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Esteri

Protesta contro la Russia: Usa, Ucraina e Ue lasciano il G20

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Sedie vuote e schermi spenti al G20 in protesta contro la Russia. Quando il ministro delle finanze di Mosca Anton Siluanov prende la parola, il segretario al Tesoro americano Janet Yellen e il suo omologo ucraino Serhiy Marchenko si alzano e lasciano la sala, seguiti da diversi ministri e governatori fra i quali il presidente della Bce Christine Lagarde. Altri presenti virtualmente spengono invece le telecamere dei loro schermi. Ad abbandonare il tavolo e’ anche il commissario europeo per gli Affari Economici Paolo Gentiloni. La delegazione italiana, composta dal ministro Daniele Franco e dal governatore Ignazio Visco, e’ invece rimasta per svolgere il suo ruolo istituzionale come membro della troika insieme a Indonesia e India. Una permanenza che e’ stata un’occasione per biasimare pubblicamente l’attacco della Russia all’Ucraina.

Altri paesi hanno seguito la strada dell’Italia e sono rimasti seduti ad ascoltare Mosca. Fra questi il Giappone e la Spagna mentre per la Germania, presidente del G7, e’ rimasto il ministro delle finanze. Proprio Christian Lindner ha spiegato la sua scelta di restare come dettata dalla volonta’ di non lasciare alla Russia un palco per “diffondere la sua propaganda e le sue menzogne”. Una reazione quindi in ordine sparso quella del G20 di fronte all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Le scelte di protesta dei singoli paesi rischiano di far scivolare il forum in una crisi profonda. Tornato in auge nel 2008 il format del G20 si e’ imposto per anni come palcoscenico privilegiato in grado di rappresentare al meglio la nuova economia mondiale rispetto ai fratelli del G7 e del G8. La guerra pero’ ha cambiato le carte in tavola dividendolo e creando spaccature che molti osservatori si chiedono se siano sanabili o meno. La richiesta di espellere la Russia dal forum, avanzata dal presidente americano Joe Biden, si inserisce proprio in questo quadro di tensioni, con i paesi occidentali intenzionati a isolare e punire la Russia e il presidente Vladimir Putin per la guerra. E un costo salato per Mosca e’ all’orizzonte, quello del primo default dal 1998. Per Credit Derivatives Determinations Committee, l’agenzia internazionale chiamata a esprimersi sui default degli emittenti di debito, la Russia e’ in ‘potenziale default’ e potrebbe scivolarci appieno a breve, ovvero alla scadenza del periodo di grazia sul mancato rimborso di due bond da due miliardi di dollari il 4 aprile. Difende il ruolo del G20 l’Indonesia, il presidente di turno. “Tutti i membri lo ritengono il primo forum di cooperazione”, ha sottolineato il ministro delle finanze, Sri Muyani Indrawati, al termine della riunione. La protesta, ha precisato, non e’ stata un sorpresa: “molti membri hanno condannato la guerra” e si sono detti d’accordo sul fatto che l’invasione complica la ripresa economica globale. “Ho fiducia nel fatto che la guerra non eroda il ruolo e la cooperazione del G20”, ha aggiunto.

“La guerra e’ incompatibile con la cooperazione”, ha tuonato il ministro delle finanze francese Bruno Le Maire aprendo a Washington i lavori, i primi da quando e’ iniziata l’invasione. Le Maire e’ stato uno dei delegati ad abbandonare i lavori insieme al presidente della Fed Jerome Powell, ai rappresentanti della Gran Bretagna e alla vice premier canadese Chrystia Freeland. Ben piu’ cauti i toni di Kristalina Georgieva, che ha stimato in 5 miliardi di dollari al mese le necessita’ dell’economia dell’Ucraina. Incalzata sull’efficacia e l’utilita’ del G20, la direttrice del Fondo Monetario Internazionale ha detto: “la cooperazione deve continuare e continuera’” anche perche’ il mondo e’ talmente interdipendente e le sfide sono talmente ampie che nessun paese puo’ affrontarle o trovare soluzioni da solo. Nelle sue vesti da numero uno di un’istituzione che conta 190 paesi, Georgieva comunque ammette che quando ci sono tensioni collaborare e’ “piu’ difficile ma non impossibile”. Quindi mette in guardia sui rischi di una frammentazione geopolitica che rischierebbe di bruciare tutti i progressi degli ultimi 75 anni. Timori reali che, pero’, a quasi 60 giorni dall’inizio dell’invasione e all’avvio della seconda fase dell’offensiva di Putin, non riescono a smorzare la rabbia e l’indignazione di fronte alle immagini shock di Bucha e Mariupol. E alla volonta’ di far pagare un prezzo elevato a Mosca nonostante il costo per l’economia globale.

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Esteri

Harry a Bbc: voglio riconciliarmi con la famiglia reale

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Il principe Harry ha affermato, in una intervista alla bbc, di volere una “riconciliazione” con la famiglia reale britannica dopo il traumatico strappo del 2020. Inoltre si è detto “sconvolto” dopo aver perso oggi alla Corte d’Appello di Londra il ricorso presentato contro la decisione assunta a suo tempo dal ministero dell’Interno di revocare a lui e alla sua famiglia il diritto automatico alla tutela di polizia durante le visite nel Regno Unito.

Nell’intervista registrata in California, dove Harry vive con la moglie Meghan, il principe appare commosso, in particolare quando afferma che “non riesce a immaginarsi” nel riportare “moglie e figli” nel Regno Unito dopo aver perso l’azione legale avviata a Londra. Il principe ha detto anche che suo padre, re Carlo III, “non mi parla più per via di questa questione di sicurezza”, per poi ammettere che è stanco di lottare e di non sapere quanto resta da vivere al sovrano, che si sottopone periodicamente alle terapie per far fronte a un cancro di natura imprecisata diagnosticatogli a inizio 2024. “Ci sono stati tantissimi disaccordi tra me e alcuni membri della mia famiglia”, ha aggiunto Harry, ma ora li ha “perdonati”. Il duca di Sussex ha anche affermato che “alcuni membri della mia famiglia non mi perdoneranno mai di aver scritto un libro”, facendo riferimento alle divisioni di lunga data ed esacerbate dalle rivelazioni contenute nell’autobiografia del principe dal titolo ‘Spare’, successo editoriale planetario.

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Portava aiuti a Gaza, colpita la nave di una ong

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E’ finito tra le fiamme e il rischio di colare a picco nel Mediterraneo il tentativo di portare aiuti umanitari della nave Conscience, con a bordo 16 uomini tra equipaggio e attivisti intenzionati a violare il blocco navale imposto da Israele alla Striscia. Nella notte tra giovedì e venerdì l’imbarcazione dell’organizzazione filo-palestinese Freedom Flotilla Coalition è stata colpita da droni mentre si trovava in acque internazionali al largo di Malta. Nel porto dell’isola si sarebbe dovuta imbarcare anche Greta Thunberg, che ha stigmatizzato l’offensiva come ‘crimine di guerra’. L’esplosivo ha causato un incendio sull’imbarcazione, uno squarcio nello scafo e la messa fuori uso del generatore. La nave, che era partita dalla Tunisia giorni fa, ha lanciato un Sos a cui ha risposto Malta inviando un rimorchiatore.

Le autorità marittime del La Valletta hanno dichiarato che non ci sono state vittime, l’incendio è stato spento, l’imbarcazione non rischia di affondare e i passeggeri hanno rifiutato di essere portati a riva. La Freedom Flotilla ha attribuito la responsabilità dell’attacco a Israele: “Gli ambasciatori israeliani devono essere convocati e rispondere delle violazioni del diritto internazionale, tra cui il blocco in corso e il bombardamento della nostra nave civile in acque internazionali”. Da Gerusalemme non nessun commento. Mentre il canale di notizie saudita Al Arabiya ha riferito che la spedizione era stata organizzata da Hamas e che le persone a bordo avevano in programma di attaccare le truppe dell’Idf avvicinandosi alla costa di Gaza. L’impiego di droni di piccole dimensioni, difficilmente rilevabili con i radar standard, non lascia una ‘firma elettronica’ significativa, impedendo così l’attribuzione a chi li ha lanciati.

Da Roma e Bruxelles, però, le opposizioni hanno definito ‘un crimine’ l’attacco alla Conscience: Pd, Avs, M5s chiedono al governo Meloni e all’Ue di intervenire condannando l’aggressione. Ankara, memore della strage della Freedom Flotilla del 2010 che vide la morte di 9 attivisti e decine di feriti, ha affermato che “saranno fatti tutti gli sforzi per rivelare il prima possibile i dettagli dell’attacco e portare gli assalitori davanti alla giustizia”. Intanto la Croce Rossa ha dichiarato che l’intervento umanitario a Gaza è “sull’orlo del collasso totale”. Israele ha chiuso i valichi il 2 marzo, sostenendo che Hamas aveva dirottato gran parte degli aiuti entrati durante la tregua di 6 settimane, e che i 25mila camion entrati hanno consegnato aiuti sufficienti per un periodo prolungato. Ora l’Idf, secondo indiscrezioni trapelate negli ultimi giorni, ha pianificato di modificare radicalmente la distribuzione: stop all’ingrosso e all’immagazzinamento degli aiuti, le organizzazioni internazionali e gli appaltatori privati consegneranno cibo alle singole famiglie di Gaza.

Ogni nucleo familiare avrà un rappresentante che riceverà cibo in una zona di sicurezza dell’esercito nel sud della Striscia. Il piano, che intende aggirare Hamas, non è ancora stato approvato dal governo israeliano, ma l’urgenza che i valichi vengano aperti è stata sottolineata dal ministro della Difesa Israel Katz. Degli ostaggi ancora a Gaza, infine, ha parlato giovedì sera Donald Trump, rivelando di aver appreso che ci sono meno di 24 rapiti ancora in vita, come aveva fatto intendere nei giorni scorsi la moglie del premier israeliano, Sara Netanyahu.

Il governo nel frattempo sta affrontando la forte pressione della comunità drusa, compresi centinaia di riservisti e soldati, che chiede di proteggere i ‘fratelli’ che vivono in Siria, attaccati e uccisi – accusano – dai jihadisti. Dopo una violenta protesta drusa la sera prima nel nord di Israele, nelle prime ore del mattino l’Idf ha bombardato la zona del palazzo presidenziale a Damasco. “Questo è un messaggio chiaro al regime siriano. Non permetteremo alle truppe siriane di spostarsi a sud di Damasco o di rappresentare una minaccia per la comunità drusa”, hanno avvertito Netanyahu e Katz. La presidenza siriana ha risposto che il raid rappresenta una “pericolosa escalation”.

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Russia, creiamo una ‘zona cuscinetto’ in regione ucraina di Sumy

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Il ministero della Difesa russo sostiene che le sue truppe stiano creando nella regione ucraina di Sumy quella che definisce “una zona di sicurezza”. Lo riporta l’agenzia Interfax. Le dichiarazioni di Mosca non sono al momento verificabili. L’annuncio arriva dopo che le autorità russe hanno detto di aver ripreso per intero il controllo della regione russa di Kursk, che confina con quella ucraina di Sumy, e dove la scorsa estate i soldati ucraini avevano lanciato un’offensiva a sorpresa. Kiev respinge le affermazioni di Mosca sostenendo di avere ancora dei capisaldi nella regione di Kursk, dove però ha perso gran parte dei territori di cui si era impossessata l’anno scorso.

Pochi giorni fa, il governatore della regione di Sumy, Oleg Hryhorov, aveva dichiarato che le truppe russe stavano cercando di creare una zona cuscinetto nell’oblast dell’Ucraina nordorientale ma, a suo dire, senza “alcun successo significativo”. Allora il governatore ucraino sosteneva che quattro villaggi di confine – Zhuravka, Veselivka, Basivka e Novenke – si trovassero in una “zona grigia” a causa degli attacchi russi, ma non fossero sotto il controllo dei soldati del Cremlino. Il mese scorso, il ministero della Difesa russo sosteneva invece di aver preso Zhuravka e Basivka, cosa che le autorità ucraine negano.

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