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Guerra Ucraina

Pioggia di raid ma Mosca ammette, la Nato ci rallenta

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Allarmi aerei su tutta l’Ucraina, “raid ovunque” denunciati da Kiev, e appelli ai cittadini a nascondersi nei rifugi. La promessa di Vladimir Putin di interrompere gli attacchi su larga scala non sembra essere stata mantenuta, anzi la pressione degli invasori resta altissima. La risposta dei difensori è affidata alle truppe che spingono a sud, per riprendersi Kherson e Zaporizhzhia. Mentre gli attacchi oltre confine, nella regione di Belgorod, sono diventati quasi quotidiani. Ulteriori motivi di riflessione per il Cremlino, dove ormai si ammette che il sostegno della Nato agli ucraini, soprattutto in termini di armi, sta creando non pochi ostacoli alla riuscita della cosiddetta “operazione speciale”. In questa fase del conflitto, arrivato quasi all’ottavo mese, le forze in campo appaiono equivalersi sui due fronti principali. Nel sud gli ucraini stanno spingendo per riconquistare i villaggi intorno a Kherson, in vista dello scontro finale nel capoluogo regionale. A Zaporizhzhia le autorità locali in esilio hanno annunciato che le truppe di difesa hanno inflitto gravi perdite al nemico e si stanno preparando a liberare tutte le zone occupate. Per il viceministro della difesa Hanna Malyar il rapporto delle vittime è di un ucraino su sei russi. Nel Donbass invece si assiste ad una ripresa della spinta degli occupanti. La situazione è “molto difficile”, soprattutto intorno alla città strategica di Bakhmut, ha ammesso lo stesso Volodymyr Zelensky. Nel Donetsk sette insediamenti sono stati bersagliati dai separatisti, che hanno rivendicato la conquista di due villaggi. Per allontanare la pressione, gli ucraini hanno bombardato il capoluogo, colpendo il palazzo del governatore. Il campo di battaglia nel frattempo si è esteso quasi stabilmente oltre confine. Come dimostrano i nuovi raid che si sono abbattuti sulla regione di Belgorod: ben dodici esplosioni sono state segnalate dai residenti nei pressi dell’aeroporto. Le autorità hanno assicurato che le difese anti-aeree hanno retto, ma si contano almeno 4 feriti. Nei giorni scorsi erano stati colpiti depositi di munizioni, una centrale elettrica e un deposito di carburante, ed è ancora da chiarire quanto accaduto nella base militare russa dove 11 soldati sono rimasti uccisi in una sparatoria. Apparentemente – è la versione di Mosca – provocata da due reclute provenienti da un Paese ex sovietico. Vladimir Putin nel frattempo studia le sue prossime mosse e nei prossimi giorni dovrebbe convocare il Consiglio di sicurezza per fare il punto della situazione. Ma neanche al Cremlino si nega che le cose non stiano andando nei modi e nei tempi previsti. Il portavoce Dmitry Peskov, pur assicurando che “il coinvolgimento della Nato nel conflitto non sta in alcun modo influendo sui nostri obiettivi”, ha ammesso che “il potenziale” dell’Alleanza “è un peso aggiuntivo” da sopportare per la Russia, in termini di “mobilitazione economica e di altro tipo”. Proprio il sostegno degli occidentali a Kiev, in termini di armi, è destinato ad aumentare. Soprattutto dagli americani, pronti a inviare un altro mega pacchetto da oltre 700 milioni di dollari (anche se ancora mancano i sistemi di difesa anti-cruise chiesti a gran voce da Zelensky) mentre Parigi ha annunciato la fornitura dei sistemi antimissile e di contraerea Crotale, addestrando 2 mila soldati ucraini. Mosca, invece, è a corto di missili e munizioni, e secondo l’intelligence britannica “probabilmente non è in grado di ricostituire le scorte, al ritmo con cui vengono consumate”. Tra l’altro, la raffica di attacchi che si sotto abbattuti per la tutta la settimana sull’Ucraina, con circa 80 razzi da crociera, secondo Londra “limiterà la loro capacità di colpire il volume di obiettivi desiderati in futuro”. Non a caso Putin, che dovrebbe mandare circa 9 mila unità in Bielorussia per la forza congiunta, ha chiesto un ulteriore aiuto all’Iran: gli 007 americani ritengono che Teheran sia pronta a fornire al suo alleato non solo droni d’attacco, ma anche missili terra-superficie. Una mossa che preoccupa Israele: “La consegna da parte dell’Iran di missili balistici alla Russia è una chiamata” per lo stato ebraico a “fornire aiuto militare all’Ucraina”, ha twittato il ministro per la Diaspora, Nachman Shai.

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Esteri

Trump: Zelensky vuole un accordo e rinuncerebbe alla Crimea. Putin smetta di sparare e firmi

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Volodymyr Zelensky è “più calmo” e “vuole un accordo”. È quanto ha riferito Donald Trump, secondo quanto riportato dai media americani, dopo il loro incontro avvenuto nella suggestiva cornice di San Pietro, a margine dei funerali di papa Francesco.

Un incontro positivo e nuove prospettive

Trump ha descritto l’incontro con il presidente ucraino come «andato bene», sottolineando che Zelensky sta «facendo un buon lavoro» e che «vuole un accordo». Secondo il tycoon, il leader ucraino avrebbe ribadito la richiesta di ulteriori armi per difendersi dall’aggressione russa, anche se Trump ha commentato con tono scettico: «Lo dice da tre anni. Vedremo cosa succede».

La questione della Crimea

Tra i temi toccati nel colloquio, anche quello della Crimea. Alla domanda se Zelensky sarebbe disposto a cedere la Crimea nell’ambito di un eventuale accordo di pace, Trump ha risposto: «Penso di sì». Secondo il presidente americano, «la Crimea è stata ceduta anni fa, senza un colpo di arma da fuoco sparato. Chiedete a Obama». Una posizione che conferma il suo approccio pragmatico alla questione ucraina.

L’appello a Putin: “Smetta di sparare”

Trump ha ribadito di essere «molto deluso» dalla Russia e ha lanciato un nuovo appello al presidente Vladimir Putin: «Deve smettere di sparare, sedersi e firmare un accordo». Il tycoon ha anche rinnovato la convinzione che, se fosse stato lui presidente, la guerra tra Mosca e Kiev «non sarebbe mai iniziata».

Un contesto suggestivo

Riferendosi all’incontro tenutosi a San Pietro, Trump ha aggiunto: «È l’ufficio più bello che abbia mai visto. È stata una scena molto bella». Un commento che sottolinea anche la forza simbolica del luogo dove i due leader si sono parlati, all’ombra della basilica vaticana.

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Esteri

Mosca: abbattuti 115 droni ucraini, un morto a Bryansk

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Mosca afferma che di aver abbattuto stanotte 115 droni ucraini sul territorio russo e che un civile è rimasto ucciso in uno degli attacchi effettuati dai velivoli senza pilota delle forze di Kiev, quello sulla città occidentale di Bryansk.

Secondo un comunicato del Ministero della Difesa di Mosca citato dall’agenzia di stampa russa Tass i droni ucraini sono stati intercettati sulle regioni di Bryansk (102), Kursk (due) e Belgorod (uno), sulla Crimea (nove) e sul Mar Nero (uno). Il governatore del Bryansk, Alexander Bogomaz, ha scritto su Telegram che “il regime di Kiev ha compiuto un altro atto terroristico questa notte” sul capoluogo di regione uccidendo “un civile” e ferendo “una donna”. L’attacco ha danneggiato anche alcune infrastrutture civili, ha aggiunto Bogomaz.

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Esteri

Pressing degli Usa per la tregua, Mosca attacca l’Europa

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Il faccia a faccia tra Volodymyr Zelensky e Donald Trump nella Basilica di San Pietro, fortemente sostenuto anche dalla Santa Sede, ha ridato speranza agli ucraini di ottenere una pace che non sia una resa, ma il percorso continua ad essere pieno di incognite. Kiev in questa fase rilancia gli appelli ai partner per spingere Mosca ad accettare almeno una tregua, mentre il Cremlino prova a tenersi stretti gli americani assicurando che sulla soluzione del conflitto le posizioni sono “coincidenti in molti punti”, mentre sono gli ucraini e gli europei a voler mettersi di traverso.

A Washington, tuttavia, questo stallo viene vissuto con crescente insofferenza. Ed ora la nuova richiesta alle parti in conflitto è di accettare concessioni reciproche entro la prossima settimana. I colloqui tra Zelensky, Trump e i leader dei volenterosi, a margine dei funerali del Papa, hanno in qualche modo reindirizzato la pressione diplomatica verso la Russia. Tanto che lo stesso presidente americano, nel volo di rientro da Roma, si è lasciato andare ad un’insolita sfuriata nei confronti di Putin, accusandolo di “prendere in giro” gli sforzi di pace con i suoi raid sui civili, e minacciando nuove sanzioni. Mosca ha provato a schivare questi strali rimarcando le distanze all’interno del blocco transatlantico.

Ha iniziato il portavoce di Vladimir Putin, Dmitry Peskov, assicurando che il lavoro con gli americani continua, “in modo discreto e non in pubblico”. E ricordando le convergenze tra le due potenze, a partire dall’idea che la Crimea sia russa e che Kiev non potrà mai entrare nella Nato. A rafforzare il concetto ci ha poi pensato Serghiei Lavrov. Il ministro degli Esteri ha accusato gli europei di “voler trasformare, insieme a Zelensky, l’iniziativa di pace di Trump in uno strumento per rafforzare l’Ucraina”, a dispetto delle idee della Casa Bianca. Mosca, in particolare, conta sul fatto che le rivendicazioni territoriali di Kiev, così come le garanzie di sicurezza, non interessino più di tanto a Washington.

Gli ucraini al contrario vogliono ricompattare i loro alleati. Zelensky, pur smentendo la resa nel Kursk, ha ammesso che la situazione al fronte è difficile per gli incessanti raid russi ed ha sottolineato che il nemico insiste nell'”ignorare la proposta degli Stati Uniti di un cessate il fuoco completo e incondizionato”. Nel frattempo il leader ucraino ha continuato a tessere la sua tela diplomatica. Così, in occasione dei funerali del Papa, ha cercato la sponda dei partner, ma anche del Vaticano. Come dimostrano gli incontri con il segretario di Stato Pietro Parolin ed il presidente della Cei Matteo Zuppi, che in passato erano stati mandati da Papa Francesco in missione a Kiev e l’arcivescovo di Bologna anche a Mosca.

Al termine dei quali Zelensky si è detto “grato per il sostegno al diritto all’autodifesa dell’Ucraina e anche al principio secondo cui le condizioni di pace non possono essere imposte al paese vittima. In seguito, l’ambasciatore ucraino, Andrii Yurash, ha fatto sapere che anche il faccia a faccia Zelensky-Trump ha “avuto il sostegno della Santa Sede: di tutti, non di una persona in particolare”. E se una trattativa diretta tra Mosca e Kiev ancora non appare all’orizzonte, gli Stati Uniti provano a stringere i tempi. “Questa settimana – ha spiegato il segretario di Stato Marco Rubio – cercheremo di determinare se le due parti vogliono veramente la pace e quanto sono ancora vicine o lontane dopo circa 90 giorni di tentativi”. E l’avvertimento è chiaro: “L’unica soluzione è un accordo negoziato in cui entrambi dovranno rinunciare a qualcosa che affermano di volere e dovranno dare qualcosa che non vorrebbero dare. In questo modo si mette fine a una guerra e questo è quello che stiamo cercando di fare”.

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