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Politica

P.C.I. la data del centenario della nascita che coincide con la data del trentennale della fine, in mezzo 70 anni di vita e di storia

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E’ stato celebrato in questi giorni e lo sarà forse per tutto il 2021 il centenario della nascita del glorioso Partito Comunista Italiano, nato dalla scissione di Livorno, divenuto nel corso della sua vita il più grande partito comunista dell’Europa occidentale, clandestino nel 1926 per l’avvento regime fascista e poi forza centrale della resistenza dalla quale nacque poi la repubblica italiana. Un giusto tributo con il quale si analizza, si discute, si incensa, a volte, un partito che tutti coloro che non ne facevano parte, volevano distruggere o almeno zittire. Forse, anzi sicuramente, anche coloro che oggi si accalcano al palco dei relatori per tessere le lodi di quella struttura popolare che non esiste più nei tempi di lotta del Partito che fu di Togliatti, Ingrao e Berlinguer, avrebbero allora sentitamente voluto i suoi dirigenti e i suoi iscritti incarcerati. Ma oggi si festeggia la nascita e il centenario, ma chissà se qualcuno si ricorderà di commemorare anche la sua morte, lo smantellamento di un partito che per uno strano disegno del destino avvenne 70 anni dopo la sua creazione. Era il 31 Gennaio quindi le celebrazioni si sovrappongono, 70 anni dalla nascita e 30  dalla sua scomparsa, che a Rimini, in un congresso, per la precisione il XX Congresso, l’allora classe dirigente del P.C.I. decretò ufficialmente, dopo la svolta della Bolognina,  la morte dello storico partito, reputando che esso non fosse più in linea con le volontà popolari. Un gruppo di alti dirigenti del partito non accettarono le imposizioni impartite dalla nuova linea di quello che si sarebbe poi chiamato P.D.S. e non potendo mantenere il nome del partito d’origine , decisero di fondarne un altro che conosciamo con il nome di Rifondazione Comunista. Ersilia Salvato, Garavini, Cossutta e altri dirigenti, si staccarono, anzi, di fatto rimasero nello stesso partito che assunse soltanto un altro nome, ma non vide mai più i fasti e l’unità che lo aveva caratterizzato fino al 1991. L’altro soggetto, quello battezzato a Rimini, il Partito Democratico della Sinistra, era il partito che voleva mettere in soffitta la falce e martello, pur avendoli ancora nel suo simbolo come radici di una quercia che imperava nel logo.  Il PDS pensò poi di eliminare nel 1998 il termine partito, che sembrava, forse, troppo legato ai tempi che furono. L’intento era quello di  accogliere altre formazioni di una sinistra socialdemocratica che da sempre non era in linea con il comunismo, dal quale discendeva il partito della quercia. Fu fondata allora la coalizione dei Democratici di sinistra dove oltre il 70% dei dirigenti, comunque proveniva dalla quercia. Queste repentine trasformazioni portarono nel 2007 allo scioglimento che trascinarono i suoi iscritti e dirigenti a confluire in varie realtà del centro sinistra Ulivo, Unione e infine il Partito Democratico, costruito insieme all’ala di sinistra e popolare della vecchia Democrazia Cristiana. Diversa la strada della Rifondazione Comunista nata in quel XX Congresso che da allora inglobò altri partiti marxisti e proletari al suo interno, appoggiando governi di centro sinistra, ma per poi sciogliersi anch’essa per favorire la formazione di un polo si sinistra che comprende a tutt’oggi molte anime dell’ecologia militante, dell’internazionalismo europeo e che vede nelle esperienze Greche e Spagnole la sua linea politica da seguire. Momenti storici della sinistra italiana e del suo futuro, momenti che quel congresso di Rimini visse sulle emotività e sulle razionalità dei suoi partecipanti. Ora si celebra il centenario di una nascita, per molti è il trentennale di una scomparsa, rimangono i 70 anni di vita di un partito che in tutti i casi ha agito da soggetto egemonizzante e fin troppe volte intollerante delle istanze che provenivano dalla sua sinistra.

 

La gallery fotografica che vedrete di seguito è stata realizzata, da chi scrive, in quei giorni del 1991, non ci sono nomi, riconoscerete voi le persone, (ma mi fa piacere dirvi che riconoscerete un giovane Lula, che diverrà poi il Presidente più amato del Brasile), i dirigenti, i compagni di partito e gli avversari per chi era avversario e forse lo è tutt’ora. Ho voluto lasciare un bianco e nero sporco, non ritoccato, cosi, come l’archivio me lo ha riconsegnato. Anche con le macchie d’acqua che sulle pellicole erano la dannazione dei fotografi, un bianco e nero con il quale si lavorava e si documentava quello che un giorno sarebbe diventata la storia.

Fotogiornalista da 35 anni, collabora con i maggiori quotidiani e periodici italiani. Ha raccontato con le immagini la caduta del muro di Berlino, Albania, Nicaragua, Palestina, Iraq, Libano, Israele, Afghanistan e Kosovo e tutti i maggiori eventi sul suolo nazionale lavorando per agenzie prestigiose come la Reuters e l’ Agence France Presse, Fondatore nel 1991 della agenzia Controluce, oggi è socio fondatore di KONTROLAB Service, una delle piu’ accreditate associazioni fotografi professionisti del panorama editoriale nazionale e internazionale, attiva in tutto il Sud Italia e presente sulla piattaforma GETTY IMAGES. Docente a contratto presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli., ha corsi anche presso la Scuola di Giornalismo dell’ Università Suor Orsola Benincasa e presso l’Istituto ILAS di Napoli. Attualmente oltre alle curatele di mostre fotografiche e l’organizzazione di convegni sulla fotografia è attivo nelle riprese fotografiche inerenti i backstage di importanti mostre d’arte tra le quali gli “Ospiti illustri” di Gallerie d’Italia/Palazzo Zevallos, Leonardo, Picasso, Antonello da Messina, Robert Mapplethorpe “Coreografia per una mostra” al Museo Madre di Napoli, Diario Persiano e Evidence, documentate per l’Istituto Garuzzo per le Arti Visive, rispettivamente alla Castiglia di Saluzzo e Castel Sant’Elmo a Napoli. Cura le rubriche Galleria e Pixel del quotidiano on-line Juorno.it E’ stato tra i vincitori del Nikon Photo Contest International. Ha pubblicato su tutti i maggiori quotidiani e magazines del mondo, ha all’attivo diverse pubblicazioni editoriali collettive e due libri personali, “Chetor Asti? “, dove racconta il desiderio di normalità delle popolazioni afghane in balia delle guerre e “IMMAGINI RITUALI. Penitenza e Passioni: scorci del sud Italia” che esplora le tradizioni della settimana Santa, primo volume di una ricerca sui riti tradizionali dell’Italia meridionale e insulare.

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San Giacomo Vercellese, nove liste per meno di trecento abitanti: un paradosso vergognoso

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San Giacomo Vercellese, minuscolo paese piemontese incastonato tra le risaie della provincia di Vercelli, finirà suo malgrado sotto i riflettori nazionali. Il motivo? Alle prossime elezioni del 25 e 26 maggio, si presenteranno addirittura nove liste per scegliere il nuovo sindaco, nonostante i residenti siano meno di trecento.

Un numero che sfida ogni logica democratica e che solleva più di una perplessità sulla serietà e sulla trasparenza del voto in piccoli centri come questo.

Dopo la scomparsa del sindaco Massimo Camandona, morto a febbraio e ricordato come un amministratore radicato nel territorio, si sarebbero potute immaginare elezioni sobrie, nel rispetto della comunità. Invece, alla fine della fase di presentazione delle liste, si sono contati candidati provenienti da Napoli, Roma, Siracusa e Salerno.

Solo due liste fanno riferimento ad esponenti locali, già attivi nell’attuale Consiglio comunale. Tutte le altre sette sono spuntate in extremis, registrate da persone senza alcun legame con il territorio.

La presenza di un numero così spropositato di liste in un comune minuscolo non è un segnale di vitalità democratica, ma l’ennesima prova di come meccanismi elettorali poco vigilati possano essere strumentalizzati.

Dietro queste candidature improvvisate spesso si celano interessi diversi: tentativi di ottenere visibilità, raccolta firme utile per future candidature, o peggio, accesso a rimborsi elettorali.

È un fenomeno che mortifica i cittadini di San Giacomo Vercellese, riducendo la politica a un teatrino grottesco e offendendo chi, invece, si batte quotidianamente per rappresentare davvero il proprio territorio.

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Folla commossa a Santa Maria Maggiore per salutare Papa Francesco

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All’alba, una lunga coda si era già formata davanti alla Porta Santa della basilica di Santa Maria Maggiore, dove è sepolto Papa Francesco. Ad aprire i cancelli, alle 7 in punto, è stato il rettore della basilica, il cardinale Rolandas Makrickas, che con emozione e un sorriso ha accolto i primi fedeli. Un’affluenza straordinaria che testimonia l’enorme affetto verso il Pontefice che ha scelto come ultima dimora il cuore multietnico dell’Esquilino.

Trentamila fedeli in poche ore

Alle 14, i visitatori erano già 30mila, e si prevede che a fine giornata possano raddoppiare. Famiglie, religiosi, scout e cittadini da ogni parte del mondo hanno reso omaggio a Francesco, il Papa dei poveri e della semplicità. La gente dell’Esquilino si è stretta attorno alla basilica, orgogliosa di avere come “vicino di casa” un Pontefice amato universalmente.

Le testimonianze di una devozione senza confini

Tra i tanti fedeli, Maria arrivata da Agrigento ha sottolineato la semplicità della tomba, specchio dello stile di Francesco. Florentine, da Grenoble ma originaria del Benin, ha parlato di una “grande emozione”. Roberto, romano e ateo, ha ricordato una frase che lo aveva colpito: «È meglio vivere da ateo che vivere da cristiano e parlare male degli altri». Dalla Finlandia, Sinika ha definito Francesco “il miglior Papa che i poveri possano avere”, fiera di indossare una maglietta con il suo ritratto.

Il ricordo che si fa simbolo

Nel quartiere, il volto di Francesco campeggia tra le vetrine, mentre striscioni di ringraziamento spuntano sui palazzi. Nella basilica, intanto, le celebrazioni liturgiche si alternano alla lunga processione dei fedeli: messe solenni, canti e l’omaggio di oltre cento cardinali. I tempi di attesa sono lunghi, ma il desiderio di sostare anche solo pochi secondi davanti alla lapide di “Franciscus” è fortissimo.

Roma prepara un afflusso senza precedenti

La fila continuerà oggi fino alle 22 e riprenderà domani mattina. Il sindaco Roberto Gualtieri ha annunciato una pianificazione straordinaria per gestire l’enorme afflusso di pellegrini: «Mercoledì ci sarà una riunione in Prefettura per organizzare al meglio l’accoglienza». Intanto, la rosa bianca – fiore caro a Francesco per la sua devozione a Santa Teresina – è diventata il simbolo silenzioso di questo tributo d’amore.

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Referendum e regionali, la sfida delle opposizioni

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Per le opposizioni, le regionali saranno il “test prima delle politiche”. La definizione è del presidente Pd Stefano Bonaccini. La tornata d’autunno, quindi, come un esame di compattezza, come una prova di forza per vedere se nel 2027 il centrosinistra potrà evitare il Meloni bis. Al voto andranno: Marche, Veneto, Campania, Puglia, Toscana e Valle d’Aosta. Le prime due sono governate dal centrodestra, le altre dal centrosinistra. Qualche mese prima, l’8 e 9 giugno, ci sarà un altro esame: i cinque referendum su lavoro e cittadinanza. Le opposizioni si stanno spendendo anche per quelli, specie Pd, M5s e Avs, mentre i centristi sono meno partecipi. Già raggiungere il quorum del 50% dei votanti farebbe ben sperare il fronte dei sostenitori dei “sì”.

In vista delle regionali, per il momento il lavoro dei partiti d’opposizione è orientato soprattutto alla definizione delle coalizioni. L’obiettivo della segretaria Pd Elly Schlein è rodare lo schieramento, nell’auspicio che sia il più largo possibile e che si presenti nel maggior numero possibile di Regioni. Sui nomi dei candidati i giochi sono fatti solo nelle Marche, dove per la carica di governatore corre l’eurodeputato Pd ed ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci: l’alleanza è in via di costruzione, ma c’è la speranza che alla fine possa comprendere sia il M5s sia i centristi. In Puglia dovrebbe essere in campo l’altro eurodeputato Pd ed ex sindaco di Bari Antonio Decaro. L’accoppiata Pd-M5s parte in discesa, visto che ha già fatto le prove con la giunta ora guidata da Michele Emiliano.

In Toscana, il trascorrere del tempo fa crescere le quotazioni di una ricandidatura del governatore uscente Eugenio Giani, del Pd, già alleato a Iv, che auspica di imbarcare anche M5s e Avs. Mentre Azione ha già dato il suo placet. Giochi aperti in Campania, dove Pd e M5s stanno lavorando al candidato, che potrebbe essere l’ex presidente della Camera Roberto Fico. In ballo c’è anche l’attuale vicepresidente di Montecitorio Sergio Costa.

Entrambi sono del M5s. Fico sembra favorito, anche se per adesso è “bloccato” dal limite dei due mandati: la Costituente del Movimento ha dato indicazione di togliere il vincolo, ma ancora devono essere definiti i criteri, che dovranno passare la vaglio del voto degli iscritti. Sembrava che la chiusura dell’iter potesse arrivare prima di Pasqua. I tempi, comunque, dovrebbero essere maturi. Resta in ogni caso da capire quali saranno le indicazioni del governatore uscente Vincenzo De Luca. Partita aperta in Veneto, dove il centrosinistra è alla ricerca del candidato, che potrebbe essere sostenuto sia da Pd sia dal M5s.

Dinamica a sé in Valle D’Aosta, dove il voto è sostanzialmente proporzionale: spetta poi agli eletti formare una maggioranza in consiglio regionale e individuare il governatore. La prima prova generale delle opposizioni, però, ci sarà fra un mese e mezzo, con i referendum sul lavoro promossi dalla Cgil, che sostanzialmente aboliscono il jobs act, e quello per rendere più facile l’acquisizione della cittadinanza promosso da un comitato con Più Europa. Pd e Avs hanno dato indicazione per cinque sì. Quattro sì per il M5s, che lascerà libertà di coscienza sulla cittadinanza. Per una volta, indicazioni analoghe da Azione e Iv: “sì” solo alla cittadinanza, “no” agli altri.

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