Collegati con noi

Corona Virus

Parla Fiorella Filippelli, Farmacologa e componente dell’Aifa: il Tocilizumab? Va testato. L’unico farmaco miracoloso è restare a casa per frenare il Covid19

Pubblicato

del

Fiorella Filippelli è docente di farmacologia dell’Università di Salerno e membro del Comitato Prezzi/Rimborsi dell’Agenzia Italiana del Farmaco, organismo che svolge una delicata funzione di controllo e trasparenza sulla spesa farmacologica nel nostro Paese. Con lei abbiamo approfondito la situazione dei farmaci impiegati in questi giorni nella lotta alla polmonite scaturita dal Coronavirus, su tutti il Tocilizumab, farmaco antinfiammatorio utilizzato negli ultimi giorni all’ospedale Cotugno di Napoli, che pare abbia prodotto importanti risultati sui pazienti. 

Dottoressa Filippelli, il Tocilizumab sembra efficace nel contenere la polmonite interstiziale causata dal coronavirus. A che punto siamo?

Sta per partire su tutto il territorio nazionale uno studio osservazionale sotto l’egida dell’Aifa, al fine di valutare con maggiore dettaglio la reale efficacia del farmaco. Quando un farmaco viene adoperato in maniera estemporanea su pazienti con condizioni di salute diverse fra loro, non è mai semplice stabilire se il risultato ottenuto dipende dall’utilizzo di quel farmaco o da altri fattori. Il Tocilizumab rappresenta senz’altro una speranza, ma è prematuro affermare che abbiamo risolto qualcosa, anche perché è un antinfiammatorio che ha prodotto gli stessi effetti di altri farmaci più vecchi, come la Clorochina, vecchio farmaco antimalarico. Le esperienze sono varie, navighiamo in un campo non completamente noto, facciamo quello che possiamo. Nei prossimi giorni sarà data notizia del protocollo nazionale, che consentirà di utilizzare in modo adeguato i risultati dello studio osservazionale.

Se confermata l’efficacia, il farmaco potrebbe contribuire a dare sollievo ai reparti di terapia intensiva dei nostri ospedali…

Credo che il senso sia proprio quello di utilizzare il farmaco nei casi ancora non gravissimi di polmonite, piuttosto che sui pazienti in terapia intensiva che necessitano del ventilatore meccanico, per i quali la sua efficacia potrebbe essere limitata. Da questo punto di vista, è importante dosare una citochina, l’interleuchina 6, che potrebbe essere predittiva di forme più gravi di polmonite; per questo all’ospedale Ruggi d’Aragona di Salerno ci stiamo attrezzando per poterla misurare, così da avere un marcatore biologico di laboratorio in grado di dirci se il paziente migliora con l’utilizzo di questo farmaco.

C’è anche un antivirale, il Remdesivir.

Esatto. In questo caso si faranno due studi di fase 3, perché il farmaco non è ancora in commercio, a differenza del Tocilizumab in vendita per l’artrite reumatoide. Lo stanno sperimentando in Cina e adesso anche qui in Italia. L’auspicio è che questo antivirale possa realmente rappresentare la soluzione dei nostri problemi. Ma non è l’unico, abbiamo notizie di altri farmaci che si stanno utilizzando i cui primi risultati si avranno fra aprile e maggio. 

Quando vedremo i risultati della quarantena adottata dal governo per tutto il territorio nazionale?

Se davvero noi tutti adottassimo alla lettera le disposizioni del governo, i contagi si ridurrebbero in maniera decisa nel giro di due settimane. Il problema è che in molti ancora non hanno capito quanto sia grave stare a contatto con altre persone in questo momento. Se tutti mantenessero la distanza di sicurezza dagli altri, uscendo di casa il meno possibile, ci vorrebbe molto meno tempo. Se così non sarà, come temo, allora ci vorrà più tempo. Chi è del settore parla di alcuni mesi.

Se n’è discusso moltissimo. Quando e come vanno adoperate le mascherine?

Le mascherine sono necessarie assolutamente in ospedale, quando siamo in contatto con pazienti, soprattutto quando dobbiamo fare procedure su questi pazienti e quando siano sintomatici per malattie respiratorie. Non è invece per nulla indispensabile quando ad esempio si sta in un ufficio, o quando si cammina per strada, o quando si va al supermercato. Basterebbe che non ci avvicinassimo molto al nostro interlocutore, rispettando quelle che sono le distanze di sicurezza, un metro. 

Qual è secondo lei la principale criticità della sanità pubblica messa a nudo da questa emergenza?

Per molti anni s’è sempre detto che la sanità spendeva troppo, che bisognava risparmiare. Abbiamo in realtà risparmiato sui medici, ce ne sono pochi. Adesso pur volendo fare dei concorsi, a volte non si trovano i medici disponibili, perché per troppi anni abbiamo ridotto al lumicino l’accesso alle scuole di specializzazione. Sono d’accordo col numero chiuso per l’accesso alla facoltà di Medicina e Chirurgia – numero che potrebbe naturalmente essere accresciuto, come pensa di fare il ministro Manfredi – ma quello che è più importante è il numero degli iscritti alle scuole di specializzazione. Negli ultimi dieci anni il numero dei posti a disposizione era sempre la metà rispetto al numero dei candidati; è stato un grave errore e adesso non abbiamo medici specialisti, quelli che servirebbero in questo momento.

Advertisement

Corona Virus

Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

Pubblicato

del

Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

Continua a leggere

Corona Virus

Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

Pubblicato

del

Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

Continua a leggere

Corona Virus

Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

Pubblicato

del

In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto