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“Qualcuno sulla terra”, l’ultima opera di Eugenio Bennato: un album sospeso tra amore e psiche ai tempi dell’epidemia

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“Qualcuno sulla terra”, pubblicato dell’etichetta Sponda Sud, è il nuovo lavoro scritto da Eugenio Bennato e interpretato da Le Voci del Sud, ensemble vocale fondata dallo stesso autore napoletano. Il disco è un viaggio musicale fra umano e divino, fra amore e ragione. Si parte dalla Genesi, la creazione del mondo. Sulla terra l’uomo – unico animale razionale in mezzo a tutti gli altri – intraprende il suo cammino nella storia. E la sua razionalità sarà foriera di grandi scoperte, così come di enormi contraddizioni e di atroci sofferenze. A chiusura del disco c’è “A Sud di Mozart”, una suite musicale in tre movimenti, scritta a quattro mani con Carlo D’Angiò nel 1988. Con lo stesso Carlo D’Angiò, Eugenio Bennato fonda la Nuova Compagnia di Canto Popolare nel 1969 e Musicanova nel 1976. Nel 1998 da vita al movimento Taranta Power, con cui rinnova la tradizione della musica etnica delle diverse regioni del Sud portandola con successo nel terzo millennio.

Un sodalizio artistico che fu assai fertile. Nella foto Eugenio Bennato con Carlo D’Angiò

Come nasce il progetto musicale “Qualcuno sulla terra”?

Nel 2013 il San Carlo mi commissionò un’opera che avrebbe dovuto debuttare a teatro, per poi rivolgersi anche alle platee scolastiche ospitate dal San Carlo nelle mattinate. Un’opera di divulgazione. Io pensai alla Genesi e alla creazione del mondo. SI parla della nascita dell’uomo, del suo ruolo sulla Terra, del rapporto con gli altri esseri viventi. Ogni brano sfocia in un tema diverso. Devo dire che quando “Qualcuno sulla terra” è stato rappresentato grazie all’intervento delle Voci del Sud, ensemble vocale fondato da me, la risposta è stata straordinaria e quindi abbiamo deciso di pubblicarlo su disco. 

Perché ha scelto di lanciare il disco proprio in questo momento? Che impatto ha avuto l’emergenza Coronavirus sul lancio dell’album? 

La data della distribuzione del disco, il 7 marzo, non è collegata alla situazione attuale, ma era già stata decisa prima che scoppiasse l’emergenza. Spostarla era abbastanza complicato. Tra l’altro, le canzoni del disco parlano del cammino dell’uomo nel mondo e sono forse particolarmente adatte al momento che stiamo vivendo. Per la promozione era prevista una conferenza stampa a Napoli, che è saltata. Speriamo di poter tornare quanto prima alla normalità. Colgo l’occasione per mandare un abbraccio alla città di Bergamo, che mi accolse con grande affetto nel concerto che ho tenuto lì per Capodanno. Sono sicuro che riuscirà a superare l’emergenza nel modo migliore.

 

Da una parte il messaggio di amore universale della creazione. Dall’altra la constatazione del dominio incontrastato dell’uomo sugli altri animali, un primato violento che lo rende “Il più feroce in tutta l’arca di Noè”. E’ in questo dualismo il senso della sua opera? 

È un tema ricorrente ed è sicuramente la chiave di tutto il racconto della storia dell’umanità. Da una parte la propensione umana a far prevalere il sentimento, la pietas, l’accettazione, l’altruismo. L’esaltazione della ragione, la capacità dell’uomo di inventare la matematica o la fisica nucleare, di cogliere i misteri insiti nella natura. Dall’altra parte, quella stessa razionalità che lo rende superiore agli altri animali, è fonte di sofferenza ed enormi contraddizioni. Come racconto in “Non c’è ragione”, l’uomo inventa il ferro grazie alle sue capacità; ma quel ferro serve poi ad esprimere violenza, ad incatenare un suo simile. E “dietro il ferro che incatena l’uomo e nega la sua libertà non c’è ragione”. 

Con Kifaya ci porta nel Maghreb della primavera araba.

Proprio così. Quando scrissi i testi, erano passati solo due anni dalla primavera araba, l’ondata di proteste che sconvolse i regimi arabi del Maghreb. Un fatto che aveva secondo me un risvolto quasi biblico: Davide che sconfigge Golia, la volontà dei giovani che riesce a scalzare il potere dittatoriale in quella fascia di terra. Mi colpì il fatto che la parola d’ordine delle proteste fosse “Kifaya”, che in arabo vuol dire “basta”. Un messaggio che i ragazzi diffondevano fra di loro attraverso la rete e che ha prodotto un cambiamento importantissimo, forse il primo caso della storia dell’uomo in cui il potere è stato scalfito dalla volontà giovanile.

Lei si trovava in Marocco durante quei giorni concitati. Che cosa ricorda di quelle giornate? 

Ricordo un viaggio in treno da Casablanca a Tangeri. Durante il viaggio ci annunciarono che il treno sarebbe arrivato in ritardo a cause di alcune manifestazioni. Nel frattempo arrivavano notizie da Tunisi e dal Cairo. La primavera araba era arrivata in Marocco e noi vivemmo le ore dell’esplosione della rivolta. Il Marocco è stato il Paese che più è riuscito a sostenere l’urto e ad assecondarlo, grazie anche all’operato di Muhammed VI, giovane re del Marocco, che seppe andare incontro alle richieste della popolazione, placando le proteste. Purtroppo le premesse della primavera araba sono state sovrastate dall’integralismo islamico, ma rimane il fatto che, pur con tutte le sue incertezze e contraddizioni, sia stata una presa di coscienza da parte della nuova generazione di poter agire e sovvertire lo stato delle cose.

Nell’album c’è anche “A Sud di Mozart”, scritto nel 1988 con Carlo D’Angiò. Che ricordo serba di questo artista con cui ha condiviso tanti progetti musicali?

Carlo D’Angiò è l’artista più geniale che io abbia mai conosciuto. Insieme avevamo una capacità rara di volare con la fantasia. In “A Sud di Mozart” (suite musicale in tre movimenti, corale, opera buffa, tarantella, ndr) abbiamo immaginato che Mozart, trattato a Napoli con distacco dalla cultura ufficiale, fosse invece accolto dal popolo basso, che lo porta a farsi una passeggiata per i vicoli di Napoli. Allora la nostra immaginazione era inesauribile, se arrivammo a pensare ad un Mozart a spasso per i Quartieri Spagnoli. 

La sua musica è da sempre sinonimo di apertura, contaminazioni culturali e musicali. Ha cantato il Mediterraneo, crocevia di popoli, lingue, culture e religioni diverse. Cosa prova nel vedere un Mediterraneo che chiude con durezza le sue porte ai più deboli, rinnegando se stesso?

Scrissi “Che il Mediterraneo sia” all’inizio del nuovo millennio. In quel periodo se ne iniziava a parlare molto; quella canzone continua ad essere una bandiera del Mediterraneo. Ho sempre pensato che la musica debba essere libera e avere la possibilità di vivere, girare, espandersi. Così potrà continuare a lanciare messaggi anche in periodi successivi rispetto a quando è stata scritta. “Che il Mediterraneo sia” si fa portavoce di un messaggio in netto contrasto con gli orrori che la storia impone al Mediterraneo del presente.

 

L’album “Qualcuno sulla terra” di Eugenio Bennato lo trovate su Spotify. È pubblicato dell’etichetta Sponda Sud e distribuito da Self Distribuzione 

 

Disponibile presso i principali store fisici e digitali (di seguito alcuni link utili):

Deezer: https://www.deezer.com/us/album/134568832

Google Play: https://play.google.com/music/preview/Bjizrkk6blwt5bicct2wrrwkvf4

Amazon: https://music.amazon.de/albums/B085FS3DNZ

Tidal: https://listen.tidal.com/album/133154019

Apple store: https://music.apple.com/it/album/qualcuno-sulla-terra-with-le-voci-del-sud/1502433406

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Cronache

Roberto Saviano: “Vivo come in un ergastolo. Ho pensato anche al suicidio, ma scrivere è la mia unica salvezza”

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Roberto Saviano (le foto sono di Imagoeconomica) torna a parlare. Lo fa in una lunga e intensa intervista rilasciata al Corriere della Sera, in occasione dell’uscita del suo nuovo libro L’amore mio non muore (Einaudi). Dall’esperienza ai funerali di Papa Francesco alla memoria dolorosa della sua zia scomparsa, dal prezzo pagato per la scrittura alla condanna della solitudine, Saviano racconta senza filtri la sua vita da recluso, il senso di colpa, il peso degli attacchi e l’ossessione per la verità.

“Ho partecipato ai funerali di Francesco, come a quelli di Wojtyla. Ma lì c’era la camorra a vendere i panini”

La sua presenza in Vaticano ha destato curiosità. Ma Saviano spiega: «Ero stato anche ai funerali di Wojtyla, da cronista. Seguivo la vendita dei panini, organizzata dal clan». E sottolinea quanto la figura di Francesco, a differenza delle autorità presenti, abbia voluto essere toccata dagli ultimi.

“Mi sento in colpa. La mia famiglia ha pagato tutto. Io ho scelto, loro hanno solo perso”

Saviano ammette il dolore più intimo: la scomparsa recente della zia, vissuta in solitudine. «Ho la sensazione di aver sbagliato tutto», confessa. «I miei genitori si sono sradicati da Caserta per proteggermi. Io ho fatto carriera, loro hanno solo pagato».

E ancora: «Pensavo di cambiare la realtà con i libri, di accendere una luce. Ma ho solo generato isolamento».

“Il simbolo è di pietra. Non puoi sbagliare, non puoi contraddirti. Non sei più uomo, ma solo rappresentazione”

La condizione di scrittore-simbolo lo opprime: «Esisto per quello che rappresento, non per quello che sono». E il suo ruolo pubblico – protetto, attaccato, giudicato – ha inciso su tutto: amicizie, amore, libertà. «Quando vuoi bene a qualcuno, quella persona deve restare fuori dalla gabbia in cui tu sei chiuso. Nessun amore sopravvive così».

“Ho pensato di farla finita. Ma il corpo ha reagito. E ho capito che la fine non era quella”

Parla anche di pensieri estremi: «Ho pensato al suicidio. Volevo mettere il punto. Poi, guardandomi allo specchio, ho capito che non era quella la soluzione». E oggi convive con crisi di panico, insonnia, ansia. «Alle 5 del mattino non respiro. E mi chiedo: dove vado adesso?».

“Rushdie è vivo solo perché l’attentatore non sapeva usare il coltello. Ma almeno ora nessuno può dire che la minaccia era inventata”

L’amicizia con Salman Rushdie è per Saviano un nodo emotivo forte. L’attacco subito dallo scrittore anglo-indiano ha svelato la verità del pericolo: «È vivo per miracolo, e ora nessuno può più dire che la fatwa era un’esagerazione. Lui almeno ha avuto una liberazione. Io no: sono ancora dentro».

“Vorrei sparire. Cambiare nome. Prendere un camion e guidare lontano. Ma so che non posso”

L’idea della fuga è ricorrente: «Vorrei una nuova identità, un’altra vita. Ho preso la patente per il camion. Sogno di fare come Erri De Luca, partire per una missione umanitaria». Ma aggiunge con amarezza: «Non ne uscirò mai. Sono un bersaglio».

ROBERTO SAVIANO

“In Italia, se non muori, ti dicono che il pericolo non era reale. La scorta diventa uno stigma, non una protezione”

Saviano riflette sull’ossessione per la scorta: «In Italia, se non ti uccidono, allora vuol dire che hai esagerato». Racconta l’episodio surreale di una signora che lo accusa in aeroporto di aver mentito sul pericolo perché era da solo.

“Con Gomorra ho illuminato l’ombra. Ora racconto Rossella, uccisa dall’amore e dalla ’ndrangheta”

Il suo nuovo libro ricostruisce la storia di Rossella Casini, ragazza fiorentina scomparsa nel 1981 perché si era innamorata del figlio di un boss. Una tragedia sommersa, raccontata con sguardo letterario e civile. «Una Giovanna d’Arco ingenua e lucida. Il suo corpo non è mai stato trovato. La sua colpa: amare dissidenti».

“Michela Murgia mi ha insegnato la libertà nei legami. E mi ha donato vita. Ora mi manca anche l’amore”

Commuove il ricordo dell’amicizia con Michela Murgia: «Mi ha insegnato a tagliare i lacci ai sentimenti». E confessa: «Mi manca l’amore. Ma come si ama, se vivi da prigioniero? L’amore ha bisogno di leggerezza. Io sono pesante, ormai».

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Esteri

Trump avverte: forse la pace in Ucraina è impossibile, troppo odio tra Putin e Zelensky

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E’ l’odio ad alimentare la guerra che ormai devasta da oltre tre anni l’Ucraina. Un “odio tremendo” tra due uomini, Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin. Tanto che “forse, la pace non è possibile”. E’ l’amara constatazione di Donald Trump che però non rinuncia alla speranza di arrivare alla fine della guerra, e nella stessa intervista evoca “ottime possibilità di farcela”. E di certo non vanno in questa direzione le parole e le azioni di Vladimir Putin, che continua a rifiutare il cessate il fuoco di 30 giorni promosso da Washington. In un documentario della tv russa, lo zar ha sottolineato come Mosca “abbia abbastanza forza e risorse” per una vittoria nell’invasione, anche senza ricorrere alle armi nucleari. Da tempo ormai il presidente Usa minaccia di sfilarsi dalla mediazione avviata sin dall’inizio del suo mandato, in mancanza di passi avanti concreti di Mosca e Kiev verso un cessate il fuoco.

La strada del negoziato ha raggiunto un punto morto da settimane, con la Russia che continua a insistere per una tregua di tre giorni, in occasione del Giorno della Vittoria del 9 maggio. Una proposta che fa gioco al Cremlino, che per gli 80 anni della vittoria sovietica nella Seconda Guerra Mondiale ha invitato a Mosca diversi leader mondiali, tra cui il cinese Xi Jinping, in visita ufficiale in Russia dal 7 al 10 maggio. Zelensky ha già messo in chiaro che per l’Ucraina non sarà possibile “garantire la sicurezza” dei partecipanti alla parata del 9 maggio. E ha sottolineato che Kiev non si fida delle proposte di Putin: “Queste non sono le prime promesse di cessate il fuoco fatte dalla Russia. Sappiamo con chi abbiamo a che fare, non ci crediamo”, ha detto nel corso di una visita a Praga, in un chiaro riferimento alla fallimentare tregua di Pasqua che ha registrato centinaia di violazioni in entrambi i lati del fronte.

La proposta di Ucraina e Usa resta quella di una tregua di almeno 30 giorni, ma finora nessun segnale in questo senso è giunto da Vladimir Putin, che nel frattempo pensa a un futuro remoto in cui, assicura, “la riconciliazione con il popolo ucraino sarà inevitabile, è solo questione di tempo”. Difficile immaginarlo ora, mentre Mosca insiste a diffondere morte e distruzione bombardando le città ucraine, compresa la capitale Kiev dove nella notte tra sabato e domenica, un raid ha provocato 11 feriti – tra cui due minori – insieme a danni e incendi in tre distretti. “I russi chiedono una tregua per il 9 maggio, mentre attaccano l’Ucraina ogni giorno: questo è cinismo di altissimo livello”, ha commentato Zelensky sostenendo che “solo questa settimana la Russia ha utilizzato contro l’Ucraina più di 1.180 droni da attacco, 1.360 bombe aeree guidate e 10 missili di vario tipo”.

Le forze russe martellano anche la regione di Sumy, dove da tempo Kiev denuncia l’obiettivo di Mosca di creare una zona cuscinetto: “I russi hanno colpito le strade residenziali del villaggio di Velyka Pysarivka con bombe aeree teleguidate. Un civile è stato ucciso”, ha denunciato il governatore Oleh Grigorov, dando l’ennesimo bilancio di morte nella sua regione. Con queste premesse, la priorità dell’Ucraina resta quella di ricevere sostegno militare, soprattutto dagli Stati Uniti che negli ultimi giorni si sono mostrati maggiormente disposti a rispondere alle esigenze della difesa ucraina: secondo il New York Times, che cita quattro funzionari statunitensi, un sistema di difesa aerea Patriot precedentemente basato in Israele verrà inviato in Ucraina dopo essere stato ricondizionato. E gli alleati occidentali stanno discutendo la logistica di un eventuale trasferimento anche di un’altra batteria da parte di Germania o Grecia.

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Scorta, lounge e hotel di lusso: Sinner blindato

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Il soggiorno romano di Jannik Sinner è iniziato e il piano per ‘contenere’ l’amore dei tifosi anche. Perché da numero uno la popolarità del tennista azzurro è cresciuta in maniera esponenziale, e il rientro in campo dopo la sospensione forzata di tre mesi per il caso clostebol, ha anche aumentato l’attesa e l’euforia dei carota boys. E di conseguenza una sicurezza studiata per l’altoatesino, che – come era stato detto già dai vertici della federazione – deve poter affrontare gli Internazionali senza un eccesso di pressioni. Arrivato nel primo pomeriggio a Ciampino da Nizza, la sua avventura all’ombra del Colosseo partirà ufficialmente domani con il media day, quando raggiungerà la sala stampa attraversando il ponte sospeso che porta dall’area giocatori – situata nella zona delle piscine – allo stadio.

Mentre per la celebrazione del doppio successo dello scorso novembre a Malaga delle nazionali di Billie Jean King Cup e della Coppa Davis al Centrale del Foro Italico utilizzerà il tunnel sotterraneo. Infine, sempre sul Centrale, l’allenamento con Jiri Lehecka, fissato alle ore 19, al quale assisteranno circa 10mila spettatori in possesso del biglietto ground. Un ‘Sinner day’ che lo vedrà assoluto protagonista e che sarà anche l’occasione per il primo vero bagno di folla. Ma sarà solo il primo dei giorni che l’azzurro vivrà nella Capitale tra misure di sicurezza al top per garantire la sua privacy e consentire comunque l’affetto del pubblico.

L’azzurro soggiornerà in un noto hotel di lusso romano, non distante dal Foro Italico per evitare lo stress del traffico romano, dove avrà la possibilità di usufruire, qualora servisse, di un campo da tennis e di una piscina con palestra per allenarsi, oltre a un servizio di sicurezza studiato ad hoc per lui. Tutti i tennisti, infatti, hanno una security quando escono dai percorsi prestabiliti per i giocatori, ma nel caso suo sarà implementata, permettendogli così di muoversi in tranquillità mentre, dentro l’area del torneo la sicurezza ha già studiato mappe e strade che l’azzurro percorrerà.

Sinner, inoltre, avrà a disposizione un autista per gli spostamenti (durante i tornei però evita le uscite, potrebbe concedersi una cena solo in questi primissimi giorni, poi solo relax tra carte e playstation) e potrà beneficiare anche di una lounge riservata all’interno degli Internazionali; una misura prevista in passato anche per Novak Djokovic e ora riservata al campione italiano per permettergli di concentrarsi solo sul campo senza avere distrazioni esterne. Perché l’obiettivo, per Sinner, rimane sempre e solo il risultato del campo dove, nonostante il periodo di inattività, si presenta da numero 1 al mondo. Una prima assoluta per il Masters romano. Serviva Sinner, con la speranza di riuscire a conquistare quel titolo in singolare maschile che l’Italia non ha più raggiunto dal 1976, firmato allora da Adriano Panatta.

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