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Mes e Recovery, 48 ore per evitare il rischio crisi

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Quarantott’ore sul filo di lana. Quarantott’ore di faticosa mediazione per evitare il rischio della crisi di governo. Giuseppe Conte si avvia ad una settimana di fuoco, segnata dai due principali nodi europei, il Mes e il Recovery Fund. Mercoledi’ in Aula il rischio del “no” dei frondisti M5S alla riforma del Mes resta alto. “Non ci saranno problemi, chi vota “no” vota contro una decisione presa dal gruppo M5S”, assicura il capo politico Vito Crimi. Nelle prossime ore, invece, il Cdm mettera’ a punto lo schema del Recovery Plan e la discussa task force, che continua a non piacere a Iv e non solo. Intanto, Emilia-Romagna e Lazio si accodano ad altre 22 Regioni europee di stampo autonomista per chiedere a Bruxelles , con una lettera ai vertici comunitari, un coinvolgimento diretto nel piano. E il clima non migliora neppure nel corso del vertice serale convocato dal premier Giuseppe Conte sul Recovery. Italia Viva, con Ettore Rosato e Maria Elena Boschi, non abbandona la trincea contro l’istituzione della task force tornando ad attaccare il premier per il poco coinvolgimento dei ministri. E domani, per il premier, si prospetta un Cdm infuocato. Anche perche’, se da un lato la task force non sara’ delineata nei suoi profili, dall’altro il governo e’ chiamato a dare il via libera alla struttura il prima possibile per poter poi inserire la proposta in legge di bilancio. Con i renziani, gia’ irritati dalla resistenza di Conte al rimpasto, pronti a far pesare i loro numeri in Parlamento. Sul Mes la chiave per smussare la fronda pentastellata e’ invece la risoluzione unitaria che verra’ presentata in Aula. Prima del confronto con il Pd, e’ gia’ partito il lungo lavoro interno al Movimento: in 60 parlamentari – tra capigruppo, presidenti di commissione e capigruppo in commissione – stanno lavorando al testo con un obiettivo: rendere piu’ chiaro possibile il “no” all’uso del Mes e, allo stesso tempo, sottolineare come il si’ alla riforma non significhi avallare la ratio del fondo-salva Stati. “A noi questa riforma non piace ma mentre a dicembre 2019 potevamo permetterci di dire “assolutamente no” oggi siamo in un anno in cui c’e’ una crisi pandemica, in cui l’Ue ha dimostrato di mettere in campo strumenti nuovi. Dobbiamo guardare avanti. Questa riforma e’ un modo per chiudere il capitolo”, sottolinea Crimi. Nella risoluzione non potra’ essere messo nero su bianco il “no” al Mes, Pd e Iv non lo permetteranno. Ma il M5S tornera’ a ribadire il necessario via libera dell’Aula per qualsiasi mossa che riguardi il fondo. Sperando di uscire nel cul de sac tra ortodossi, Dem e renziani. Non e’ escluso che, nelle prossime ore, anche il premier – magari indirettamente – intervenga con una sua moral suasion. Del resto Conte non ha mai nascosto la sua contrarieta’ al fondo ma, allo stesso tempo, quando giovedi’ a Bruxelles si presentera’ al Consiglio Ue dovra’ avere un mandato chiaro del Parlamento, in vista del rush finale sul negoziato sul Recovery. Porre veti sul Mes e attaccare chi, come Polonia e Ungheria, continuano ad opporsi al Recovery sarebbe un “non sense” che azzopperebbe la strategia italiana. Strategia sulla quale Conte fara’ asse con la Spagna, contando sulla sponda della presidenza tedesca anche sull’eventualita’, per ora solo potenziale, di un accordo a 25 sul Next Generation Ue. La fronda M5S, seppur ridotta di numeri, tiene nei suoi elementi piu’ intransigenti. E tutti chiedono al capo politico che la questione venga posta agli iscritti nel giorno in cui l’Associazione Rousseau lancia un corso di e-learning proprio sul Mes. E il professor e e’ un “no-Mes” duro e puro, Raphael Raduzzi. L’asse frondista, di fatto, e’ lo stesso che da tempo e’ in rotta con i vertici, sfiora Davide Casaleggio, coinvolge i descamisados “dibattistiani” e grida all’ennesimo voltafaccia del M5S al suo programma. “Se perdiamo voti e’ perche’ c’e’ una esasperazione, all’esterno, fino al ricatto, del dibattito politico”, replica Crimi annunciando, entro un mese, il nuovo organo collegiale al completo. Intanto Lazio e Emilia-Romagna, governate da Nicola Zingaretti e Stefano Bonaccini, chiedono all’Ue, con altre 22 Regioni europee, un coinvolgimento diretto e al piu’ alto livello sul Recovery Fund e sui rispettivi piani nazionali. “E’ un’iniziativa comprensibile, come ci si puo’ fidare di questo premier?”, attacca il renziano Michele Anzaldi. Ma le due Regioni, governate da due “big” della maggioranza, sminuiscono il senso della lettera. “Non e’ un atto politico”, spiegano dalla Pisana. “Abbiamo gia’ fatto altre iniziative con questa rete di Regioni”, sottolineano da Bologna ricordando come un maggior coinvolgimento comunque sia stato gia’ chiesto da Bonaccini. Ma la missiva alimenta ulteriormente la polemica interna con le opposizioni che chiedono chiarimenti sull’ iniziativa.

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Accolto ricorso, Ilaria Salis va ai domiciliari a Budapest

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E’ stato accolto dal tribunale di seconda istanza ungherese il ricorso presentato dai legali di Ilaria Salis che può quindi uscire dal carcere e andare ai domiciliari a Budapest. Il ricorso era stato presentato dai legali di Ilaria Salis contro la decisione del giudice Jozsef Sós che nell’ultima udienza del 28 marzo le aveva negato i domiciliari sia in Italia che in Ungheria. In appello, la richiesta è stata invece accolta e quindi la 39enne attivista milanese, candidata con Avs alle prossime Europee, potrà lasciare il carcere a Budapest dove si trova da oltre 15 mesi con l’accusa di aver aggredito dei militanti di estrema destra. Il provvedimento, che prevede il braccialetto elettronico, diventerà esecutivo non appena verrà pagata la cauzione prevista dal tribunale.

“Ilaria è entusiasta di poter finalmente uscire dal carcere e noi siamo felicissimi di poterla finalmente riabbracciare”: così Roberto Salis ha commentato la decisione del tribunale ungherese di concedere i domiciliari a sua figlia Ilaria che, dopo oltre 15 mesi, potrà lasciare il carcere dove è detenuta con l’accusa di aver aggredito dei militanti di estrema destra. “Non è ancora fuori dal pozzo – ha aggiunto ma sarà sicuramente molto bello poterla riabbracciare dopo 15 mesi, anche se finché è in Ungheria io non mi sento del tutto tranquillo”.

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Duello in tv Meloni-Schlein, le opposizioni e Fi contro la par condicio

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Il M5s ha gettato sul tavolo il carico, alzando un muro davanti al confronto tv fra la presidente del consiglio Giorgia Meloni e la segretaria Pd Elly Schlein. In campo è scesa l’esponente Cinque stelle in prima fila per le questioni Rai, la presidente della commissione di Vigilanza Barbara Floridia, che ha inviato una lettera al presidente di AgCom e ai vertici del tv pubblica: bisogna garantire parità di condizioni e di trattamento a tutti – è il senso del richiamo – ed evitare di avvantaggiare alcune forze politiche rispetto ad altre. “Mi aspetto di fare il confronto – ha confessato Meloni – ma vedo molti movimenti contro questa iniziativa, vedo molta critica, ci sono cose che si stanno muovendo, magari con l’idea che questo confronto non si faccia: penso che sarebbe un errore”.

In chi si oppone, oltre alla preoccupazione per il rispetto delle regole, c’è anche quella per una polarizzazione dello scontro tra la leader di FdI e quella del Pd che, alla vigilia delle europee, finirebbe per mettere in ombra gli altri contendenti. Contro il duello tv si sono schierati non solo altri leader di opposizione – da Verdi-Sinistra ad Azione a più Europa – ma anche il vicepremier e segretario di Fi Antonio Tajani. In attesa della riunione dell’AgCom di domani, sia Meloni sia Schlein hanno fatto capire di non aver intenzione di dare sponde ai critici: “Il confronto mi piace – ha detto la premier – penso sia il sale della democrazia, in particolare in campagna elettorale. Mi fa molto sorridere il dibattito che sta generando l’aver dato disponibilità al confronto: denunce, lamentele… Penso sia normale, particolarmente in una campagna elettorale come quella in cui siamo, in rapporto all’Unione europea, per raccontare agli italiani che ci sono due modelli: la proposta socialista e conservatori. Mettere a confronto ricette e visioni è un modo di aiutare cittadini nella scelta, è la cosa più naturale del mondo”.

In un’intervista al Qn anche Schlein ha difeso il faccia a faccia in programma a Porta a Porta il 23 maggio: “Il confronto con la presidente del Consiglio potrebbe rappresentare un momento di chiarezza per le persone. Si vedranno in modo ancora più evidente due visioni agli antipodi dell’Italia e dell’Europa”. E la deputata Debora Serracchiani, della segreteria Pd, ha rincarato: “il duello è opportuno ed è anche bello perché è la politica che si confronta nel merito”. Tajani ha ribadito cosa si aspetta dalla Rai: al confronto tv da Vespa “bisogna che tutte le forze politiche partecipino – ha spiegato – perché qua non siamo in un sistema maggioritario ma proporzionale. Si faccia un confronto con tutti i leader assieme come si fa negli Stati Uniti. La par condicio deve essere tale: il confronto si fa con chi si vuole, non è che deve essere imposto. È una violazione, non è giusto”. Un’ipotesi in campo è quella di un faccia a faccia con Matteo Renzi: “Ho già risposto di no”, ha tagliato corto Tajani. Offrendo il fianco all’ironia del leader Iv: “Bruno Vespa mi ha chiesto di partecipare a un faccia a faccia con Antonio Tajani. Ho accettato. Tajani no. Chissà perché… Forza Italia scappa dal confronto, peccato”. Le prossime ore portebbero essere decisive. La riunione dell’AgCom – sulla carta convocata per il consueto monitoraggio settimanale sulla par condicio nelle emittenti televisive -potrebbe essere l’occasione per chiarezza sul confronto Meloni-Schlein e il rispetto delle regole.

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Risiko Ue, l’Italia punta a un commissario di peso

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L’Italia punta a un commissario europeo di peso, e nei piani di Giorgia Meloni potrebbe non essere un ministro del suo governo. La premier ha escluso di pensare a un rimpasto dopo le Europee, “a maggior ragione non per fare il commissario europeo”. Finora si era parlato molto di Raffaele Fitto e Giancarlo Giorgetti, ma dietro la postilla della leader di FdI, secondo ragionamenti che in ambienti di maggioranza vengono accostati alle sue strategie, ci sarebbero non solo l’ambizione di chiudere il quinquennio con la stessa squadra, e l’obiettivo di non toccare gli equilibri interni dopo le elezioni. Ma soprattutto l’intenzione di puntare su una delega importante come quella economica, oggi divisa fra Paolo Gentiloni e Valdis Dombrovskis, o la concorrenza, mirando su un profilo che a Bruxelles non avrebbe problemi a far pesare la proprio autorevolezza.

Sono ragionamenti preventivi, manca ancora parecchio tempo, il risiko della governance europea è decisamente articolato e imprevedibile, ma già qualche nome circola. Fra questi, viene sussurrato con cautela anche quello di Daniele Franco, a cui la premier aveva pensato anche come ministro dell’Economia e che il governo ha poi sostenuto per la poltrona di presidente della Banca europea per gli investimenti, corsa in cui alla fine l’ha spuntata la spagnola Nadia Calvino. È una partita complessa, gli incastri dipenderanno anche dal destino di Mario Draghi, considerato in più cancellerie un papabile per la guida della Commissione europea ma anche per il Consiglio Ue.

Il risultato di questo gioco di incastri potrebbe arrivare mentre a Roma si entrerà in sessione di bilancio. Una missione che si annuncia delicata più che in altri anni. In primo luogo perché bisogna fare i conti con il nuovo Patto di stabilità, un compromesso da “migliorare”, si legge nel programma di FdI per le Europee, “nell’ottica di una maggiore flessibilità, tenendo conto delle esigenze finanziarie degli Stati membri”. Le preoccupazioni sorgono già nella stessa maggioranza anche alla luce del braccio di ferro ad alta tensione andato in scena in questi giorni sulla stretta al superbonus e sul nodo sugar tax, con il blitz per inserire un nuovo componente in commissione Finanze al Senato, dove il voto rischiava di essere pericolosamente in bilico. La manovra “sarà un inferno”, prevede un membro del governo che ne ha viste tante in Parlamento. Servirà massima attenzione per evitare cortocircuiti, quando si tratterà di impostare una legge di bilancio con risorse tutt’altro che abbondanti. E con equilibri di forza che potrebbero variare dopo le Europee.

Molte delle fibrillazioni primaverili sono direttamente riconducibili alle strategie elettorali diverse di FdI, FI e Lega. Meloni assicura di non temere questa campagna elettorale “divisiva”, ma i suoi fedelissimi non fanno mistero dell’irritazione con cui ha seguito la rivolta degli azzurri, guidati da Antonio Tajani, contro l’emendamento messo a punto da Giorgetti, con le norme retroattive sul superbonus. Una soluzione pensata dal Mef per frenare quello che Meloni ha più volte definito “dramma” o “macigno” per le casse dello Stato. E nella battaglia contro questo macigno, a tutela dei conti pubblici, bisognerebbe stare uniti, sarebbe il pensiero della premier, come raccontato nei capannelli dei meloniani in Transatlantico. Non a caso, in questi giorni lei e gli esponenti del suo partito, pubblicamente, si sono tenuti alla larga dalla disputa, probabilmente allineati con la stretta messa nero su bianco dal ministro dell’Economia. Nelle prossime settimane, nei prossimi mesi, ed è un altro dei ragionamenti che rimbalzano fra i parlamentari di maggioranza, si capirà quanto effettivamente la pazienza del ministro dell’Economia sia messa a dura prova dagli alleati.

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