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Politica

Premier boccia il Superbonus, scontro coi 5 Stelle

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E’ scontro totale tra Mario Draghi e il Movimento 5 Stelle dopo il via libera del governo all’inceneritore di Roma: la tensione sale alle stelle e, dopo la formalizzazione della richiesta di intervento del premier in Parlamento sul nodo degli armamenti all’Ucraina, va a sbattere sul Superbonus, provocando un inaspettato e velenoso scambio di accuse tra il partito di maggioranza relativa e il presidente del Consiglio. Ferito per la “scorrettezza gravissima” compiuta dal governo che ha dato “carta bianca” al sindaco di Roma per costruire un inceneritore; “amareggiato e deluso” per lo sgambetto fatto in Consiglio dei ministri ad una forza politica che “sostiene il governo proprio sulla transizione ecologica”, Giuseppe Conte e’ infatti passato al contrattacco. E chiede ai deputati di formalizzare in Parlamento la richiesta di portare Mario Draghi in Aula sulle armi all’Ucraina. Il premier prova a richiamare i partiti alla calma, forte del sostegno sul dl aiuti che gli arriva dal Pd di Letta. E a Conte che gli ricorda che il M5s sta al governo proprio per realizzare la transizione ribatte: “Il nostro governo fa del clima e della transizione i suoi pilastri piu’ importanti. Ma non siamo d’accordo su tutto, sul bonus del 110% non lo siamo”. Un modo per sottolineare come l’esecutivo abbia continuato a sostenere la misura fortemente voluta dal Movimento nonostante i costi di efficientamenti e ristrutturazioni “siano triplicati”. Ma la replica di Draghi ottiene l’effetto opposto. Il Movimento risponde a muso duro al premier, giudica “irricevibile la perentorieta’ con cui si e’ scagliato contro il Superbonus” e gli ricorda che la misura ha “giovato in primis proprio il premier” che ora ha “gettata una volta per tutte la maschera”. “Forse alla base dei continui paletti normativi e della ossessiva smania dell’esecutivo di voler limitare la circolazione dei crediti fiscali, c’e’ proprio questa sua insofferenza nei confronti del provvedimento” dicono i 5S. L’attacco, aggiungono, “e’ uno schiaffo sonoro alla maggioranza che lo sostiene, visto che trova il favore incontrastato di tutto il Parlamento”. Lo scontro arriva a valle della mossa del Movimento in Parlamento sulle armi che aveva gia’ portato la tensione alle stelle, anche perche’ con la sua richiesta il M5s prova a forzare e tentare la mossa del voto. Il M5s ha infatti fatto richiesta di “comunicazioni” del Presidente del Consiglio e il regolamento della Camera prevede che al termine di esse ci sia un voto sulle risoluzioni. L’esecutivo potrebbe dichiararsi disponibile ad una semplice informativa ma in ogni caso il clima tra i partiti sul nodo delle armi agli ucraini potrebbe in ogni caso creare nuove tensioni in maggioranza. Fibrillazioni salite anche dopo la disponibilita’ data da Matteo Salvini ad andare a Mosca, caduta ora che il leader della Lega ha assicurato di non aver richiesto alcun “visto” o di aver organizzato una “missione”. Anche se “l’obiettivo della pace rimane per me una priorita’”, assicura. L’onda anti-militarista spinge le forze politiche a continui distinguo sul sostegno all’Ucraina tanto che in Senato si e’ addirittura costituito un nuovo gruppo (Cal) che ha come collante l’opposizione all’esecutivo Draghi e alla guerra. Sempre in Senato, tuttavia, l’intesa in maggioranza e’ cruciale in questi giorni per risolvere il “nodo Petrocelli”. Soprattutto ora che la Giunta per il regolamento sarebbe ormai determinata a procedere con le dimissioni dei componenti della commissione per far decadere anche il Presidente. In questo clima di scontro ha fatto capolino anche Beppe Grillo che ha approfittato della giornata per la liberta’ di stampa per sferrare un nuovo attacco ai giornalisti. Nonostante il nuovo contratto con il M5s ha disertato il convegno sulle comunita’ energetiche rinnovabili dove era atteso. “Siete qui a guardare se Grillo ha preso i soldi. Noi – sostiene in un videomessaggio – siamo gli incompetenti del nuovo e abbiamo voi contro, che siete i competenti del nulla e del morto”.

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Folla commossa a Santa Maria Maggiore per salutare Papa Francesco

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All’alba, una lunga coda si era già formata davanti alla Porta Santa della basilica di Santa Maria Maggiore, dove è sepolto Papa Francesco. Ad aprire i cancelli, alle 7 in punto, è stato il rettore della basilica, il cardinale Rolandas Makrickas, che con emozione e un sorriso ha accolto i primi fedeli. Un’affluenza straordinaria che testimonia l’enorme affetto verso il Pontefice che ha scelto come ultima dimora il cuore multietnico dell’Esquilino.

Trentamila fedeli in poche ore

Alle 14, i visitatori erano già 30mila, e si prevede che a fine giornata possano raddoppiare. Famiglie, religiosi, scout e cittadini da ogni parte del mondo hanno reso omaggio a Francesco, il Papa dei poveri e della semplicità. La gente dell’Esquilino si è stretta attorno alla basilica, orgogliosa di avere come “vicino di casa” un Pontefice amato universalmente.

Le testimonianze di una devozione senza confini

Tra i tanti fedeli, Maria arrivata da Agrigento ha sottolineato la semplicità della tomba, specchio dello stile di Francesco. Florentine, da Grenoble ma originaria del Benin, ha parlato di una “grande emozione”. Roberto, romano e ateo, ha ricordato una frase che lo aveva colpito: «È meglio vivere da ateo che vivere da cristiano e parlare male degli altri». Dalla Finlandia, Sinika ha definito Francesco “il miglior Papa che i poveri possano avere”, fiera di indossare una maglietta con il suo ritratto.

Il ricordo che si fa simbolo

Nel quartiere, il volto di Francesco campeggia tra le vetrine, mentre striscioni di ringraziamento spuntano sui palazzi. Nella basilica, intanto, le celebrazioni liturgiche si alternano alla lunga processione dei fedeli: messe solenni, canti e l’omaggio di oltre cento cardinali. I tempi di attesa sono lunghi, ma il desiderio di sostare anche solo pochi secondi davanti alla lapide di “Franciscus” è fortissimo.

Roma prepara un afflusso senza precedenti

La fila continuerà oggi fino alle 22 e riprenderà domani mattina. Il sindaco Roberto Gualtieri ha annunciato una pianificazione straordinaria per gestire l’enorme afflusso di pellegrini: «Mercoledì ci sarà una riunione in Prefettura per organizzare al meglio l’accoglienza». Intanto, la rosa bianca – fiore caro a Francesco per la sua devozione a Santa Teresina – è diventata il simbolo silenzioso di questo tributo d’amore.

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Referendum e regionali, la sfida delle opposizioni

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Per le opposizioni, le regionali saranno il “test prima delle politiche”. La definizione è del presidente Pd Stefano Bonaccini. La tornata d’autunno, quindi, come un esame di compattezza, come una prova di forza per vedere se nel 2027 il centrosinistra potrà evitare il Meloni bis. Al voto andranno: Marche, Veneto, Campania, Puglia, Toscana e Valle d’Aosta. Le prime due sono governate dal centrodestra, le altre dal centrosinistra. Qualche mese prima, l’8 e 9 giugno, ci sarà un altro esame: i cinque referendum su lavoro e cittadinanza. Le opposizioni si stanno spendendo anche per quelli, specie Pd, M5s e Avs, mentre i centristi sono meno partecipi. Già raggiungere il quorum del 50% dei votanti farebbe ben sperare il fronte dei sostenitori dei “sì”.

In vista delle regionali, per il momento il lavoro dei partiti d’opposizione è orientato soprattutto alla definizione delle coalizioni. L’obiettivo della segretaria Pd Elly Schlein è rodare lo schieramento, nell’auspicio che sia il più largo possibile e che si presenti nel maggior numero possibile di Regioni. Sui nomi dei candidati i giochi sono fatti solo nelle Marche, dove per la carica di governatore corre l’eurodeputato Pd ed ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci: l’alleanza è in via di costruzione, ma c’è la speranza che alla fine possa comprendere sia il M5s sia i centristi. In Puglia dovrebbe essere in campo l’altro eurodeputato Pd ed ex sindaco di Bari Antonio Decaro. L’accoppiata Pd-M5s parte in discesa, visto che ha già fatto le prove con la giunta ora guidata da Michele Emiliano.

In Toscana, il trascorrere del tempo fa crescere le quotazioni di una ricandidatura del governatore uscente Eugenio Giani, del Pd, già alleato a Iv, che auspica di imbarcare anche M5s e Avs. Mentre Azione ha già dato il suo placet. Giochi aperti in Campania, dove Pd e M5s stanno lavorando al candidato, che potrebbe essere l’ex presidente della Camera Roberto Fico. In ballo c’è anche l’attuale vicepresidente di Montecitorio Sergio Costa.

Entrambi sono del M5s. Fico sembra favorito, anche se per adesso è “bloccato” dal limite dei due mandati: la Costituente del Movimento ha dato indicazione di togliere il vincolo, ma ancora devono essere definiti i criteri, che dovranno passare la vaglio del voto degli iscritti. Sembrava che la chiusura dell’iter potesse arrivare prima di Pasqua. I tempi, comunque, dovrebbero essere maturi. Resta in ogni caso da capire quali saranno le indicazioni del governatore uscente Vincenzo De Luca. Partita aperta in Veneto, dove il centrosinistra è alla ricerca del candidato, che potrebbe essere sostenuto sia da Pd sia dal M5s.

Dinamica a sé in Valle D’Aosta, dove il voto è sostanzialmente proporzionale: spetta poi agli eletti formare una maggioranza in consiglio regionale e individuare il governatore. La prima prova generale delle opposizioni, però, ci sarà fra un mese e mezzo, con i referendum sul lavoro promossi dalla Cgil, che sostanzialmente aboliscono il jobs act, e quello per rendere più facile l’acquisizione della cittadinanza promosso da un comitato con Più Europa. Pd e Avs hanno dato indicazione per cinque sì. Quattro sì per il M5s, che lascerà libertà di coscienza sulla cittadinanza. Per una volta, indicazioni analoghe da Azione e Iv: “sì” solo alla cittadinanza, “no” agli altri.

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‘Commemorazione di Gramsci, bandiere rosse vietate’

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“Bandiere rosse vietate alla commemorazione di Antonio Gramsci”. Lo sostiene Rifondazione comunista, in una nota firmata dal co-segretario della federazione romana del partito, Giovanni Barbera. Lo stop sarebbe stato dato dalla direzione del Cimitero Acattolico di Roma, dove riposano le spoglie di Gramsci.

“Durante la commemorazione dell’anniversario della morte di Antonio Gramsci – scrive Barbera – si è consumato un atto di censura senza precedenti. Per la prima volta, in decenni di celebrazioni, è stato impedito l’ingresso delle nostre bandiere rosse, che da sempre, nel rispetto della memoria storica, hanno accompagnato il ricordo di Gramsci”. La spiegazione del divieto, continua Barbera, offerta dalla direttrice del cimitero è stata che “il colore rosso sarebbe divisivo”.

Arrivando così a vietare “perfino l’uso di un semplice drappo rosso, senza scritte né simboli”. Alla cerimonia – hanno raccontato altri presenti – ha partecipato almeno un centinaio di persone. Fra loro molti esponenti politici, con delegazioni anche del Pd (composta da Cecilia D’Elia, Michele Fina, Roberto Morassut, Andrea Casu ed Eugenio Marino) e di Sinistra Italiana (guidata da Marilena Grassadonia). Una commemorazione “partecipata, più degli anni passati, e tranquilla – è stato il racconto – che si è chiusa con l’esecuzione di un brano musicale”.

Fra i rappresentanti delle altre forze politiche c’è chi ha confermato che è stato chiesto di non portare bandiere di partito nel cimitero, senza però che questo abbia sollevato particolari polemiche. Qualcuno aveva la bandiera della pace, mentre simboli e nomi delle forze politiche erano comunque presenti sugli omaggi lasciati sulla tomba di Gramsci: mazzi di fiori e corone. Dura, invece, Rifondazione comunista: “Negare la presenza dei nostri simboli alla commemorazione di Antonio Gramsci (uno dei più grandi pensatori del Novecento, fondatore del Partito Comunista d’Italia e martire del fascismo) nel giorno della sua morte, è un atto di ignominia che merita la più dura condanna”.

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