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Corona Virus

Ora Omicron fa meno paura, Israele e Ema: terza dose dose efficace

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La buona notizia che mette un freno ai timori incontrollati per la variante Omicron arriva dal Paese-pilota nella lotta al Covid, Israele: “I primi dati mostrano che con tre dosi di vaccino Pfizer si e’ protetti dalla variante Omicron”. Sono le parole del ministro della sanita’ Nitzan Horowitz che ha spiegato: “La situazione e’ sotto controllo e non c’e’ motivo di panico. Ci aspettavamo una nuova variante e siamo pronti. Nei prossimi giorni avremo informazioni piu’ precise sull’efficacia del vaccino, ma le prime indicazioni mostrano che coloro che hanno un richiamo sono molto probabilmente protetti contro questa variante”. Affermazioni che hanno il potere di rasserenare dopo cinque giorni in cui il mondo ha tremato davanti all’ipotesi che la variante con 32 mutazioni isolata in Sud Africa, e definita subito come variante ‘di preoccupazione’ dall’Oms, potesse decretare l’inutilita’ dei vaccini anti-Covid. Prima ancora che dall’altra sponda del Mediterraneo arrivasse la posizione di Israele, e’ stata la direttrice esecutiva dell’Agenzia europea del farmaco (Ema) Emer Cooke, a calmare le acque sull’efficacia degli immunizzanti: “I vaccini autorizzati sono efficaci e continuano a salvare le persone da forme gravi e dalla morte. Anche se la nuova variante si diffondera’ di piu’, i vaccini che abbiamo continueranno a garantire protezione”. E ha insistito sulla necessita’ di fare i richiami. Nel mentre l’Ecdc, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, ha rilevato 42 casi della variante Omicron finora registrati nell’Ue. Meno rassicurante invece e’ stato l’amministratore delegato della casa farmaceutica Moderna Ste’phane Bancel, che in un’intervista ha affermato di prevedere un “calo sostanziale” dell’efficacia degli attuali vaccini contro la variante Omicron, mentre serviranno dei mesi per mettere a punto nuovi vaccini efficaci. “Penso che in nessun modo l’efficacia possa essere la stessa che abbiamo avuto con la Delta”, ha rincarato. Per Bancel insomma sarebbe prevedibile “un calo sostanziale” dell’efficacia dei vecchi vaccini: “non so dire di quanto perche’ dobbiamo aspettare i dati. Ma tutti gli scienziati con cui ho parlato dicono che non sara’ buono”. Dichiarazioni che hanno sollevato un’alzata di scudi da parte degli esperti che considerano fuori luogo affermazioni che non si basino su dati certi. “Premature e fuorvianti in questo momento”, ha bocciato le parole di Bancel il microbiologo Antonio Cassone, membro dell’American Accademy of Microbiology, ed ex direttore di Malattie infettive dell’Istituto superiore di sanita’. “Sara’ possibile fare chiarezza quando ci saranno i dati di ricerche e osservazioni cliniche – ha spiegato – questi dati mancano. Sappiamo gia’ che questi vaccini non proteggono sufficientemente dall’infezione ma proteggono dalla malattia ed e’ probabile – ha continuato – che le persone pienamente vaccinate, inclusa la terza dose appena possibile per tutti, saranno sufficientemente protette dalla malattia”. Insomma per Cassone dichiarazioni di questo tenore “scombussolano soltanto le persone”. Sulla stessa linea Roberto Cauda, infettivologo del Policlinico Gemelli, che ha aggiunto un ulteriore dettaglio: “Il virus non e’ cambiato totalmente, tanto da impedire ai vaccini di funzionare. Il vaccino stimola il sistema immunitario, con la terza dose si ha una risposta immunitaria superiore, piu’ ampia, e si potrebbe ottenere un effetto trascinamento inducendo il sistema immunitario ad allertarsi anche contro la variante Omicron”. Intanto l’Ecdc, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, ha rilevato 42 casi della variante Omicron finora registrati nell’Ue mentre sono in corso accertamenti su altri sei possibili contagi sospetti. Tutti i casi confermati fino ad oggi mostrano sintomi di malattia lieve o sono asintomatici. E se lo scenario fosse confermato: una maggiore contagiosita’ ma una sintomatologia lieve e non grave grazie alla protezione vaccinale paradossalmente, spiega il matematico Giovanni Sebastiani, dell’Istituto per le Applicazioni del Calcolo ‘M.Picone’, del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) “la sua diffusione controllata, con protezione delle categorie fragili a rischio, potrebbe rivelarsi per noi positiva, almeno a livello teorico generale”.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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