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Meloni: al G7 l’Italia ha stupito e tracciato la rotta

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“In questi giorni l’Italia è stata al centro del mondo, e gli occhi del mondo sono stati puntati su di noi. Era una grande responsabilità e sono orgogliosa di come la nostra nazione sia riuscita, ancora una volta, a stupire e a tracciare la rotta”. Giorgia Meloni non nasconde la soddisfazione. Il G7, visto con gli occhi della delegazione italiana, è andato come doveva andare. Per la presenza “storica” di papa Francesco, per il Piano Mattei che entra nelle conclusioni e il traffico di migranti che diventa un tema su cui i 7 lanciano una “coalizione” per il contrasto.

Ma anche per la presenza di tanti leader esterni al gruppo, da quelli africani al turco Erdogan, dall’indiano Modi al brasiliano Lula, passando per l’argentino Milei. E nel bilancio positivo di Palazzo Chigi non manca l’appoggio di Joe Biden, che apprezza ancora una volta la posizione chiara dell’Italia a difesa dell’Ucraina, per aiutare la quale servirà come il pane l’intesa raggiunta sugli asset russi. Un risultato tutt’altro che scontato alla vigilia. Più complicata è stata la partita diplomatica sul tema dei diritti – prima l’aborto, poi la protezione delle persone Lgbtqi+ -, un braccio di ferro su cui si sono misurate le distanze tra i leader, che pure hanno adottato tutti insieme la dichiarazione finale.

Meloni già era intervenuta di persona a respingere azioni “da campagna elettorale” al G7 dopo che l’esplicito riferimento all’aborto dell’ultimo vertice era stato assorbito nel generico “reiterare” gli impegni di Hiroshima sul punto, incontrando il “rammarico” di Emmanuel Macron (e i dubbi della Casa Bianca). Il giorno dopo è la presidenza italiana del G7 a smentire seccamente che manchino “riferimenti” ai diritti Lgbtqi+ nel documento finale. Che in effetti ribadisce la “ferma condanna” dei 7 delle “violazioni e gli abusi dei loro diritti umani e delle libertà fondamentali”.

Ma non fa alcun riferimento, come evidenziato per prima dall’agenzia Bloomberg, alla protezione “dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale” della comunità Lgbt. Questioni su cui gli sherpa hanno negoziato, fino all’intesa su nuove diciture che non cambiano la sostanza, si difende la presidenza italiana. Ma che certo non si possono esattamente sovrapporre alle scelte linguistiche (oltre che di contenuto) sottoscritte solo un anno fa dallo stesso governo italiano in Giappone. Sarà che poteva essere “inopportuno”, data proprio la presenza del Santo Padre, come aveva ipotizzato il ministro Francesco Lollobrigida. O che semplicemente ogni anno ci si focalizza su alcuni temi e non si “copia” la versione precedente tale e quale, come hanno ribadito dal fronte italiano.

Con Macron, dopo lo scontro, almeno nelle immagini ufficiali non si registra nemmeno uno scambio di sguardi. In serata è stato il capo dell’Eliseo a cercare di gettare acqua sul fuoco sul caso aborto: “Non c’era polemica, non bisogna ingigantire”, ha osservato il presidente francese, aggiungendo tuttavia che con Meloni “conosciamo i nostri disaccordi, che esistono. Non li ho messi io sul tavolo, ho risposto con onestà” alla domanda di una giornalista italiana.

Resta insomma un’ombra su un vertice che Meloni ha preparato con cura con la sherpa Elisabetta Belloni, e su cui ha scommesso per cementare la credibilità italiana in un momento in cui il suo governo è quello “più forte” del gruppo, come ha rivendicato lei stessa alla vigilia. Una credibilità comunque riconosciuta dal presidente americano, che con la premier ha avuto un incontro bilaterale di oltre mezz’ora. Toni distesi, sintonia sull’Ucraina come sul Medio Oriente. Nessun accenno all’aborto. E la promessa di rivedersi a breve, a Washington, dove a inizio luglio si terrà il vertice Nato. Meloni ha visto anche l’amico Narendra Modi, con cui si è congratulata per il terzo mandato da premier indiano, e Fumio Kishida, da cui ha preso il testimone e con cui ha siglato un piano d’azione bilaterale Italia-Giappone.

Niente faccia a faccia finora, almeno ufficiali, con gli altri leder europei, nonostante quello dei nuovi equilibri post-elettorali sia il dossier più caldo che aspetta tutti già lunedì sera a Bruxelles. Tra una sessione e l’altra del summit, le colazioni di lavoro, la cena dello chef Massimo Bottura e i momenti informali del vertice, tra le delegazioni non si esclude che il tema possa essere stato quantomeno accennato. “Sono tre giorni che sono insieme…”, osserva una fonte. E ci sarebbe tempo anche nella mattinata di domani, nello slot finale del vertice in Puglia, tutto dedicato ai bilaterali prima della conferenza stampa di chiusura di Meloni. Diversi leader – compreso il presidente francese – hanno lasciato però Borgo Egnazia prima, in molti diretti in Svizzera per la Conferenza di pace sull’Ucraina.

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Bersani e politica che si fa con l’orecchio a terra: dallo sciopero delle prostitute ai rimpianti sullo ius soli

Pier Luigi Bersani, in un’intervista al Corriere della Sera, ripercorre episodi della sua vita politica e personale: dalle liberalizzazioni allo sciopero delle prostitute, passando per il rimpianto sullo ius soli.

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Pier Luigi Bersani (foto Imagoeconomica in evidenza), ex segretario del Pd, si racconta in un’ampia intervista rilasciata al Corriere della Sera, ripercorrendo episodi personali e politici che hanno segnato la sua vita e l’Italia contemporanea.

Nel suo nuovo libro “Chiedimi chi erano i Beatles” (Rizzoli), Bersani intreccia la politica, le battaglie sociali e i ricordi personali, come l’episodio curioso dello sciopero delle prostitute a Piacenza negli anni Settanta e la protesta dei commercianti sotto casa dei suoi genitori a Bettola, quando da ministro avviò le famose liberalizzazioni.

L’episodio delle prostitute e la lezione sulla politica

Durante la pedonalizzazione di un tratto della via Emilia, le prostitute protestarono. Il giovane Bersani, allora responsabile cultura del Pci locale, seguì l’episodio da vicino: «Un amministratore deve avere a cuore i problemi di tutti, anche quelli più difficili», ricorda.

Le liberalizzazioni e il pullman a Bettola

Nel 1996, da ministro, la sua “lenzuolata” per liberalizzare il commercio suscitò la rabbia dei commercianti. Una delegazione arrivò addirittura sotto casa dei suoi genitori. Ma l’accoglienza calorosa dei suoi — ciambelle e vino bianco — trasformò la protesta in una festa, segnando un inatteso boomerang per i contestatori.

La sfida canora con Umberto Eco

Bersani racconta anche della famosa sfida canora al convegno di Gargonza nel 1997, quando sconfisse Umberto Ecointonando canti religiosi: «Da noi era obbligatorio fare i chierichetti, non iscriversi subito alla Fgci».

Il rimpianto dello ius soli

Se fosse diventato premier nel 2013, Bersani avrebbe voluto introdurre lo ius soli con un decreto legge già alla prima seduta del Consiglio dei Ministri. Un rimpianto che ancora oggi pesa: «Se parti dagli ultimi, migliori la società per tutti».

I 101 e la caduta di Prodi

Bersani ammette di conoscere l’identità di circa «71-72» dei famosi 101 franchi tiratori che affossarono Romano Prodinella corsa al Quirinale. «C’erano renziani e non solo. Alcuni mi confessarono la verità piangendo».

Il rapporto con la morte

Dopo un grave problema di salute nel 2014, Bersani parla della morte con una serenità disarmante: «È più semplice di quanto pensassi. È la vita che si riassume in quell’istante». La sua fede è ora una ricerca continua: «Chi ha già trovato dovrebbe continuare a cercare».

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Giorgia Meloni: Italia protagonista nel mondo, ma serve concretezza e prudenza

In un’intervista al Corriere della Sera, Giorgia Meloni racconta i suoi impegni internazionali, il rapporto con Trump e annuncia nuove misure per la sicurezza dei lavoratori.

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In una lunga intervista concessa al Corriere della Sera, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha raccontato i quindici giorni intensi che l’hanno vista protagonista sulla scena mondiale: dall’incontro alla Casa Bianca con Donald Trump fino alla gestione dell’imponente cerimonia dei funerali di Papa Francesco a Roma.

Meloni ha sottolineato la perfetta riuscita organizzativa dei funerali, apprezzata da tutti i leader internazionali presenti: “È stato un grande lavoro corale, fatto di tante mani preziose”, ha detto, mantenendo però un approccio umile: “Io non sono mai soddisfatta, penso sempre che si possa e si debba fare di meglio”.

Nessun vertice politico ai funerali del Papa

Meloni ha precisato di non aver voluto trasformare il funerale del Papa in un’occasione di vertici politici: “Non avrei mai voluto distrarre l’attenzione da un evento così solenne”. Tuttavia, ha definito “bellissimo” il faccia a faccia spontaneo tra Trump e Zelensky a San Pietro, considerandolo “forse l’ultimo regalo di Papa Francesco”.

La sfida: riavvicinare Usa ed Europa

Nell’intervista, Meloni ha ribadito la necessità di rinsaldare l’alleanza atlantica e riavvicinare Stati Uniti ed Europa: “Il mondo cambia a una velocità vertiginosa, servono dialogo, studio e preparazione”, ha detto. Ha anche confermato che sono in corso contatti per un possibile incontro tra Trump e i vertici europei, anche se i tempi non sono ancora maturi: “Non importa se sarà a Roma o altrove, l’importante è ottenere un risultato concreto”.

L’amicizia con Trump e l’interesse nazionale

Meloni ha respinto le critiche di chi le rimprovera un rapporto troppo stretto con Trump: “Noi non siamo filoamericani, siamo parte dell’Occidente. Difendiamo il nostro interesse nazionale, indipendentemente da chi governa negli altri Paesi”.

Sul futuro, la premier ha affermato: “La sfida americana può essere un’opportunità anche per l’Europa, per tornare a crescere e innovare”.

L’Italia sulla pace in Ucraina

Meloni ha ribadito il sostegno italiano all’Ucraina e all’ipotesi di un cessate il fuoco incondizionato: “Siamo contenti che Zelensky si sia mostrato disponibile, ora è la Russia che deve dimostrare volontà di pace”. Ha inoltre ricordato la proposta italiana di un modello di garanzia ispirato all’articolo 5 del Trattato Nato, anche al di fuori del perimetro Nato.

Nuove misure per la sicurezza sul lavoro

In vista del Primo Maggio, Meloni ha annunciato nuove iniziative concrete per migliorare la sicurezza dei lavoratori: “Stiamo lavorando a un piano importante, in dialogo con sindacati e associazioni datoriali, per combattere il dramma quotidiano delle morti sul lavoro”.


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Meloni, con morte di Ramelli tutti devono fare i conti

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I cinquant’anni dalla morte di Sergio Ramelli, militante del Fronte della gioventù ucciso a diciotto anni per una aggressione di Avanguardia operaia a Milano, sono l’occasione per invocare una memoria condivisa delle vittime degli anni di piombo. Memoria condivisa “nel tentativo di ricucire una ferita profonda che deve accomunare tutte le vittime innocenti dell’odio e della violenza politica” ha sottolineato la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio all’evento ‘Le idee hanno bisogno di coraggio’ a lui dedicato nell’auditorium di Regione Lombardia. La sua vicenda, la sua morte “tanto brutale quanto assurda” che “forse, proprio per questo, divenuta un simbolo per generazioni di militanti di destra di tutta Italia”, è “un pezzo di storia con cui tutti a destra e sinistra devono fare i conti” ha ammonito.

“Ancora oggi, a cinquant’anni dalla morte – ha aggiunto Meloni – c’è una minoranza rumorosa che crede che l’odio, la sopraffazione e la violenza siano strumenti legittimi attraverso cui affermare le proprie idee. Ai ragazzi che oggi hanno l’età in cui Sergio morì, che hanno spalancata davanti a sé la strada della propria vita, che vogliono dedicarla a ciò in cui credono, voglio dire: non fatevi ingannare da falsi profeti e da cattivi maestri”. Anche il presidente del Senato Ignazio La Russa ha parlato del bisogno di una memoria condivisa. E come aveva già fatto ha paragonato Ramelli a Fausto e Iaio, ovvero Fausto Pinelli e Lorenzo Iaio Iannucci, esponenti del centro sociale Leoncavallo uccisi nel 1978. “Sono tra i pochi per i quali ancora non è stata fatta giustizia, non è stato scoperto chi li ha uccisi” ha ricordato.

“Questa memoria condivisa di giovani che hanno perso la vita solo perché credevano in delle idee, non importa se di destra o di sinistra, sia un insegnamento che credo debba restare forte in questa fase storica in cui vedo riaffacciarsi nei fuocherelli che non mi piacciono”. Se la memoria si fa più condivisa, resta comunque uno strascico di polemiche. Sono 38 le città che a Ramelli hanno dedicato una strada, una via o comunque un luogo. Oggi è successo anche a Sesto San Giovanni, un tempo Stalingrado d’Italia, che a Ramelli e Enrico Pedenovi, consigliere provinciale dell’Msi ucciso l’anno dopo, ha dedicato uno slargo. Inaugurazione a cui ha fatto seguito una manifestazione a cui hanno preso parte fra gli altri Anpi, Sinistra Italiana e Pd con l’idea che “è doveroso ricordare ragazzi ammazzati innocenti” ma “non può essere la scusa per riscrivere la storia e riabilitare valori neofascisti”.

Una critica alle manifestazioni con il ‘presente’ e il saluto romano (domani è in programma il tradizionale corteo per Ramelli, Pedenovi e Carlo Borsani che si conclude proprio con il ‘presente’ davanti al murale di Ramelli) è arrivata dalla ministra del Turismo Daniela Santanchè: “non appartengono a Fratelli d’Italia, non è certo il nostro elemento distintivo, niente di tutto questo può essere riconducibile a noi” ha detto aggiungendo che “sbagliano e non aiutano a pacificare”. Domani la cerimonia ufficiale per Ramelli sarà comunque ai giardini a lui dedicati in un appuntamento a cui parteciperà come sempre il sindaco di Milano Giuseppe Sala. Non però, come vorrebbe La Russa, con la fascia tricolore.

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