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Economia

Nuovi aiuti sulle bollette, da ottobre bonus famiglie

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Arrivano nuovi aiuti sulle bollette, ma stavolta – grazie alla discesa drastica del prezzo del gas – basteranno 5 miliardi di euro rispetto al maxi stanziamento di oltre 20 miliardi previsto nell’ultima legge di bilancio. Il decreto per calmierare le tariffe nel secondo trimestre dell’anno è atteso sul tavolo del consiglio dei ministri martedì 28 e, come spiegato dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, confermerà gran parte delle misure già in vigore, introducendo però anche qualche novità. Per il gas, nel periodo aprile-giugno, l’Iva continuerà ad essere ridotta al 5%, così come continueranno ad essere azzerati gli oneri di sistema. Per l’elettricità invece gli oneri saranno ripristinati, ma con una serie di sconti e benefici che il Mef sta mettendo ancora a punto nei dettagli e che garantiranno comunque un calo. Allo stesso tempo, senza costi aggiuntivi per lo Stato, verrà rinnovato il bonus sociale in versione potenziata, esteso cioè alle famiglie con un Isee fino a 15.000 euro, in modo da coinvolgere come è stato finora una platea di 4,5 milioni di nuclei. I crediti di imposta per le imprese continueranno ad esistere, ma rimodulati in base all’andamento del gas. La vera novità arriverà però dal primo ottobre, in coincidenza con l’inizio della prossima stagione fredda e non più, come ipotizzato in un primo momento, a partire da luglio.

Nel quarto trimestre dunque verrà introdotto un nuovo bonus ‘termico’, destinato a tutte le famiglie senza limiti di reddito. Una sorta di compensazione che scatterà quando il prezzo del gas supererà una certa soglia e che dovrebbe incentivare, stando alle prime indicazioni, eventuali risparmi, cercando però un equilibrio per evitare di disincentivare l’elettrico su cui invece si è puntato con forza negli ultimi anni. Il costo rientrerà nei 5 miliardi di finanziamento e per questo la nascita del nuovo strumento sarà prevista già nel decreto della prossima settimana. Il lavoro per definire tutti i dettagli è in corso in queste ore, così come prosegue senza sosta anche quello sul Superbonus. Alla Camera il lavoro di modifica del decreto sullo stop della cessioni si è interrotto dopo pochissimi voti in attesa di una soluzione sulla questione più spinosa, quella dei crediti incagliati. Sono passati al momento gli emendamenti che salvano caldaie e infissi (la cosidetta edilizia libera) e gli sconti sulle barriere architettoniche. Restano però ancora irrisolti proprio i nodi delle spese del 2022, su cui un’ipotesi di massima è stata in realtà identificata, e quello dei crediti che banche e assicurazioni non riescono più ad assorbire.

“Ci impegneremo fino all’ultimo minuto utile”, ha assicurato Giorgetti al question time al Senato, fiducioso sulla possibilità di trovare una soluzione per i cosiddetti ‘esodati’ del Superbonus nei prossimi giorni. Si tratta di famiglie e imprese “che in buona fede hanno creduto ai fuorvianti messaggi iniziali della gratuità per tutti” e che sono caduti nella trappola non per colpa di questo governo, ma dei precedenti, ha tenuto a precisare il ministro. Ancora una volta Giorgetti ha ribadito che “una nuova stagione di bonus al 110% per tutti non è all’orizzonte” e che per il futuro si parlerà solo di “un dosaggio mirato di percentuali di detrazioni” riservati ad alcune categorie, per le quali sconti e cessioni potranno essere garantite a certe condizioni. Tutte parole che però non hanno affatto convinto l’opposzione. Il Pd reclama i testi degli emendamenti a cui saranno affidate le soluzioni ma la Commissione non tornerà a riunirsi prima di lunedì. Presumibile prevedere dunque che il governo continuerà probabilmente a lavorare anche nel fine settimana per trovare l’alternativa più fattibile o comunque più simile negli effetti all’F24 richiesto da banche e imprese. Nelle sue risposte al Senato, Giorgetti è tornato infine a prendere tempo anche sulla ratifica Mes, ricalcando le parole della premier Giorgia Meloni. Nessun no secco, ma il tema – ha detto il ministro – va inserito nel dibattito più ampio sull’Unione bancaria e sulla Capital market union.

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Economia

Eurostat, in Italia povero il 9% dei lavoratori full time

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In Italia sale il rischio di povertà tra le persone che lavorano anche se impegnate a tempo pieno: nel 2024 gli occupati con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale al netto dei trasferimenti sociali sono il 9%, in aumento dall’8,7% registrato nel 2023. Una percentuale più che doppia di quella della Germania (3,7%). E’ quanto emerge dalle tabelle Eurostat appena pubblicate secondo le quali, invece, sono il 10,2% i lavoratori di almeno 18 anni occupati per almeno la metà dell’anno (sia full time che part time) a rischio povertà, anche questi in aumento rispetto al 9,9% del 2023 .

In Spagna la percentuale dei lavoratori impegnati full time poveri è del 9,6% mentre in Finlandia è al 2,2%. Per chi lavora part time la percentuale di chi risulta povero in Italia nel 2024 risulta in calo dal 16,9% al 15,7%. La povertà lavorativa sale in Italia soprattutto per i lavoratori indipendenti, tra i quali il 17,2% ha redditi inferiori al 60% di quello mediano nazionale (era il 15,8% nel 2023) mentre per i dipendenti la quota sale all’,8,4% dall’8,3% precedente. In Germania la quota degli occupati over 18 in una situazione di povertà è diminuita dal 6,6% al 6,5% mentre in Spagna è diminuita dall’11,3% all’11,2%. Soffrono in Italia di questa condizione soprattutto i giovani: tra i 16 e i 29 anni è povero l’11,8% degli occupati mentre tra i 55 e i 64 anni è il 9,3%. Nella povertà lavorativa conta il livello di istruzione.

Tra i lavoratori che hanno fatto la sola scuola dell’obbligo in Italia si registra un 18,2% di occupati poveri (era il 17,7% del 2023) mentre la percentuale crolla tra i lavoratori laureati, tra i quali solo il 4,5% risulta con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale. Ma in questo caso si registra un importante aumento, visto che la percentuale era al 3,6% nel 2023. Si registra invece un lieve calo della povertà tra gli occupati che hanno un diploma con il 9,1% in difficoltà nel 2024 a fronte del 9,2% dell’anno precedente.

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Economia

Parte l’ops su Bpm, Unicredit cerca dialogo col governo

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Da lunedì i soci di Banco Bpm potranno aderire all’offerta di Unicredit ma in questo momento tutti si chiedono se conviene, gli azionisti di Piazza Meda, la Borsa e lo stesso Andrea Orcel, il ceo di Piazza Gae Aulenti. Agli azionisti converrebbe vendere sul mercato. Per ciascuna azione di Bpm consegnata, che nell’ultima seduta di Borsa valeva 9,74 euro consegnata, si ricevono 0,175 azioni UniCredit (che venerdì valevano 50,87 euro), uno sconto che va oltre l’8 per cento. Improbabile un rialzo di prezzo ora che Unicredit deve fare i conti con i paletti imposti dal governo e con l’acquisizione di Anima che senza il Danish Compromise – una normativa europea che consente alle banche di acquisire assicurazioni con un minor assorbimento di capitale – pesa sull’indice patrimoniale di Banco Bpm e la rende meno attraente. L’offerta però resterà aperta fino al 23 giugno e nel frattempo Unicredit cerca un dialogo con il governo.

Le prescrizioni, tra cui il mantenimento del rapporto prestiti/depositi in Italia, le filiali di Banco Bpm in Lombardia e l’uscita dalla Russia entro il gennaio 2026, hanno un impatto che gli analisti di Jp Morgan hanno provato a calcolare: cento milioni di minori sinergie sui ricavi derivanti dalla stabilità del rapporto prestiti/depositi; 47 punti base di impatto CET1 derivante dall’uscita dalla Russia equivalente a 1,4 miliardi di capitale; 300 milioni di minori sinergie sui costi su un totale di 0,9 miliardi di euro. E in caso di inadempimento o violazione delle prescrizioni, secondo indiscrezioni, rischierebbe una multa compresa tra 300 milioni e 20 miliardi di euro. La normativa stabilisce infatti che la sanzione amministrativa possa arrivare fino al doppio del valore dell’operazione, e non sia inferiore all’1% del fatturato cumulato dell’ultimo esercizio approvato. Mentre Orcel si interroga se ne valga la pena, le tecnicalità vengono portate avanti e dopo una lunga istruttoria il 24 aprile è stato notificato alla DG Competition l’operazione di fusione e una risposta è attesa entro il 4 giugno.

“Data la forte complementarietà, presumiamo che non vi sia alcun piano di riduzione degli sportelli di in Lombardia”, sottolineano gli analisti di Jp Morgan, ricordando che Banco Bpm ha una quota di mercato del 13% contro il 6% di Unicredit. Resta in ogni caso sotto la soglia del 25% richiesta dall’Antitrust europeo. Il gruppo combinato avrebbe quote di mercato in eccesso solo in Sicilia (27%); raggiungerebbe il 24% in Val d’Aosta e Molise, il 23% in Piemonte, il 21% in Veneto e Lazio. La via del dialogo va percorsa, anche se il ministro Giancarlo Giorgetti tiene il punto e, a margine dei lavori del Fmi, non mostra segni di ammorbidimento. “Il governo deve valutare l’interesse nazionale, che non sono le competenze della Bce o della dg competition, è l’interesse nazionale. Qui (negli Usa ndr) ho capito che l’interesse nazionale risponde ad un concetto abbastanza virile anche in materia economica. In Italia abbiamo un concetto di interesse nazionale un po’ più lasco. Io li invidio gli americani”, ha chiosato.

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Generali, vince la lista Mediobanca: Donnet e Sironi confermati alla guida

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Con il 52,38% dei voti, l’assemblea dei soci di Generali ha scelto la lista di Mediobanca, confermando per il prossimo triennio Philippe Donnet (foto Imagoeconomica in evidenza) nel ruolo di amministratore delegato e Andrea Sironi come presidente. Una decisione che riafferma la linea della continuità e della stabilità nella governance della storica compagnia assicurativa triestina.

Affluenza e composizione del voto

L’assemblea, che ha registrato un’affluenza del 68,7%, è tornata in presenza per la prima volta dal 2019, riunendo oltre 450 azionisti presso il Generali Convention Center. A pesare sul risultato finale sono stati in particolare i voti degli istituzionali (circa il 17,5%) e un sorprendente apporto del retail (5%), mai così attivo. Anche la Cassa forense, con il suo 1,2%, ha votato a favore della lista Mediobanca.

Risultato del gruppo Caltagirone e confronto con il 2022

La lista Caltagirone ha ottenuto il 36,8% del capitale votante, confermando il ruolo di minoranza forte, ma non sufficiente a ribaltare gli equilibri. I fondi Assogestioni, con il 3,67%, non superano la soglia del 5% e quindi restano fuori dal consiglio. Il confronto con il 2022 mostra un equilibrio sostanzialmente stabile: allora Mediobanca aveva ottenuto il 56%, Caltagirone il 41%.

Il nuovo consiglio d’amministrazione

Il nuovo board sarà composto da 13 membri, con una struttura molto simile a quella uscente. Oltre a Donnet e Sironi, confermati nomi come Clemente Rebecchini, Luisa Torchia, Lorenzo Pellicioli, Antonella Mei-Pochtler, Alessia Falsarone. Tra le novità, Patricia Estany Puig e Fabrizio Palermo, ex ceo di Cdp e attuale ad di Acea.

Il ruolo di Unicredit, Delfin e gli altri azionisti

A sostenere Caltagirone si è aggiunta Unicredit, con il 6,5% su un portafoglio totale del 6,7%. Al suo fianco anche Delfin(9,9%) e probabilmente la Fondazione Crt (quasi 2%). Assente invece dai voti sulle liste Edizione della famiglia Benetton (4,83%), che ha scelto di astenersi, pur votando su altri punti all’ordine del giorno.

Donnet: «Ha vinto Generali»

«Oggi ha vinto Generali», ha dichiarato Donnet. «Il mercato si è espresso chiaramente: questa era la scelta per il futuro della compagnia come public company indipendente». Il presidente Sironi ha parlato di un consiglio «che ha lavorato con rispetto e responsabilità» e che continuerà a farlo anche nel prossimo mandato.

 

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