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RDC, duro attacco di De Luca: dato reddito a manovalanza di camorra

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“Un paese civile ha il dovere di aiutare chi non ce la fa. Avevamo il reddito di inclusione, orientato sulle famiglie e controllato dai Comuni. Sul reddito di cittadinanza non controlla nulla nessuno, abbiamo dato il reddito a tutta la manovalanza della camorra nella regione Campania”. Lo ha detto il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, nel corso di un incontro pubblico organizzato dall’Ordine degli psicologi della Campania a Salerno. “Ho letto una signora che viveva alle Baleari o alle Antille – ha aggiunto De Luca – veniva qua, faceva il reddito di cittadinanza e se ne andava. Nel campo rom di Giugliano abbiamo trovato 20 di quelli che si sono rifiutati di farsi i tamponi che ricevevano il reddito di cittadinanza. Si prendono il reddito e poi vanno a fare i liberi professionisti nei vari territori della regione. Questa estate non si trovava più un lavoratore stagionale nelle industrie conserviere, negli stabilimenti balneari, nei ristoranti. Non credo che dobbiamo banalizzare, ma l’idea che prendiamo 7 miliardi di euro e li regaliamo senza fare nessuna verifica è un’idea che uno Stato non può reggere”. Secondo De Luca “10 miliardi l’anno consentirebbero all’Italia di fare una rivoluzione nella formazione professionale, nelle università, nei centri di ricerca, nelle strutture di ricerca sanitaria. Ma noi ci consentiamo di prendere 10 miliardi di euro e di buttarli a mare per ragioni di politica politicante”.

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Esteri

Il 9 maggio di Putin, vent’anni dopo: la parata della Vittoria tra retorica e potere globale

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Era il 2005 quando Vladimir Putin celebrava il 60° anniversario della vittoria contro il nazifascismo con i grandi della Terra al suo fianco: da George W. Bush a Jacques Chirac, da Hu Jintao a Silvio Berlusconi. Un tempo in cui la Russia sembrava al centro del mondo, non ai margini, come oggi. Quel 9 maggio segnò la nascita della parata militare che conosciamo, la prima grande cerimonia moderna che intrecciava memoria storica, potenza militare e ambizioni geopolitiche.

Da allora, la Festa della Vittoria è diventata il rito fondante dell’identità russa contemporanea, un momento in cui Mosca ribadisce il proprio posto nella storia e nella geopolitica. Un evento solenne, destinato a commemorare i milioni di morti della Grande Guerra Patriottica, ma anche a legittimare la visione politica di Putin sul presente e sul futuro della Russia.

Il culto della vittoria: da Breznev a Putin

Se oggi il 9 maggio è il simbolo della forza nazionale russa, non lo è sempre stato. Stalin scelse di sminuirlo per oscurare l’ascesa popolare del maresciallo Zhukov e per concentrare la sacralità del potere sul 7 novembre, anniversario della Rivoluzione. Solo con Breznev il 9 maggio tornò ad essere festa ogni cinque anni, trasformandosi però nel culto consolatorio della vittoria, utile a lenire il trauma collettivo della guerra.

Putin ha saputo farne un pilastro del suo potere personale, identificandosi con i valori eroici della resistenza sovietica per costruire una narrazione patriottica unificatrice. A partire dal 2005, il 9 maggio è diventato l’evento simbolico della Russia che resiste e trionfa.

L’ombra della guerra in Ucraina sulla celebrazione

Quest’anno, la parata sarà inevitabilmente segnata dal conflitto in Ucraina, che ha alterato l’immagine della Russia a livello globale. Durante una recente maratona educativa con i giovani, Putin ha parlato di “memoria storica come chiave per capire il presente”, unendo il ricordo della guerra del ‘45 con l’“Operazione militare speciale” in Ucraina. Ha invitato gli “eroi di oggi” a parlare con le nuove generazioni, per trasmettere i valori della “difesa della Patria”.

Xi Jinping torna a Mosca: segnale alla comunità internazionale

Mosca riceverà 19 leader stranieri, ma l’attenzione sarà tutta per uno: Xi Jinping. Il presidente cinese non partecipava alla Festa della Vittoria dal 2015. La sua presenza ha un significato geopolitico preciso: confermare che l’asse Mosca-Pechino è solido, nonostante l’attuale riavvicinamento tra la Russia e la nuova amministrazione americana guidata da Donald Trump. La collaborazione militare tra Russia e Cina resta avvolta dal riserbo, ma la postura multipolare auspicata dal Cremlino dal 2022 passa proprio da questa alleanza.

Il dilemma retorico: Putin parlerà ancora di antiamericanismo?

Negli ultimi anni, Putin ha fatto della retorica antioccidentale e antiamericana un marchio di fabbrica. Nel 2023 definì gli Stati Uniti «pronti a fare patti con il Diavolo pur di danneggiare la Russia». Ora, con un equilibrio globale più incerto e interlocutori ambigui, il leader russo dovrà decidere quale tono assumere il 9 maggio.

Da un lato vorrà mostrare forza e coesione interna; dall’altro dovrà misurare le parole per non compromettere i rapporti con i partner che, pur critici verso l’Occidente, non sposano fino in fondo il confronto armato.

Un messaggio al mondo: pace o sfida?

Il 9 maggio sarà anche un test per comprendere se Putin intende davvero aprire a una trattativa di pace o proseguire il conflitto. La presenza dei Brics, la postura di Pechino, l’assenza di Modi: tutti segnali da interpretare in chiave diplomatica.

Più che un semplice evento celebrativo, la parata sarà un barometro dello stato geopolitico della Russia, un’occasione per contare gli amici rimasti e per misurare il tono dello zar di fronte al mondo.

 

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Esteri

Ucraina, la guerra rallenta: meno avanzate russe e una strategia che cambia

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Dopo i successi militari ottenuti tra ottobre e dicembre 2024, l’esercito russo ha sensibilmente rallentato il proprio ritmo di avanzata sul fronte ucraino. A gennaio 2025 le truppe di Mosca avevano già mostrato segni di rallentamento, e ad aprile – secondo l’Institute for the Study of War di Washington – il bottino territoriale russo si è fermato a 217 chilometri quadrati, un terzo rispetto ai mesi precedenti.

L’unico episodio di rilievo si è verificato a marzo nella regione di Kursk, dove i russi hanno riconquistato circa 500 chilometri quadrati. Per il resto, si registra una situazione vicina allo stallo operativo, nonostante il continuo impiego massiccio di uomini e mezzi.

Le perdite restano altissime da entrambi i lati

Le stime più accreditate parlano di 160.600 perdite russe (tra morti, feriti e dispersi) solo da inizio anno. Il tasso di perdite è elevatissimo: 99 uomini per ogni chilometro quadrato guadagnato. Tuttavia, non esistono fonti indipendenti in grado di confermare queste cifre, che potrebbero essere influenzate dalla propaganda di guerra.

Anche sul fronte ucraino non esistono dati ufficiali: Kiev non fornisce aggiornamenti dettagliati e Mosca parla di «perdite catastrofiche» tra le file nemiche. In ogni caso, la pressione militare sembra aver rallentato.

La temuta offensiva russa di primavera non è arrivata

Molti analisti avevano previsto una grande offensiva russa in primavera, anticipata a febbraio dall’intelligence ucraina. Tuttavia, l’offensiva non si è ancora concretizzata. I 160.000 nuovi soldati annunciati da Vladimir Putin necessitano di formazione e equipaggiamento, e secondo Kiev un’azione su larga scala potrebbe essere rimandata almeno a giugno.

Nel frattempo, il clima più caldo ha migliorato le condizioni operative nelle trincee, ma anche reso più difficili gli spostamenti clandestini per via dell’erba alta e del fogliame fitto.

Mosca consolida le difese, Kiev si affida ai droni

L’obiettivo strategico di Mosca sembra essersi spostato: non più solo avanzare, ma rafforzare le linee già acquisite. Questo comporta un passaggio da una guerra di movimento a un conflitto statico e posizionale, caratterizzato da scontri di bassa intensità ma diffusi.

I russi continuano comunque a premere nel Donbass, in particolare attorno a Pokrovsk, Chasiv Yar e Lyman, mentre Kharkiv e la regione di Sumy sono tornate sotto attacco. L’Ucraina risponde affidandosi a una massiccia produzione nazionale di droni, impiegati per colpire le linee nemiche fino a 15 chilometri di profondità.

Kiev colpisce nel Mar Nero con un drone navale

Nelle ultime ore, un’ulteriore novità è giunta dal fronte marittimo. L’intelligence ucraina ha annunciato l’abbattimento di un caccia russo Su-30 nel Mar Nero, affermando di aver usato un drone navale Magura V5. Si tratterebbe, secondo Kiev, della prima volta al mondo in cui un velivolo militare viene abbattuto da un drone marittimo. Un episodio che mostra l’evoluzione tecnologica di una guerra sempre più ibrida e asimmetrica.

 

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Economia

L’Italia perderà quasi 3 milioni di lavoratori in dieci anni: l’allarme della Cgia

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Entro il 2035 l’Italia potrebbe contare su quasi 3 milioni di persone in età lavorativa in meno. È quanto emerge dalle proiezioni della Cgia, secondo cui la fascia tra i 15 e i 64 anni passerà dagli attuali 37,3 milioni a 34,4 milioni, con un calo del 7,8%. Alla base di questo declino, il progressivo invecchiamento della popolazione che investirà l’intero territorio nazionale.

Conseguenze economiche e sociali preoccupanti

Il calo demografico avrà effetti profondi sul sistema produttivo: le imprese faticheranno a trovare forza lavoro giovane e qualificata. Neanche il ricorso alla manodopera straniera potrà colmare del tutto il vuoto occupazionale. Le conseguenze più gravi potrebbero riguardare il rallentamento del PIL, l’aumento della spesa per pensioni, sanità e assistenza, con ripercussioni inevitabili sui conti pubblici.

Il Sud meno esposto, ma solo in parte

Paradossalmente, il Mezzogiorno potrebbe reggere meglio l’urto nel breve periodo. I tassi elevati di disoccupazione e inattività consentono margini di recupero, specie nei comparti dell’agroalimentare e del turismo. Tuttavia, anche il Sud dovrà affrontare il declino, con la Sardegna in testa (-15,1%), seguita da Basilicata (-14,8%), Puglia (-12,7%), Calabria (-12,1%) e Molise (-11,9%).

Le imprese più piccole a rischio sopravvivenza

Le aziende di piccole dimensioni saranno le più esposte, potenzialmente costrette a ridurre gli organici per l’impossibilità di assumere nuovo personale. Le grandi e medie imprese, invece, potranno attrarre lavoratori con salari più alti, orari flessibili, benefit e piani di welfare. Il divario tra imprese si farà quindi ancora più profondo.

I settori più colpiti

Secondo la Cgia, i settori che risentiranno maggiormente della crisi saranno immobiliare, trasporti, moda e ricettività. Poche le eccezioni: tra queste, il settore bancario, che potrebbe beneficiare di alcuni effetti positivi legati all’automazione e alla digitalizzazione.

Le province più a rischio

A livello provinciale, il calo maggiore è previsto a Nuoro (-17,9%), Sud Sardegna (-17,7%), Caltanissetta (-17,6%), Enna (-17,5%) e Potenza (-17,3%). In termini assoluti, la perdita più pesante sarà quella della provincia di Napoli, con 236.677 persone in meno. Le province meno colpite saranno Bologna (-1,4%), Prato (-1,1%) e Parma (-0,6%).

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