Salvatore Calleri è il presidente della Fondazione di studi sulla mafia Antonino Caponnetto. L’abbiamo intervistato oggi, nel giorno della triste ricorrenza dell’omicidio di Piersanti Mattarella, presidente della Regione Sicilia e fratello dell’attuale Presidente della Repubblica. Un attentato su cui ancora non è stata fatta piena luce. Con il presidente Calleri abbiamo poi potuto approfondire le più importanti ed urgenti questioni legate alla mafia: la mancanza di un serio piano di eradicamento delle mafie da parte dello Stato, la prima crepa nella legislazione antimafia aperta dalla recente sentenza della Cedu sull’ergastolo ostativo, la mafia che scompare dai media e dal dibattito politico. Eppure per Calleri, come per il procuratore Gratteri, “se ci fosse la volontà politica, la mafia sarebbe vinta dallo Stato in dieci anni”.
Calleri, oggi è l’anniversario dell’omicidio di Piersanti Mattarella, avvenuto il 6 gennaio del 1980. Perché fu ucciso il presidente della Regione Sicilia? Che cosa sappiamo sugli esecutori materiali e sui mandanti?
Piersanti Mattarella era un presidente di Regione che provò ad innovare, aprendo gli orizzonti della politica al di là della Democrazia Cristiana. Il suo è un omicidio che aspetta ancora delle risposte. Molto probabilmente ci fu una sorta di azione congiunta tra Cosa Nostra, apparati deviati ed estrema destra. Adesso si aspetta di vedere a cosa porterà la pista della pistola, che pare essere la stessa utilizzata anche in omicidi commessi dall’estrema destra. La dinamica è ancora poco chiara.
Perché la parola mafia pare essere uscita dal vocabolario della politica?
Perché la mafia è difficile da combattere. In questi ultimi anni purtroppo sono prevalsi, in modo diretto o indiretto, i pro-mafia, persone che fanno sempre polemica sull’antimafia e questo è un problema. Siamo arrivati ad un punto in cui sempre più spesso si intervistano i parenti dei mafiosi per sentire un’altra campana, magari dopo che c’è stata un’operazione di polizia. E’ grave quello che sta succedendo. Combattere la mafia è difficile, è il primo problema del Paese, fattura oltre 200 miliardi di euro e la si combatte poco e male.
Nel 2019 la Cedu (Corte europea dei diritti dell’uomo, ndr) ha messo in discussione la normativa antimafia sull’ergastolo ostativo. Crede sia il preludio ad altri attacchi alla legislazione antimafia italiana?
Il 2019 è stato un anno tremendo. La sentenza della Cedu ha messo in discussione l’ergastolo ostativo consentendo i permessi premio. Questa sentenza – poi confermata dalla nostra Corte costituzionale – ha aperto la prima crepa nella legislazione antimafia italiana. Il rischio è che nel 2020 vengano messi in discussione il 41 bis e altre importanti normative quali le interdittive delle imprese, che possono essere emanate dai prefetti, e lo scioglimento dei comuni per sospette infiltrazioni mafiose. Sono i prossimi obiettivi del mondo mafioso e pro-mafia. Ci sono già le prime avvisaglie; questo è un rischio enorme per il nostro Paese. Nel 2020 c’è da stare attenti: rischiamo di mangiarci la nostra ottima legislazione antimafia. I mafiosi hanno sempre temuto l’ergastolo ostativo e il 41 bis. E’ l’applicazione del papello. Fa parte da sempre del “programma politico” della mafia.
Quando sarà sconfitta la mafia? Perché lo Stato non mette a punto una strategia a lungo termine di eradicamento?
Se ci fosse la volontà politica, la mafia sarebbe vinta dallo Stato in dieci anni. In questo la penso come il procuratore di Catanzaro Gratteri. Il problema è che questa volontà politica c’è a parole, ma non nei fatti. Le faccio un esempio. Dopo la sentenza della Cedu sull’ergastolo ostativo, andava fatto un disegno di legge seguendo un vecchio modello di Giovanni Falcone, che avrebbe consentito di porre rimedio a quella sentenza. Ci voleva mezza giornata a prepararlo. La classe politica – maggioranza e opposizione – si è lamentata dopo la sentenza, ma quel disegno di legge non è stato fatto.
L’Italia, storicamente Paese di esportazione di mafie, è ormai anche un Paese che importa mafie. Quali sono le mafie straniere maggiormente presenti sul territorio nazionale?
Le mafie straniere più incisive – a volte definite propriamente come mafie, altre solo come criminalità organizzata, mancando l’elemento del 416 bis – sono senza dubbio la mafia nigeriana, la mafia cinese e la mafia albanese. A dire il vero sono presenti anche altre mafie, fra cui russi e georgiani, ma le prime tre sono quelle che mi appaiono più forti sul territorio nazionale, talvolta in alleanza, talvolta in conflitto con le mafie italiane. Le mafie italiane sono molto presenti anche in Europa, dove fanno il bello e il cattivo tempo perché, non essendoci norme efficaci contro di loro, risulta più difficile colpirle.
Ritiene che la magistratura sia dotata degli strumenti adeguati per combattere il fenomeno mafioso?
Abbiamo le normative adeguate per combattere il fenomeno mafioso, il problema è che le stanno mettendo in discussione. Il rischio è quindi che ci levino lo strumento. Bisogna partire da un presupposto: la mafia è il primo problema del Paese. Troppo spesso è invece scomparsa dal dibattito politico; se viene trattata, lo si fa in modo sbagliato o superficiale.
Fodazione Mediterraneo. Michele Capasso (a sinistra) assieme al pm antimafia Catello Maresca e all’ex presidente del parco dei Nebrodi Beppe Antoci
Nei media si parla poco e male del fenomeno mafioso. Crede che anche l’informazione abbia delle responsabilità, delle debolezze, delle negligenze nel racconto?
Il ruolo dei media è fondamentale, ma il tema deve essere trattato in modo adeguato. Spesso i media commettono un errore. In Italia si scambia il giornalismo investigativo per giornalismo a tesi, che in realtà è l’esatto contrario. Questo errore lo fanno anche quelli che pensano di trattare l’argomento mafia. Di giornalisti investigativi che trattano l’argomento mafia in Italia ce ne saranno al massimo cinque o sei. I media ultimamente sono un po’ distratti, oppure trattano l’argomento in modo superficiale o tematico. Si dovrebbe invece approfondire. Ci sono però testate indipendenti, fra cui la vostra, che stanno riprendendo a trattare bene l’argomento. Questo è motivo di speranza. In testate indipendenti – penso, oltre a Juorno.it, a Chronopolis e a giornalepopolare.it, si registra un’inversione di tendenza, vedo un’attenzione notevole.
Crede che questi anni rappresentino uno dei punti più bassi nella lotta alla mafia?
Assolutamente sì, siamo tornati indietro di trent’anni. Oggi combattere contro la mafia è faticoso, anche perché è una minoranza a combatterla in tutti gli ambiti, anche nella magistratura. E chi vi si oppone viene spesso delegittimato. Le faccio un esempio. Se ti sparano addosso, si mette in discussione che a farlo siano stati dei mafiosi. Guardiamo Antoci. Hai la procura che ha detto che sono stati i mafiosi che gli hanno sparato addosso, hai la polizia scientifica di Roma che ha ricostruito l’attentato; eppure c’è sempre qualcuno che tira fuori il dubbio. Come se uno dovesse per forza essere ammazzato. Se l’attentato fallisce, non è stata la mafia. Discorso analogo per il vostro collega Borrometi; ci sono intercettazioni di mafiosi che parlano di un attentato che gli dovevano fare; anche lì si mette in dubbio la natura mafiosa. Combattere contro la mafia è complicato in questo Paese perché mirano a delegittimarti. Col mascariamento.
Ischia ritrova la sua giustizia: il Tribunale torna operativo con le udienze del giovedì
Il Tribunale di Ischia riapre le udienze del giovedì grazie al decreto del presidente vicario Scoppa. Una vittoria per avvocati, cittadini e istituzioni locali dopo mesi di proteste.
Una notizia attesa con speranza dai più ottimisti e insperata da altri, ma che segna un passaggio decisivo nella lunga battaglia per la tutela del presidio giudiziario dell’isola verde. Il presidente vicario del Tribunale di Napoli, Gianpiero Scoppa, ha disposto il ripristino delle udienze a Ischia, restituendo piena funzionalità alla sezione distaccata locale.
Una decisione che accoglie le istanze dell’Associazione Forense dell’isola di Ischia e del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, protagonisti di una mobilitazione decisa culminata nello sciopero del 5 aprile scorso e nel ricorso al TAR presentato con il sostegno dei sei Comuni isolani.
Il decreto del giudice Scoppa: ritorno alla normalità
Il provvedimento firmato da Scoppa prevede l’assegnazione provvisoria del giudice onorario Ciro Ravenna al settore civile della Sezione distaccata di Ischia, in qualità di Giudice dell’Esecuzione, con il compito di gestire le udienze precedentemente seguite dalla giudice Criscuolo.
Nel decreto si evidenzia che Ravenna, rientrato in servizio nel 2025 dopo un incarico all’Ufficio del Giudice di Pace, aveva espressamente chiesto di essere destinato a una sezione civile in virtù della propria formazione professionale. La sua collocazione a Ischia rappresenta dunque una soluzione funzionale per sopperire alle gravi carenze d’organico che affliggono il Tribunale isolano.
Il decreto ha effetto immediato, garantendo il ripristino delle udienze del giovedì e segnando una svolta dopo mesi di polemiche, disservizi e disagi per professionisti, cittadini, testimoni e imputati costretti agli spostamenti sulla terraferma.
La soddisfazione dell’Assoforense e dell’avvocatura
«Quello ottenuto è un risultato importante», ha commentato Alberto Morelli, presidente dell’Assoforense Ischia. «Scoppa aveva già dimostrato attenzione e sensibilità alla nostra situazione. Ora arriva un passo concreto che ridà dignità alla nostra professione e servizio alla cittadinanza».
Anche il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli esprime soddisfazione per l’esito di un lavoro di sinergia tra istituzioni e avvocati, premiato da un risultato tangibile dopo mesi di diplomazia e pressione istituzionale.
La battaglia continua: si attende la stabilizzazione definitiva
Sebbene l’assegnazione di Ravenna rappresenti una boccata d’ossigeno, resta ancora aperta la questione della stabilizzazione definitiva del Tribunale di Ischia, promessa più volte dal Governo centrale ma mai concretamente attuata.
Il clima ora è più disteso, ma solo un atto definitivo potrà chiudere quella che gli avvocati dell’isola definiscono «una lunga parentesi di giustizia precaria».
Conclave 2025, i cardinali decidono: si comincia il 7 maggio
Il Conclave per eleggere il successore di Papa Francesco inizierà il 7 maggio. I cardinali si riuniranno nella Cappella Sistina: le regole, i tempi e il ruolo di Parolin.
I cardinali hanno deciso: il Conclave che eleggerà il 266esimo successore di Pietro inizierà il 7 maggio, mercoledì prossimo, nel pomeriggio. L’annuncio è arrivato dopo l’assemblea dei porporati che ha scelto di prendersi qualche giorno in più per motivi principalmente logistici.
Più tempo per sistemare gli elettori
La decisione di posticipare l’inizio del Conclave rispetto alla conclusione dei novendiali di suffragio per Papa Francesco, che termineranno domenica, è dovuta alla necessità di organizzare adeguatamente l’accoglienza dei 135 cardinali elettori – il numero più alto mai registrato – presso la Casa Santa Marta. Due porporati, infatti, hanno già annunciato la rinuncia per motivi di salute.
La guida del Conclave
A presiedere il Conclave sarà il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato Vaticano, poiché il Decano Giovanni Battista Re e il Vice Decano Leonardo Sandri, avendo superato gli ottant’anni, non parteciperanno alle votazioni. Toccherà a Parolin, quindi, interrogare il nuovo eletto circa l’accettazione del pontificato e il nome che vorrà assumere.
Prima dell’inizio delle votazioni, la mattina del 7 maggio, il cardinale Re celebrerà la Missa pro eligendo Romano Pontifice nella Basilica di San Pietro. Nel pomeriggio, i cardinali si raccoglieranno nella Cappella Paolina per poi entrare in processione nella Cappella Sistina intonando il “Veni Creator Spiritus”, invocando l’assistenza dello Spirito Santo.
Le regole del Conclave
Come stabilito dalla Costituzione Universi Dominici Gregis di San Giovanni Paolo II, i cardinali hanno giurato di rispettare rigorosamente le norme che regolano l’elezione. Sono vietate influenze esterne, pressioni, favoritismi o avversioni personali. L’unico criterio dev’essere il bene della Chiesa e la gloria di Dio.
Il nuovo Papa dovrà essere eletto con una maggioranza qualificata di due terzi. Dopo il comando “Extra omnes” (“Fuori tutti”), inizieranno le votazioni: il primo scrutinio sarà effettuato il 7 maggio. Dal giorno successivo, se necessario, si procederà con quattro votazioni quotidiane, due al mattino e due al pomeriggio.
Un grave episodio di simulazione scuote il clima politico e sindacale a Genova. Fabiano Mura, segretario genovese della Fillea-Cgil (categoria degli edili), è stato iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di simulazione di reato, dopo aver inventato una presunta aggressione subita alla vigilia del 25 aprile.
Mura aveva denunciato pubblicamente e in Procura di essere stato aggredito da due persone che gli avrebbero urlato insulti fascisti, fatto il saluto romano, sputato addosso e colpito con pugni e spintoni. Un racconto drammatico che aveva suscitato un’immediata ondata di solidarietà, culminata in una manifestazione antifascista a cui avevano preso parte esponenti politici e sindacali, tra cui Anpi Genova, la candidata sindaca del centrosinistra Silvia Salis, l’ex ministro Andrea Orlando e l’ex leader Cgil Sergio Cofferati.
La verità emerge: nessuna aggressione
Le indagini della Digos hanno rapidamente sollevato dubbi sulla versione dei fatti fornita da Mura. I riscontri video delle telecamere di sorveglianza e le incongruenze sugli orari hanno smontato il suo racconto. Messo alle strette dagli investigatori, il sindacalista ha infine ammesso davanti al magistrato di essersi inventato tutto e ha ritirato la denuncia.
La Cgil, dopo aver appreso l’esito delle indagini, ha annunciato la sospensione di Mura, prendendo ufficialmente le distanze dal suo comportamento.
Le reazioni politiche
Il caso ha suscitato reazioni forti nel panorama politico. Matteo Salvini, leader della Lega, ha commentato: «Che tristezza. Per tre giorni è stato lanciato l’allarme sulla violenza fascista a Genova, e poi si è scoperto che gli unici fascisti immaginari stanno a sinistra». Anche Fratelli d’Italia ha denunciato l’episodio, sottolineando che «le falsità fomentano l’odio».
Dal centrosinistra, Silvia Salis ha preso le distanze: «È un atto gravissimo. Noi siamo parte lesa e ci dissociamo completamente da questa azione irresponsabile».