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Pizzo sulla sosta all’ospedale San Giovanni Bosco di Napoli, ora c’è una guardia armata per cacciare i parcheggiatori abusivi

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La battuta viene facile, ma non è divertente. Ci hanno messo 30 anni per capire che il parcheggio dell’ospedale #SanGiovanniBosco era gestito da abusivi. E così le autorità sanitarie questa mattina, almeno questa mattina, sembrano essere decise a voler estirpare la camorra del parcheggio da pagare all’abusivo. Quello che accade al San Giovanni Bosco, l’#ospedaledelleformiche, però, giusto per onestà, succede ovunque: al Loreto Mare come al San Paolo, all’esterno del Cardarelli come al Policlinico.

“Stamattina alle sette ho portato una guardia giurata armata nell’area del parcheggio, da oggi la sua consegna è di controllare che tutti possano parcheggiare gratuitamente, senza la presenza di abusivi” ha detto un assai risoluto Roberto Rago, direttore sanitario dell’ospedale San Giovanni Bosco di Napoli. Sarebbe questo l’inizio di un nuovo corso nell’area di sosta delle auto al nosocomio napoletano, al centro nei mesi scorsi dello scandalo formiche e che ora cerca di tornare alla normalità. Nell’area del parcheggio, infatti, erano sempre presenti almeno tre parcheggiatori abusivi che chiedevano soldi ai pazienti e ai visitatori in arrivo. “La guardia giurata – spiega Rago – sarà sempre presente dalle 7 alle 21, ogni giorno. Tutti potranno parcheggiare gratuitamente. Stamattina i parcheggiatori abusivi non sono venuti, sapevano che ci sarebbe stata una stretta e non mi hanno segnalato al momento problemi”.

San Giovanni Bosco. L’ospedale è da alcuni mesi sulle prime pagine dei giornali nazionali per sporcizia, formiche e appalti in proroga da 15 anni

Intanto all’interno continua la guerra alle formiche: “Le ditte di disinfestazione – spiega Rago – monitorano con la massima attenzione tutti i reparti. Vengono ogni giorno e non mollano la presa sono ragionevolmente sicuro che non avremo altre infestazioni di formiche. Stiamo lavorando per tornare alla normalità”. Ed è partito anche l’avvicinamento alla riapertura del triage che permetterà un funzionamento a pieno regime del pronto soccorso. “In questa settimana – spiega Rago – stiamo facendo ultimi corsi di aggiornamento e ripasso per gli operatori, sia infermieristici che medici. Certo, abbiamo problemi di organico ma non sono insormontabili, per il primo mese stringeremo un po’ la cinghia poi il commissario dell’Asl Verdoliva ci ha promesso rinforzi”.

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Blackout ferma anche il tennis a Madrid ma Arnaldi passa

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Anche il torneo di tennis di Madrid si è dovuto arrendere al black out che ha colpito poco dopo le 12.30 di oggi ma l’intera penisola iberica e parte del Sud della Francia. Dopo sole tre partite giocate, il programma è stato sospeso in attesa di un ritorno dell’energia elettrica, lasciando giocatori e pubblico in un limbo fatto di attesa e incertezza, un po’ come in una stazione o in un aeroporto per uno sciopero improvviso. Intorno alle 16.30, gli organizzatori hanno infine deciso di cancellare tutti gli incontri ancora da disputare, nel pomeriggio e in serata, per motivi tecnici e di sicurezza, scombinando i programmi di tante stelle della racchetta già stressate, anche se lautamente ricompensate, dai ritmi infernali del circuito.

Una delle poche eccezioni ha riguardato Matteo Arnaldi. L’azzurro stava portando a casa il secondo set contro il bosniaco Damir Dzumhur quando si sono spenti i tabelloni e tutte le apparecchiature a servizio del match. I due giocatori sono rimasti interdetti e la partita è stata sospesa ma quello che sembrava un inconveniente localizzato alla Caja Magica, sede del torneo, si è rivelato un problema di ben altra dimensione. L’azzurro ha però potuto in qualche modo finire opera, battendo il rivale per 6-3, 6-4 per accedere agli ottavi di finale, ma della sua vittoria non resterà traccia se non nella memoria dei due protagonisti e dello scarso pubblico presente, perchè tutto era andato in tilt. Nel primo set, Arnaldi e Dzumhur hanno faticato mezz’ora per completare i primi sei game, poi l’italiano ha fatto il break per chiudere 6-4.

Nel secondo, Arnaldi non si è fatto distrarre dall’interruzione, guadagnando la sua prima volta agli ottavo in un Masters 1000 e anche qualche ora di riposo in più rispetto al prossimo avversario, che sarà uno tra lo statunitense Tiafoe e il francese Muller. Non è andata altrettanto bene al bulgaro Grigor Dimitrov, che stava avendo la meglio sul britannico Jacob Fearnley: lo stop energetico ha lasciato una telecamera pericolosamente sospesa sul centro del campo, obbligando a sospendere definitivamente l’incontro. Dopo qualche ora di attesa, i giocatori che dovevano scendere in campo hanno avuto la notifica della cancellazione del programma e tra loro ci sono Matteo Berrettini e Lorenzo Musetti, che domani, si presume, dovranno affrontare rispettivamente il britannico Jack Draper e il greco Stefanos Tsitsipas. Nel torneo Wta 1000 hanno potuto completare la partita la statunitense Coco Gauff, che ha battuto la svizzera Belinda Bencic, e la sua prossima avversaria, la russa Mirra Andreeva, che ha eliminato l’ucraina Yuliia Starodubtseva. Tutto rinviato invece per la n.1 e la n.2 al mondo, la bielorussa Aryna Sabalenka e la polacca Iga Swiatek, che è la campionessa uscente. (ANSA). 2025-04-28T18:10:00+02:00 RI ANSA per CAMERA04 NS055 NS055

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Prete indagato a Bari, su auto tracce di sangue: è indagato per omicidio stradale e omissione di soccorso

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Le tracce presenti sull’auto di don Nicola D’Onghia, il 54enne sacerdote indagato a Bari per omicidio stradale e omissione di soccorso nel caso della morte della 32enne Fabiana Chiarappa, erano di sangue. Lo dimostrano i primi risultati degli accertamenti svolti sulla Fiat Bravo del prete nei giorni successivi all’incidente. Ora, per gli inquirenti, resta intanto da capire se quel sangue sia quello della 32enne, rugbista e soccorritrice del 118, ma soprattutto se il possibile impatto tra la auto del sacerdote e Chiarappa abbia causato la morte della giovane o se questa, invece, sia avvenuta prima.

Secondo quanto ricostruito finora, la sera del 2 aprile Chiarappa era in sella alla sua moto Suzuki sulla provinciale 172 che collega i comuni di Turi e Putignano quando, per cause ancora da chiarire, avrebbe perso il controllo del mezzo e sarebbe finita fuori strada, colpendo anche un muretto a secco. Compito della pm Ileana Ramundo, che coordina le indagini dei carabinieri, è ora quello di capire – anche grazie ai risultati dell’autopsia, il cui deposito è previsto tra oltre un mese – cosa effettivamente abbia causato la morte della 32enne, se lo schianto contro il muretto o il successivo impatto con l’auto.

Il parroco, agli inquirenti, ha raccontato come quella sera, mentre percorreva quella strada, ha avvertito un rumore provenire dal pianale della propria auto (“come se avessi colpito una pietra”) ma di non essersi accorto né della moto né della ragazza, anche a causa del buio. Poco dopo aver sentito il rumore, intorno alle 20.30, si è quindi fermato in una stazione di servizio per controllare eventuali danni all’auto, prima di rimettersi in macchina e tornare verso casa. Il parroco ha detto di aver appreso dell’incidente dalla stampa il giorno dopo e per questo, dopo aver consultato i propri legali (è assistito dagli avvocati Vita Mansueto e Federico Straziota), ha deciso di raccontare il tutto ai carabinieri.

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Gip:indagare su 100 account per gli insulti a Segre

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Accusare “di nazismo una reduce dai campi di sterminio” è diffamazione aggravata dalla finalità discriminatoria, perché è “uno sfregio alla verità oggettiva” e “la più infamante delle offese per la reputazione di chi ha speso la propria vita per testimoniare gli orrori del regime e per coltivare la memoria dell’Olocausto”. E in questi casi va “ribadito” che “lo Stato è presente e che è pronto ad andare fino in fondo per tutelare i diritti di chi invoca il suo intervento”.

E’ il ragionamento del gip di Milano Alberto Carboni che, respingendo in gran parte le richieste del pm Nicola Rossato, ha deciso che devono proseguire le indagini, in cui è contestata la diffamazione aggravata dall’odio razziale, sugli insulti social nei confronti di Liliana Segre, senatrice a vita, sopravvissuta alla Shoah e sotto scorta da sei anni. Tra l’altro, bersaglio di altri ed ennesimi attacchi della stessa natura dopo la partecipazione il 25 aprile alla commemorazione della festa della Liberazione a Pesaro.

Dopo l’istanza di opposizione, discussa in aula il 27 marzo e presentata dall’avvocato di Segre, Vincenzo Saponara, il giudice ha ordinato alla Procura di identificare, con nuovi accertamenti, le persone che si nascondono dietro ad 86 account, di iscriverne nove che erano state individuate ma non indagate, tra cui Nicola Barreca che era segretario cittadino della Lega a Reggio Calabria. In più, ha stabilito che il pm dovrà formulare l’imputazione coatta, ossia il decreto di citazione diretta a giudizio mandando a processo altri sette indagati. Tra loro non c’è Chef Rubio. Per il noto volto televisivo e per altri nove, infatti, è stata accolta la richiesta di archiviazione, perché le sue frasi nei post contro Segre e a favore della causa palestinese, “per quanto aspre” e di “pessimo gusto”, rappresentano “una manifestazione argomentata del pensiero dell’autore in ordine a un tema politicamente sensibile”.

Il pm a gennaio, intanto, aveva chiuso le indagini per la citazione a giudizio, ma solo nei confronti di dodici persone, tra cui No vax e Pro Pal. Per il gip, però, che nell’ordinanza riporta una tabella con 246 account e relative offese alla senatrice raccolte, tra il 2022 e il 2024, in 27 querele, non ci si può fermare qua. E non si può sostenere, come ha fatto il pm, “che è frequente nel dibattito politico l’utilizzo, per contrastare e stigmatizzare l’avversario politico, del termine ‘nazista’”. Qua si parla di chi ha vissuto in prima persona l’Olocausto.

E quel “tragico vissuto personale” e “l’incidenza che l’ideologia nazista ha avuto nella sua esistenza sono circostanze che erano ben conosciute agli autori dei post, i quali hanno accostato il termine nazista alla sua immagine proprio in ragione della speciale carica offensiva che ne sarebbe derivata”. Inoltre, si legge, gli insulti “gratuiti” in decine di post vanno considerati diffamatori per la “estrema diffusività dello strumento informatico” che “genera spirali di odio e violenza che sono alimentate proprio dalla inescusabile leggerezza con cui gli utenti si lasciano andare a commenti” di quel genere. Su questo, mette nero su bianco il gip, non può esserci “assuefazione”, il web non può essere “un terreno franco dove ogni insulto è consentito e dove la reputazione degli individui può essere calpestata impunemente”.

Infine, il gip chiarisce che, anche se i colossi della Rete hanno offerto una collaborazione a singhiozzo alle indagini, “nella maggior parte dei casi gli utenti Facebook”, ma anche dell’ex Twitter e di Instagram, “registrano il profilo con il proprio nome reale e inseriscono numerose informazioni personali”. Per questo “la possibilità di identificare gli autori dei post è realistica”.

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