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‘Nave israeliana colpita da un missile iraniano’, ombre di guerra tra Iran e Israele

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Si addensano sul mare ombre di guerra tra Iran e Israele. Il cargo Lori – battente bandiera liberiana ma di proprieta’ israeliana – e’ stato colpito da un missile attribuito all’Iran mentre si trovava in navigazione al largo del Mar Arabico. Salpata da Dar es-Salam (Tanzania) il 20 marzo scorso e diretta al porto di Mundra in India, la nave – secondo la tv Canale 12 – e’ stata colpita e danneggiata. Ma Teheran smentisce: “Come prevedibile – ha scritto l’agenzia Tasnim, vicina ai Pasdaran – i media sionisti hanno affermato, senza fornire alcuna prova, che la nave, diretta in India dalla Tanzania, e’ stata colpita dall’Iran”. Per ora non ci sono commenti ufficiali da entrambi le parti. Fatto sta che fatti analoghi si ripetono sempre piu’ di frequente e si sommano a quelli nei cieli e in territorio della Siria contro forze vicine all’Iran e nei confronti degli Hezbollah libanesi alleati degli ayatollah. Non e’ un caso che giorni fa il ministero israeliano dei trasporti e l’Ente nazionale per la navigazione abbiano consigliato a tutte le navi in procinto di attraversare il Mar Arabico, il Golfo di Oman ed il Golfo Persico di elevare le misure di sicurezza, di ricorrere ad una accresciuta cautela e di variare per quanto possibile la routine delle rotte. Alla fine di febbraio scorso a sud dello Stretto di Hormuz, la nave di proprieta’ israeliana Helios Ray e’ stata vittima di un’esplosione che aveva provocato danni. In quella occasione il premier Benyamin Netanyahu ha denunciato l’episodio accusando direttamente Teheran – che ha respinto tutto – e il capo di stato maggiore Aviv Kochavi ha avvisato che l’esercito israeliano avrebbe agito “contro minacce vicine e lontane”. Haaretz, riprendendo anche un articolo del Wall Street Journal, ha di recente rivelato che negli ultimi anni decine di sabotaggi sono stati compiuti da agenti israeliani in petroliere iraniane impegnate nel contrabbando di greggio verso la Siria. Secondo Haaretz, quegli attacchi hanno inferto un duro colpo ai finanziamenti iraniani destinati al potenziamento militare degli Hezbollah. La tensione in mare avviene mentre la situazione politica in Israele – dove e’ terminato lo spoglio dei voti – e’ segnata dallo stallo tra i due schieramenti: quello guidato da Netanyahu e quello avverso. Il conteggio finale appare confermare che la coalizione del premier e’ ferma a 52 seggi su 120 alla Knesset, meno dei 61 necessari. E non ce la fa ad arrivare alla soglia neanche se il leader di ‘Yamina’ Naftali Bennett con i suoi 7 seggi accettasse di allearsi con lui: in tutto avrebbe 59 seggi. Per ottenere il quorum di 63 dovrebbe far ricorso ai 4 seggi del partito arabo islamista Raam: un percorso gia’ respinto oggi da uno degli alleati del premier, il Religioso sionista Bezalel Smotrich. A 57 seggi e’ invece la coalizione anti premier, ma la sua eterogena composizione (centro, sinistra, destra, Lista Araba Unita) rappresenta un problema non da poco. In ogni caso Gideon Saar – l’ex Likud passato all’opposizione con un suo partito – ha detto che “oramai e’ chiaro che Netanyahu non ha una maggioranza per una coalizione da lui guidata”. “Dobbiamo ora lavorare – ha spiegato su twitter – per realizzare la possibilita’ di formare un governo del cambiamento. Come ho annunciato la sera delle elezioni, l’ego non sara’ un fattore”.

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Blinken in visita a sorpresa in Ucraina

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Il segretario di Stato americano Antony Blinken è arrivato in visita a sorpresa in Ucraina. Il capo della diplomazia Usa è giunto stamattina a Kiev con un treno notturno dalla Polonia. E’ previsto un incontro con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, secondo i giornalisti al seguito di Blinken. Si tratta del quarto viaggio in Ucraina del segretario di stato americano dall’inizio dell’invasione russa nel febbraio 2022. La visita è intesa a rassicurare Kiev sul continuo sostegno degli Stati Uniti e a promettere un flusso di armi in un momento in cui Mosca sta conducendo una pesante offensiva nella regione nordorientale ucraina di Kharkiv.

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‘Chora è una moschea’, scintille Erdogan-Mitsotakis

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La moschea di Kariye a Istanbul, un tempo chiesa ortodossa di San Salvatore in Chora e tesoro del patrimonio bizantino, diventa tempio della discordia tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il premier greco Kyriakos Mitsotakis, nel giorno della visita del leader ellenico ad Ankara proprio per confermare la stagione di buon vicinato tra i due Paesi dopo decenni di tensioni. Le divergenze sulla moschea si sono riaccese nei giorni scorsi, dopo che il 6 maggio scorso San Salvatore in Chora, chiesa risalente al V secolo e tra i più importanti esempi dell’architettura bizantina di Istanbul, è stata riaperta dopo lavori di restauro durati quattro anni.

Convertita in moschea mezzo secolo dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi ottomani del 1453, Chora è stata trasformata in un museo dopo la Seconda guerra mondiale, quando la Turchia cercò di creare una repubblica laica dalle ceneri dell’Impero Ottomano. Ma nel 2020 è nuovamente diventata una moschea su impulso di Erdogan, poco dopo la decisione del presidente di riconvertire in moschea anche Santa Sofia, che come Chora era stata trasformata in un museo. La riapertura aveva suscitato malcontento ad Atene, con Mitsotakis che aveva definito la conversione della chiesa come “un messaggio negativo” e promesso alla vigilia del suo viaggio ad Ankara di chiedere a Erdogan di tornare sui suoi passi in merito. Una richiesta respinta al mittente: “La moschea Kariye nella sua nuova identità resta aperta a tutti”, ha confermato Erdogan in conferenza stampa accanto a Mitsotakis.

“Come ho detto al premier greco, abbiamo aperto al culto e alle visite la nostra moschea dopo un attento lavoro di restauro in conformità con la decisione che abbiamo preso nel 2020”, ha sottolineato. “Ho discusso con Erdogan della conversione della chiesa di San Salvatore in Chora e gli ho espresso la mia insoddisfazione”, ha indicato in risposta il leader greco, aggiungendo che questo “tesoro culturale” deve “rimanere accessibile a tutti i visitatori”. Nulla di fatto dunque sul tentativo di Atene di riscrivere il destino del luogo di culto. Ma nonostante le divergenze in merito, la visita di Mitsotakis ad Ankara segna un nuovo passo nel cammino di normalizzazione intrapreso dai due Paesi, contrapposti sulla questione cipriota e rivali nel Mediterraneo orientale. A dicembre i due leader hanno firmato una dichiarazione di “buon vicinato” per sancire una fase di calma nei rapporti iniziata dopo il terremoto che ha ucciso più di 50.000 persone nel sud-est della Turchia, all’inizio del 2023. “Oggi abbiamo dimostrato che accanto ai nostri disaccordi possiamo scrivere una pagina parallela su ciò che ci trova d’accordo”, ha sottolineato Mitsotakis accanto a Erdogan, confermando la volontà di “intensificare i contatti bilaterali”. Perché “l’oggi non deve rimanere prigioniero del passato”.

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Kiev, più di 30 località sotto il fuoco russo nel Kharkiv

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Sono ancora in corso i combattimenti nella regione di Kharkiv, nel nord-est dell’Ucraina, dove più di 30 località sono sotto il fuoco russo e quasi 6.000 residenti sono stati evacuati, secondo il governatore regionale. “Più di 30 località nella regione di Kharkiv sono state colpite dall’artiglieria nemica e dai colpi di mortaio”, ha scritto Oleg Synegoubov sui social network.

Il governatore ha aggiunto che dall’inizio dei combattimenti sono stati evacuati da queste zone un totale di 5.762 residenti. Le forze russe hanno attraversato il confine da venerdì per condurre un’offensiva in direzione di Lyptsi e Vovchansk, due città situate rispettivamente a circa venti e cinquanta chilometri a nord-est di Kharkiv, la seconda città del Paese.

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