Collegati con noi

Economia

Media company con o senza i fondi, Serie A al bivio

Pubblicato

del

Due mesi dopo aver scelto la strada della media company, la Serie A domani si trovera’ davanti a un altro bivio: proseguire da sola o con la cordata di fondi di investimento Cvc-Advent-Fsi, pronti a pagare 1.65 miliardi per entrare in partnership con il 10% nella societa’ con cui la Lega gestira’ i diritti tv e quelli commerciali. Gli ultimi due giorni sono serviti a illustrare nei dettagli l’operazione, a beneficio anche di chi, come Lazio, Atalanta e Sassuolo, lunedi’ ha chiesto tempo. Alla vigilia sembra che Claudio Lotito sia rimasto con un solo alleato, Antonio Percassi, nel tentativo di frenare l’operazione, che sarebbe quindi sostenuta da piu’ dei 14 voti su 20 richiesti dal quorum. Ma, come sempre in Lega, non si possono escludere sorprese nell’assemblea domani alle 13 all’hotel St. Regis di Roma. Uno slittamento non sarebbe un dramma, ma il presidente di Lega Paolo Dal Pino ha optato per l’assemblea in presenza proprio per cercare di arrivare a una delibera. Sono forti le pressioni da parte dei fondi, delle societa’ che piu’ credono in questa indedita operazione e anche da quelle con piu’ problemi finanziari, che vedono nella partnership una vitale boccata d’ossigeno. Proprio la ripartizione dei ricavi e’ uno dei temi piu’ controversi e ancora da definire, su cui chiede di intervenire anche la Lega B: club grandi e medi spingono per dividendi piu’ contenuti ma prolungati nel tempo, le piccole vogliono invece monetizzare il prima possibile. Ci sara’ tempo per trovare una soluzione. Se l’assemblea approvera’ la partnership con i fondi, poi serviranno un paio di mesi per stendere i contratti. Intanto la proposta e’ cristallizzata. Fra le ultime novita’ del piano industriale, si sono accorciati i tempi per la realizzazione del canale della Lega, il prima possibile e non piu’ al quarto anno. Per la guida della media company si pensa a profili come Richard Scudamore, ex n.1 della Premier League, Tom Mockridge, ex ad di Sky Italia, e Javier Tebas, che pero’ e’ impegnato alla guida della Liga. Nel board potrebbero entrare il numero uno di Cvc in Italia, Giampiero Mazza, e il manager Nick Clarry.

Advertisement

Economia

Bpm incalza Unicredit, ‘dica se va avanti o no’

Pubblicato

del

Banco Bpm sbotta e chiede a Unicredit, in termini perentori e con malcelata insofferenza, di chiarire che cosa intenda fare dell’offerta su Piazza Meda, di fatto congelata dopo che il governo, brandendo il golden power, ha imposto alla banca guidata da Andrea Orcel una serie di onerosi paletti. “Ci sono condizioni di efficacia che non si sono realizzate e che non si realizzeranno più” e dunque “chiediamo a Unicredit” di prenderne atto e decidere “se rinunciare alle condizioni o se rinunciare all’offerta”, ha detto in assemblea il presidente di Banco Bpm, Massimo Tononi, facendo riferimento al rialzo del prezzo su Anima, alla mancata concessione del Danish Compromise e al golden power. Concetto ribadito dall’ad Giuseppe Castagna (foto in evidenza Imagoeconomica): “dicano se l’offerta va avanti o si ferma”. Per Tononi “non ci sono altre opzioni. Prendano un punto di vista definitivo, ce lo comunichino e lo comunichino anche al mercato che ha bisogno di maggiore chiarezza”.

“A prescindere dalla passivity rule, questa situazione di incertezza che dura da diversi mesi inizia onestamente ad essere poco apprezzabile e poco ragionevole”, si è lamentato il banchiere. Dopo l’esercizio del golden power – con cui il governo ha chiesto tra l’altro l’uscita dalla Russia e il mantenimento per alcuni investimenti di Anima su emittenti italiani – Unicredit ha chiesto udienza al governo, al momento senza riscontro, affermando di non essere in grado di assumere una “decisione definitiva” sull’offerta. Nel corso dell’assemblea – che ha approvato bilancio e dividendo con oltre il 99% dei voti – sono state ribadite le ragioni per cui l’ops non conviene.

“E’ un’operazione che va a vantaggio solo degli azionisti di Unicredit e a scapito di quelli del Banco”, ha detto Castagna ricordando che l’offerta implica “un importante trasferimento di valore” a favore dei soci di Unicredit, ai cui utili Banco Bpm contribuirà per il 18% vedendosi però riconoscere solo il 14% del capitale e delle sinergie del gruppo post-fusione. Con l’effetto di “una perdita di valore di circa 2,4 miliardi” per i suoi soci e “una creazione di valore di circa 7,5 miliardi” per Unicredit. Oltre agli aspetti finanziari, che includono anche l’assenza di un premio, ci sono quelli industriali: dal pericolo “di decapitare di un terzo” i circa 20 mila dipendenti di Bpm al “rischio significativo” della presenza in Russia di Unicredit, che potrebbe costare fino a 5,5 miliardi di svalutazioni, dall’assenza di un piano industriale congiunto all’incertezza sul destino di Anima, per finire con le ricadute del golden power.

“E’ Unicredit che deve dire se queste decisioni in qualche modo rendono possibile o non possibile” la loro offerta e come “impattano il valore che loro attribuiscono alla nostra banca”, ha detto Castagna senza entrare nel merito delle richieste del governo ma invitando anche a non fare “strumentalizzazioni” sui paletti relativi ad Anima imposti a Unicredit e non al Banco. “Nessuno si pone la domanda se Anima, in una banca al 100% in Italia, continui a investire in Italia” mentre “non si pensa lo stesso” di Unicredit che “ha il 65% delle attività sull’estero” e dunque “interessi che non sono al 100% coincidenti con quelli del nostro Paese”, ha spiegato Castagna.

Tra i possibili ostacoli sul cammino di Orcel c’è anche il Credit Agricole, primo socio del Banco con il 19,8% del capitale, che deciderà “nelle prossime settimane” se aderire all’ops, ha detto il ceo Philippe Brassac. “Ci sentiamo su un percorso che è stato apprezzato dall’Agricole” ha assicurato Castagna mentre i rumor danno i francesi sempre più freddi verso Unicredit e le crescenti difficoltà dell’operazione si traducono in uno sconto di quasi 800 milioni dell’ops rispetto ai corsi di Borsa. Dove, per le banche, è stata una giornata di vendite: Unicredit e Mps hanno perso il 2,8%, Mediobanca il 2,1%, il Banco l’1,9%, Bper l’1,7% e Intesa l’1,5%.

Continua a leggere

Economia

Il Pil accelera a +0,3%. Giorgetti: noi meglio di altri

Pubblicato

del

L’economia italiana cammina. Non ancora a passo svelto, ma con un movimento che c’è e si vede, tanto da sorpassare anche i principali partner economici europei. Nei primi tre mesi dell’anno, ancora immuni dall’effetto panico scatenato dai dazi a livello globale all’inizio di aprile, il Pil è cresciuto dello 0,3%. Un buon inizio, considerando gli abituali ritmi di crescita italiani. L’accelerazione del primo trimestre 2025 rispetto al +0,2% di fine 2024 ha permesso all’Italia di superare la crescita più modesta di Germania e Francia, rispettivamente +0,2% e +0,1%, e di piazzarsi appena sotto la media dell’Eurozona, che nello stesso periodo ha messo a segno un +0,4%.

La Spagna continua a registrare percentuali invidiabili (+0,6% trimestre su trimestre), ma aver scavalcato Berlino e Parigi non ha lasciato indifferenti gli esponenti del governo. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, è stato il primo a rivendicare il risultato, sottolineando “la crescita migliore rispetto ad altri paesi europei”, oltre che “la correttezza delle previsioni e l’efficacia delle politiche economiche del governo”. Il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, lo ha seguito a ruota evidenziando la crescita dei comparti produttivi, ovvero industria e agricoltura. La maggioranza ha poi fatto eco, parlando di dati incoraggianti e di successo del governo Meloni. Ma per l’opposizione la chiave di lettura è ribaltata: il M5S definisce la crescita “misera”, mentre il Pd torna a puntare il dito sui bassi salari.

A soffiare sul fuoco arrivano infatti i dati dell’Ocse sul cuneo fiscale: per i single senza figli ha raggiunto in Italia il 47,1% del costo del lavoro, confermandosi largamente sopra la media del 34,9%. Rispetto al 2023, il 2024 ha registrato un aumento di 1,61 punti, il più significativo tra i Paesi aderenti all’organizzazione. I salari italiani, al centro proprio in questi giorni dell’attenzione anche di Sergio Mattarella, devono peraltro fare i conti anche con un’inflazione che torna a farsi sentire. La prima fotografia dell’Istat sul mese di aprile vede infatti un rialzo dell’indice generale dall’1,9% al 2% e un ancora più marcato aumento del cosidetto carrello della spesa dal 2,1% al 2,6%, trascinato dai prezzi degli alimentari. Sul piano macro, l’inflazione potrebbe in realtà aiutare la riduzione del debito ma più di tutto, per tenere sotto controllo i conti, è la crescita che serve.

Grazie alla mini-spinta del 2024 e al risultato del primo trimestre, il Pil acquisito per il 2025 si attesta allo 0,4%, percentuale poco al di sotto il +0,6% delle previsioni del Documento di finanza pubblica presentato dall’esecutivo a metà aprile. Mantenendo la via ufficiale della prudenza, d’obbligo considerata l’incertezza geopolitica, commerciale e finanziaria a livello internazionale, Giorgetti ha aperto pochi giorni fa uno spiraglio di fiducia, non escludendo la possibilità di una revisione addirittura al rialzo delle stime. Ma le incognite restano, a partire dall’effetto dazi, che per ora risulta evidente solo sull’economia americana, e dalle spese per la difesa. Il governo italiano ha chiarito più volte che per il momento non intende attivare la clausola di salvaguardia Ue per aumentare la spesa in armamenti.

Ma la Bce già avverte sui potenziali rischi. Nei Paesi Ue ad alto debito, fra cui l’Italia, in caso di attivazione di una maggiore flessibilità, il calo del rapporto fra debito e Pil, previsto a partire dal 2027-2028 in base alle stime della Commissione europea, slitterebbe di quattro anni al 2031. Complessivamente, secondo la Banca centrale “la messa in pratica della nuova governance economica è circondata da significativa incertezza”, che rende “fondamentale” una piena realizzazione degli impegni presi nei Psb nazionali e in particolare “l’effettiva implementazione delle riforme e degli investimenti” previsti per rilanciare la crescita.

Continua a leggere

Economia

I ricavi di Prada crescono ancora spinti da Miu Miu

Pubblicato

del

Prada continua a muoversi controcorrente nella moda e del lusso in uno scenario che Patrizio Bertelli, presidente e amministratore esecutivo del gruppo, definisce “sempre più turbolento e incerto”. Non tanto tuttavia da avere impedito alla casa di moda di comprare Versace, come ha annunciato una ventina di giorni fa. In attesa del closing nella seconda metà del 2025, e del lungo lavoro per rilanciare il brand della Medusa, nel primo trimestre il gruppo milanese ha visto crescere i ricavi a due cifre, +13% a 1.341 milioni. Anche le vendite retail sono salite del 13% a 1.216 milioni con il marchio Prada rimasto stabile mentre Miu Miu (+60%) ha confermato di essere il vero motore dell’azienda grazie alla sua estetica, definita irriverente e anticonvenzionale, che piace ai giovani.

L’area Asia Pacifico, quindi la Cina, ha registrato una crescita del 10%, nonostante una base di confronto impegnativa e condizioni di mercato sostanzialmente invariate. Il Giappone ha segnato +18%, seppur con un rallentamento che continuerà. Bene l’Europa (+14%), sostenuta dai consumi domestici e dal turismo, anche quello cinese. Le Americhe hanno registrato un +10% nonostante la crescente volatilità, supportate dalla domanda locale. I riflettori restano ora puntati sugli Stati Uniti dove il gruppo Prada ha investito molto, anche di recente, e dove “rimaniamo positivi” malgrado i cambi di direzione giornalieri della politica di Donald Trump sui dazi. La casa di moda – ha indicato l’ad Andrea Guerra – non ha ancora deciso se alzare i prezzi negli Usa: lo valuterà da giugno quando il quadro sarà più chiaro. In ogni caso, non solo negli States, “disciplina e precisione esecutiva saranno più importanti che mai nel contesto attuale e per confermare l’ambizione di generare una crescita solida, sostenibile e superiore alla media di mercato”, ha detto il manager.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto