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Politica

Mattarella: Cina si adoperi per fermare Putin

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Con Xi Jinping c’è “piena sintonia e convergenza di valutazioni per quanto riguarda la volontà di pace, il multilateralismo, e l’apertura nelle relazioni economiche”. Ora Pechino prenda atto di essere una potenza globale e si adoperi per far pesare la sua influenza su Vladimir Putin aiutando a porre fine all’aggressione russa in Ucraina. Sergio Mattarella chiude il cerchio dei suoi colloqui chiedendo alla Cina un’assunzione di responsabilità proprio in nome di quel multilateralismo – Pechino lo declina come necessità di un nuovo ordine mondiale – che ha dominato gli incontri politici di questa sua seconda visita di Stato nel Paese del dragone. Una missione di successo nonostante i delicatissimi temi affrontati e molto apprezzata dalle autorità cinesi che hanno assicurato che da oggi si apre una nuova “storica” fase di relazioni bilaterali.

Giudizi lusinghieri che hanno permesso al presidente della Repubblica una franchezza di linguaggio che ad altri non sarebbe stata concessa e che Mattarella si è presa tutta. In rapida successione il capo dello Stato ha chiesto a Pechino di aumentare gli investimenti cinesi in Italia, di promuovere con maggiore decisione la volontà di pace in Ucraina e in Medio Oriente, di comprendere che “l’amicizia” – è stata la parola chiave di questi giorni a Pechino – tra due popoli deve permettere anche qualche critica, ad esempio sui diritti umani, senza che queste siano considerate “interferenze”. Ed ancora che è giunta l’ora che la Cina rimuova le “barriere che ostacolano l’accesso al mercato cinese di prodotti italiani di eccellenza”. Tema, quest’ultimo, scottante per il governo che si trova in una situazione di grave squilibrio commerciale.

Basti pensare che nel 2022 l’interscambio è stato pari a 73,9 miliardi di euro ma le esportazioni italiane in Cina hanno raggiunto solo i 16,4 miliardi mentre le importazioni sono state oltre il triplo (57,5 miliardi di euro). “C’è l’esigenza – ha infatti detto Mattarella al premier Li Qiang – di un riequilibrio nello sviluppo dei rapporti commerciali di importazione-esportazione. Gli investimenti italiani in Cina sono cresciuti molto. Auspichiamo che anche quelli cinesi possano crescere velocemente”. Poi nel pomeriggio il capo dello Stato si sposta all’università di Pechino e affronta la parte più politica della sua agenda davanti a studenti attentissimi. In sala, per l’inaugurazione della cattedra Agnelli dedicata alla cultura italiana, un parterre particolare: uno accanto all’altro Romano Prodi, primo titolare della cattedra, Pier Ferdinando Casini nuovo presidente onorario del forum filantropico Cina-Italia e il presidente di Exxor John Elkann.

“Italia e Cina sono unite da un rapporto solido e maturo, capace di superare le increspature”, ha premesso quasi a scusarsi della schiettezza delle sue parole. “Nessuno in Europa vuole una nuova stagione di protezionismo”, ha assicurato nel bel mezzo di complesse trattative sui dazi in corso tra Cina ed Unione europea. Per poi chiedere che la battaglia sulle auto elettriche non esondi su altri settori: “non deve ripercuotersi sulle pratiche commerciali di altri comparti”. Quindi la politica estera ed anche qui una premessa: “la Cina è uno dei protagonisti fondamentali della vita internazionale”. Per questo motivo deve “far uso della sua grande autorevolezza adoperandosi per porre termine alla brutale aggressione russa all’Ucraina”. E la stessa autorevolezza Pechino dovrebbe mostrare aggiungendo “la sua voce per fermare la spirale di violenza in Medio Oriente”.

Si tratta di una chiamata forte alla Cina ad entrare in gioco ma sempre giocando con le regole del diritto internazionale. E se tra “amici” le critiche possono essere solo costruttive, il presidente, garbatamente, parla anche di diritti umani: “ci sono questioni complesse che riguardano tutti noi. Tra queste non è in secondo piano la tutela e la promozione della dignità di ogni persona. Ribadire principi che rappresentano un presidio di civiltà non esprime interferenza nei confronti di alcuno. È, piuttosto, un invito – di valore universale – per comportamenti coerenti con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che impegna l’intera Comunità internazionale”. Insomma, la Cina entri veramente in partita e inizi a dare corpo quel nuovo ordine mondiale del quale tanto si parla. Ma con le regole chiare del multilateralismo e non con l’assenza di regole di chi aggredisce i più deboli come la Russia.

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Bersani e politica che si fa con l’orecchio a terra: dallo sciopero delle prostitute ai rimpianti sullo ius soli

Pier Luigi Bersani, in un’intervista al Corriere della Sera, ripercorre episodi della sua vita politica e personale: dalle liberalizzazioni allo sciopero delle prostitute, passando per il rimpianto sullo ius soli.

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Pier Luigi Bersani (foto Imagoeconomica in evidenza), ex segretario del Pd, si racconta in un’ampia intervista rilasciata al Corriere della Sera, ripercorrendo episodi personali e politici che hanno segnato la sua vita e l’Italia contemporanea.

Nel suo nuovo libro “Chiedimi chi erano i Beatles” (Rizzoli), Bersani intreccia la politica, le battaglie sociali e i ricordi personali, come l’episodio curioso dello sciopero delle prostitute a Piacenza negli anni Settanta e la protesta dei commercianti sotto casa dei suoi genitori a Bettola, quando da ministro avviò le famose liberalizzazioni.

L’episodio delle prostitute e la lezione sulla politica

Durante la pedonalizzazione di un tratto della via Emilia, le prostitute protestarono. Il giovane Bersani, allora responsabile cultura del Pci locale, seguì l’episodio da vicino: «Un amministratore deve avere a cuore i problemi di tutti, anche quelli più difficili», ricorda.

Le liberalizzazioni e il pullman a Bettola

Nel 1996, da ministro, la sua “lenzuolata” per liberalizzare il commercio suscitò la rabbia dei commercianti. Una delegazione arrivò addirittura sotto casa dei suoi genitori. Ma l’accoglienza calorosa dei suoi — ciambelle e vino bianco — trasformò la protesta in una festa, segnando un inatteso boomerang per i contestatori.

La sfida canora con Umberto Eco

Bersani racconta anche della famosa sfida canora al convegno di Gargonza nel 1997, quando sconfisse Umberto Ecointonando canti religiosi: «Da noi era obbligatorio fare i chierichetti, non iscriversi subito alla Fgci».

Il rimpianto dello ius soli

Se fosse diventato premier nel 2013, Bersani avrebbe voluto introdurre lo ius soli con un decreto legge già alla prima seduta del Consiglio dei Ministri. Un rimpianto che ancora oggi pesa: «Se parti dagli ultimi, migliori la società per tutti».

I 101 e la caduta di Prodi

Bersani ammette di conoscere l’identità di circa «71-72» dei famosi 101 franchi tiratori che affossarono Romano Prodinella corsa al Quirinale. «C’erano renziani e non solo. Alcuni mi confessarono la verità piangendo».

Il rapporto con la morte

Dopo un grave problema di salute nel 2014, Bersani parla della morte con una serenità disarmante: «È più semplice di quanto pensassi. È la vita che si riassume in quell’istante». La sua fede è ora una ricerca continua: «Chi ha già trovato dovrebbe continuare a cercare».

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Giorgia Meloni: Italia protagonista nel mondo, ma serve concretezza e prudenza

In un’intervista al Corriere della Sera, Giorgia Meloni racconta i suoi impegni internazionali, il rapporto con Trump e annuncia nuove misure per la sicurezza dei lavoratori.

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In una lunga intervista concessa al Corriere della Sera, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha raccontato i quindici giorni intensi che l’hanno vista protagonista sulla scena mondiale: dall’incontro alla Casa Bianca con Donald Trump fino alla gestione dell’imponente cerimonia dei funerali di Papa Francesco a Roma.

Meloni ha sottolineato la perfetta riuscita organizzativa dei funerali, apprezzata da tutti i leader internazionali presenti: “È stato un grande lavoro corale, fatto di tante mani preziose”, ha detto, mantenendo però un approccio umile: “Io non sono mai soddisfatta, penso sempre che si possa e si debba fare di meglio”.

Nessun vertice politico ai funerali del Papa

Meloni ha precisato di non aver voluto trasformare il funerale del Papa in un’occasione di vertici politici: “Non avrei mai voluto distrarre l’attenzione da un evento così solenne”. Tuttavia, ha definito “bellissimo” il faccia a faccia spontaneo tra Trump e Zelensky a San Pietro, considerandolo “forse l’ultimo regalo di Papa Francesco”.

La sfida: riavvicinare Usa ed Europa

Nell’intervista, Meloni ha ribadito la necessità di rinsaldare l’alleanza atlantica e riavvicinare Stati Uniti ed Europa: “Il mondo cambia a una velocità vertiginosa, servono dialogo, studio e preparazione”, ha detto. Ha anche confermato che sono in corso contatti per un possibile incontro tra Trump e i vertici europei, anche se i tempi non sono ancora maturi: “Non importa se sarà a Roma o altrove, l’importante è ottenere un risultato concreto”.

L’amicizia con Trump e l’interesse nazionale

Meloni ha respinto le critiche di chi le rimprovera un rapporto troppo stretto con Trump: “Noi non siamo filoamericani, siamo parte dell’Occidente. Difendiamo il nostro interesse nazionale, indipendentemente da chi governa negli altri Paesi”.

Sul futuro, la premier ha affermato: “La sfida americana può essere un’opportunità anche per l’Europa, per tornare a crescere e innovare”.

L’Italia sulla pace in Ucraina

Meloni ha ribadito il sostegno italiano all’Ucraina e all’ipotesi di un cessate il fuoco incondizionato: “Siamo contenti che Zelensky si sia mostrato disponibile, ora è la Russia che deve dimostrare volontà di pace”. Ha inoltre ricordato la proposta italiana di un modello di garanzia ispirato all’articolo 5 del Trattato Nato, anche al di fuori del perimetro Nato.

Nuove misure per la sicurezza sul lavoro

In vista del Primo Maggio, Meloni ha annunciato nuove iniziative concrete per migliorare la sicurezza dei lavoratori: “Stiamo lavorando a un piano importante, in dialogo con sindacati e associazioni datoriali, per combattere il dramma quotidiano delle morti sul lavoro”.


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Politica

Meloni, con morte di Ramelli tutti devono fare i conti

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I cinquant’anni dalla morte di Sergio Ramelli, militante del Fronte della gioventù ucciso a diciotto anni per una aggressione di Avanguardia operaia a Milano, sono l’occasione per invocare una memoria condivisa delle vittime degli anni di piombo. Memoria condivisa “nel tentativo di ricucire una ferita profonda che deve accomunare tutte le vittime innocenti dell’odio e della violenza politica” ha sottolineato la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio all’evento ‘Le idee hanno bisogno di coraggio’ a lui dedicato nell’auditorium di Regione Lombardia. La sua vicenda, la sua morte “tanto brutale quanto assurda” che “forse, proprio per questo, divenuta un simbolo per generazioni di militanti di destra di tutta Italia”, è “un pezzo di storia con cui tutti a destra e sinistra devono fare i conti” ha ammonito.

“Ancora oggi, a cinquant’anni dalla morte – ha aggiunto Meloni – c’è una minoranza rumorosa che crede che l’odio, la sopraffazione e la violenza siano strumenti legittimi attraverso cui affermare le proprie idee. Ai ragazzi che oggi hanno l’età in cui Sergio morì, che hanno spalancata davanti a sé la strada della propria vita, che vogliono dedicarla a ciò in cui credono, voglio dire: non fatevi ingannare da falsi profeti e da cattivi maestri”. Anche il presidente del Senato Ignazio La Russa ha parlato del bisogno di una memoria condivisa. E come aveva già fatto ha paragonato Ramelli a Fausto e Iaio, ovvero Fausto Pinelli e Lorenzo Iaio Iannucci, esponenti del centro sociale Leoncavallo uccisi nel 1978. “Sono tra i pochi per i quali ancora non è stata fatta giustizia, non è stato scoperto chi li ha uccisi” ha ricordato.

“Questa memoria condivisa di giovani che hanno perso la vita solo perché credevano in delle idee, non importa se di destra o di sinistra, sia un insegnamento che credo debba restare forte in questa fase storica in cui vedo riaffacciarsi nei fuocherelli che non mi piacciono”. Se la memoria si fa più condivisa, resta comunque uno strascico di polemiche. Sono 38 le città che a Ramelli hanno dedicato una strada, una via o comunque un luogo. Oggi è successo anche a Sesto San Giovanni, un tempo Stalingrado d’Italia, che a Ramelli e Enrico Pedenovi, consigliere provinciale dell’Msi ucciso l’anno dopo, ha dedicato uno slargo. Inaugurazione a cui ha fatto seguito una manifestazione a cui hanno preso parte fra gli altri Anpi, Sinistra Italiana e Pd con l’idea che “è doveroso ricordare ragazzi ammazzati innocenti” ma “non può essere la scusa per riscrivere la storia e riabilitare valori neofascisti”.

Una critica alle manifestazioni con il ‘presente’ e il saluto romano (domani è in programma il tradizionale corteo per Ramelli, Pedenovi e Carlo Borsani che si conclude proprio con il ‘presente’ davanti al murale di Ramelli) è arrivata dalla ministra del Turismo Daniela Santanchè: “non appartengono a Fratelli d’Italia, non è certo il nostro elemento distintivo, niente di tutto questo può essere riconducibile a noi” ha detto aggiungendo che “sbagliano e non aiutano a pacificare”. Domani la cerimonia ufficiale per Ramelli sarà comunque ai giardini a lui dedicati in un appuntamento a cui parteciperà come sempre il sindaco di Milano Giuseppe Sala. Non però, come vorrebbe La Russa, con la fascia tricolore.

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