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Prime crepe a Mosca, Chubais volta le spalle a Putin

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A Mosca anche nell’impenetrabile cerchio magico di Vladimir Putin cominciano ad affiorare le prime crepe. Cosi’ l’economista Anatolij Chubais, uno degli uomini piu’ vicini al leader e conosciuto per essere stato il padre delle privatizzazioni in Russia, ha fatto perdere le sue tracce, lasciando il Paese e il suo attuale incarico, quello di inviato speciale del presidente russo per il clima. Nessuno sa esattamente dove si trovi, probabilmente in Turchia, e per il momento non avrebbe alcuna intenzione di tornare in patria, diventando la figura di piu’ alto livello a voltare le spalle allo zar e a rompere col Cremlino dall’inizio dell’aggressione all’Ucraina. Uno schiaffo per Putin che, nelle speranze di molti e nei timori del palazzo, rischia di innescare un effetto domino ai massimi vertici dello Stato. Non e’ un segreto che il dissenso cominci a serpeggiare tra molte delle personalita’ di punta: gli occhi sono puntati anche sulla numero uno della Banca centrale della Federazione russa Elvira Nabiullina che, raccontano fonti ben informate, gia’ da settimane avrebbe voluto mollare. Per questo avrebbe piu’ d’una volta presentato le dimissioni, respinte pero’ dal presidente che le avrebbe imposto di restare per far fronte alla drammatica crisi causata dalle sanzioni occidentali. Il collega Chubais ha rotto invece gli indugi. A 66 anni ha alle sue spalle una storia di rilievo che affonda le radici nell’Unione Sovietica degli anni ’80, quando si fece conoscere come dissidente e professore ‘ribelle’ orientato al mercato, tanto che che nell’allora Leningrado organizzo’ un ‘club della Perestroyka’. La svolta arrivo’ negli anni ’90, quando Boris Eltsin lo scelse per ridisegnare l’economia russa nominandolo vicepremier. Divento’ quindi l’architetto delle grandi privatizzazioni statali fatte in Russia, attirandosi anche le critiche di chi lo ha sempre accusato di essere al soldo degli oligarchi per aver contribuito a creare un sistema che arricchiva poche persone a discapito della stragrande maggioranza della popolazione russa. Popolazione gia’ provata dall’enorme crisi che caratterizzo’ l’ultima fase e la fine dell’Urss. Ma passano i decenni e Chubais rimane sempre a galla, uno dei pochi dell’era sovietica a trovare posto anche nel mondo di Putin: prima come massimo responsabile del monopolio statale dell’energia elettrica Rao Ues, poi come capo della Russian Nanotechnology Corporation (Rusnano). Il Financial Times lo mette al 54mo posto tra i business leader piu’ rispettati al mondo. L’ultima missione affidatagli dallo zar del Cremlino, nel 2020, quella di inviato speciale per i rapporti con le organizzazioni internazionali e lo sviluppo sostenibile. Ruolo che lo tiene a stretto contatto con gli Stati Uniti, e soprattutto con John Kerry, inviato speciale per il clima del presidente Joe Biden. Intanto la caccia alle streghe lanciata dalle parole di Putin contro “la feccia e i traditori” potrebbe aver fatto le prime vittime illustri. Di Valerij Gerasimov, potente capo di stato maggiore delle forze armate russe, non si hanno piu’ tracce da settimane, sparito dal 27 febbraio. Gli Usa avevano puntato su di lui per tenere vivo un canale che scongiurasse la minaccia nucleare. E svanito nel nulla sembra essere anche il ministro della Difesa Sergei Shoigu: seppur citato in alcuni comunicati, non appare piu’ in pubblico da una decina di giorni. Sarebbe nel mirino del Cremlino con l’accusa, tra l’altro, di aver fornito una valutazione errata di quella che doveva essere una campagna lampo in Ucraina. E non gioca certo a suo favore il fatto che la figlia Ksenia, 31 anni, abbia posato sui social con i colori della bandiera ucraina.

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Harry a Bbc: voglio riconciliarmi con la famiglia reale

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Il principe Harry ha affermato, in una intervista alla bbc, di volere una “riconciliazione” con la famiglia reale britannica dopo il traumatico strappo del 2020. Inoltre si è detto “sconvolto” dopo aver perso oggi alla Corte d’Appello di Londra il ricorso presentato contro la decisione assunta a suo tempo dal ministero dell’Interno di revocare a lui e alla sua famiglia il diritto automatico alla tutela di polizia durante le visite nel Regno Unito.

Nell’intervista registrata in California, dove Harry vive con la moglie Meghan, il principe appare commosso, in particolare quando afferma che “non riesce a immaginarsi” nel riportare “moglie e figli” nel Regno Unito dopo aver perso l’azione legale avviata a Londra. Il principe ha detto anche che suo padre, re Carlo III, “non mi parla più per via di questa questione di sicurezza”, per poi ammettere che è stanco di lottare e di non sapere quanto resta da vivere al sovrano, che si sottopone periodicamente alle terapie per far fronte a un cancro di natura imprecisata diagnosticatogli a inizio 2024. “Ci sono stati tantissimi disaccordi tra me e alcuni membri della mia famiglia”, ha aggiunto Harry, ma ora li ha “perdonati”. Il duca di Sussex ha anche affermato che “alcuni membri della mia famiglia non mi perdoneranno mai di aver scritto un libro”, facendo riferimento alle divisioni di lunga data ed esacerbate dalle rivelazioni contenute nell’autobiografia del principe dal titolo ‘Spare’, successo editoriale planetario.

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Portava aiuti a Gaza, colpita la nave di una ong

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E’ finito tra le fiamme e il rischio di colare a picco nel Mediterraneo il tentativo di portare aiuti umanitari della nave Conscience, con a bordo 16 uomini tra equipaggio e attivisti intenzionati a violare il blocco navale imposto da Israele alla Striscia. Nella notte tra giovedì e venerdì l’imbarcazione dell’organizzazione filo-palestinese Freedom Flotilla Coalition è stata colpita da droni mentre si trovava in acque internazionali al largo di Malta. Nel porto dell’isola si sarebbe dovuta imbarcare anche Greta Thunberg, che ha stigmatizzato l’offensiva come ‘crimine di guerra’. L’esplosivo ha causato un incendio sull’imbarcazione, uno squarcio nello scafo e la messa fuori uso del generatore. La nave, che era partita dalla Tunisia giorni fa, ha lanciato un Sos a cui ha risposto Malta inviando un rimorchiatore.

Le autorità marittime del La Valletta hanno dichiarato che non ci sono state vittime, l’incendio è stato spento, l’imbarcazione non rischia di affondare e i passeggeri hanno rifiutato di essere portati a riva. La Freedom Flotilla ha attribuito la responsabilità dell’attacco a Israele: “Gli ambasciatori israeliani devono essere convocati e rispondere delle violazioni del diritto internazionale, tra cui il blocco in corso e il bombardamento della nostra nave civile in acque internazionali”. Da Gerusalemme non nessun commento. Mentre il canale di notizie saudita Al Arabiya ha riferito che la spedizione era stata organizzata da Hamas e che le persone a bordo avevano in programma di attaccare le truppe dell’Idf avvicinandosi alla costa di Gaza. L’impiego di droni di piccole dimensioni, difficilmente rilevabili con i radar standard, non lascia una ‘firma elettronica’ significativa, impedendo così l’attribuzione a chi li ha lanciati.

Da Roma e Bruxelles, però, le opposizioni hanno definito ‘un crimine’ l’attacco alla Conscience: Pd, Avs, M5s chiedono al governo Meloni e all’Ue di intervenire condannando l’aggressione. Ankara, memore della strage della Freedom Flotilla del 2010 che vide la morte di 9 attivisti e decine di feriti, ha affermato che “saranno fatti tutti gli sforzi per rivelare il prima possibile i dettagli dell’attacco e portare gli assalitori davanti alla giustizia”. Intanto la Croce Rossa ha dichiarato che l’intervento umanitario a Gaza è “sull’orlo del collasso totale”. Israele ha chiuso i valichi il 2 marzo, sostenendo che Hamas aveva dirottato gran parte degli aiuti entrati durante la tregua di 6 settimane, e che i 25mila camion entrati hanno consegnato aiuti sufficienti per un periodo prolungato. Ora l’Idf, secondo indiscrezioni trapelate negli ultimi giorni, ha pianificato di modificare radicalmente la distribuzione: stop all’ingrosso e all’immagazzinamento degli aiuti, le organizzazioni internazionali e gli appaltatori privati consegneranno cibo alle singole famiglie di Gaza.

Ogni nucleo familiare avrà un rappresentante che riceverà cibo in una zona di sicurezza dell’esercito nel sud della Striscia. Il piano, che intende aggirare Hamas, non è ancora stato approvato dal governo israeliano, ma l’urgenza che i valichi vengano aperti è stata sottolineata dal ministro della Difesa Israel Katz. Degli ostaggi ancora a Gaza, infine, ha parlato giovedì sera Donald Trump, rivelando di aver appreso che ci sono meno di 24 rapiti ancora in vita, come aveva fatto intendere nei giorni scorsi la moglie del premier israeliano, Sara Netanyahu.

Il governo nel frattempo sta affrontando la forte pressione della comunità drusa, compresi centinaia di riservisti e soldati, che chiede di proteggere i ‘fratelli’ che vivono in Siria, attaccati e uccisi – accusano – dai jihadisti. Dopo una violenta protesta drusa la sera prima nel nord di Israele, nelle prime ore del mattino l’Idf ha bombardato la zona del palazzo presidenziale a Damasco. “Questo è un messaggio chiaro al regime siriano. Non permetteremo alle truppe siriane di spostarsi a sud di Damasco o di rappresentare una minaccia per la comunità drusa”, hanno avvertito Netanyahu e Katz. La presidenza siriana ha risposto che il raid rappresenta una “pericolosa escalation”.

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Russia, creiamo una ‘zona cuscinetto’ in regione ucraina di Sumy

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Il ministero della Difesa russo sostiene che le sue truppe stiano creando nella regione ucraina di Sumy quella che definisce “una zona di sicurezza”. Lo riporta l’agenzia Interfax. Le dichiarazioni di Mosca non sono al momento verificabili. L’annuncio arriva dopo che le autorità russe hanno detto di aver ripreso per intero il controllo della regione russa di Kursk, che confina con quella ucraina di Sumy, e dove la scorsa estate i soldati ucraini avevano lanciato un’offensiva a sorpresa. Kiev respinge le affermazioni di Mosca sostenendo di avere ancora dei capisaldi nella regione di Kursk, dove però ha perso gran parte dei territori di cui si era impossessata l’anno scorso.

Pochi giorni fa, il governatore della regione di Sumy, Oleg Hryhorov, aveva dichiarato che le truppe russe stavano cercando di creare una zona cuscinetto nell’oblast dell’Ucraina nordorientale ma, a suo dire, senza “alcun successo significativo”. Allora il governatore ucraino sosteneva che quattro villaggi di confine – Zhuravka, Veselivka, Basivka e Novenke – si trovassero in una “zona grigia” a causa degli attacchi russi, ma non fossero sotto il controllo dei soldati del Cremlino. Il mese scorso, il ministero della Difesa russo sosteneva invece di aver preso Zhuravka e Basivka, cosa che le autorità ucraine negano.

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