Italia si registra un 18,2% di occupati poveri (era il 17,7% del 2023) mentre la percentuale crolla tra i lavoratori laureati, tra i quali solo il 4,5% risulta con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale. Ma in questo caso si registra un importante aumento, visto che la percentuale era al 3,6% nel 2023. Si registra invece un lieve calo della povertà tra gli occupati che hanno un diploma con il 9,1% in difficoltà nel 2024 a fronte del 9,2% dell’anno precedente.
Da lunedì i soci di Banco Bpm potranno aderire all’offerta di Unicredit ma in questo momento tutti si chiedono se conviene, gli azionisti di Piazza Meda, la Borsa e lo stesso Andrea Orcel, il ceo di Piazza Gae Aulenti. Agli azionisti converrebbe vendere sul mercato. Per ciascuna azione di Bpm consegnata, che nell’ultima seduta di Borsa valeva 9,74 euro consegnata, si ricevono 0,175 azioni UniCredit (che venerdì valevano 50,87 euro), uno sconto che va oltre l’8 per cento. Improbabile un rialzo di prezzo ora che Unicredit deve fare i conti con i paletti imposti dal governo e con l’acquisizione di Anima che senza il Danish Compromise – una normativa europea che consente alle banche di acquisire assicurazioni con un minor assorbimento di capitale – pesa sull’indice patrimoniale di Banco Bpm e la rende meno attraente. L’offerta però resterà aperta fino al 23 giugno e nel frattempo Unicredit cerca un dialogo con il governo.
Le prescrizioni, tra cui il mantenimento del rapporto prestiti/depositi in Italia, le filiali di Banco Bpm in Lombardia e l’uscita dalla Russia entro il gennaio 2026, hanno un impatto che gli analisti di Jp Morgan hanno provato a calcolare: cento milioni di minori sinergie sui ricavi derivanti dalla stabilità del rapporto prestiti/depositi; 47 punti base di impatto CET1 derivante dall’uscita dalla Russia equivalente a 1,4 miliardi di capitale; 300 milioni di minori sinergie sui costi su un totale di 0,9 miliardi di euro. E in caso di inadempimento o violazione delle prescrizioni, secondo indiscrezioni, rischierebbe una multa compresa tra 300 milioni e 20 miliardi di euro. La normativa stabilisce infatti che la sanzione amministrativa possa arrivare fino al doppio del valore dell’operazione, e non sia inferiore all’1% del fatturato cumulato dell’ultimo esercizio approvato. Mentre Orcel si interroga se ne valga la pena, le tecnicalità vengono portate avanti e dopo una lunga istruttoria il 24 aprile è stato notificato alla DG Competition l’operazione di fusione e una risposta è attesa entro il 4 giugno.
“Data la forte complementarietà, presumiamo che non vi sia alcun piano di riduzione degli sportelli di in Lombardia”, sottolineano gli analisti di Jp Morgan, ricordando che Banco Bpm ha una quota di mercato del 13% contro il 6% di Unicredit. Resta in ogni caso sotto la soglia del 25% richiesta dall’Antitrust europeo. Il gruppo combinato avrebbe quote di mercato in eccesso solo in Sicilia (27%); raggiungerebbe il 24% in Val d’Aosta e Molise, il 23% in Piemonte, il 21% in Veneto e Lazio. La via del dialogo va percorsa, anche se il ministro Giancarlo Giorgetti tiene il punto e, a margine dei lavori del Fmi, non mostra segni di ammorbidimento. “Il governo deve valutare l’interesse nazionale, che non sono le competenze della Bce o della dg competition, è l’interesse nazionale. Qui (negli Usa ndr) ho capito che l’interesse nazionale risponde ad un concetto abbastanza virile anche in materia economica. In Italia abbiamo un concetto di interesse nazionale un po’ più lasco. Io li invidio gli americani”, ha chiosato.