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Pioggia di droni in Russia, ‘nuovo sbarco in Crimea’

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L’Ucraina alza il tiro della sua controffensiva, passando da attacchi isolati a un massiccio raid sul suolo russo: decine di droni ucraini hanno attaccato nella notte Belgorod, Bryansk e Kursk, secondo il ministero della Difesa di Mosca che sostiene di aver abbattuto 31 Uav in quello che ha chiamato un “attacco terroristico”. Non ci sono state vittime, ma danni a edifici e – rivendicano i servizi ucraini – a un costosissimo sistema di difesa aerea S-400 Triumph distrutto a Belgorod. Secondo il governatore di Bryansk, Alexander Bogomaz, gli ucraini avrebbero inoltre attaccato 50 abitazioni ed edifici con munizioni a grappolo, armi bandite da decine di Paesi per le loro devastanti conseguenze sui civili ma in uso da tempo nel conflitto ucraino.

Sul terreno è la Crimea a confermarsi teatro di scontro, a detta delle forze ucraine: secondo l’intelligence della Difesa Gur, gli uomini delle forze speciali Stuhna e Bratstvo sono sbarcati sul territorio della penisola occupata, scatenando una battaglia che ha visto “molti morti e feriti tra gli invasori”, ma anche “perdite tra i difensori ucraini”, ha riferito il portavoce degli 007 Andriy Yusov. L’incursione toccata-e-fuga, utile a girare il video di una bandiera ucraina che sventola sulla penisola, è stata però smentita da Mosca, secondo cui lo sbarco notturno sulla Crimea è stato sventato: “Le azioni degli aerei delle forze russe hanno fermato il tentativo di penetrazione da parte di un gruppo da sbarco delle forze armate ucraine, che si stava dirigendo in direzione di Capo Tarkhankut con un’imbarcazione militare e tre moto d’acqua”, è la ricostruzione del ministero della Difesa russo. Non ci sono conferme indipendenti su quanto avvenuto nella notte, ma è chiaro che le forze di Kiev spingono per portare a casa risultati utili a dare vigore alle loro richieste di sostegno occidentale.

Sostegno che negli ultimi giorni sembra essere meno granitico dei mesi scorsi, dopo che i fondi americani per Kiev sono stati depennati dalla legge che ha evitato lo shutdown Usa. Il presidente Joe Biden si è detto preoccupato dalla possibilità che le battaglie interne al partito repubblicano possano creare problemi agli aiuti per la guerra, annunciando un importante discorso sull’Ucraina a breve. Washington ha intanto consegnato a Kiev 1,1 milioni di munizioni iraniane che erano destinate ai ribelli Houthi in Yemen ma che gli Usa hanno sequestrato. Così, dopo aver visitato le truppe nel Kharkiv, il presidente ucraino Zelensky è tornato a sottolineare quanto sia “importante che i nostri alleati non siano stanchi e siano motivati come noi”. “Io sento che c’è sostegno dagli Stati Uniti, dalla Casa Bianca e dal Congresso” e, “anche se diverse opinioni sono state espresse, la maggior parte sostiene l’Ucraina. Sono convinto che sarà così anche nel futuro”, ha detto mostrandosi fiducioso.

“Gli Usa resteranno con noi e l’Europa sarà dalla nostra parte”, ha affermato ringraziando, anche l’Italia e la premier Giorgia Meloni. Il leader ucraino ha quindi lanciato l’ennesimo allarme per le scarse forniture di armi del suo esercito: “La nostra controffensiva va avanti”, ma “mancano proiettili e l’antiaerea. L’inverno è un’altra sfida per la nostra popolazione e per i militari ucraini. Dobbiamo attraversarlo senza perdere l’iniziativa sul campo di battaglia”. Per farlo, ha insistito, l’Ucraina sta “facendo di tutto per dotarsi di più sistemi di difesa aerea prima dell’inverno. E ora ci aspettiamo determinate decisioni dai nostri partner”. Nessuna apertura al dialogo con Mosca nelle parole del presidente, che rinnova l’invito al Papa ad andare a Kiev ma evocando solo la necessità di riportare a casa i bambini ucraini deportati. Non ci si può fidare di un uomo come Vladimir Putin, secondo Zelensky. “La Russia non è interessata alla via diplomatica. Ci sono stati colloqui del Vaticano, anche la Turchia ci ha provato ma il risultato è sempre lo stesso: nessuno è riuscito. Non perché i leader non siano forti ma perché la fine della guerra è contraria ai desideri di Putin”, è la convinzione del presidente. “Putin ha deciso di andare avanti, bloccherà qualsiasi accordo, basta guardare l’accordo sul grano”. Così, tutto si gioca ancora su armi e terreno, alle porte del giorno 600 della guerra.

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Esteri

Zelensky in Europa: accordi con Grecia, Francia e Spagna per superare l’inverno di guerra

Zelensky torna in Europa e ottiene aiuti da Atene, Parigi e Madrid: gas per l’inverno, un accordo storico sulla difesa con Macron e nuovi sostegni dalla Spagna.

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Volodymyr Zelensky è tornato in Europa in uno dei momenti più difficili dall’inizio della guerra. L’offensiva russa prosegue, mentre gli aiuti Ue restano bloccati e quelli Usa dipendono dalle oscillazioni della politica di Donald Trump. In questo quadro di incertezza, Grecia, Francia e Spagna hanno scelto di tendere la mano all’Ucraina.

L’intesa energetica con la Grecia

Ad Atene, prima tappa del tour, Zelensky ha puntato tutto sull’emergenza energetica. Il governo di Kyriákos Mitsotákis ha assicurato una fornitura di gas da gennaio a marzo 2026, per un valore di due miliardi di euro. Il finanziamento sarà coperto grazie ai partner europei.

Il Gnl arriverà in Ucraina tramite la Grecia, ma la provenienza è americana: una triangolazione che divide la partita energetica con Washington. Atene, intanto, rafforza il ruolo di hub europeo del Gnl diretto verso l’Europa centrale e orientale.

Parigi prepara un accordo “storico”

La tappa decisiva sarà Parigi: Zelensky firmerà con Emmanuel Macron un «accordo storico» sulla difesa. I dettagli non sono ancora pubblici, ma il presidente ucraino ha anticipato un rafforzamento dell’aviazione da combattimento, della difesa aerea e di altre capacità militari.

Un passo avanti notevole della Francia, in una fase in cui il sostegno europeo a Kiev appare in stallo.

Madrid chiude il tour

L’ultima tappa sarà Madrid, altro partner considerato «forte» da Zelensky. In programma anche una visita al Reina Sofia, dove è esposto il Guernica di Picasso: nel 2022 Zelensky paragonò il massacro di Mariupol proprio alla tragedia della città spagnola.

La guerra continua senza sosta

Mentre Zelensky cerca sostegni in Europa, la guerra in Ucraina resta feroce. Mosca rivendica la conquista di due villaggi nella regione di Zaporizhzhia. A Pokrovsk gli ucraini resistono, ma in inferiorità numerica.

Secondo Kiev, negli ultimi sette giorni la Russia ha sganciato 980 bombe sull’intero Paese. Una sola notizia positiva sul fronte umanitario: il rilascio di 1.200 prigionieri ucraini dalle carceri russe.

L’appello alla pace

Dal Vaticano, Papa Leone XIV ha rinnovato il suo appello: «Non possiamo abituarci alla guerra e alla distruzione». Anche il presidente Sergio Mattarella, da Berlino, ha richiamato l’urgenza della pace.

Ma un negoziato appare lontano. Yuri Ushakov, consigliere di Vladimir Putin, ha confermato contatti con gli Usa basati sul vertice di Anchorage tra Trump e lo Zar. Un punto di partenza che potrebbe non favorire né l’Ue né Kiev.

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Arrestato in Europa Pipo Chavarria, il boss dei Los Lobos: «Lo abbiamo cercato fino all’inferno»

Il presidente Noboa annuncia l’arresto di Pipo Chavarria, capo dei Los Lobos, catturato in Europa dopo anni di latitanza. Il boss aveva finto la morte e continuava a ordinare omicidi dall’estero.

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«Lo abbiamo cercato fino all’inferno». Con queste parole il presidente Daniel Noboa ha annunciato la cattura di Pipo Chavarria, leader dei Los Lobos, definito «il delinquente più ricercato della regione». L’arresto è avvenuto in Europa grazie a una collaborazione tra Ecuador e polizia spagnola.

La falsa morte e la rete criminale internazionale

Secondo quanto spiegato da Noboa, Chavarria aveva finto la propria morte, cambiato identità e trovato rifugio in Europa, da dove continuava a impartire ordini. Dall’estero dirigeva omicidi in Ecuador e controllava il traffico di droga insieme al cartello messicano Jalisco Nueva Generación.

Un arresto simbolico nel giorno del referendum sulla sicurezza

La cattura arriva nel giorno del referendum promosso da Noboa su temi cruciali della sicurezza nazionale, diventando un segnale politico fortissimo. «Oggi le mafie indietreggiano. Ha vinto l’Ecuador», ha dichiarato il presidente, celebrando un risultato definito come un punto di svolta nella lotta al crimine organizzato.

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Regno Unito, stretta storica sull’asilo: fine del permesso quinquennale e revisione continua dei rifugiati

Il governo Starmer annuncia una stretta senza precedenti sull’asilo: permesso ridotto a 30 mesi, revisione continua e residenza permanente solo dopo 20 anni. Polemiche da destra e sinistra.

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Basta asilo a tempo indeterminato. Il Regno Unito del dopo Brexit cambia paradigma e annuncia una stretta senza precedenti rispetto alla sua storica tradizione di accoglienza. A farlo è il governo laburista di sir Keir Starmer, in piena crisi di consenso e sotto la pressione crescente di forze come Reform UK di Nigel Farage.

Mahmood: «Fine del golden ticket per i richiedenti asilo»

La ministra dell’Interno Shabana Mahmood, figlia di immigrati pachistani, ribadisce alla Bbc la linea dura:

  • permesso di soggiorno ridotto a 30 mesi;

  • revisione periodica obbligatoria;

  • rimpatrio possibile se il Paese d’origine torna “sicuro”;

  • residenza permanente solo dopo 20 anni, quattro volte più del regime attuale.

La normativa vigente garantisce 5 anni di permesso ai rifugiati e accesso quasi automatico alla residenza permanente alla scadenza del quinquennio.

Londra guarda alla Danimarca e punta a frenare gli arrivi via Manica

Il governo Starmer si ispira alla linea durissima di Copenaghen, che ha ridotto le richieste di asilo ai minimi da 40 anni. L’obiettivo è scoraggiare gli arrivi via Manica sulle small boat, aumentati nonostante le promesse: nel 2025 sono già 39.000 le persone sbarcate, più di tutto il 2024.

La Francia attribuisce a Londra parte del problema, sostenendo che le norme britanniche finora troppo permissive abbiano reso difficile il controllo dell’immigrazione illegale.

Critiche da destra e sinistra

Le opposizioni conservatrici e i seguaci di Farage definiscono la stretta “superficiale” e insufficiente.
Dall’altro lato, ong, sinistra del Labour e Verdi denunciano una violazione dei principi di solidarietà e diritti umani.

Mahmood respinge ogni accusa:
«È la più grande revisione della politica d’asilo dei tempi moderni. Non sto accettando gli argomenti dell’estrema destra: è una missione morale».

Starmer cerca ossigeno in un clima politico esplosivo

Il premier laburista tenta così di frenare un’emorragia di consensi data per inarrestabile dai sondaggi, mentre anche dentro il Labour monta il malcontento. La questione migratoria diventa quindi un terreno decisivo per la sopravvivenza politica del governo.

La promessa, però, resta tutta da verificare nella sua efficacia.

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